Uno Dei Migliori Chitarristi In Circolazione Si Scopre Anche Cantante. Dave Specter – Blues From The Inside Out

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Dave Specter – Blues From The Inside Out – Delmark Records

Dave Specter da Chicago, è giustamente considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione nell’ambito del blues e dintorni, in quanto comunque nella sua musica, oltre alle 12 battute classiche, sono sempre confluiti elementi jazz, rock, soul, funky, qualche tocco di gospel, in dischi in passato quasi sempre rigorosamente strumentali: o meglio il nostro amico, nei nove album di studio e un paio di live che avevano preceduto questo Blues From The Inside Out, non aveva mai spiccicato una parola, “limitandosi” a suonare la sua Gibson (e ogni tanto la Fender), con uno stile, una tecnica ed un feeling inimitabili, ma, soprattutto negli ultimi anni, in particolare nel penultimo eccellente Message In Blue, utilizzando vocalist esterni per alcuni brani cantati, nel disco in questione tre con Brother John Kattke e tre con il compianto Otis Clay https://discoclub.myblog.it/2014/07/07/messaggio-pervenuto-forte-chiaro-dave-specter-message-blue/ .

Ma nel frattempo, dopo 35 anni di onorata carriera, e a sei anni dall’album precedente ha deciso che era il momento di fare il suo esordio anche come cantante: e i fatti gli danno ragione, visto che il nuovo CD è probabilmente il suo migliore di sempre, in una sequenza di uscite che ha  peraltro mantenuto sempre elevati livelli qualitativi. Ovviamente, un po’ come nel caso della coperta di Linus, non sentendosi completamente sicuro, Specter comunque lascia spazio in alcuni brani all’amico Brother John Kattke, impiegato anche ad organo e piano, e a Sarah Marie Young in una canzone, non trascurando i suoi proverbiali pezzi strumentali . In alcune tracce appare la sezione fiati dei Liquid Horns, il percussionista Ruben Alvarez, i vocalist aggiunti Devin Thompson e Tad Robinson (già utilizzato in passato in diversi album), e come ospite in due brani Jorma Kaukonen, che ne firma anche uno con Specter. Per questo suo esordio come autore di testi il nostro amico ha toccato anche temi sociali e politici, in questi tempi travagliati per la società americana (a parte l’economia dell’elite Trumpiana, che galoppa a ritmi folli macinando record): una nota di merito alla bella copertina che cromaticamente ricordail classico Time Out di Dave Brubeck, e ci tuffiamo subito nel primo brano, la title track Blues From The Inside Out, un classico shuffle dove Specter fa il suo esordio canterino, con una voce diciamo non memorabile, ma adeguata alla bisogna, mentre con l’aiuto di Kattke al piano Dave comincia a scaldare il suo strumento.

Ponchantoula Way è un brano più mosso, con l’uso di fiati e percussioni, Kattke sempre molto presente al piano, con retrogusti funky soul made in Louisiana, un ritmo ondeggiante e un assolo di chitarra di grande tocco e finezza da parte di Specter; March Through The Darkness, cantata da Kattke, è un omaggio alla illustre concittadina di Chicago Mavis Staples, una splendida deep soul ballad dal messaggio sociale che vive anche sul lavoro di cesello di tutta la band, e soprattutto di Dave che ci regala un assolo caldo e delizioso, di una fluidità disarmante, seguito da quello di Brother John https://www.youtube.com/watch?v=utC3qX5pLG4 . Sanctifunkious, come altri pezzi strumentali con nomi simili dal passato di Specter, prende l’ispirazione dal funky-jazz di Meters e Neville Brothers, grande groove e assoli ricchi di feeling, incluso uno incredibile al waw-wah https://www.youtube.com/watch?v=1cJTWrK0MeA , altro brano con messaggio (contro Trump) è How Low Can One Man Go, con un titolo simile a quello di un pezzo di Robert Cray Just How Low, un bluesaccio sporco e torrido alla John Lee Hooker, di nuovo con wah-wah a manetta e Jorma Kaukonen che risponde colpo su colpo. Asking For A Friend è cantata da Specter, un altro blues scandito in puro stile Chicago, con le consuete folate della solista di Dave, mentre Minor Shout è un altro dei suoi raffinati strumentali, un brano lungo e sinuoso basato sull’interplay con l’organo di Kattke, e atmosfera tinta di latin-jazz à la Santana, anche grazie alle percussioni dell’ottimo Alvarez.

The Blues Ain’t Nuthin’ è il brano con il testo firmato da Kaukonen, cantato nuovamente dall’ottimo Kattke, che come è noto agli aficionados delle 12 battute è un eccellente vocalist, un electric blues con uso fiati che sembra uscire da qualche vecchio vinile di Mike Bloomfield, grazie alla limpidissima solista di Specter ben spalleggiata da quella di Jorma https://www.youtube.com/watch?v=KixdZ9ZieFM , Brother John che si ripete anche nella divertente ed ondeggiante Opposites Attract, lasciando poi spazio alla solista del nostro nello strumentale groove oriented con fiati Soul Drop che all’inizio ha un riff alla On Broadaway , che è poi un tema sonoro ricorrente nel corso del brano. Wave’s Gonna Come è una deliziosa ballata introdotta dall’acustica dell’autore Bill Bricta e cantata in modo imperioso da Sarah Marie Young, con la pungente solista di Specter a mettere il marchio su questa eccellente canzone https://www.youtube.com/watch?v=4EIBkB7PEtA . A chiudere un altro strumentale, la morbida String Chillin’, tra blues e jazz, con Kattke al piano a spalleggiare le splendide evoluzioni della solista del nostro amico, che si conferma uno dei “maghi” della chitarra, se non lo conoscete già, assolutamente da scoprire. Come si suole dire, gran bel disco!

