Uno Dei Migliori Chitarristi In Circolazione Si Scopre Anche Cantante. Dave Specter – Blues From The Inside Out

dave specter blues from the inside out

Dave Specter – Blues From The Inside Out – Delmark Records

Dave Specter da Chicago, è giustamente considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione nell’ambito del blues e dintorni, in quanto comunque nella sua musica, oltre alle 12 battute classiche, sono sempre confluiti elementi jazz, rock, soul, funky, qualche tocco di gospel, in dischi in passato quasi sempre rigorosamente strumentali: o meglio il nostro amico, nei nove album di studio e un paio di live che avevano preceduto questo Blues From The Inside Out, non aveva mai spiccicato una parola, “limitandosi” a suonare la sua Gibson (e ogni tanto la Fender), con uno stile, una tecnica ed un feeling inimitabili, ma, soprattutto negli ultimi anni, in particolare nel penultimo eccellente Message In Blue, utilizzando vocalist esterni per alcuni brani cantati, nel disco in questione tre con Brother John Kattke e tre con il compianto Otis Clay https://discoclub.myblog.it/2014/07/07/messaggio-pervenuto-forte-chiaro-dave-specter-message-blue/ .

Ma nel frattempo, dopo 35 anni di onorata carriera, e a sei anni dall’album precedente ha deciso che era il momento di fare il suo esordio anche come cantante: e i fatti gli danno ragione, visto che il nuovo CD è probabilmente il suo migliore di sempre, in una sequenza di uscite che ha  peraltro mantenuto sempre elevati livelli qualitativi. Ovviamente, un po’ come nel caso della coperta di Linus, non sentendosi completamente sicuro, Specter comunque lascia spazio in alcuni brani all’amico Brother John Kattke, impiegato anche ad organo e piano, e a Sarah Marie Young in una canzone, non trascurando i suoi proverbiali pezzi strumentali . In alcune tracce appare la sezione fiati dei Liquid Horns, il percussionista Ruben Alvarez, i vocalist aggiunti Devin Thompson e Tad Robinson (già utilizzato in passato in diversi album), e come ospite in due brani Jorma Kaukonen, che ne firma anche uno con Specter. Per questo suo esordio come autore di testi il nostro amico ha toccato anche temi sociali e politici, in questi tempi travagliati per la società americana (a parte l’economia dell’elite Trumpiana, che galoppa a ritmi folli macinando record): una nota di merito alla bella copertina che cromaticamente ricordail classico Time Out di Dave Brubeck, e ci tuffiamo subito nel primo brano, la title track Blues From The Inside Out, un classico shuffle dove Specter fa il suo esordio canterino, con una voce diciamo non memorabile, ma adeguata alla bisogna, mentre con l’aiuto di Kattke al piano Dave comincia a scaldare il suo strumento.

Ponchantoula Way è un brano più mosso, con l’uso di fiati e percussioni, Kattke sempre molto presente al piano, con retrogusti funky soul made in Louisiana, un ritmo ondeggiante e un assolo di chitarra di grande tocco e finezza da parte di Specter; March Through The Darkness, cantata da Kattke, è un omaggio alla illustre concittadina di Chicago Mavis Staples, una splendida deep soul ballad dal messaggio sociale che vive anche sul lavoro di cesello di tutta la band, e soprattutto di Dave che ci regala un assolo caldo e delizioso, di una fluidità disarmante, seguito da quello di Brother John https://www.youtube.com/watch?v=utC3qX5pLG4 . Sanctifunkious, come altri pezzi strumentali con nomi simili dal passato di Specter, prende l’ispirazione dal funky-jazz di Meters e Neville Brothers, grande groove e assoli ricchi di feeling, incluso uno incredibile al waw-wah https://www.youtube.com/watch?v=1cJTWrK0MeA , altro brano con messaggio (contro Trump) è How Low Can One Man Go, con un titolo simile a quello di un pezzo di Robert Cray Just How Low, un bluesaccio sporco e torrido alla John Lee Hooker, di nuovo con wah-wah a manetta e Jorma Kaukonen che risponde colpo su colpo. Asking For A Friend è cantata da Specter, un altro blues scandito in puro stile Chicago, con le consuete folate della solista di Dave, mentre Minor Shout è un altro dei suoi raffinati strumentali, un brano lungo e sinuoso basato sull’interplay con l’organo di Kattke, e atmosfera tinta di latin-jazz à la Santana, anche grazie alle percussioni dell’ottimo Alvarez.

