Il Primo Disco Ufficiale Di Studio: Ma Anche Il Precedente Non Era Per Niente Male. Magpie Salute – Heavy Water I

magpie salute heavy water I

Magpie Salute – Heavy Water I – Mascot Provogue EU/Eagle Rock USA

Questo a tutti gli effetti sarebbe il secondo disco ufficiale dei Magpie Salute, ma coloro che devono a tutti i costi complicare le cose lo hanno presentato come il primo vero album ufficiale di studio della band (registrato a Nashville nei Dark Horse Studios), perché il primo omonimo era altresì composto prevalentemente da cover, a parte la traccia iniziale, e con un paio di pezzi ripescati dal repertorio dei Black Crowes: e oltre a tutto era quasi totalmente registrato dal vivo in studio. A questa stregua non dovremmo contare, per fare un esempio, molti dei primi dischi di Beatles o Stones, perché rientravano in queste caratteristiche, pochi brani originali e molte cover, oppure tanti dischi classici del rock registrati in parte dal vivo e in parte in studio, bah! Comunque al di là di queste quisquilie quello che conta è se il disco sia bello oppure no? E lo è, come pure il precedente, peraltro. La “Gazza” ha assestato la propria formazione ad un sestetto classico, dopo la scomparsa del tastierista Eddie Harsch, avvenuta durante la registrazione del primo CD. A fianco di Rich Robinson, voce e chitarra, Marc Ford, chitarra e voce, ed il cantante John Hogg, che firmano complessivamente tutte le dodici canzoni, troviamo il nuovo tastierista Matt Slocum, comunque già presente nel primo album, e la sezione ritmica con Sven Pipien al basso, anche lui proveniente dai Crowes, e Joe Magistro alla batteria, più gli ospiti Byron House al contrabbasso e Dan Wistrom alla pedal steel, e quindi niente voci femminili di supporto questa volta.

Si diceva che i pezzi in totale sono dodici, niente brani lunghi per l’occasione, solo due superano i cinque minuti, ma nel complesso il lavoro continuo delle chitarre e delle tastiere è sempre presente, forse meno jam e più sostanza, anche se al sottoscritto il primo disco eponimo era piaciuto parecchio https://discoclub.myblog.it/2017/06/06/quasi-black-crowes-the-magpie-salute-the-magpie-salute/ , ma Heavy Water I (che fa presupporre un secondo capitolo già annunciato per il 2019) è un emblematico album di rock che mette in evidenza tutte le classiche influenze dei Magpie Salute, che erano poi pure quelle dei Black Crowes ( e Chris Robinson ha anche messo in piedi una band, As The Crow Flies, solo per suonare il repertorio del suo vecchio gruppo), quindi rock anni ’70 alla Faces, Stones, Humble Pie, ma anche Led Zeppelin, Free, un po’ di psichedelia, qualche tocco country e molto southern, anche piccoli rimandi ai Beatles, nell’insieme, come direbbero quelli che parlano bene, un disco derivativo, con i piedi ben piantati nel passato, e proprio per questo ci piace parecchio, essendo suonato e cantato con passione e classe dai degni prosecutori di questi suoni classici e senza tempo. Mary The Gipsy, con finto applauso iniziale, è il classico pezzo heavy rock a tutto riff, tipico della famiglia Robinson, firmato infatti dal solo Rich, chitarre che impazzano a destra e a manca e ritmi gagliardi https://www.youtube.com/watch?v=AsZE6WVQl00 , che poi si stemperano nella eccellente High Water, la title track, quasi sei minuti aperti da un delizioso intreccio di chitarre acustiche, per una idilliaca ballata elettroacustica co-firmata da Hogg, che la canta quasi in souplesse, mentre elettrica e slide, come pure le tastiere allargano lo spettro sonoro di un brano che rimanda comunque alle sonorità dei Crowes, molto bello e raffinato anche l’arrangiamento vocale.

