Un Bluesman “Attempato” Ma Sempre Molto Pimpante! Linsey Alexander – Blues At Rosa’s

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Linsey Alexander – Live At Rosa’s – Delmark Records

Linsey Alexander il 23 luglio ha compiuto 78 anni, ma ascoltando questo CD non si direbbe proprio: il musicista americano, nato in Mississippi ed allevato a Memphis (percorso perfetto), ha una storia simile a quella di molti altri bluesmen. Per il viaggio a Chicago si è dovuto impegnare la sua prima chitarra al banco dei pegni (mai riscattata dicono le sue biografie) e giunge nella capitale dell’Illinois nel lontano 1959, dove in lunghi anni passati tra piccoli locali fumosi, juke joints e improbabili lavori per sopravvivere, si è costruito una reputazione sia come chitarrista che come entertainer suonando con B.B.King, Bobby Rush, Buddy Guy e moltissimi altri (fa sempre curriculum). Per pubblicare i suoi primi CD a livello indipendente, composti soprattutto di cover, deve arrivare all’inizio degli anni 2000, quando aveva già toccato i 60 anni, alla faccia della gavetta. Ma la sua bella voce, limpida, potente ed espressiva, ed il suo stile chitarristico (Gibson e Fender, poi alla fine non gli sono mancate), fluido, ricco di tecnica e feeling, lo rende uno dei praticanti delle 12 battute più interessanti tra i nomi di culto.

Tanto che la Delmark, una della bandiere del blues più ruspante e rigoroso della Windy City, lo mette sotto contratto, e tra il 2012 e il 2017 pubblica tre eccellenti album (e nella sua band suona per parecchio tempo anche il bravissimo Breezy Rodio https://discoclub.myblog.it/2020/03/07/la-conferma-di-uno-dei-nuovi-talenti-emergenti-del-blues-breezy-rodio-if-it-aint-broke-dont-fix-it/ ), con il classico suono dell’electric blues made in Chicago, dischi fieri e pimpanti dove la voce e la solista di Alexander rimandano a gente come Jimmy Dawkins, Magic Sam, Otis Rush, ma è giusto per ricordarne qualcuno. E ora questo Live At Rosa’s, registrato in uno dei più leggendari locali di Chicago, rinverdisce i fasti dei grandi album dal vivo che hanno fatto la storia della Delmark: in particolare “l’ispirazione” per questo disco Live viene da All Your Love, I Miss Loving: Live at the Wise Fool’s Pub Chicago di Otis Rush, un concerto pubblicato su CD nel 2005, ma che risale come registrazione al 1976. La produzione è affidata al solito team Delmark, guidato da Julia A. Miller, e nella band di Alexander, oltre allo storico tastierista Roosevelt Purifoy, troviamo Ron Simmons al basso, anche lui con Linsey da 40 anni, e “Big” Ray Stewart alla batteria, oltre al sostituto di Rodio come secondo chitarrista, il russo Sergei Androshin.

Il risultato è spettacolare, il nostro amico suona e canta ancora come un giovinetto: con un nerbo e una grinta invidiabili, la voce e la tecnica alla chitarra testimoniamo di un artista sempre in grande spolvero. “The Hoochieman” come lo chiamano i fans (che peraltro a giudicare dagli applausi del CD non dovevano essere più di una 50ina scarsa in quella serata), li ripaga con nove brani di grande intensità: Please Love Me, un ficcante shuffle del BB King anni ‘60, dove Alexander canta e suona con un impeto invidiabile, la solista è in grande evidenza come pure l’organo di Purifoy, incidentalmente il brano era lo stesso che apriva il Live di Rush citato prima, segue My Days Are So Long, una sua composizione, con un bel groove R&B e le linee della solista sempre fluide e ricche di feeling. Have You Ever Loved A Woman, a quasi 9 minuti il brano più lungo dell’album, è proprio il classico slow blues di Freddie King, versione superba con un assolo intensissimo e lancinante del tutto degno dell’originale e il buon Linsey che canta con voce squillante, come se il tempo per lui non fosse passato, mentre I Got A Woman non è quella di Ray Charles, per quanto un altro pezzo dal ritmo funky di ottima qualità, sempre con chitarra in primo piano, seguito da un altro puro Chicago Blues come Goin’ Out Walking.

