Ottima Musica Dalla Virginia: Garantiscono I Thompson! Dori Freeman – Letters Never Read

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Dori Freeman – Letters Never Read – Blue Hens CD

L’album di esordio dello scorso anno di Dori Freeman, giovane musicista originaria di Galax in Virginia, l’omonimo Dori Freeman (prodotto da Teddy Thompson, figlio del grande Richard, il quale ha dichiarato di aver deciso di produrla dopo aver ascoltato appena dieci secondi della sua musica), ha unito la critica nel decretare il disco come uno dei debut album di Americana migliori del 2016 (*NDB Anche in questo Blog http://discoclub.myblog.it/2017/04/20/meglio-tardi-che-mai-quando-meritano-dori-freeman-dori-freeman/) . E che Dori avesse la musica nel dna era abbastanza scontato, venendo da una famiglia nella quale sia il nonno che il padre suonavano: cresciuta in mezzo ai dischi dei suoi familiari, la nostra ha assorbito come una spugna le varie influenze, anche molto eterogenee (da Peggy Lee, leggendaria jazz singer degli anni cinquanta, a Rufus Wainwright), anche se l’ascendente maggiore su di lei l’ha avuta sicuramente la musica tradizionale originaria dei monti Appalachi, che sono proprio una delle caratteristiche geografiche principali della nativa Virginia. A distanza di un anno Dori bissa quel disco con Letters Never Read, facendosi aiutare ancora da Thompson Jr., un album che, nonostante l’esigua durata (mezz’ora scarsa), risulta ancora più bello del già positivo esordio.

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https://www.youtube.com/watch?v=WNsq3Quz37A

La Freeman ha un approccio molto diretto verso la musica, sa scrivere melodie che profumano di tradizione, riuscendo ad essere comunicativa e fruibile allo stesso tempo, e completa il tutto con una manciata di cover scelte con competenza e, almeno in un caso, con un certo coraggio: sto parlando della splendida I Want To See The Bright Lights Tonight, uno dei classici assoluti di Richard Thompson (inciso nei seventies con l’allora moglie Linda), una rilettura limpida, tra folk e rock, con grande rispetto per l’originale ma nello stesso tempo con buona personalità, e con il sigillo della presenza in studio proprio di Thompson Sr. (che quindi è come se desse in un certo senso la sua approvazione), che ricama sullo sfondo alla sua maniera. Ma il disco, al quale partecipano anche il chitarrista Neal Casal (Ryan Adams, Chris Robinson Brotherhood) e lo steel guitarist Josh Groban (ancora Adams), ha diversi altri brani degni di nota, a partire dall’opening track, la bellissima If I Could Make You My Own, una country ballad moderna, cristallina, strumentata in maniera scintillante, con una melodia che prende subito ed un refrain vincente https://www.youtube.com/watch?v=MxJ40NU0wK8 . Decisamente riuscita anche Just Say it Now, che propone un bel contrasto tra la voce gentile di Dori e l’accompagnamento pacato ma elettrico, e con un altro motivo che piace al primo ascolto, lo stesso primo ascolto che l’anno scorso aveva folgorato Teddy.

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https://www.youtube.com/watch?v=g-KHGCcu2Ck

La solare Lovers On The Run ha un delizioso retrogusto pop, ed è anch’essa diretta e gradevole https://www.youtube.com/watch?v=q3w6DoeNuYE , Cold Waves è più interiore, e ricorda certe ballate gentili di Emmylou Harris, dato che anche qui la classe non manca di certo. Ern & Zorry’s Sneakin’ Bitin’ Dog è una delicata ninna nanna cantata a cappella e scritta da Willard Gayheart, che altri non è che il nonno di Dori, mentre Over There è un brano tradizionale che la nostra riprende in maniera quasi filologica, solo voce e banjo, come si usava fare nei canti Appalachiani. Turtle Dove, che ha il sapore incontaminato delle country songs del tempo che fu, precede la bella ed intensa That’s Alright, dal deciso sapore western, e la filastrocca Yonder Comes A Sucker, scritta da Jim Reeves e sostenuta da una ritmica quasi marziale, ennesimo pezzo con l’impronta di una antica folk song. Se Dori Freeman continuerà a crescere in questo modo disco dopo disco, fra non molti anni avremo un’altra artista da prendere a scatola chiusa.

