Ancora “Quelle” Canzoni, Ma Non Ci Si Può Certo Lamentare! Roger Waters – Us + Them

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Roger Waters – Us + Them – Columbia/Sony DVD – BluRay – 2CD

Di comune accordo con Bruno ho deciso di sorvolare sul nuovo album dal vivo dei Queen con Adam Lambert (una combinazione che può avere senso vedere di persona, più che altro per la storia personale di Brian May e Roger Taylor, ma che ascoltata su disco innesca un chiaro “effetto cover band”, nonostante il giovane Adam abbia comunque una gran voce), ma non potevo esimermi dal parlare di Us + Them, nuovo live di Roger Waters che, piaccia o no, è una delle figure di spicco e più carismatiche del panorama rock mondiale. Quarto disco dal vivo dell’ex leader dei Pink Floyd dopo i due The Wall (quello “collettivo” del 1990 a Berlino e quello più recente del 2015) ed il “greatest hits live” In The Flesh del 2000, Us + Them è in realtà la colonna sonora del film-concerto uscito nelle sale lo scorso anno (che non ho visto), nel quale le immagini registrate nel corso di quattro serate allo Ziggo Dome di Amsterdam (e pare anche in qualche imprecisata data inglese) durante il tour in supporto a Is This The Life We Really Want? vengono intervallate da interviste ed incontri con immigrati di varie etnie da parte dello stesso Waters, attento come sempre alle problematiche sociali.

A differenza di altre uscite, per esempio dei Rolling Stones, in cui sono disponibili i “bundle” CD/DVD o CD/BluRay, qui i due supporti video vengono venduti separatamente rispetto al doppio CD, e la cosa mi ha fatto optare per la sola parte audio dal momento che volevo evitare, come per esempio succedeva nel The Wall del 2015, di vedere un concerto interrotto più volte per sorbirmi le opinioni politiche di Waters che mi interessano il giusto (e che comunque non mancano neppure durante lo show): e poi, in ogni caso, avevo assistito nel 2018 alla prima delle due serate al Forum di Assago, quindi per questa volta ho preferito concentrarmi più sulla musica che sulle immagini. C’è da dire che il concerto è decisamente spettacolare dal punto di vista visivo, con i soliti giochi di luci, colori ed effetti speciali nonché le splendide immagini ad altissima definizione proiettate sul palco, ma non è che dal punto di vista musicale lo show sia inferiore, anzi: le canzoni che Waters ha reso celebri con i Floyd sono note a tutti, e qui non mancano di certo, ma quello che rende secondo me il doppio CD imperdibile è la qualità sonora incredibile, cosa non comune per un disco dal vivo, al punto che mi sorge qualche dubbio sul fatto che sia stato “aggiustato” in studio.

Non è neppure secondaria per la riuscita del lavoro la superband che accompagna il nostro (che tra parentesi è in buona forma vocale considerata l’età ed il fatto che non sia mai stato un grandissimo cantante), un gruppo guidato dal ben noto Jonathan Wilson alla chitarra e voce (sue le parti cantate originariamente di David Gilmour), gli altri due chitarristi Dave Kilminster e Gus Seyffert, i tastieristi Jon Carin (a lungo coi Floyd guidati proprio da Gilmour) e Bo Koster, il batterista Joey Waronker, il sassofonista Ian Ritchie ed il duo delle Lucius, ovvero Jess Wolfe e Holly Laessig, alle voci di supporto. Un live molto bello quindi (e non potrebbe essere altrimenti con certe canzoni) che, ripeto, ha un suono che raramente ho ascoltato in un album dal vivo. L’inizio è di esclusivo appannaggio di The Dark Side Of The Moon, con l’introduttivo battito cardiaco di Speak To Me seguito da Breathe, Time (con un duetto Wilson-Waters), la ripresa di Breathe e The Great Gig In The Sky (quest’ultima con le due Lucius protagoniste), una sequenza interrotta solo dalla sempre trascinante ed applauditissima One Of These Days, già sentita recentemente sul live di Nick Mason (ed il match si chiude in parità). Una splendida Welcome To The Machine, brano che ascolto sempre con grande piacere, precede un trittico di pezzi dall’ultimo studio album del nostro, e cioè la bellissima ed emozionante Déjà Vu, una ballatona che è puro Waters, la drammatica The Last Refugee e la tesa ed affilatissima Picture That.