The Blues Ain’t Nuthin’ è il brano con il testo firmato da Kaukonen, cantato nuovamente dall’ottimo Kattke, che come è noto agli aficionados delle 12 battute è un eccellente vocalist, un electric blues con uso fiati che sembra uscire da qualche vecchio vinile di Mike Bloomfield, grazie alla limpidissima solista di Specter ben spalleggiata da quella di Jorma https://www.youtube.com/watch?v=KixdZ9ZieFM , Brother John che si ripete anche nella divertente ed ondeggiante Opposites Attract, lasciando poi spazio alla solista del nostro nello strumentale groove oriented con fiati Soul Drop che all’inizio ha un riff alla On Broadaway , che è poi un tema sonoro ricorrente nel corso del brano. Wave’s Gonna Come è una deliziosa ballata introdotta dall’acustica dell’autore Bill Bricta e cantata in modo imperioso da Sarah Marie Young, con la pungente solista di Specter a mettere il marchio su questa eccellente canzone https://www.youtube.com/watch?v=4EIBkB7PEtA . A chiudere un altro strumentale, la morbida String Chillin’, tra blues e jazz, con Kattke al piano a spalleggiare le splendide evoluzioni della solista del nostro amico, che si conferma uno dei “maghi” della chitarra, se non lo conoscete già, assolutamente da scoprire. Come si suole dire, gran bel disco!

Bruno Conti

Ieri Se Ne E’ Andato Anche Dr. John A.k.a. Mac Rebennack 1941-2019 R.I.P.

Dr. John Bruce Weber

Dr. John Photo Bruce Weber

Dopo una tregua che durava da qualche tempo sono riprese le morti eccellenti.Ieri ci ha lasciati purtroppo anche Dr. John: aveva 77 anni, nato a New Orleans, si è spento per un infarto: qui sotto potete leggere quello che avevo scritto alla fine del 2017 su di lui.in relazione ai suoi anni migliori a livello musicale.

dr. john atco alnum collection

Dr. John – The Atco Albums Collection: Prima Che Sia Troppo Tardi!

Dr. John, a.k.a Mac Rebennack, è stato sicuramente uno dei musicisti più importanti generati dalla scena di New Orleans: rimanendo in un ambito contemporaneo, e senza tornare troppo indietro nel tempo, lo si può accostare a Professor Longhair, Fats Domino (e forse James Booker), tra quelli in azione dagli anni ’50, Allen Toussaint, la famiglia Neville, sia come Meters che come Neville Brothers, probabilmente anche Irma Thomas (nel passato Jelly Roll Morton, Sidney Bechet e Louis Armstrong, ma anche Mahalia Jackson, tanto per non fare nomi), fino ad arrivare ai vari Marsalis, la Dirty Dozen Brass Band, i Radiators tra i bianchi, Trombone Shorty e così via, ne ho dimenticati sicuramente molti. Ma Dr. John è certamente uno di quelli che meglio è riuscito a fondere le radici jazz e blues, con il R&B e il soul, il rock, il boogie woogie, in modo magistrale nel Gumbo: la sua carriera discografica, per certi versi parte tardi, il suo primo album solista è del 1968, quando Rebennack aveva già 28 anni, ma poi è stata ricca e feconda, con tantissimi dischi pubblicati negli anni, e a livello di ristampe del  suo catalogo è sempre stata servita discretamente bene. Gli album principali sono raccolti nel boxettino economico della Original Album Series, tuttora in produzione, che ne riporta 5 dei primi 6 (manca solo Remedies)e anche gli album singoli sono stati spesso editi in passato in edizione singola, anche se attualmente la maggior parte non sono reperibili facilmente, per usare un eufemismo.