Send Me An Omen è di nuovo virata decisamente british rock, con elementi Free, Faces, Zeppelin, grazie alla voce ricca e potente di Hogg e alle chitarre arrotate di Robinson e Ford, senza perdere comunque il gusto per la melodia. For The Wind, l’altro brano che supera, di poco, i cinque minuti, mescola i Led Zeppelin bucolici del terzo album, con chitarre acustiche e tastiere in evidenza nella parte iniziale, poi si fa decisamente più varia, con ripartenze più dure e psichedeliche alternate a momenti più quieti di stampo folk-rock, molto bello anche il lavoro delle due soliste nella parte centrale; Sister Moon è il primo brano che porta la firma di Marc Ford (sempre con Hogg), con tracce dei Beatles dell’ultimo periodo, ma anche dei cantautori classici anni ’70, un pizzico di Nash e uno di Paul Simon, belle melodie, quindi lidi sonori diversi rispetto al precedente album, mentre Color Blind abbraccia anche tematiche razziali nella storia (autobiografica) di un giovane, metà svedese e metà africano, in una Londra indifferente, ovviamente parliamo di Hogg, che canta questo brano con quel pizzico di malinconia e rassegnazione che potrebbe rimandare, almeno come costruzione sonora, non certo nella voce, agli Stones dei brani meno tendenti al riff’n’roll, Un po’ di sana slide guitar e un piano insinuante ci introducono a Take It All,  un blues-rock abbastanza muscolare e tirato, con elementi southern e la grinta poderosa della voce di Hogg https://www.youtube.com/watch?v=ZNbMxuUlAfg .

Walk On Water, di nuovo scritta da Ford come la precedente, con il tema dell’acqua che ritorna, è un’altra bella ballata mid-tempo dal tempo danzante, con intrecci di chitarre acustiche ed elettriche, e anche le voci che lavorano coralmente, con qualche vago rimando al Tom Petty dei dischi solisti anche grazie al jingle-jangle delle chitarre. Hand In Hand profuma di nuovo di British folk-rock, quello un po’ indolente, a tempo di ragtime, del compianto Ronnie Lane o del primo Albert Lee, del periodo Heads, Hands & Feet, tra chitarre acustiche e piano accarezzati; You Found Me è uno dei tre brani scritti in solitaria de Rich Robinson, una deliziosa country song, con tanto di pedal steel, suonata da Dan Winstrom, e anche Can You See porta la firma del solo Rich, una tersa rock-song di nuovo con elementi sudisti, nell’intreccio incisivo delle chitarre acustiche che poi si aprono per lasciare spazio a delle grintose chitarre elettriche che regalano nerbo ad un altro brano che evidenzia la più ampia ricerca sonora delle “Gazze”, impiegata in questo album. Che si chiude sulle cadenze scandite delle bluesata Open Up, dove il piano insinuante di Slocum spalleggia con grinta le chitarre sempre con leggeri spunti psych, in un’altra traccia dove il sound d’assieme è spesso più importante del lavoro dei singoli. Non un capolavoro, ma un disco decisamente solido e convincente, destinato agli amanti di un rock classico ma variegato.

Bruno Conti

 

Quasi Black Crowes! The Magpie Salute – The Magpie Salute

the magpie salute

The Magpie Salute – The Magpie Salute – Eagle Rock/Universal 09-06-2017

Da una costola dei “Corvi Neri” ora arrivano le “Gazze”, che peraltro in ornitologia risultano essere della stessa famiglia. E anche musicalmente parlando nei Magpie Salute di “vecchi” Black Crowes ce ne sono ben tre, oltre al tastierista Eddie Harsch, scomparso nel novembre del 2016, ma presente tra i membri fondatori della nuova band ed alle registrazioni dell’album, insieme ai due chitarristi Rich Robinson Marc Ford e al bassista Sven Pipien. In effetti, guardando la foto di copertina, che li riprende di spalle, la formazione del gruppo conta su ben dieci elementi (quasi come la Tedeschi Trucks Band, altro riferimento sonoro, ma senza i fiati): oltre ai nomi citati ci sono anche Matt Slocum alle tastiere, il vocalist di colore John Hogg e il batterista Joe Magistro, tutti provenienti dalla band di Rich Robinson, che aveva registrato l’ottimo Flux lo scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/07/04/era-meglio-se-i-fratelli-rimanevano-insieme-rich-robinson-flux/ . Anzi, da quella band arriva pure la voce femminile di Katrine Ottosen, che insieme a Adrien Reju e Charity White, fornisce il consistente supporto vocale della pattuglia femminile, e per non farsi mancare nulla c’è anche un terzo chitarrista, Nico Beraciartua. Il loro omonimo esordio è stato registrato lo scorso anno dal vivo agli Applehead Studios per la serie delle Woodstock Sessions, mentre il primo brano, un inedito, firmato da Hogg e Robinson, Omission, è stato registrato live in studio, mi pare senza la presenza del pubblico ed il suono è veramente potente, il classico rock alla Crowes, con elementi Led Zeppelin, grazie alla voce di Hogg, e molto southern rock assai robusto robusto, con chitarre e voci ovunque.