Il primo CD si chiude con la sempre toccante Wish You Were Here, suonata da Dio e particolarmente suggestiva, e l’unico e forse un po’ scontato omaggio a The Wall con The Happiest Days Of Our Lives seguita dalla seconda e terza parte di Another Brick In The Wall. La seconda parte dello show è la più spettacolare dal punto di vista visivo, dal momento che la famosa Battersea Power Station raffigurata sulla copertina di Animals viene ricreata on stage (e presto raggiunta anche dal mitico maiale volante), ma anche la parte musicale non scherza con un uno-due tra Dogs e Pigs (Three Different Ones) davvero strepitoso, che rappresenta forse il punto più alto del concerto. Il finale è ancora riservato allo storico disco con in copertina il prisma ottico con Money, Us & Them, Brain Damage ed Eclipse suonate una dietro l’altra, mentre come aggiunta speciale sul doppio CD abbiamo due tracce esclusive registrate in studio, cioè una breve ripresa strumentale di The Last Refugee ed una cantata della sempre splendida Déjà Vu, ma con due versi inediti non presenti su Is This The Life We Really Want?

Interessante, ma forse avrei preferito l’inserimento di Mother e Comfortably Numb, spesso suonate come bis (la seconda è però presente come bonus nel DVD e BluRay, insieme a Smell The Roses). Considerando l’età di Roger Waters e soprattutto la sua “pigrizia”, questo Us + Them potrebbe anche essere la sua ultima testimonianza dal vivo: un motivo in più per non lasciarsela sfuggire.

Marco Verdi

Siete Pronti Per “The Dark Side Of McBroom”? McBroom Sisters – Black Floyd

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McBroom Sisters – Black Floyd – RecPlay CD

(Piccola premessa ironica, ma non troppo: il titolo di mia invenzione celato nell’intestazione del post odierno poteva essere una valida alternativa per questo CD, dato che con i casini che ci sono in America chiamare un disco Black Floyd forse non è stata una grande idea). Se il nome Durga McBroom risveglia qualcosa nei cassetti della vostra memoria avete ragione: stiamo infatti parlando di una cantante di colore diventata popolare come corista dei Pink Floyd guidati da David Gilmour, avendo collaborato con la storica band inglese negli album A Momentary Lapse Of Reason e The Division Bell e relativi tour a seguire (e anche nel “postumo” The Endless River). Ma il curriculum di Durga non si ferma ai Floyd, dato che sia lei che sua sorella Lorelei (anch’ella dietro a Gilmour e soci ma solo dal 1987 al 1989), insieme o separate, hanno negli anni collaborato con Mick Jagger, Lou Reed, Billy Idol, Steve Hackett e Rod Stewart qui potete trovare molte delle loro collaborazioni http://www.mcbroomsisters.com/media , anche se il loro contributo più famoso rimane appunto quello dato alle ultime opere dell’ex gruppo di Roger Waters. Le due sorelle questo lo sanno perfettamente, a tal punto che hanno deciso di intitolare il loro debutto come duo (a nome McBroom Sisters) proprio Black Floyd, un disco di tredici brani diviso a metà tra originali e cover della band britannica.