Dr. John – The Atco Albums Collection 7 CD Warner/Rhino

Quindi questo cofanetto della Rhino che raccoglie i sette dischi del periodo Atco, quello migliore, cade proprio a fagiolo, prima che sia troppo tardi , per una volta si festeggia la carriera di un grande da vivo ((ora non più, purtroppo): ci sono Gris – Gris, Babylon, Remedies, The Sun Moon & Herbs, Dr. John’s Gumbo, In The Right Place, Desitively Bonaroo, tutti di elevato valore qualitativo con la punta di eccellenza di Gumbo, per molti il suo capolavoro assoluto. Sono usciti, con cadenza abbastanza regolare, nel periodo che va dal 1968 al 1974, vediamoli, abbastanza velocemente., ma non troppo. I primi tre escono come Dr. John, “The Night Tripper”, lo pseudonimo adottato agli inizi, quando si presentava visivamente come un incrocio tra Screamin’ Jay Hawkins con i suoi copricapi eccentrici, un santone voodoo e qualche personaggio del Mardi Gras, mentre musicalmente fondeva il R&B di New Orleans con rock psichedelico e qualche abbondante spruzzata di jazz molto personalizzato: Gris-Gris, registrato nel 1967, esce a gennaio del 1968, prodotto da Harold Battiste, una delle leggende della scena locale, e usando una pattuglia di musicisti della Crescent City che avevano tutti il prefisso Dr. nel nome, a parte Bob West, che era Senator, all’inizio non fu accolto molto bene a livello critico, ma poi, grazie anche alla presenza di  una “misteriosa” I Walk On Guilded Sprinters (di cui ricordiamo, tra le tante, le versioni poderose degli Humble Pie e di Paul Weller) ma anche Gris-Gris Gumbo Ya-Ya che introduceva in pochi tratti il suo personaggio, tra ritmi tribali e voodoo jazz, Mama Roux, una sorta di ondeggiante boogaloo (come lo chiamò Ahmet Ertegun, il presidente della Atlantic, che non voleva pubblicare l’album), o Danse Frambeaux ,tutte firmate Dr. John Creaux, e che definire bizzarre ed avventurose significa non fargli torto; tradotto, l’ascolto non è facilissimo.

Babylon, il secondo album, esce un anno esatto dopo, stesso produttore, qualche nuovo musicista, e lo stesso Dr. John che si esibisce anche alla chitarra, i tempi musicali sono sempre abbastanza strani, ma il R&B è più accentuato, per esempio nell’iniziale title-track o nella mossa Glowin’, con sonorità a tratti zappiane o alla Captain Beefheart, per la voce particolare, roca e vissuta di Rebennack; Black Widow Spider è rock psichedelico, come anche The Lonesome Guitar Strangler, mentre la lunga Twilight Zone, ha degli elementi del futuro Dr. John balladeer confidenziale.

Remedies del 1970 è l’ultimo disco come Night Tripper, prodotto da Tom Dowd e Charles Greene, contiene la lunghissima Angola Anthem, ispirata da una brutta esperienza nella celebre prigione americana, un brano dove le percussioni di Jessie Hill giocano un ruolo molto importante, con il sound che ruota intorno a un classico chitarra, basso e batteria, molto funky e continui cambi di tempo, mentre il piano è assente; in Loop Garoo, What Goes Around Comes Around, Wash, Mama, Wash, e Chippy Chippy già impera il classico suono di Dr. John, tipicamente New Orleans, mentre la lunga Mardi Gras Day è più frammentaria.

Un disco di transizione, prima di arrivare a The Sun, Moon & Herbs l’album del 1971, dove ci sono i Memphis Horns in tre brani e i fiati anche in altri pezzi, ma pure moltissimi i musicisti impiegati, tra cui nomi celeberrimi come Eric Clapton alla chitarra in molti pezzi, che si porta dietro altri componenti di Derek And The Dominos, Mick Jagger alle armonie vocali, ma pure Bobby Whitlock e Doris Troy, il suono è molto espansivo e brani come la complessa Black John The Conqueror, la deliziosa Where Ya At Mule, il voodoo blues di Caney Crow, il puro New Orleans sound di Familiar Reality e Pots On Fiyo, sono gli antenati del sound di Meters e Neville Brothers, mentre la “funerea” Zu Zu Mamou è più dispersiva. Il disco arriva ben al 184° posto delle classifiche e fa da apripista per quello che per molti forse è il suo capolavoro assoluto.

