Ottimo Ritorno Per La Band Di Brooklyn, Peccato Per La Scarsa Reperibilità. The Hold Steady – Thrashing Thru The Passion

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The Hold Steady – Thrashing Thru The Passion – Frenchkiss Records

Sono passati cinque anni dalla pubblicazione dell’ultimo album degli Hold Steady, Teeth Dreams, un buon disco che aveva ricevuto critiche positive https://discoclub.myblog.it/2014/05/29/buongustai-del-rock-americano-the-hold-steady-teeth-dreams/ , ma che forse non raggiungeva le vette di quelli del periodo 2006-2008, Boys And Girls In America (forse il migliore) e Stay Positive: poi la band aveva pubblicato un live e ad inizio 2010 il pianista Franz Nicolay (che era l’altra stella del gruppo) aveva annunciato il suo abbandono. Nel frattempo, nel 2012, Craig Finn aveva iniziato anche una carriera solista parallela, che finora ha visto l’uscita di quattro album, l’ultimo dei quali, l’ottimo I Need A New War, è uscito da pochissimo, a fine aprile, e nel 2016 Nicolay è rientrato in formazione, portando la line-up a sei elementi. In questi anni in cui Finn pubblicava i suoi dischi solo, comunque la band , dalla fine del 2017, ha iniziato a pubblicare nuove canzoni, solo a livello digitale. Due a fine 2017, altre due l’anno successivo, e una a marzo di quest’anno, tutti  brani inseriti nella seconda parte del nuovo album Thrashing Thru The Passion che, per chi non ama il download e quindi non conosceva già le canzoni, suona fresco e pimpante, come nelle loro migliori prove.

Il “solito” rock americano dove confluiscono le immancabili influenze springsteeniane, quelle del rock di Minneapolis, ma anche del primo Graham Parker, con in più i testi visionari e complessi di Finn, e quel suo tipico e laconico cantar parlando, mentre intorno ribolle il rock veemente creato dalla band che ogni tanto si stempera anche in splendide ballate. Il nuovo CD è edito dalla loro etichetta personale, quella che pubblicava i dischi ad inizio carriera, quindi un ritorno alle origini, come certifica anche il sound, a partire dalla iniziale Denver Haircut, energica anziché no, con Tad Kubler e Steve Selvidge che strapazzano le loro chitarre, mentre il batterista Bobby Drake percuote i suoi tamburi con voluttà, un pezzo degno di uno dei suoi eroi come Springsteen; anche Epaulets (ovvero “spalline”) ricorda il Boss, grazie all’uso dei fiati, ma forse ancor di più il Graham Parker anni ’70, con Nicolay che continua il suo ottimo lavoro al piano.

You Did Good Kid, il recente singolo, non entusiasma, troppa confusione e poca melodia, ma alla fine si ascolta con attenzione per i suoi ritmi sghembi, mentre Traditional Village, con intrecci di piano, chitarre e sax, ed un ritmo incalzante. ricorda ancora il Bruce anni ’80, sempre con il parlar cantando di Finn in evidenza; Blackout Sam è l’unica ballata, che narra di un pianista che si crede Randy Newman, introdotta dal piano di Nicolay poi entra il resto della band, mentre Franz lavora di fino anche all’organo, infine arriva il sax e il brano diventa sempre più intenso ed appassionato, fino all’intervento delle chitarre soliste gemelle, bellissima. Questi sono i pezzi “nuovi”, esclusivi per l’album, vediamo il resto:

T-shirt Tux, tutta riff e un groove alla Thin Lizzy, quando Lynott impiegava il suo stile più springsteeniano (eccolo di nuovo), non è mera imitazione, Finn ha una sua personalità, ma i punti di contatto ci sono, con piano e chitarre che impazzano di nuovo https://www.youtube.com/watch?v=qiRCCfQOrUk , con la precedente Entitlement Crew che è un altro incalzante e impetuoso rocker nella migliore modalità degli Hold Steady, batteria pimpante, organo vintage e fiati travolgenti. Star 18 cita nel testo Mick Jagger, Peter Tosh e pure gli Hold Steady, con Kubler che inchioda un ottimo breve assolo e Drake e il bassista Galen Polivka, che tengono il ritmo sempre alla grande, mentre Finn declama da par suo; The Stove And The Toaster è un altro poderoso esempio di ottimo rock and roll, con il basso che pompa di brutto, la batteria ovunque, i fiati all’unisono che impazzano, e un altro assolo da sballo di Kubler a seguire un breve intermezzo delle tastiere di Nikolay https://www.youtube.com/watch?v=L9tu5Jv-j4I . Chiude un altro pezzo tutto riif,  Confusion In The Marketplace con una dichiarazione di intenti finale di Craig Finn , “I don’t want to dick around/I just want to devastate.”