Bruno Conti

Se Cercate Del Buon Chicago Blues Elettrico Non Andate Oltre! Mississippi Heat – Cab Driving Man

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Mississippi Heat – Cab Driving Man – Delmark/Ird

Con espressione felice l’estensore delle note del CD dice che spesso Pierre Lacocque si è sentito una specie di turnista nella propria band e non il leader: in effetti nei Mississippi Heat nel corso degli anni sono passati musicisti come Carl Weathersby, John Primer, Deitra Farr, Billy Flynn, ed attualmente nella formazione troviamo gente come la formidabile cantante Inetta Visor, il chitarrista e cantante Michael Dotson, e come ospiti, o meglio, come membri aggiunti, il notevole bluesman Giles Corey (autore anche di dischi a nome proprio), Dave Specter alla chitarra e Sax Gordon. Il risultato è questo Cab Driving Man, un altro notevole esercizio di blues in tutte le sue forme, targato Delmark, garanzia di qualità, registrato nell’aprile di quest’anno a Chicago, proprio in una delle patrie del blues. Però, quasi a smentire quanto appena detto, Lacocque firma ben undici dei brani contenuti nel disco, e la sua armonica si sente forte e chiara, spesso spumeggiante, nel corso di tutto l’album. La sua storia ve l’ho raccontata altre volte, comunque per farla breve, nato a Gerusalemme da una famiglia di origini ebree, ma originaria del Belgio, ha girato nella sua infanzia anche per Francia e Germania, prima di risistemarsi in Belgio, esperienza che a suo dire lo ha trasformato in un bambino triste e un po’ solitario, quindi la “preda ideale” per un futuro bluesman. L’arrivo negli anni ’70 a Montreal, e poi in seguito a Chicago, sono i classici passaggi della migliore gavetta, culminata poi nel secondo passaggio dalla Windy City e la creazione della propria band, i Mississippi Heat, nel 1988, già quindi oltre i 25 anni di attività, con dodici album all’attivo, sei per la Delmark, usciti negli ultimi anni con una precisa cadenza biennale https://www.youtube.com/watch?v=hx8yS5uG7-Y , confermata anche da questo Cab Driving Man, ulteriore eccellente tassello della loro lunga storia http://discoclub.myblog.it/2015/01/01/oriundo-canadese-trasferta-nella-windy-city-mississippi-heat-warning-shot/ .

Il disco, anche grazie all’ottima scelta della sequenza dei brani, è una sorta di crescendo inarrestabile, con la poderosa voce di Inetta Visor, spesso protagonista assoluta, ma anche Dotson si difende alla grande, per sedici brani che spaziano dal blues più sanguigno a ballate quasi afterhours, passando per R&B, soul, persino un tuffo nel jazz alla Cotton Club di Cab Driving Man, dedicata alla figura e al suono di Cab Calloway, forse più legato al jazz e al cabaret, ma che apparve anche nella pellicola Blues Brothers. L’album si apre sulle classiche movenze Chicago Blues di Cupid Bound, rinvigorite da Sax Gordon e dal piano dell’ulteriore ospite Chris “Hambone” Cameron (che si alterna alle tastiere con Sumito Ariyo), ottimo il ricamo di chitarra di Michael Dotson e, manco a dirlo, la voce della Visor. Detto della deliziosa title-track, impreziosita dal lavoro di Lacoque, That Late Night Stuff è il primo di tre pezzi firmati da Dotson, anche lui voce potente ed espressiva, oltre che chitarrista dal tocco gagliardo, una canzone dove si vira verso profumi “errebi” senza perder di vista il blues. Protagonista assoluto in un “lentone” immancabile come l’intensa Flowers In My Tombstone, dove piano, chitarra, armonica e la voce della Isor sono perfetti. Nella potente Icy Blue si apprezza anche la slide dell’ospite Giles Corey, mentre la brava Inetta continua ad imperversare con la sua voce incredibile e la eccellente sezione ritmica si inventa un groove funky assai efficace. Dotson va di boogie con il suo secondo contributo, una pimpante The Last Go Round, seguita dalla atmosfere notturne di una delicata Life Is Too Short, e da una delle due cover del disco, Don’t Mess Up A Good Thing, un brano di Oliver Sain, che ricordiamo anche in una bella versione contenuta nel primo solo per la Capricorn di Gregg Allman del lontano 1973, in origine un classico del R&B per Fontella Bass, qui proposta come duetto tra la Visor e Giles Corey. 

Corey che rimane anche per la successiva Rosalie, ulteriore esempio della felice fusione tra blues e soul dei Mississippi Heat, costruita intorno ad un groove super funky del basso di Brian Quinn e della batteria di Terrence WilliamsDi nuovo blues elettrico di prima scelta per la incalzante Luck Of The Draw, dove Dave Specter aggiunge la sua pungente solista alle operazioni. Mama Kaila, di nuovo intima e delicata, cantata in maniera vellutata dalla Isor, con Lacocque e Dotson che cesellano ai rispettivi strumenti, precede la canzone manifesto dello stesso Pierre, Music Is My Life, un blues elettrico alla Muddy Waters affidato alla intensa voce della Isor, esemplare anche in Lonely Eyes, e nella successiva cover di Smooth Operator, non quella di Sade, ma un vecchio brano anni ’50 di Sarah Vaughan, dalle movenze latine. Mancano ancora l’ultimo brano cantato da Dotson, una vibrante Can’t Get Me No Traction, dove il nostro è ottimo anche alla slide e il divertente strumentale corale conclusivo Hey Pipo!, dove Pierre Lacocque può dare ampio sfoggio del suo virtuosismo all’armonica. Ancora un ottimo disco per la band di Chicago, tra le migliori nel genere.

Bruno Conti