In Studio O Dal Vivo, Non Ne Sbaglia Uno. Tommy Castro And The Painkillers – Killin’ It Live

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Tommy Castro And The Painkillers – Killin’ It Live – Alligator/Ird

Tommy Castro viene da San Jose, California, dove è nato nel 1955, ma è sempre in giro per gli Stati Uniti (e ogni tanto anche in Europa) a proporre la propria musica dal vivo, anche se nella sua carriera solista iniziata negli anni ’90 (prima suonava con i Dynatones), questo Killin’ It è già il suo terzo disco dal vivo. Il quarto CD registrato con i Painkillers, in una discografia che conta su una quindicina di album, più un paio di EP: da alcuni anni si è accasato con la Alligator, etichetta che ormai da un po’ di anni non sbaglia un disco, e anche questo CD non fa eccezione. Se amate del blues robusto, a forte componente rock, con elementi soul  e southern, non vi potete esimere, anche questa nuova prova di Castro centra l’obiettivo. Registrato nel tour del 2018 Tommy ha pescato da registrazioni effettuate con il suo quartetto tra New York, Michigan, California e in Texas, al leggendario Antone’s: niente ospiti per l’occasione,  solo il bassista Randy McDonald, il batterista Bowen Brown e il tastierista Michael Emerson, che sono diventati uno delle formazioni più gagliarde in circolazione. La scelta del repertorio spazia un po’ in tutta la sua produzione, con due cover, Leaving Trunk di Sleepy John Estes, cavallo di battaglia di Taj Mahal, ma suonata spesso anche da Derek Trucks e Gov’t Mule, nonché Them Changes di Buddy Miles, il celebre brano presente anche nel Live con Santana ed estratto da Stompin’ Ground  l’ultimo album del nostro amico https://discoclub.myblog.it/2017/10/09/delaney-bonnie-e-pure-eric-clapton-avrebbero-approvato-tommy-castro-the-painkillers-stompin-ground/ .

Quindi niente fiati questa volta, ma l’impressione da blues and soul revue è tipica sempre nelle produzioni di Tommy Castro, fin dall’annuncio iniziale “Party Time, It’s Saturday Night Everybody”, l’atmosfera è subito gioiosa e spumeggiante, con una Make It Back To Memphis che sta giusto a metà strada tra il sound della J. Geils Band (anche senza l’armonica di Magic Dick) e il Texas sound di un pimpante Delbert McClinton, grazie ad un ritmo ondeggiante, alla bellissima voce di Castro e al pianino debordante di Emerson, poi nel finale entra la chitarra di Tommy e non ce n’è più per nessuno, il divertimento è assicurato. Can’t Keep A Good Man Down tratta dall’omonimo album del 1997 non è da meno, con una pulsante sezione ritmica e la solista che comincia a  lanciare traccianti rock-blues sul pubblico presente, si capisce perché il musicista californiano è considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione, come viene ribadito nelle volute funky di Leaving Trunk, che nella versione di Taj Mahal aveva Ry Cooder e Jesse Ed Davis alle chitarre, ma il nostro amico fa di tutto per non farli rimpiangere, con il suo timbro grasso e pungente, mentre Emerson passato all’organo lo sostiene con brio.

Lose Lose era un brano scritto con Joe Louis Walker presente nel disco del 2015, uno slow blues di quelli tiratissimi e lancinanti dove la chitarra di Castro fa i numeri in un fluentissimo assolo ricco di una forza e una tecnica strabilianti, notevole anche il vibrante shuffle Calling San Francisco, tratto da un vecchio album del 1999, sempre cantato e suonato in grande spinta da tutta le band, che poi accelera vorticosamente a tempo quasi di rock and roll per una potente Shakin ‘The Hard Times Loose dove impazza il batterista Bowen Brown e sembra di sentire appunto una rock’n’soul revue devastante. Un attimo di quiete per godere della bella ballata soul Anytime Soon, che anche vocalmente ricorda il miglior McClinton, con breve solo di grande finezza in punta di dita, She Wanted To Give It To Me è tratta dal disco del 2014 con i Painkillers The Devil You Know, un brano scritto con Narada Michael Walden dal groove funky accentuato, chitarra dal suono nuovamente “grasso” e pungente e ottimo lavoro dell’organo, ancora con quell’aria da party music che spesso trasuda dai brani di Castro; ottima anche Two Hearts altro blues up-tempo con retrogusto soul e il “solito” assolo furioso della Gibson del nostro amico, che per chiudere sceglie Them Changes, un classico del rock-blues, che oltre che con Carlos Santana Buddy Miles era solito suonare nella Band Of Gypsys di Hendrix, versione gagliarda, con lungo assolo di organo nella parte centrale e la solista di Castro che imperversa nel resto del  brano, e spazio anche per i classici assoli di basso e batteria, come in tutti i Live che si rispettano, e questo lo è!