Dr. John’s Gumbo, il disco del 1972 che è un tuffo nella tradizione musicale della sua città natale, composto tutto (meno un pezzo a firma Mac Rebennack) da brani classici come Iko Iko, trascinante e con fiati e voci femminili di supporto scatenate, mentre il Dottore lavora di fino sulla tastiera del piano, e poi Blow Wind Blow di Huey Piano Smith, Big Chief un brano, anche fischiettato, di Earl Gaines, dove si apprezza l’organo di Ronnie Barron; c’è anche Somebody Changed The Lock del “Dottore”, che è una anticipazione di Such A Night o Right Place, Wrong Time, per non dire di Let The Good Times Roll, Junco Partner, Stack-A-Lee e pure Tipitina, ma vi sfido a trovare un brano scarso.

Come pure nel successivo In The Right Place, uscito nel 1973, che fu il suo disco di maggiore successo, ben 33 settimane nelle classifiche di Billboard, per il sottoscritto anche il suo suo migliore, un disco dove suonano Allen Toussaint, che è anche il produttore, i Meters, Ralph McDonald, David Spinozza, e una sezione fiati guidata da Gary Brown: la trascinante Right Place, Wrong Time, con l’assolo di Spinozza https://www.youtube.com/watch?v=fvxJxLwGOMI , Same Old Same Old, e ancora Life, firmata da Toussaint, Such A Night (che nella versione del grande fan italiano di Dr. John, Renzo Arbore, diventerà Smorza ‘è Lights), ma pure la ballata Just The Same, la super funky I’ve Been Hoodood (su cui Willy De Ville ha costruito mezza carriera, l’altra metà è grande rock), e che dire del R&B di Qualified, insomma non c’è un brano scarso, neppure a cercarlo con il lanternino.

Conclude il periodo Atco Desitively Bonnaroo il disco del 1974, che è non è affatto un brutto album, anzi, ma confrontato con i due precedenti non può reggere il paragone: Allen Toussaint e i Meters sono ancora in pista, le registrazioni avvengono sempre tra i Criteria Studios di Miami e i Sea-Saint Recording di New Orleans, l’atmosfera trasuda come al solito Funky e il tipico Gumbo sound di Dr. John, non ci sono “classici”, però i buoni brani non mancano: Quitters Never Win, una sorta di James Brown perduto, Stealin’ e What Comes Around (Goes Around) due discrete funky tunes, la ballata pianstica Me –You – Loneliness, sulla stessa lunghezza d’onda del cittadino onorario di NOLA Randy Newman o l’incalzante Mos’Scocious, che diventerà il titolo di una sua antologia del 1993 e ancora le deliziose e contagiose Let’s Make A Better World e Sing Along Song, come pure la ballata gospel-country Go Tell The People e altri brani del CD.

Insomma, per cinque euro scarsi a CD direi che questo cofanetto s’ha da avere, sia se non possedete nulla di Dr. John, ma anche se ve ne manca solo qualcuno di quelli contenuti in questo Box. Ed avrete un souvenir sonoro indelebile di uno dei più grandi musicisti della scena di New Orleans. Riposa in pace Mac!