Bentornati. 

Bruno Conti

Per “Buongustai” Del Rock Americano – The Hold Steady – Teeth Dreams

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The Hold Steady – Teeth Dreams – Washington Square – Deluxe Edition 2 CD Australia

Gli Hold Steady (per chi non li conoscesse) vengono da Brooklyn, New York City, e sono da anni uno dei migliori gruppi americani in circolazione, certamente tra i pochi in grado di suonare ancora oggi un classic-rock elettrico, pulsante, e infarcire le canzoni con tempeste di assolo di chitarre senza perdere un briciolo di credibilità, e senza risultare inevitabilmente retrò. Dopo il debutto squassante di Almost Killed Me (04), non sbagliano un colpo con Separation Sunday (05), a cui segue il devastante Boys And Girls In America /(06) un incrocio fra Springsteen e Jim Carroll (questo nuovo, con espressione felice, è stato definito Randy Newman meets Husked Du), il superbo Stay Positive (08), il live A Positive Rage (09) e Heaven Is Whenever (10) http://discoclub.myblog.it/2010/05/02/un-disco-di-transizione-hold-steady-heaven-is-whenever/ .

L’America di bravi “storytellers” è piena, ma Craig Finn frontman, chitarrista e compositore del gruppo, possiede una marcia in più (dimostrata anche nel suo esordio solista Clear Heart Full Eyes http://discoclub.myblog.it/2012/01/23/semplice-fresco-efficace-ma-anche-raffinato-craig-finn-clear/ ), riuscendo a scrivere canzoni dai testi intelligenti e letterati, e dopo l’abbandono di Franz Nicolay lo storico tastierista del gruppo, l’attuale line-up è composta da Galen Polivka al basso, Bobby Drake alla batteria, e alle chitarre il “vecchio” Tad Kubler con il nuovo entrato Steve Selvidge dei Lucero,  sotto la produzione di Nick Raskulinecz (Rush), magari non raggiungerà i livelli degli album centrali, ma Teeth Dreams dimostra cosa gli Hold Steady sanno fare meglio, rock pieno di chitarre con un suono aggressivo, dove l’entusiasmo non viene mai a mancare.

Come al solito, si parte subito forte con i “riff” chitarristici di I Hope This Whole Thing Didn’t Frighten You  e Spinners , entrambe sostenute da una batteria irruente, come nel rock urbano di The Only Thing. Con The Ambassador arriva la prima ballata del disco (sembra pescata dai solchi dei Why Store, una formazione “minore” che varrebbe la pena di ri-scoprire), per poi scaldarsi ancora con il rock energico e a tratti torrido del trittico On With The Businness, Big Cig e Wait A While, mentre Runner’s High sposa sonorità rock più garagiste. Ma quello che rende la penna di Finn più simile ad uno scrittore che a un cantautore sono i due brani conclusivi, Almost Everything, una ballata melodica ricca di pathos, accompagnata da arpeggi chitarristici https://www.youtube.com/watch?v=BuQFL6f7D4U , e una grande canzone come Oaks (una sorta di Jungleland, quasi 40 anni dopo), oltre nove minuti di narrazione urbana, con un forte crescendo elettrico dilatato dalle chitarre. Meravigliosa (per ora la canzone dell’anno) https://www.youtube.com/watch?v=iZG3jTWlIOs .

Il bonus CD (disponibile solo per i nostri amici di Down Under) contiene altre tre tracce: Records & Tapes https://www.youtube.com/watch?v=bvUKzBIVk_c , Saddle Shoes https://www.youtube.com/watch?v=TEQvaffy2Rc  e Look Alive https://www.youtube.com/results?search_query=hold+steady+look+alive , un ulteriore vero e proprio arsenale rock. (*NDB Buona caccia, purtroppo costa parecchi soldini e non è facile da trovare, ma noi segnaliamo e indichiamo i link di Youtube per chi vuole sentirle)! Nient’altro da dire, se non che Teeth Dreams è un acquisto obbligato per chiunque voglia credere alla capacità di fare grande musica mantenendosi onesti, diretti e sinceri, raccontando la vita a chitarre spianate attraverso i sogni di uno “storyteller” nato non per caso a Brooklyn, dove si respira aria buona (da li viene anche un certo Matt Berning dei National).

Tino Montanari