Marco Verdi

Meglio Tardi Che Mai, Quando Meritano! Dori Freeman – Dori Freeman

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Dori Freeman – Dori Freeman – Free Dirt Records

Ecco un altro nome da appuntarsi per chi ama le voci femminili di qualità. Dori Freeman ha esordito con questo CD omonimo ormai all’incirca un anno fa, nel marzo del 2016, ma, come diceva Catalano, meglio parlarne tardi che non parlarne del tutto. Per cui colmiamo questa lacuna spendendo alcune parole di elogio per inquadrare il lavoro di questa cantautrice, che viene dalle colline della Virginia, dove è nata circa 25 anni, e dove attualmente risiede, in quel di Galax. Proviene da una famiglia di musicisti, sia il babbo che il nonno suonavano a livello professionale nell’ambito della grande tradizione della musica degli Appalachi: quindi country e folk music nel DNA di questa cantante, che però nel suo debutto (anche se esisterebbe un autoprodotto Porchlight del 2011, dove partecipava anche il babbo Scott), oltre a mostrare le influenze appena citate inserisce anche diversi elementi di “Americana”, grazie all’intervento come produttore di Teddy Thompson (il figlio di Richard, ma che ve lo dico a fare) e di una pattuglia di ottimi musicisti, guidati da Jon Graboff, alle chitarre e pedal steel, che conosciamo per le sue collaborazioni con Laura Cantrell, Shooter Jennings, Neal Casal, Norah Jones e una miriade di altri, il tastierista Erik Deutsch, anche lui con Jennings, Carrie Rodriguez, Erin McKeown; Alex Heargreaves, già al violino con Sarah Jarosz, è presente in un paio di brani, mentre Jeff Hill, basso e Rob Walbourne, batteria, entrambi del giro della Thompson Family, completano la formazione.

La Freeman tra le sue influenze cita anche Rufus Wainwright , oltre a Doc Watson, Iris Dement, Louvin Brothers, Linda Ronstadt: insomma dai nomi sciorinati finora si intuisce che la musica che andiamo ad ascoltare in questo CD, finanziato con l’ormai immancabile crowdfunding della Kickstarter Campaign, potrebbe riservarci delle piacevoli sorprese. Se vi piacciono Emmylou Harris (di cui riprende qualche anche inflessione vocale), Nanci Griffith, e alcuni dei nomi che ricorrono poco sopra, potreste fare un pensierino su questo disco, magari non vi cambierà la vita, ma la renderà sicuramente più piacevole. Le canzoni gravitano intorno a relazioni amorose, la fine delle stesse, il desiderio di essere indipendenti, ma anche di incontrare anime gemelle, insomma i soliti elementi che animano la buona musica tradizionale, country o folk che sia. All’inizio più folk, come nella delicata elegia di You Say, solo la voce pura e deliziosa di Dori, un basso e una chitarra acustica, molto Griffith o Emmylou nei loro momenti più intimi, e anche nella successiva Where I Stand, dove intreccia delle splendide armonie vocali con il suo produttore Teddy Thompson, in un altro cristallino brano di impianto acustico. Ma anche quando il suono si fa più corposo e entrano gli altri strumenti, per esempio nel country old fashioned e “valzerato” della incantevole Go On Lovin’, dove pedal steel, violino e piano rievocano atmosfere di una purezza senza tempo, mentre lei canta con grande trasporto.

Oppure nella corposa Tell Me, dove il suono si fa più elettrico, ma quasi con riserbo e precauzione, senza esagerare, sempre con garbo e delicatezza, in equilibrio tra antico e moderno. E ancora nella mossa Fine, Fine, Fine, che grazie alle incisive armonie di Thompson, rievoca le collaborazioni di Carlene Carter (la “figlioccia” di Johnny Cash fra pochi giorni di nuovo in pista come partner di John Mellencamp), in terra d’Albione con l’ex marito Nick Lowe e Dave Edmunds, ricordato nello splendido break chitarristico di Jon Graboff. Molto bella anche l’elettroacustica e avvolgente Any Wonder, provvista di una squisita melodia, tra Norah Jones e Natalie Merchant, e qualche tocco delle grandi cantanti pop degli anni ’60. In Ain’t Nobody si tenta anche la strada impervia ed impegnativa del canto a cappella, risolta con ingegno grazie all’accompagnamento provvisto solo dallo schioccare delle dita che rievoca lo spirito di un brano come Sixteen Tons; ancora struggente country music di stampo sixties nella adorabile Lullaby, che ricorda la Norah Jones dei Little Willies, con la twangy guitar di Graboff e il piano di Deutsch in bella evidenza. A Song For Paul, nuovamente in coppia con Teddy Thompson, rivela quell’amore per le canzoni strappalacrime dei Louvin Brothers, mentre la conclusiva Still A Child è di nuovo un tuffo nella migliore country music, con fiddle, piano e pedal steel a carezzare la garbata e classica voce della Freeman che ci riporta alla purezza della tradizione, tramandata alle nuove generazioni.

Una volta si usava il carciofo contro il logorio della vita moderna, ma volendo si può usare anche la (buona) musica.

Bruno Conti