Altro “lentone” di grande fascino è la cover di Somethin’ ‘Bout ‘Cha di Latimore, con un’altra interpretazione da manuale sia vocale che strumentale del nostro https://www.youtube.com/watch?v=4dW7CJLrhpM , e pure la mossa e ritmata Snowing In Chicago non scherza, ragazzi se suona, prima di passare ad un altro piccolo classico come Ships on the Ocean di Junior Wells, niente armonica ma versione da sballo con Alexander che “maltratta” la sua chitarra alla grande, prima di congedarsi con Going Back To My Same Old Used To Be, con un riff ricorrente quasi hendrixiano e una ennesima interpretazione da brividi, assolo di piano di Purifoy incluso. Il vecchio Blues non muore mai, assolutamente da avere, se amate le 12 battute più genuine.

Bruno Conti

Se Vi Piacciono Nell’Ordine Il Blues E L’Armonica, Qui Ne Trovate A Iosa Di Entrambi. Rod Piazza – His Instrumentals

rod piazza his instrumentals

Rod Piazza –  His Intrumentals – 2 CD Rip Cat Records

Rod Piazza è in circolazione (potremmo dire è su piazza, ma temo il linciaggio) da oltre 50 anni: le sue prime prove discografiche con la Dirty Blues Band risalgono al 1967/1968, poi con i Bacon Fat tra il ’70 e il ’71. In quel periodo si esibiva spesso e volentieri con il suo maestro e mentore George “Harmonica” Smith, il massimo rappresentante del cosiddetto West Coast Blues, di cui per certi versi il californiano Piazza ha raccolto l’eredità, soprattutto con i numerosi album registrati con i Mighty Flyers. Proprio da quella cospicua produzione arrivano tutti i brani contenuti in questa doppia antologia che raccoglie il meglio dei  suoi pezzi strumentali estratti anche da CD in alcuni casi non più in produzione da tempo, ancorché tutto il materiale sia comunque già edito.Non so quanti di voi possiedano la sua discografia completa, per cui il bacino di appassionati di blues che potrebbero essere interessati a questo lavoro rimane comunque abbastanza ampio, soprattutto nello specifico per gli amanti dell’armonica, di cui senza false modestie Rod Piazza si autodefinisce sulla copertina del CD “The Wizard Of The West Coast Harp”.

Non so se sia un mago, ma sicuramente il nostro amico è uno dei maggiori virtuosi dello strumento delle ultime generazioni, anche se pure lui ormai ha superato i 70 anni, e quindi per dirla tutta qui troverete poche parole (anzi nessuna) e molta buona musica. Curiosamente, nei 24 brani che compongono His Intsrumentals (da cui probabilmente deriva anche il titolo), non c’è neppure una cover di classici delle 12 battute, solo materiale originale firmato dallo stesso Piazza: lo stile oscilla tra jump, R&B e naturalmente il classico West Coast Blues, swingato e ricco di ritmo, con accenni di rock sparsi qui e là. Le tracce vengono da album pubblicati tra il 1986 e il 2014, soprattutto dalle etichette più importanti per cui ha inciso Rod, Black Top, Tone Cool, Blind Pig e Delta Groove, ma anche un paio di pezzi più rari, pubblicati da Big Mo e Roseleaf Records:Le tracce non sono in ordine cronologico, anche se il brano più vecchio, e tra i migliori in assoluto della raccolta, The Upsetter, tratto da Harpburn dell’86, è posto in apertura del primo CD. Sempre dallo stesso album vengono altre due esibizioni vorticose, la title-track Harpburn, a tutto boogie e l’ottima Cold Chill.

