Per Essere Una “Reliquia” Del Mississippi Delta Blues Suona Vivo E Vibrante Come Pochi! Cedric Burnside – Benton County Relic

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Cedric Burnside – Benton County Relic – Single Lock Records

Se fate una ricerca in rete nelle sue biografie, Cedric Burnside viene quasi sistematicamente indicato come batterista, e infatti il suo ultimo premio ai Blues Music Awards del 2014 lo ha vinto proprio nella categoria strumentisti per il suo lavoro alla batteria. A ben vedere la cosa ha un senso, visto che Cedric ha iniziato la sua carriera proprio dietro lo sgabello, nella band del nonno R.L. Burnside, subentrando al padre Calvin Johnson. Poi però il nostro amico, pur suonando ancora spesso la batteria, si è affermato come chitarrista e cantante, ed è tra le punte di diamante dell’Hill Country Blues, spesso in dischi dove la formula era quella classica chitarra/batteria, tipica dei juke joints dove aveva suonato il nonno, ma modernizzata con un approccio più moderno ed elettrico, suono sporco e potente, condiviso con gente come i North Mississippi Allstars, Lightnin’ Malcolm (con cui ha condiviso un album come 2 Men Wrecking Crew), altri componenti della famiglia, tra cui il fratello Cody, scomparso nel 2012, e lo zio Garry.

Nel 2015, ma arrivato alla fama (si fa per dire) nel 2016, grazie alla candidatura ai Grammy, ha pubblicato quello che forse è il suo miglior disco finora, una sferzata di blues elettrico condito da ampie venature rock, intitolato Descendants Of Hill Country https://discoclub.myblog.it/2016/12/10/figli-nipoti-del-blues-delle-colline-cedric-burnside-project-descendant-of-hill-country/ , quasi un manifesto della sua musica. Il nuovo album Benton County Relic è ironicamente dedicato al fatto di essere una sorta di reliquia (o un “relitto” se preferite) della Contea di Benton, sempre zona Mississippi Delta e dintorni, come la cittadina di Holly Springs da cui proviene il 39enne Cedric, che questa volta si accompagna con il batterista (e chitarrista slide, se non sanno suonare almeno due strumenti non li vogliono come compagni) Brian Jay, che però viene da Brooklyn, e nel cui studio casalingo sono stati registrati in due giorni ben 26 brani, tra cui scegliere le dodici canzoni che sono finite sul CD. Girando il suono intorno a due batteristi/chitarristi ovviamente il groove e l’uso dei riff sono gli elementi portanti delle tracce contenute nell’album: dall’iniziale We Made It, che racconta di una infanzia povera passata in una casa modesta dove non c’erano acqua corrente, radio e TV e dell’orgoglio di avercela fatta, il tutto fra potenti sventagliate di chitarra e batteria, su cui Burnside declama con la sua vibrante voce.

Get Your Groove On evidenzia fin dal titolo l’importanza del ritmo in questo tipo di musica, scandito e in crescendo, con forti elementi rock ma anche le scansioni della soul music più cruda, grazie ad un basso rotondo e pulsante; Please Tell Me Baby è il presunto singolo del disco, un bel boogie che sarebbe piaciuto agli Stones di Exile o all’Hendrix più nero, ma anche agli attuali North Mississippi Allstars. Typical Day è un altro rock-blues di quelli tosti e vibranti, mentre Give It To You è un potente slow blues, sempre elettrico ed intenso, ma non mancano anche un paio di brani più intimi e raccolti, la bellissima Hard To Stay Cool che ruota intorno ad una slide risonante che ricorda il miglior Ry Cooder, e il delicato country blues acustico del traditional There Is So Much, che con la sua andatura ondeggiante rimanda anche al gospel. L’omaggio al repertorio del nonno avviene con la potente Death Bell Blues, un pezzo che era anche nel repertorio di Muddy Waters, un tipico lento di quelli palpitanti, dove la voce declama e la chitarra scandisce grintosamente il meglio delle 12 battute più classiche https://www.youtube.com/watch?v=5qQJ-IuqdJQ ; Don’t Leave Me Girl è un altro fremente rock con elementi hendrixiani ben evidenti e la chitarra viaggia che è un piacere. Call On Me è un atmosferico lento che ricorda certe cose del Peter Green meno tradizionale, con la chitarra in vena di finezze e la voce porta con gentilezza e trasporto https://www.youtube.com/watch?v=Aug2e-i8osY ; I’m Hurtin’ è un poderoso boogie tra Hound Dog Taylor e le cavalcate elettriche dell’ultimo R.L. Burnside, notevole, e a chiudere un ottimo album che conferma la statura di outsider di lusso di Cedric Burnside, troviamo un’altra scarica rock ad alto contenuto adrenalinico come Ain’t Gonna Take No Mess, con slide e batteria che impazzano veramente alla grande.