Bruno Conti

Messaggio Pervenuto, Forte E Chiaro! Dave Specter – Message In Blue

dave specter Message In Blue

Dave Specter – Message In Blue – Delmark/IRD

All’incirca quattro anni fa (diciamo tre e mezzo( ci eravamo lasciati con l’ultimo album (allora il nono) di Dave Specter, un disco completamente strumentale intitolato Spectified, che veniva pubblicato dalla piccola etichetta Fret 12 Records http://discoclub.myblog.it/2011/02/19/blues-senza-parole-dave-specter-spectified/ . Nel 2014 Specter ritorna alla sua casa discografica storica, la Delmark, con la quale era uscita la quasi totalità della sua opera. E lo fa alla grande, con uno dei dischi migliori, se non il migliore, della sua discografia. Come molti sapranno Specter non canta, si “limita” a suonare la sua chitarra. Alternandosi tra Gibson e Fender, Dave è diventato nel corso degli ultimi venticinque anni uno dei migliori interpreti del blues di Chicago, città da cui provengono sia lui che la sua etichetta. Ma questa volta ha voluto fare le cose in grande; tredici brani, di cui sette strumentali e sei cantati, tre dal grandissimo Otis Clay, al suo esordio su Delmark, un “negrone” (nel senso più affettuoso e meno razzista possibile) ancora in possesso di una delle voci più belle del soul e del blues attuale, da sette anni inattivo a livello discografico e sia lode a Specter per averlo voluto in questo Message In Blue. Gli altri tre brani li canta Brother John Kattke, il tastierista della band, in possesso di una voce più che rispettabile.

dave specter 1

Ma andiamo con ordine. Il disco si apre con lo shuffle mid-tempo di una New West Side Stroll dove Specter comincia a scaldare la sua solista dallo stile pulito e brillante, che tra gli attuali chitarristi si può paragonare, forse, a quello di Ronnie Earl, altro grande stilista, e tra i grandi bianchi del passato a Mike Bloomfield, ai tempi della Butterfield Blues Band o, vista la presenza dell’organo dell’ottimo Kattke, al sound della celebre Super Session https://www.youtube.com/watch?v=vS7B4FCs5Lw . Poi si comincia a godere come ricci con il primo tuffo nella grande Soul music, quella con la S maiuscola, Otis Clay, supportato da una sezione fiati di quattro elementi, più un paio di voci femminili di supporto, inizia a scaldare l’atmosfera con Got To Find A Way e Dave Specter cesella un assolo che non ha nulla di invidiare a ciò che eravamo abituati ad ascoltare nelle grandi tracce targate Atlantic o Stax https://www.youtube.com/watch?v=BureqD843Y4 . This Time I’m Gone For Good è anche meglio, uno slow blues dal repertorio di Bobby Blue Bland, cantato da Clay con una intensità incredibile e con il nostro Dave che pennella una serie di interventi con la  solista da lasciarti senza fiato per la precisione assoluta, quasi chirurgica della sua chitarra, chiamata a misurarsi con uno dei cantanti migliori ancora in circolazione nella musica nera https://www.youtube.com/watch?v=1dO9UX8j8Is . Dopo un inizio così scoppiettante uno potrebbe aspettarsi un calo di tensione, invece la band, e Specter, ci regalano uno strumentale fantastico come la title-track Message In Blue, un chiaro esempio anche delle capacità compositive del titolare dell’album, melodia e tecnica a braccetto per una ballata blues godibilissima, ragazzi se suona!

dave specter otis clay

Chicago Style, come il titolo esemplifica, è un brano originale firmato da Specter, che permette a Brother John Kattke, ancora accompagnato da una scintillante sezione fiati, di “omaggiare”, citandoli per nome e cognome, molti di coloro che hanno fatto grande la storia musicale della Windy City, e gli assoli di chitarra e piano non sono messi lì a caso. A questo punto arriva un altro piccolo capolavoro, una rilettura fantastica del super classico di Wilson Pickett, I Found A Love, con eccellenti armonie vocali a quattro parti e un ingrifato Otis Clay che “urla” il suo soul come solo i grandi sanno fare, eccellente anche il lavoro della chitarra che punteggia tutto il brano con un continuo lavoro, solista e ritmico, di cucitura del tessuto del brano. A questo punto potremmo andare tutti a casa, il disco è da aversi anche solo per questi brani, ma Funkified Outa Space, che si ispira al funky New Orleans Style dei Meters, Same Old Blues, il secondo brano più famoso scritto da Don Nix dopo Going Down, reso in una versione appassionata e quasi claptoniana da Specter e Kattke, che la canta alla grande, sono episodi non trascurabili. Come pure The Stinger un altro strumentale, screziato da ritmi santaneggianti, con un fantastico e ricco di varietà lavoro della solista, che ricorda anche qualche “tonalità” alla Peter Green https://www.youtube.com/watch?v=3qumAaXOjvA .