Ma è la parte delle “cover” che è il piatto forte del disco, a partire da una Comin’ Home di Delaney & Bonnie che non ha nulla da invidiare all’originale, il classico rock got soul a tutto chitarre, soliste e slide che imperversano, armonie vocali importanti, ritmica solida e le tastiere a “colorare” il sound di Sud, e il pubblico apprezza. A proposito di “casa” What Is Home? era su Before The Frost dei Black Crowes, un altro pezzo tipicamente sudista dove si apprezza il lavoro del piano e dell’organo di Hearsch (o Slocum?), mentre la parte vocale, con molti musicisti impegnati al canto, ha un appeal quasi Westcoastiano, tipo i pezzi più rock di CSNY, con le chitarre più sognanti, ma sempre in tiro ed eccellenti intrecci melodici, d’altronde Ford e Robinson non sono i primi due che passano per strada, e nella lunga parte strumentale lo dimostrano. Wiser Time, da Amorica, in una versione sontuosa, rincara la dose, forse mancano il nome e la voce solista, ma per il resto sono proprio i Black Crowes, e si sente, oltre nove minuti di grande musica a ribadire la classe di questa “nuova” formazione, dove comunque ha sempre molta importanza l’impasto vocale d’assieme, ma l’ugola di Hogg è notevole, però è la parte strumentale che si gode al massimo, con continui assoli e rilanci dei diversi chitarristi, con le tastiere che svolgono un eccellente lavoro di raccordo. Goin’ Down South, una splendida incursione nel jazz, dal repertorio del vibrafonista Bobby Hutcherson, prevede proprio la presenza di questo strumento che apre la lunga parte introduttiva, prima di trasformarsi in una bella jam strumentale, liquida e ricercata, quasi alla Grateful Dead, con le chitarre che conquistano lentamente il proscenio, mentre piano e vibrafono lavorano ancora di fino sullo sfondo, su un eccellente groove della sezione ritmica, mentre il brano sfuma…

E anche War Drums, la cover del pezzo dei War, ha una forte propensione ritmica, con un rotondo giro del basso di Pipien ad introdurre le danze, prima che il tempo latin jazz e precussivo del brano venga sviluppato attraverso gli oltre nove minuti di durata del pezzo, di nuovo con le chitarre in grande spolvero, attraverso una serie di assoli incrociati e triplicati che virano quasi verso il jazz-rock e la fusion e derive santaneggianti. Vista l’aria di Woodstock che si respira nelle sessions non poteva mancare un omaggio alla Band con una ripresa di Ain’t No More Cane, molto rispettosa dell’originale, con gli splendidi intrecci vocali della band di Levon Helm, Rick Danko, Richard Manuel Robbie Robertson (per non parlare di Garth Hudson, ma lui non cantava) rivisti attraverso l’ottica dei Magpie Salute, che in questo brano è molto vicina allo spirito della canzone originale, musica del Sud, registrata nel profondo Nord del continente statunitense, la vera musica “Americana”. E non mancano neppure gli omaggi al lato ispiratore “inglese” dei vecchi Crowes, prima i Pink Floyd, con una bella Fearless, ripresa da Meddle, e di cui viene accentuato lo spirito americano, senza dimenticare il lavoro della slide di Gilmour, qui a cura di Rich Robinson, che canta anche il brano, mentre il lato più “cialtrone” e rock dei “Corvi” è insito nella rivisitazione di Glad And Sorry dei grandi Faces, una sorta di  nostalgica rock ballad che ricordiamo su Ooh La La, nella interpretazione del suo autore, il compianto Ronnie Lane. Come sapete non amo molto il genere, ma la versione di Time Will Tell di Bob Marley & The Wailers, già su The Southern Harmony and Musical Companion dei Black Crowes, in questo Melting Pot di generi musicali ci sta perfettamente e chiude alla grande un ottimo album. Quindi salutiamo la gazza perché Rich Robinson (e la superstizione) ci dicono che non farlo porta male, ma la musica basta e avanza, anche se attendiamo altri capitoli. Esce venerdì 9 giugno anche questo.

Bruno Conti

Novità Di Aprile Speciale Pasqua e Dintorni Parte I. Emmylou Harris, Linda Ronstadt, Martina McBride, Joan Osborne, Marc Ford, Jackson Taylor

linda ronstadt duets

Per Il periodo delle festività Pasquali recupero ed ampio, a oltranza, la rubrica delle novità discografiche, quindi nei prossimi giorni una serie di Post dedicati a tutte le uscite del mese di aprile che già non hanno avuto degli spazi specifici nella prima parte del mese (anticipazioni comprese): ovviamente quelle reputate più interessanti per il Blog, a prescindere dal genere.

