Dal Punk Al Country Il Passo (Non) E’ Breve! Austin Lucas – Between The Moon & The Midwest

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Austin Lucas – Between The Moon & The Midwest – Last Chance CD

Austin Lucas è un musicista originario dell’Indiana che, solo recentemente, ha preso la strada del cantautorato country-roots-folk, dopo un passato discografico abbastanza caotico: attivo dagli anni novanta come bassista della indie band Twenty Third Chapter, Lucas è poi entrato a far parte come chitarrista e cantante solista prima dei Rune ed in seguito dei K10 Prospect (tutte band alternative e dal suono abbastanza lontano dai “nostri! gusti), e diventando anche il chitarrista di un gruppo della Repubblica Ceca, dove ha vissuto per qualche anno, i Guided Cradle, incarico che ricopre ancora oggi a tempo perso. Nel mezzo, Austin ha pubblicato anche diversi album da solo (ed uno in duo con Chuck Ragan http://discoclub.myblog.it/2016/02/27/colonna-sonora-oscar-videogioco-anche-bel-live-chuck-ragan/ ) dal carattere piuttosto rock, quasi punk, anche se si intravedevano già quegli elementi più bucolici e folk che, a partire da A New Home In The Old World del 2011, ma più incisivamente in Stay Reckless del 2013, cominciano a diventare il suo pane quotidiano.

Between The Moon & The Midwest (gran bel titolo) è la naturale prosecuzione del discorso, ma direi senza paura di essere smentito che in questo lavoro Lucas ha trovato un equilibrio quasi perfetto tra un country decisamente robusto ed ispirato in parte dal Bakersfield Sound di Buck Owens ed in parte dal movimento Outlaw degli anni settanta, ed un gusto più folk-pop con influenze “cosmiche” (Flying Burrito Brothers e Gram Parsons solista), consegnandoci un disco che non esito a definire sorprendente, e che per certi versi accomuno all’ultimo Sturgill Simpson http://discoclub.myblog.it/2016/04/23/il-classico-disco-che-ti-aspetti-caso-del-complimento-sturgill-simpson-sailors-guide-to-earth/ , anche se qui la componente country è decisamente maggiore. Le dieci canzoni dell’album, prodotte da Lucas stesso con Joey Kneiser (altro artista indipendente), vedono Austin accompagnato da un numero non molto elevato di sessionmen, tra cui spiccano Ricky White alle chitarre elettriche, Steve Daly alla steel, Alex Mann al basso e Aaron Persinger alla batteria, oltre ad ospiti di un certo nome alle armonie vocali, come John Moreland, Lydia Loveless e Cory Branan. L’inizio di Unbroken Hearts (il cui testo contiene la frase del titolo dell’album) è quasi distorto, poi il brano si normalizza e diventa un godibilissimo country & western elettrico e ritmato, con chiari riferimenti agli Outlaws, soprattutto Waylon. Ancora più diretta e gradevole Ain’t We Free, un uptempo fluido e scorrevole, con Austin che mostra di avere la voce perfetta per questo tipo di musica; Kristie Rae è una delicata folk song acustica (ma poi entra la sezione ritmica ed il tempo si velocizza nettamente) che personalmente mi ricorda tantissimo uno come Greg Trooper, sia nella voce che nello stile.

Bella anche Wrong Side Of The Dream, una country song classica e con rimandi ai primi anni settanta, l’epoca d’oro di un certo tipo di musica, e con la doppia voce della Loveless che aggiunge elementi preziosi al pezzo, uno dei più belli del disco; Lucas è una bella sorpresa, e lo conferma con i brani successivi, come la splendida Pray For Rain, uno slow che non si sposta idealmente dalla decade menzionata prima (i seventies), con suggestivi rintocchi di pianoforte ed una melodia centrale davvero affascinante. The Flame inizia in maniera un po’ inquietante, poi si tramuta in un country’n’roll spedito e trascinante, un’altra gemma che si aggiunge ad una collana sempre più preziosa; Next To You è crepuscolare, notturna, quasi attendista, ma è anche una delle più emozionanti (e qua la voce sta quasi dalle parti di Cat Stevens), mentre la diretta Call The Doctor è un energico western tune elettrico. Il CD, ripeto, davvero sorprendente e riuscito, termina con la vibrante William, solo voce e chitarra ma con una montagna di feeling, e con Midnight, altro lento dalla struttura acustica ma con la steel sullo sfondo a dare una nota di malinconia, ed un accompagnamento che ancora sembra uscire da un disco di quaranta anni fa.

Forse solo in America uno può fare un disco di questo livello dopo aver passato anni a suonare tutt’altra  musica: Austin Lucas è un nome da segnarsi sul taccuino, o sull’agenda elettronica se siete dei tipi digitali.