Il lavoro nonostante sia autogestito è inciso e prodotto in maniera decisamente professionale dalle due sorelle insieme al tastierista Dave Kerzner, e vede al suo interno alcuni nomi che i fans dei Floyd conoscono bene come Jon Carin e Guy Pratt, ma soprattutto è la presenza di Nick Mason alla batteria in alcuni pezzi a dare un senso di legittimità al tutto (sempre che ce ne fosse stato bisogno). Dopo un attento ascolto devo però fare una considerazione, e cioè che la parte più sorprendente è quella dei sei brani nuovi (tutti scritti dalle sorelle da sole, con i già citati Carin e Pratt e, nel caso di Forgotten How To Smile, addirittura con lo scomparso ex leader dei Motorhead Lemmy Kilmister), tutti caratterizzati da un gradevole gusto pop-rock che non farà gridare al capolavoro ma neppure rimpiangere i soldi spesi per accaparrarsi il CD (* NDB Al solito purtroppo non sarà facile da trovare visto che verrà venduto alla modica cifra di 20 o 25 dollari + spedizione , da agosto, solo sul sito personale delle sorelle, oppure sul Bandcamp di Kerzner, dove potete ascoltare anche i brani https://sonicelements.bandcamp.com/album/black-floyd  ) . Il pericolo più grande infatti in questo tipo di album “ibridi” è che ci sia un grande dislivello tra le cover dei brani famosi ed i pezzi originali con relativi cali di tensione quando l’artista in questione affronta il materiale suo: anzi, se vogliamo dirla tutta, i brani dei Floyd (che poi è la ragione principale dell’interesse per questo lavoro) non riescono mai neppure ad avvicinare le versioni note (e ci mancherebbe), ed in più di un caso si verifica un chiaro effetto karaoke.

Il disco nel complesso risulta dunque piacevole e ben fatto, grazie anche alle voci delle due protagoniste ed alla solidità della band che le accompagna, con una particolare menzione per le chitarre di Billy Sherwood, Fernado Perdomo e Randy McStine e del sassofono di Mike Kidson, oltre che per i già citati Mason, Kerzner, Carin e Pratt, e tra gli ospiti troviamo anche Louise Goffin, la figlia di Carole King. I pezzi originali iniziano con Gods And Lovers, una fluida ballata pop-rock orecchiabile e strumentata con gusto, che mi ricorda in parte certe cose di Joan Armatrading; Money Don’t Make The Man è invece un sofisticato funk-rock con fiat,i decisamente godibile e cantato in maniera raffinata: il suono è forse leggermente addomesticato, ma gli strumenti sono veri e non programmati e comunque il tasso zuccherino è ampiamente sotto controllo. Non male neanche Love Of A Lifetime, altra pimpante e piacevole canzone tra pop e gospel suonata con buon approccio elettroacustico basato su piano e chitarra, mentre A Girl Like That è un’ottima soul ballad, calda al punto giusto ed eseguita con grande classe sia dal punto di vista vocale che strumentale. Chiudono il lotto dei brani originali la già citata Forgotten How To Smile, intensa ballata rock dalla melodia impeccabile ed accompagnamento ricco di pathos (non il pezzo che uno si aspetterebbe dalla penna di Lemmy) e la lunga Cocoon, toccante slow pianistico che si sviluppa disteso e suggestivo per nove minuti, cantato al solito in maniera impeccabile ed impreziosito da un malinconico violino (ed il finale chitarristico è la ciliegina sulla torta).