Linda Ronstadt – Duets – Rhino, raccoglie 15 brani che sono usciti, nel corso degli anni, non tutti negli album della Ronstadt ma in quelli degli artisti che duettano con lei (alcuni), quindi praticamente già editi, ad eccezione di quello con Laurie Lewis, ma non facili da avere tutti insieme negli album della cantante di Tucson, Arizona (ebbene sì, non è californiana di origine, ma sicuramente di adozione) https://www.youtube.com/watch?v=Vukee5J5N8E . Probabilmente non vedremo più nuovi album di Linda, che nel 2011 ha annunciato il suo ritiro e nel 2013 ha rivelato di essere ammalata del morbo di Parkinson. Quindi godiamoci questa raccolta di materiale anche raro ed inedito (ma ne mancano molti, quelli con George Jones, Johnny Cash, Nitty Gritty Dirt Band, Little Feat, Wendy Waldman e anche l’ultimo inciso con i Chieftains nel 2010) che include i seguenti brani:

1.                  “Adieu False Heart” with Ann Savoy
2.                  “I Can’t Get Over You” with Ann Savoy
3.                  “Walk Away Renee” with Ann Savoy

Le prime tre erano su Adieu False Heart il disco registrato in coppia con la cantante cajun Ann Savoy nel 2006
4.                  “The New Partner Waltz” with Carl Jackson

questa era nel tributo Livin’, Lovin’, Losin’: Song of the Louvin Brothers.
5.                  “I Never Will Marry” with Dolly Parton

su Simple Dreams del 1977
6.                  “Pretty Bird” with Laurie Lewis*

l’unico inedito, registrato con la cantante gospel
7.                  “I Can’t Help It (If I’m Still in Love With You)” with Emmylou Harris

questa si trovava su Heart Like A Wheel del 1974 (quindi niente brani neppure dellla serie del Trio, con Dolly Parton e Emmylou Harris
8.                  “Hasten Down The Wind” with Don Henley

questo brano, una cover di Warren Zevon. era sull’album omonimo del 1976
9.                  “Prisoner In Disguise” with J.D. Souther

dall’album omonimo del 1975

10.               “I Think It’s Gonna Work Out Fine” with James Taylor

su Get Closer del 1982
11.               “Don’t Know Much” with Aaron Neville
12.               “All My Life” with Aaron Neville

i due con il cantante dei Neville Brothers erano su Cry Like a Rainstorm, Howl Like the Wind del 1989.
13.               “Somewhere Out There” with James Ingram

il duetto con James Ingram era nella colonna sonora di An American Tail
14.               “Sisters” with Bette Midler

e questo si trovava su Bette Midler Sings the Rosemary Clooney Songbook  del 2003
15.               “Moonlight In Vermont” with Frank Sinatra

per finire, da un altro Duets, quello di Frank Sinatra del 1993

Pochi giorni fa Linda Ronstadt è stata eletta nella Rock and Roll Hall Of Fame, dove non era presente, ma a parte per i grossi problemi di salute che le impediscono di cantare e di muoversi con facilità, la stessa Ronstadt ha detto che il premio non le interessava più di tanto perché, in fondo, lei non ha mai cantato Rock and Roll! (sarà l’effetto della malattia?).

emmylou harris wrecking ball deluxe

Emmylou Harris – Wrecking Ball – Nonesuch Deluxe Edition 2 CD + DVD

Per l’occasione non si festeggia ipocritamente nessun anniversario dell’uscita del disco originale, pubblicato nel settembre del 1995 e registrato a New Orleans lo stesso anno, con la produzione di Daniel Lanois (vogliamo fare il 18° Anniversario?) https://www.youtube.com/watch?v=c-eYwBz4wkI . Forse il suo disco migliore di sempre (ma tra quelli degli anni ’70 usciti per la Warner, i cosiddetti album “country”, ce ne sono parecchi molto belli), subisce il trattamento Deluxe con i seguenti contenuti:

CD 1:  Wrecking Ball

  1. Where Will I Be
  2. Goodbye
  3. All My Tears
  4. Wrecking Ball
  5. Goin’ Back to Harlan
  6. Deeper Well
  7. Every Grain of Sand
  8. Sweet Old World
  9. May This Be Love
  10. Orphan Girl
  11. Blackhawk
  12. Waltz Across Texas Tonight

CD 2: Deeper Well: The Wrecking Ball Outtakes

  1. Still Water (Daniel Lanois)
  2. Where Will I Be
  3. All My Tears
  4. How Will I Ever Be Simple Again (Richard Thompson)
  5. Deeper Well
  6. The Stranger Song (Leonard Cohen)
  7. Sweet Old World
  8. Gold (Emmylou Harris)
  9. Blackhawk
  10. May This Be Love
  11. Goin’ Back to Harlan
  12. Where Will I Be