Bruno Conti

Nuovamente “Blues Delle Colline”: Questa Volta Acustico! Reed Turchi – Tallahatchie

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Reed Turchi – Tallahatchie – Appaloosa/Ird

Prosegue la saga di Reed Turchi, dopo gli album in studio e dal vivo con la sua band Turchi, il disco in duo Scrapyard (con Adriano Viterbini) e il disco solista elettrico, l’ottimo Speaking Tongues http://discoclub.myblog.it/2016/04/04/dal-boogie-blues-del-mississippi-agli-ardent-studios-memphis-reed-turchi-speaking-shadows/ , il musicista americano approda all’album acustico di blues, quindi un ritorno alle origini, al motivo per cui ha iniziato a fare musica, un disco di hill country blues, nudo e puro, solo voce, chitarra (spesso in modalità slide) e un repertorio pescato nella tradizione di alcuni grandi bluesmen classici. Per certi versi spinto a fare questo anche dalla dissoluzione della band che lo aveva accompagnato nell’ultimo tour e disco, i Caterwauls, e dalla morte della nonna, da sempre grande estimatrice della sua musica. Il CD prende il nome da quella zona dello stato del Mississippi dove si trovano le colline e scorre il fiume Tallahatchie, un luogo dove è nata la musica di R.L. Burnside, Otha Turner, Fred McDowell, ma anche la cittadina sul ponte della quale si svolgeva la storia immortalata nella famosa Ode To Billie Joe di Bobbie Gentry. La prima impressione all’ascolto ( e anche la seconda e la terza) è quella di sentire un disco di Robert Johnson, registrato in qualche stanza d’albergo negli anni ’30 dello scorso secolo, senza il fruscio delle registrazioni originali, ma con la presenza negli undici brani (quasi tutte cover rivisitate) dello stesso spirito minimale che pervadeva quella musica, crudo ed intenso. Pochi fronzoli e molta sostanza, un disco che non emoziona con la potenza di suono (che peraltro non eccitava il sottoscritto, chiamatemi un fan della seconda ora o di “riporto”) degli album elettrici, dalle sonorità volutamente distorte e cattive dei Turchi, ma con il fingerpicking o il lavoro al bottleeck di Reed Turchi qui impegnato a “minimalizzare” il suo blues.

Il disco è stato registrato a Murfreesboro nel Tennessee e contiene, come detto sopra, una serie di cover di celebri brani blues, anche se nel libretto interno sono attribuite a Reed Turchi. La traccia di apertura Let It Roll, è un pezzo, credo, di Reed, un brano che ruota attorno ad un semplice giro di chitarra, anche in modalità slide naturalmente, la voce sofferente e trattenuta,  quasi narcotica, pescata dalle radici del blues più “antico”, un leggero battito di piede a segnare il tempo e poco altro, musica che richiede attenzione e che potrebbe risultare ostica all’ascoltatore occasionale. Poor Black Mattie ha un drive più incalzante, un ritmo ondeggiante che ci riporta allo stile del suo inventore, quel Robert Lee Burnside che giustamente i musicisti di quella zona (dai North Mississippi AllStars allo stesso Reed), considerano uno dei loro maestri, uno stile ipnotico e ripetitivo, quasi ossessivo, che poco concede alla melodia; anche la successiva Like A Bird Without A Feather (che giustamente nel titolo, come usa nel blues, perde il Just iniziale dell’originale) è un altro brano di Burnside, contenuto nella colonna sonora di  Black Snake Moan, il film con Samuel L. Jackson,  e sempre per la proprietà transitiva ed incerta delle canzoni pescate dal repertorio del blues del Delta risultava essere scritta dall’attore, un secondo pezzo senza uso della slide, con poco cantato e il lavoro sottile ma efficace dell’acustica di Turchi. Per completare il primo trittico delle hill country songs di Burnside arriva anche Long Haired Doney, quasi atonale nel cantato del biondo (rosso?) Reed, che aggiunge qualche tratto percussivo all’intreccio ossessivo e ripetuto del riff della chitarra acustica, sempre per la teoria del less is more.