brother john kattke

Jefferson Stomp ci introduce ancora una volta ai talenti di Bob Corritore, musicista che preferisco in questo ruolo di sparring partner di grandi chitarristi, e nel caso specifico a fronteggiare con la sua armonica la slide dirompente di uno spumeggiante Dave Specter https://www.youtube.com/watch?v=9f7hHB3Fwwo . Watchdog è l’ultimo brano cantato da Brother John Kattke, puro Chicago Blues eseguito con la giusta cattiveria dalla solista che taglia a fettine il brano, mentre The Spectifyin’ Samba, con il sax tenore di John “Boom” Brumbach in bella evidenza, potrebbe ricordare le classiche tracce del King Curtis dei tempi che furono. Conclude, ancora con la presenza di Corritore, una Opus De Swamp che nelle note viene paragonata a certe sonorità “vibrate” del vecchio Pop Staples, e non si può che convenirne. Questo sì che è (Rhythm&) Blues, e pure soul, in due parole, molto bello!

Bruno Conti

*NDB Come vedete oggi doppia razione. A fianco, nei commenti, impazzano le polemiche per il, si fa per dire, “non concerto” degli Eagles a Lucca. Non mi intrometto e non modero, lascio libero chiunque di esprimere il suo parere, finché si rimane nei limiti della buona educazione, e mi pare ci siamo. Non ci sono censure preventive in generale, se ogni tanto vedete dei commenti in inglese, e ne arrivano tanti, che poi scompaiono a breve, è perché si tratta di gente che vuole fare pubblicità al proprio sito e blog, ma commenta su vecchi Post presi a casaccio, tra le migliaia usciti negli scorsi anni. Un’ultima avvertenza già che ci sono: siccome mi è capitato che qualcuno si sia lamentato del fatto di doversi iscrivere per entrare nel Blog, forse non uso all’utilizzo degli stessi, volevo ricordarvi che una volta che siete entrati in Disco Club non occorre fare login o altre strane manovre, se nella prima riga vedete una serie di scritte con vari comandi, lasciate perdere, sono riservati all’amministratore del Blog, cioè il sottoscritto, per inserire nuovi Post ed aggiornamenti, al resto si può accedere dagli Archivi, dagli articoli recenti o passati, o nei commenti e comunque dall’ultima colonna a destra. Grazie e buona lettura.

Bruno

“Nuovi” Guitar Heroes. Chris Duarte Group – Live

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Chris Duarte Group – Live 2 CD Blues Bureau/Shrapnel

Sono passati all’incirca sei mesi da quando ci eravamo sentiti per l’ultimo album di Chris Duarte, My Soul Alone, ( clienti-abituali-chris-duarte-group-my-soul-alone.html) ed eccoci con un nuovo album, questo doppio Live. Per onestà non è che il chitarrista di Austin, Texas sia un musicista così prolifico d’abitudine, la sua media è un disco all’anno dal 2007 ad oggi, con il 2012 dedicato ad una ristampa (era probabilmente impegnato con il tour giapponese che ha dato vita a questo disco dal vivo) e gli anni precedenti con uscite più sporadiche. Come detto più volte Duarte è quanto di più vicino ci sia, tecnicamente e nello spirito, al compianto Stevie Ray Vaughan. Non è un clone, ma ci assomiglia parecchio, in alcuni momenti la somiglianza del sound è impressionante, quasi più SRV dell’originale. In venti anni circa di onorata carriera non aveva mai pubblicato un disco dal vivo e per il power-blue-trio rock di Chris Duarte la dimensione in concerto è naturalmente l’ideale. Al basso e seconda voce c’è Yoshi Ogashara del gruppo giapponese Bluestone Co. che aveva suonato nel disco 396 e alla batteria Jack Jones e insieme costituiscono una sezione ritmica di tutto rispetto, potente ma anche valida tecnicamente, se c’è da picchiare ci danno dentro, ma nei blues lenti e nelle improvvisazioni jazzate, tipo la cover di Alabama di John Coltrane, sanno essere molto ricercati.