E veniamo ai brani dei Pink Floyd, che come ho già detto in molti casi perdono il raffronto con le versioni conosciute: prendete ad esempio Wish You Were Here, canzone tra le più belle dei Floyd (e non solo) che viene riproposta quasi pari pari all’originale se non fosse per la voce di Durga e Lorelei e per l’assolo di chitarra che è elettrico anziché acustico, con il risultato di lasciare parecchi dubbi sull’opportunità di affrontare un pezzo così famoso e non magari uno meno scontato. What Do You Want From Me? e Poles Apart, entrambe tratte da The Division Bell, non sono mai state due grandi canzoni e anche se le Sisters le affrontano con grinta la prima e con profondità la seconda io resto della mia idea, mentre è ottimo il risultato con Have A Cigar, che i Floyd avevano affidato alla voce di Roy Harper in quanto Waters temeva di non arrivare a prendere le note più alte: le due sorelle ci arrivano eccome e se la cavano brillantemente, aiutate dalla buona prestazione della backing band. Goodbye Blue Sky viene ripresa in maniera delicata e senza la tensione latente di The Wall, solo due voci ed una chitarra acustica; restano The Great Gig In The Sky, in cui l’effetto cover band è palese (e quindi se devo scegliere vado a risentirmi l’originale), e la straordinaria On The Turning Away, per il sottoscritto il miglior brano del “periodo Gilmour”, una ballata maestosa dal crescendo emozionante e gran finale chitarristico, anche se a mio parere la versione live di Delicate Sound Of Thunder è imbattibile. Black Floyd è quindi un album piacevole e riuscito, anche se paradossalmente i momenti più interessanti sono quelli non strettamente legati al famoso gruppo a cui fa riferimento.

Marco Verdi

Dal Nostro Inviato: Anche Dal Vivo Il Ragazzo E’ “Bravino”! Roger Waters A Milano.

Roger Waters

Roger Waters – Forum Di Assago 18.04.2018

In realtà non è che devo arrivare io bello bello a dirvi che Roger Waters, leader storico dei Pink Floyd (75 anni da compiere a Settembre), dal vivo vale la pena di essere visto, anche perché per il sottoscritto quella di ieri sera a Milano era la quarta volta. Ho però constatato con piacere che il nostro è ancora in forma smagliante nonostante gli anni, cosa non scontata visto che il tour di The Wall di qualche anno fa sembrava essere il suo canto del cigno on stage. Ed invece Roger, a seguito del suo bellissimo album dello scorso anno Is This The Life We Really Want  https://discoclub.myblog.it/2017/06/03/e-questo-il-roger-waters-che-veramente-vogliamo-si-direbbe-di-si-roger-waters-is-this-the-life-we-really-want/ ha messo su di nuovo un imponente giro di concerti che lo ha già visto in giro per il mondo nel 2017: quella di ieri al Forum di Assago è stata la seconda ed ultima data milanese del suo Us + Them Tour, ed è stato come al solito uno spettacolo eccelso di più di due ore, nel quale il nostro, che è carismatico come pochi altri, ha entusiasmato senza troppi problemi un pubblico decisamente caldo e preparato, anche se con una scaletta forse un po’ scontata, senza troppi rischi, composta all’80% da pezzi dei Floyd.

Si sa che nei concerti di Waters anche l’impatto visivo ha la sua importanza, ed anche ieri non è stata un’eccezione, con immagini bellissime ma anche drammatiche ed inquietanti proiettate sull’enorme schermo dietro il palco, ma, specie nel primo set, stavolta più di altre, la musica ha avuto il sopravvento sulla parte video (ma la “ricostruzione” all’inizio del secondo tempo, tramite schermi speciali e ciminiere gonfiabili, della mitica centrale termoelettrica di Battersea in mezzo alla platea – e con tanto di maiale volante – valeva da sola il prezzo del biglietto). Inoltre, Roger si è circondato come al solito di musicisti formidabili, che hanno dato alle canzoni proposte un suono decisamente compatto, forte ed in alcuni casi anche più rock che in origine: oltre alle due vecchie conoscenze Jon Carin alle tastiere e steel guitar e Ian Ritchie al sax, abbiamo Gus Seyffert al basso e chitarra, Joey Waronker alla batteria, Bo Koster al piano, synth e hammond, le due bravissime vocalist Jess Wolfe e Holly Laessig (cioè le leader dei Lucius) e, last but not least, due splendidi chitarristi che si sono divisi equamente le parti ritmiche e soliste, cioè Dave Kilminster ed il ben noto Jonathan Wilson (presente anche lui nell’ultimo disco di Roger), che oltre ad essere un musicista coi fiocchi per conto suo si è dimostrato anche una validissima spalla, al punto da sobbarcarsi anche quasi tutte le parti vocali che in origine erano di David Gilmour (tranne in Time, dove però ha fatto le veci di Richard Wright, e Wish You Were Here).