Una slide che parte subito per la tangente annuncia l’arrivo di Write A Few Lines, un brano dal repertorio di Mississippi Fred McDowell, una canzone dove sembra quasi di ascoltare i Led Zeppelin acustici del terzo album, per l’atmosfera sonora che rimanda ai Page/Plant più “rigorosi”, e anche loro spesso diventavano “autori” di brani altrui, la versione bianca di una musica che nasce dai neri, ma può essere suonata benissimo anche da dei signori più pallidi, come la storia ha ampiamente dimostrato. Ne sanno qualcosa quegli Stones che hanno fatto del pezzo successivo uno dei loro cavalli di battaglia, stiamo parlando di You Got To Move, altro capolavoro di McDowell, una delle canzoni che rappresenta la vera essenza di questa musica, e che Turchi nella sua versione rende ancor più spoglia dell’originale. Jumper On The Line, di nuovo di Burnside,  un ritmo più movimentato (si fa per dire), ritorna a quel hill country blues basilare e quasi sussurrato in modo religioso dal musicista di Asheville, mi sembra di sentire, con le dovute proporzioni, anche echi del lavoro fatto da John Hammond nei suoi dischi acustici, caratterizzati da un fervore quasi filologico. Ulteriori composizione di R.L. Burnside, l’ipnotica Skinny Woman , che reitera questo approccio rigoroso e minimale, quasi spoglio, della rilettura del lavoro del bluesman nero, un ascoltatore, col tempo trasformatosi in performer e pure John Henry, un brano tradizionale di dubbia attribuzione, una canzone contro la guerra che molti associano al repertorio di Lead Belly, mantiene questo approccio, di nuovo con un riff ipnotico e circolare, suonato alla slide, che poi si stempera nella conclusiva Mississippi Bollweevil, un brano degli “amici” North Mississippi Allstars, che pur spogliato dalla foga della versione elettrica, mantiene il suo approccio grintoso, grazie ancora all’uso del bottleneck insinuante di Turchi. Un disco sicuramente non “facile”, per quanto di ottima qualità e fattura.

Bruno Conti

Figli E Nipoti Del “Blues Delle Colline”! Cedric Burnside Project – Descendant Of Hill Country

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Cedric Burnside Project – Descendants Of Hill Country – Cedric Burnside

Ai Grammy del 2016 la cinquina dei candidati per la sezione “Best Blues Album” era composta da: John Primer con il suo Muddy Waters 100, Shemekia Copeland con Outskirts Of Love, Bettye LaVette con il notevole Worthy, Buddy Guy con Born To Play Guitar, che l’ha vinto. Il quinto nome era quello del Cedric Burnside Project con questo Descendants Of Hill Country. Di solito vince il più famoso, ma la nomination aiuta comunque il disco ad essere conosciuto da un pubblico più ampio. Non è il caso del CD in questione, uscito lo scorso anno, se ne è parlato a dire il vero molto poco, ed è un peccato perché il disco merita, e quindi parliamone, sia pure con ritardo, ma non fuori tempo massimo. Rintracciarlo rimarrà una impresa, visto che l’album non ha neppure una etichetta, il classico esempio di autoproduzione, ed è pure costoso acquistarlo per noi abitanti del Vecchio Continente, ma, ripeto, sbattersi un po’ vale la pena. Cedric Burnside, è il nipote di R.L, con i “compari” Junior Kimbrough, Jessie Mae Hemphill e Otha Turner (ma insieme a vari altri), tra gli inventori del cosiddetto Hill Country Blues, una branca del blues del Delta del Mississippi, nata appunto sulle colline nel nord della regione, vicino ai confini con il Tennessee, e praticato negli scassati juke joints della zona.