La maggior parte delle cover è concentrata nella parte iniziale del concerto: il classico strumentale Hideaway di Freddie King è eseguito con vigore ma con la giusta dose di classe, considerando che Duarte è in possesso di una tecnica notevole, spesso straripante verso un hard-rock-blues anche violento e caciarone, ma in fondo è quello che ci si aspetta da lui, a maggior ragione da un Live. Big Legged Woman era un brano scritto da Leon Russell sempre per Freddie King nell’ultimo periodo di carriera, quello degli album RSO con Eric Clapton (che verrà ricordato negli extra di un box di Eric che uscirà tra non molto, vedrete). Brano funky con la chitarra che si inerpica nei meandri del Texas blues di Stevie Ray Vaughan con ottima scelta di toni e sonorità nel dispiegarsi del brano. Ridin’ è un bel pezzo rock hendrixiano che si trovava su Infinite Energy del 2010. Altra cover per Do The Romp di Junior Kimbrough, cattiva il giusto e poi Make Me Feel So Right un ottimo shuffle che si trovava su Blues In The Afterburner, l’album che veniva promosso in quel tour, sempre da quell’album il primo slow blues, una lancinante e torrenziale Bottle Blues.

Let’s Have A party sempre attribuita a Duarte, come da titolo è una sarabanda a tutta velocità nei territori del R&R cari a Bugs Henderson o per rimanere nei texani classici, Johnny Winter sempre con SRV nel cuore. Still I Think You era nel disco con i Bluestone Co, onesta ma nulla più, come il disco di studio, Free For Me dai ritmi spezzati e sincopati era sul disco del 2000, bello l’assolo. Poi un cover che non ti aspetti (anche se l’aveva già registrata in studio), una versione psichedelica di One More Cup Of Coffee di Dylan come avrebbe potuto farla Hendrix se fosse stato ancora vivo. Ancora hendrixiana la strumentale 101 che ci rimanda ai gloriosi anni con gli Experience. Nel secondo CD vorrei ricordare una versione lunghissima del super classico funky dei Meters, People Say dove Duarte dà il meglio di sé, Hold Back The Tears, un ottimo brano lento, dalle atmosfere sospese, firmato ancora con i giapponesi Bluestone Co. e cantato ottimamente dal bassista Ogashara, la violentissima Sundown Blues, un rock-blues di gran classe, il funky jazz-rock della complessa Cleopatra e ancora il Texas blues, scandito a tempo di Vaughan di Hard Mind. Conclude la versione già ricordata del brano di Coltrane, improvvisazione allo stato puro. Inutile dire che trattasi di disco per appassionati della chitarra elettrica, file under guitar heroes o rock-blues, di quello buono.

Bruno Conti  

Piatto Ricco Mi Ci Ficco! Neville Brothers Live At New Orleans Jazz Fest 2010 & Live Warfield Theatre San Francisco 1989

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Neville Brothers – Live At The 2010 New Orleans Jazz & Heritage Festival – 2CD MunckMusic.Com/Jazz Fest Live

Neville Brothers – Authorized Bootleg Warfield Theatre San Francisco, Ca 27/02/1989 – 2CD Hip-o-Select/Universal

Quando avrò esaurito proverbi e modi di dire per i titoli dei post ve lo faccio sapere ma per il momento…

Non uno ma due “nuovi” doppi CD dal vivo per la Royal Music Family di New Orleans, i grandi e unici Neville Brothers uno dei più grandi gruppi di musica al mondo, di qualsiasi genere. Punto, punto e virgola, due punti, come direbbero Totò e Peppino abbondiamo: nati dalle ceneri dei mitici Meters uno dei gruppi funky più leggendari a cavalcare i palcoscenici di tutto il mondo, i loro inizi datano al 1976-1977 quando si unirono per partecipare alle registrazioni del disco dei Wild Tchoupitoulas un gruppo guidato dallo zio Big Chief Jolly, molto “pittoreschi”  visivamente, per usare un eufemismo, ma musicalmente strepitosi.