DVD: Building the Wrecking Ball: A Documentary About the Making of Wrecking Ball

martina mcbride everlasting

Martina McBride – Everlasting – Vinyl Records LLC

Una cantante di country che fa un disco di pezzi soul non è una cosa inconsueta, ma neppure tanto comune, in ogni caso meritoria. Anche la McBride non è più sotto contratto per una major a Nashville e ha fondato la propria etichetta (bello il nome!) e quindi magari i partner per i due duetti li poteva scegliere meglio (Gavin McGraw per Bring It On Home To Me, passi, il giovane non è poi malaccio, ma Kelly Clarkson per In The Basement? L’originale era un duetto tra Etta James e Sugar Pie DeSanto!) Che poi non è un disco solo di soul: Do Right Woman, Do Right Man Aretha Franklin, Suspicious Minds Elvis Presley, If You Don’t Know Me By Now Harold Melvin & The Blue Notes, Little Bit Of Rain Fred Neil, Come See About Me Supremes, What Becomes Of The Brokenhearted Jimmy Ruffin, I’ve Been Loving You Too Long Otis Redding, Wild Night Van Morrison, My Babe Willie Dixon/Little Walter, To Know Him Is To Love Him Phil Spector/Teddy Bears, più le due citate. Complimenti e auguri: lei ha una bella voce, una delle migliori in circolazione a Nashville e il disco è prodotto da Don Was, potrebbe essere una bella sorpresa (niente a che vedere con Michael Bolton). Sentito, molto piacevole. C’è anche una versione Deluxe con 14 brani https://www.youtube.com/watch?v=_MLobcBCGb0

joan osborne love and hate

Joan Osborne – Love And Hate – Membran/Entertainment One

Anche Joan Osborne aveva fatto un disco di covers, l’ultimo del 2012, Bring It On Home, quasi omonimo di quello della McBride, ma si trattava del brano di Willie Dixon non quello di Sam Cooke. Per il nuovo si parlava, negli annunci della stessa Joan di un disco influenzato da Astral Weeks di Van Morrison Pink Moon di Nick Drake (perdinci e anche perbacco!). Qualcosa è rimasto ma il disco, dodici brani nuovi firmati dalla Osborne, è abbastanza vario, con arrangiamenti anche orchestrali in alcuni brani e più rock in altri, ad un ascolto veloce mi pare buono, anche jazzato a momenti. I tempi del successo di One Of Us possono anche essere lontani ma la nostra amica ha una bella voce e scrive delle canzoni interessanti https://www.youtube.com/watch?v=FTi3Y1sYam8 .

marc ford holy ghost

Marc Ford – Holy Ghost – Naim Edge/V2

Il suo nome, per molti, rimane inevitabilmente legato ai Black Crowes, di cui è stato il chitarrista dal 1992 al 1996, ma prima aveva suonato nei Burning Tree, autori di uno strepitoso album omonimo di rock-blues nel 1990. Ha suonato anche nella band di Ben Harper, con Marc Olson, nel live dei Gov’t Mule del 1999, quello con gli “amici”. E ha fatto quattro album da solista negli anni 2000, cinque con questo, il CD più da cantautore, molto riflessìvo e tranquillo, la chitarra ogni tanto parte ma meno del solito, comunque l’album, sentito velocemente, mi pare buono https://www.youtube.com/watch?v=QYsvXV6fHwA .

jackson taylor live at billy bob's texas

Jackson Taylor & The Sinners – Live At Billy Bob’s Texas CD+DVD Smith Music Group

Prosegue la benemerita serie di concerti (in CD+DVD) registrata nel famoso locale di Forth Worth, ormai dal lontano 1999, ne dovrebbero essere usciti almeno una quarantina. Questo con Jackson Taylor risale al luglio del 2013 ed è uno dei più pimpanti che mi è capitato di sentire: accompagnato dai suoi Sinners propone 16 brani, tra cui alcune covers, con il suo stile che mescola country texano, southern rock e musica cantautorale. Il nostro amico è veramente bravo, chi lo conosce già apprezzerà sicuramente anche questo live, per gli altri potrebbe essere una buona occasione per sentire uno dei nomi “nuovi” (cinque album in studio e questo dal vivo) provenienti dalla stato della stella solitaria https://www.youtube.com/watch?v=N3H2renQ2H8.

Andiamo a 6 titoli per Post, ci sono parecchi titoli da smaltire, per cui prevedo che andremo avanti per qualche giorno, magari inframmezzando con qualche recensione di album specifici.

Alla prossima.

Bruno Conti