Partito come genere acustico e rurale, poi si è elettrificato ed ha avuto un momento di relativa grande fama, quando, soprattutto Burnside e Kimbrough, con il loro dischi per la Fat Possum degli anni ’90, hanno creato una cerchia di discepoli che  avrebbe compreso la Jon Spencer Blues Explosion, Kenny Brown (a lungo chitarrista con R.L. Burnside, con agli inizi, un giovanissimo, quasi bambino. Cedric, alla batteria), i North Mississippi Allstars, Lightnin’ Malcolm, anche a fianco di Cedric in un paio di progetti. Il nostro amico ha suonato la batteria pure con Jimmy Buffett, Widespread Panic, con il fratello minore Cody (scomparso nel 2012) nel primo album del Cedric Burnside Project, e poi con Bernard Allison nell’Allison Burnside Express http://discoclub.myblog.it/2013/02/20/nuovi-incroci-di-famiglie-blue-allison-burnside-express/ . Nei vari dischi, tra i nomi ricorrenti, c’erano quelli di Garry Burnside, lo zio (ma ha solo due o tre anni più del nipote) e l’amico Trent Ayers a chitarra e basso, entrambi qui in azione. Formalmente Cedric sarebbe il batterista, ma spesso passa alla chitarra, in un interscambio di ruoli con Garry, che suona appunto chitarra, basso e batteria. Il risultato è un sound da power trio, denso, tirato e chitarristico, che sicuramente prende spunto da quello di genitori e parenti vari (il babbo di Trenton era il bassista di Kimbrough), con vari spunti dal blues del Delta, soprattutto nei brani acustici, ma anche, e molto, dal suono di Jimi Hendrix, dal rock-blues degli Zeppelin, dalle ipnotiche cavalcate boogie di John Lee Hooker e dal funky di James Brown, oltre a diverse altre influenze https://www.youtube.com/watch?v=ZrPdg03-VQI .

L’iniziale Born With It, con il suo poderoso ed ipnotico groove, mette subito in chiaro quale sarà l’impostazione sonora di questi “Discendenti” delle colline, basso potente, drumming agile e variegato, la voce sicura e grintosa, e la chitarra che alterna tratti ritmici e da solista con notevole fluidità. Hard Times introduce il sound di una slide guizzante e minacciosa, con un interscambio formidabile tra il terzetto di musicisti che non ha nulla da invidiare al miglior Johnny Winter delle origini https://www.youtube.com/watch?v=EkjNhXoTa8s , mentre Front Porch è una sorta di ballata corale, cantata da tutti i componenti della band, con elementi country ed un’aria quasi pastorale e Don’t Shoot The Dice unisce il funky di James Brown e Sly Stone con certo rock’n’soul alla Chambers Brothers, e il tempo reiterato dalla chitarra usata in modalità ritmica ma anche con tocchi solisti, tra SRV e il Jimi Hendrix più “nero”. Going Away Baby è boogie blues-rock, anche con connotazioni southern, ma sempre con la lezione del mancino di Seattle bene impressa in testa, la chitarra raramente si avventura in improvvisazioni roboanti, ma il suono rimane duro e cattivo. Anche Airport resta ancorata al funky-blues, che è uno dei temi ricorrenti del disco, mentre You Just Wait And See, vira verso territori acustici, mantenendo comunque la tensione del resto dell’album, per poi tornare al blues-rock della breve ma sapida Tell Me What I’m Gonna Do, altro perfetto esempio di North Hill Blues; This Is For The Soldiers è una delle più hendrixiane del lotto, una sorta di Voodoo Chile (non la parte Slight Return) rivisitata con un nuovo testo, Skinny Woman è folk-blues della più bell’acqua, solo voce e chitarra acustica. Mentre l’elettricità torna nella minacciosa That Changes Everything, sempre attraversata da contaminazioni tra rock e blues, portate all’ennesima potenza per Down In The Delta, che sembra un Robert Johnson d’annata nella interpretazione del Jimi della Band Of Gypsys. A chiudere un altro tuffo nelle 12 battute più classiche per Love Her Till I Die. Nomination più che meritata, direi che vale la pena di cercarlo.

Bruno Conti