Ai quattro fratelli, Aaron Neville, quello dalla voce angelica che sconfina in un falsetto strepitoso, ma con una faccia e un fisico di fronte ai quali anche Steven Siegal avrebbe un attimo di timore (ma solo un attimo!), Art Neville, il più anziano, vocalist e tastierista, Charles Neville, il sassofonista e Cyril Neville, il percussionista fantastico e cantante pure lui, si aggiungono il nipote Ivan (il figlio di Aaron), tastierista a sua volta e cantante, oltre al prodigioso batterista Willie Green, due chitarristi tra i quali spesso troviamo Brian Stoltz, grande virtuoso della solista (c’è nel concerto del 1989 ma non mi pare in quello di quest’anno). Non sono certo perché se i contenuti del doppio CD di quest’anno sono fantastici non si può dire lo stesso delle liner notes e del packaging che non è fantastico, oltre alla reperibilità quasi sotto zero: basti dire che una versione a dir poco fantasmagorica di A Change Is Gonna Come (il super classico di Sam Cooke) viene citata sul CD come Down By The Riverside, per fortuna che Aaron Neville spinge la sua voce nelle stratosfere della soul music e ne ricava una versione esemplare.

Ma si sente fin dall’inizio che i fratelli (e tutto il gruppo) sono in serata di grazia in questo 2 Maggio del 2010, serata conclusiva dell’annuale Jazz & Heritage Festival che si tiene tutti gli anni in quel di New Orleans e che viene chiamato per brevità Jazz Fest, ma accoglie tutti i tipi di musica, quest’anno per esempio, la serata precedente gli headliners era i Pearl Jam. Ma torniamo ai Neville Brothers, tornati in forma strepitosa anche se è dal 2004, anno di Walkin’ In the Shadow Of Life, che non pubblicano un disco in studio nuovo. Devo aggiungere per ovvi motivi visto che poi nel 2005 c’è stato l’uragano Katrina e credo che abbiano avuto altri pensieri che quello di pubblicare un nuovo disco.

Comunque dal vivo, dopo il ritorno nell’edizione del 2008, sono sempre una vera forza della natura: Keep On Flowing una partenza sparata con sezione ritmica e percussionisti che percuotono i loro tamburi con energia incredibile, fiati e tastiere che si dividono con le chitarre il gusto dell’improvvisazione e quelle meravigliose voci che si intrecciano in modo divino. Di A Change Is Gonna Come vi ho riferito ma il medley di oltre 15 minuti che parte con Iko Iko transita per Fiyo on The Bayou tocca Africa e New Orleans, oltre a una non citata Jambalaya (evidentemente la lista dei brani l’ha compilata un rimbambito, ma è triste visto che è quella stampata sul CD) e si conclude di nuovo con Iko Iko è semplicemente irresistibile, una vera enciclopedia della musica di New Orleans, funky, jazz, soul, country, rock, blues tutti rollati in una confezione adrenalinica che ti avvolge e ti frulla con una energia spaventosa. Hercules, con iniezioni hip-hop e Yellow Moon (il titolo del loro disco di studio egregiamente rappresentato anche nel live del 1989, che non vi descrivo visto che uscendo il 2 o 9 novembre, a seconda dei continenti, non ho ancora avuto occasione di sentirlo, ma la tracklist è fantastica e c’è un R&R Medley che entra dritto dritto nella leggenda), loro cavallo di battaglia, la bluesata Big Chief, l’immancabile Amazing Grace cantata ancora da Aaron in modo perfetto, la cover di One Love ma un po’ tutto il disco irradia una musica che non saprei definire anzi sì, direi straordinaria o come direbbe Crozza/Sacchi “streordinaria” (l’ho detto in un post recente per i Black Sorrows ma vale anche in questo caso).

Immancabile, va bene ugualmente, per questo doppio live e, presumo, anche per l’altro. Solito assaggino, per gradire!

Bruno Conti