Particolare personale curioso: è la seconda volta che vedo Wilson dal vivo, e nessuna delle due volte per mia scelta (la prima è stata quando aveva aperto il concerto di Tom Petty a Lucca). La serata comincia alle 21.15 circa con Breathe, un avvio rilassato in cui i nostri suonano in maniera pulita (e per una volta l’acustica del Forum è buona), con Wilson voce solista e Roger che per ora fa il sideman al basso; si entra poi subito nel vivo con una versione molto rock e “cattiva” di One Of These Days, che provvede già a riscaldare il pubblico a dovere, con un’ottima prestazione di Kilminster alla slide. Ancora un po’ di The Dark Side Of The Moon con una fluida Time, nella quale Roger esordisce finalmente alla voce prendendosi la parte di Gilmour (la scaletta sarà studiata in maniera di dare al nostro diverse pause alle corde vocali, dato che non è mai stato Pavarotti ed in più gli anni cominciano a farsi sentire) e con una liquida The Great Gig In The Sky, dove le due Lucius fanno di tutto per non far rimpiangere Clare Torry. La dura Welcome To The Machine viene fuori decisamente più roccata, ed il pubblico mostra di apprezzare; e poi la volta di tre brani in fila dall’ultimo album di Roger, la splendida e toccante Dejà Vu, uno dei pezzi migliori di Waters da quando ha lasciato i Floyd, la più normale The Last Refugee e la dura (nel testo) e solida Picture That. Wish You Were Here non ha bisogno di presentazioni, è una delle più belle ballad di sempre, e la band la suona in maniera cristallina, con prevedibile singalong da parte del pubblico (buona anche l’interpretazione vocale di Roger, che non la cantava in origine). Il primo set si chiude con un trascinante medley tratto da The Wall, composto da The Happiest Days Of Our Lives e dalla seconda e terza parte di Another Brick In The Wall, con la partecipazione sul palco di una serie di ragazzini di una scuola milanese in tuta arancione da carcerato.

Dopo venti minuti di pausa, si apre il secondo set con quelle che mi sono sembrate le due performance più convincenti della serata, cioè due stratosferiche Dogs e Pigs (Three Different Ones), entrambe tratte da Animals (e con la seconda accoppiata ad immagini dell’attuale presidente degli Stati Uniti, che Waters non ama particolarmente), suonate davvero alla grandissima, non oso dire meglio dei Pink Floyd ma non siamo molto distanti, con una jam session strepitosa nella parte centrale e conclusiva di Pigs. Finale a tutto Dark Side, con una Money forse un po’ col freno a mano tirato e con la maestosa Us And Them (entrambe cantate da Wilson), e con la coinvolgente chiusura in crescendo di Brain Damage ed Eclipse: in mezzo, il quarto ed ultimo pezzo preso dal disco del 2017, la vibrante Smell The Roses, forse il brano più floydiano dell’album. Due i bis: la sempre splendida e toccante Mother, con le due coriste bravissime nella parte di Gilmour, e la sontuosa Comfortably Numb, con Wilson e Kilminster che si dividono i due assoli di chitarra. Bellissima serata quindi: se vogliamo tornare sul discorso della scaletta, forse si sarebbe potuto osare di più, un po’ meno The Dark Side Of The Moon e qualche episodio in più dagli album solisti del passato (penso a Every Stranger’s Eyes, The Tide Is Turning e Perfect Sense), e magari una o due canzoni da The Final Cut, che in passato il nostro era solito mettere. Ma è il classico pelo nell’uovo (se proprio vogliamo anche Shine On You Crazy Diamond mi è mancata un po’), il concerto è stato comunque eccellente e poi Roger Waters è uno dei “totem” della nostra musica, con o senza i Pink Floyd.

Marco Verdi