Marco Verdi

Colonna Sonora Da “Oscar” Per Un Videogioco, Ma Anche Un Bel Live! Chuck Ragan

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Chuck Ragan – The Flame In The Flood – Ten Four Records

Chuck Ragan And The Camaraderie – The Winter Haul Live – Ten Four Records

Puntuali come sempre torniamo a parlare di un beniamino di questo Blog http://discoclub.myblog.it/2011/10/11/anche-questo-e-bravo-chuck-ragan-covering-ground1/ e http://discoclub.myblog.it/2014/04/15/americana-sera-bel-tempo-si-spera-chuck-ragan-till-midnight/ , Chuck Ragan, e l’occasione ci viene data dalla recente uscita quasi contemporanea di questi due CD (acquistabili purtroppo solo per il download o a richiesta in CDR): The Flame In The Flood, colonna sonora di un videogioco post-apocalittico https://www.youtube.com/watch?v=kNm0u_XxHJ4 , e The Winter Haul Live, un concerto dal vivo tratto dall’ultimo tour invernale. Altri, prima di lui, come per esempio Beck e Paul McCartney, si erano cimentati in questa curiosa operazione (ricordando comunque che questo videogioco viene finanziato da una ambiziosa campagna di Kickstarter), e Ragan. per non essere da meno, chiama a raccolta la sua attuale band The Camaraderie,,con il bravissimo Todd Beene dei Lucero alla pedal steel, e come ospiti Jon Snodgrass (dei Drag The River), Adam Faucett, Fearless Kin e il collega cantautore Cory Branan, per dieci brani di pura “alt-americana”.

Il “gioco”, in tutti i sensi, si apre con la title track The Flame In The Flood, con le armonie dei Fearless Kin e il violino di Jon Gaunt in evidenza, a cui fanno seguito il country cadenzato di Gathering Wood, gli arpeggi di chitarra di una strumentale In The Eddy, una grintosa Loup Garou cantata in coppia con Adam Faucett, passando per un altro struggente brano strumentale come Spanish Moss, dove torna protagonista il violino di Gaunt (anche autore del brano). Dopo una breve pausa il gioco si anima vieppiù con il veloce bluegrass di una grintosa Landsick, mentre una dolce armonica introduce e accompagna River And Dale, seguita da una ballata malinconica come Cover Me Gently in duetto con Jon Snodgrass, una lacerante (solo chitarra e voce) Long Water, andando a chiudere il gioco con il folk rock di una What We Leave Behind, accompagnata da buone armonie vocali.

Con The Winter Haul Live, Chuck Ragan e il suo formidabile gruppo i Camaraderie composto da Joe Ginsberg al basso, Todd Beene alla pedal steel e percussioni, David Hidalgo Jr. (chi sarà il babbo?) alla batteria e Jon Gaunt al violino, ripercorrono il repertorio di Chuck in forma elettro-acustica, con una serie di brani registrati nelle varie tappe del suo ultimo tour invernale dello scorso anno. La partenza è come al solito fulminante, con un’accoppiata Vagabond e Revved riprese dall’ultimo album in studio Till Midnight (14), come le seguenti potenti Something May Catch Fire (con una sezione ritmica granitica), Bedroll Lullaby (con armonica e violino in spolvero) e la ritmata You And I Alone, mentre dal magnifico Covering Ground (11) il buon Cuck ridà vita ad una ballata sofferta e rabbiosa come You Get What You Give, il folk country di Nothing Left To Prove, una accelerata “road song” come Nomad By Fate (perfetta da suonare nei pub e locali americani), e una lenta Right As Rain dove il violino lacerante di Gaunt accompagna il vocione di Ragan. Dopo una The Flame In The Flood presentata in anteprima dal vivo, e la volta di Symmetry e The Boat recuperate dal suo disco d’esordio Feast Or Famine (07), ed è un peccato che dal bellissimo Gold Country (10) viene estrapolato solamente l’alternative-country di Rotterdam.

Con questi due lavori continua il percorso artistico di Chuck Ragan, un songwriter che in una carriera quasi decennale è riuscito a creare un suo “sound” personale, che fa leva sulla chitarra acustica e su una voce sporcata probabimente da mille sigarette ed ettolitri di Bourbon, un vero talento che insieme con il suo collaboratore storico Jon Gaunt e l’attuale gruppo, dà il meglio di sé nelle “performance” live dove è impossibile non muovere i piedini e (forse) ballare sui tavoli. Per chi scrive, assieme a The White Buffalo (i punti in comune sono molti) e Israel Nash Gripka, sono tra coloro che fanno la miglior musica di questo genere in circolazione, e in un certo senso condividere le canzoni di questi signori è come scoprire il Santo Graal!

Tino Montanari