Bruno Conti

Di Nuovo Dalla Danimarca Con Furore! Thornbjorn Risager & The Black Tornado – Songs From The Road

thornbjorn risager - songs from the road

Thorbjorn Risager & Black Tornado – Songs From The Road – CD/DVD Ruf 

Certamente la Danimarca non è il primo paese a cui si pensa quando si tratta di Blues, ma siccome sono le eccezioni che confermano le regole Thorbjorn Risager con i suoi Black Tornado è un perfetto esempio di questo assunto. Dalla patria di Amleto, degli Aqua e dei Michael Learns To Rock (idoli dei filippini), ma anche di Lars Ulrich, il batterista dei Metallica: forse l’unico contributo alla musica rock, potrebbe essere quello dei Burnin’ Red Ivanohe, band rock progressiva in azione dal finire degli anni ’60, e tutt’ora in attività. Invece Risager e soci si inseriscono a pieno diritto nel filone blues, vincitori più volte come miglior band danese, ma anche segnalati da riviste europee, inglesi ed americane tra i migliori rappresentanti del Blues continentale, con una decina di album al loro attivo, tra cui un paio di live, fautori di uno stile che privilegia l’uso di una formazione abbastanza ampia, con tre fiatisti, sezione ritmica, un tastierista, un chitarrista e lo stesso Risager, all’altra chitarra, solista e ritmica, e per la registrazione di questo Songs From The Road, anche un paio di voci femminili di supporto, quindi dieci musicisti sul palco che creano un sound completo e soddisfacente che spazia tra le classiche 12 battute,  con echi soul & R&B, boogie e R&R, la classica revue di stampo americano.

Conoscevo già alcuni album precedenti di Thorbjorn Risager, distribuiti in Europa dalla Dixiefrog, anche se è con il disco dello scorso anno, il primo per la Ruf, Too Many Roads, che si sono fatti conoscere e da cui proviene gran parte del materiale presente in questo Live, anche se un paio di canzoni erano su Track Record, il disco del 2010 in cui li avevo sentiti per la prima volta e che mi aveva colpito http://discoclub.myblog.it/2010/07/25/temp-c9257c271ae90042d8fcdbe2ad63bdbf/ . Ovviamente il punto focale della band è Risager, cantante dalla voce potente e duttile, un timbro basso e baritonale che potrebbe ricordare quello di altri bianchi che hanno cantato il blues, come Chris Farlowe o David Clayton-Thomas, fatte le dovute proporzioni, ma comunque un frontman più che adeguato alla bisogna. Intorno a lui ruota una formazione dove la chitarra di Peter Skjerning e le tastiere di Emil Balsgaard sono spesso alla ribalta, insieme alla sezione fiati, utilizzata non solo in funzione di accompagnamento ma anche con ampi spazi solisti dei singoli componenti, e con lo stesso Risager, ottimo chitarrista, spesso in primo piano con la sua Gibson che non lo abbandona mai nel concerto. Per darci un riferimento potremmo essere dalla parti dei Roomful Of Blues, anche se lì si viaggia più sullo stile swing-jump da big band e qui su un blues venato di rock più elettrico, ma i punti di contatto ci sono. CD e DVD (questo con tre brani in più) replicano lo stesso concerto registrato nell’aprile di quest’anno all’Harmonie di Bonn, venue preferita dalle band sotto contratto per l’etichetta di Thomas Ruf.

Come prima impressione mi sembra che il concerto non decolli immediatamente, o forse in base agli ascolti passati le mie aspettative erano maggiori, ma poi quando la band inizia a carburare è un vero piacere ascoltarli, per certi versi ricordano anche una versione maschile, per la leadership vocale, dei Sister Sparrow di Arleigh Kincheloe http://discoclub.myblog.it/2015/07/13/piu-sparviero-che-passerotto-sister-sparrow-and-the-dirty-birds-the-weather-below/ . Tutti i brani, con l’eccezione di tre cover mirate, portano la firma di Risager, che comunque opera nell’ambito delle variazioni sui canoni classici del blues e dintorni: China Gate era nelle colonna sonora di un vecchio film di Sam Fuller dallo stesso titolo, mentre Baby Please Don’t Go e Let The Good Times Roll le conosciamo tutti in mille versioni. Molti componenti in giacca e cravatta formali, tanti cappelli che nascondono gli anni che passano, ma la grinta di Risager e soci è evidente sin dall’apertura della poderosa If You Wanna Leave, con il vocione di Thorbjorn subito sul pezzo in un vorticare di organo, assoli di sax, chitarre e armonie vocali delle due coriste a sostenerlo con energia, Paradise è più atmosferica e ricercata, ma gli elementi sonori sono quelli, Drowning introduce elementi quasi jazzati da ballata notturna, mentre Baby Please Don’t Go viaggia tra R&R e blues come richiede il copione.

Too Many Roads è classico blues urbano, sulle ali della slide malandrina di Skjerning, mentre in China Gate è Risager il solista per un blues di nuovo dalle atmosfere sospese e ricercate, da paludi della Louisiana. Rock’n’Roll Ride e la lunghissima Let The Good Times Roll spargono ritmo e sudore sui convenuti alla serata, ma il nostro sa incantare anche con ballate soul suadenti come Through The Tears o la dolcissima I Won’t Let Down, con uno struggente assolo di tromba e non manca neppure una stonesiana High Rolling. A chiudere Opener (?1?), un’altra esplosione ritmica di voci, fiati, chitarre e tastiere in libertà, e tutto il resto della band non è da meno!

Bruno Conti