Tra i pezzi degni di nota anche il notevole slow 4811 Watsworth, da Blues In The Dark del 1991, con la sempre ottima Linsey Alexander al piano e Alex Schultz alla chitarra, membri storici dei Mighty Flyers, la lunga Snap Crackle Hop, altra dimostrazione del virtuosismo del nostro al suo strumento, la divertente Scary Boogie, con Rick Holmstrom alla chitarra. Mentre dal secondo CD vi segnalo la gagliarda The Teaser, sempre dal disco Tough And Tender del 1997, come il brano appena citato; Westcoaster del 2007, una sorta di manifesto del suo stile californiano, piacevole ma raffinato nella realizzazione, la vorticosa Ju Ju Cocktail  registrata Live At B.B. King’s nel CD del 2004, e sempre dal vivo Eliminator, da un disco dell’anno successivo. E ancora due tracce recenti, entrambe dal disco del 2014 Emergency Situation, lo scatenato jump blues di Frankenbomp e la lunga Colored Salt, tra blues e R&B, con uso di fiati, la scanzonata Expression Session da Soul Monster del 2009, e, dallo stesso disco, a chiudere,  l’intensa Soul Monster, con l’ottimo Henry Carvajal alla chitarra. Ma non ci sono brani deboli in questo doppio CD, tutto materiale di prima scelta che ne fa consigliare l’acquisto agli amanti del genere. Di nicchia, ma ottimo e abbondante.

Bruno Conti

Una Lunga Storia Nel Blues Rivive Attraverso Nuove Registrazioni. Tribute: Newly Recorded Blues Celebration Of Delmark’s 65th Anniversary

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Tribute – Newly  Recorded Blues Celebration Of Delmark’s 65th Anniversary – Delmark Records

Il titolo per una volta dice tutto: come si intuisce facilmente stiamo parlando di nuove versioni inedite, registrate per l’occasione, di classici estratti dal catalogo della Delmark, una delle etichette storiche della Windy City, che quest’anno festeggia il suo 65° Anniversario. Non è una novità, Bob Koester e i suoi collaboratori hanno iniziato a creare questi eventi dal 1993, quando la Delmark giungeva ai 40 anni, e poi ogni 5 anni, a cadenze regolari, ci sono state pubblicazioni di dischi per festeggiare l’evento. In effetti anche in questo caso le date sono un po’ degli optional, visto che la casa discografica nasce a St. Louis nel 1953, come etichetta di jazz (che è tuttora la sua attività principale), si trasferisce a Chicago solo nel 1958 e diventa punto di riferimento per gli amanti del blues soprattutto da metà anni ’60, con quel formidabile disco di Junior Wells Hoodoo Man Blues che è considerato uno dei capolavori assoluti del genere. Proprio da Wells, ma non da quell’album, parte il tributo agli artisti che hanno fatto la storia della Delmark: il disco è On Tap, un album del 1975, da cui viene rivisitata la bellissima Train I Ride, che illustra in modo pimpante e brillante il tema del treno, tipico dei grandi brani blues, e Omar Coleman è uno dei migliori armonicisti delle ultime generazioni, oltre ad essere un ottimo cantante.

jimmy dawkins all for businessjunior wells hoodoo man blues

La house band del CD ruota intorno alla sezione ritmica di Melvin Smith al basso e Willie Hayes alla batteria, con Mike Wheeler e Billy Flynn che si alternano alle chitarre, e altri strumentisti impegnati qui e là, per esempio in One Day You’re Gonna Get Lucky, un tributo a Carey Bell, probabilmente tratto dalle stesse sessioni del recente Tribute To Carey Bell di Lurrie Bell & The Bell Dynasty https://discoclub.myblog.it/2018/07/29/tanto-ottimo-blues-tutto-allinterno-della-famiglia-lurrie-bell-the-bell-dynasty-tribute-to-carey-bell/ , un brano che è l’essenza stessa del Chicago Blues. Per l’omaggio a Jimmy Dawkins, uno dei grandi chitarristi dell’etichetta, e in particolare a All For Business, forse il suo disco migliore, scendono in campo Linsey Alexander, che non è proprio di primo pelo, ma ha ancora una voce fantastica e Billy Flynn, per una cover eccellente della title track, uno slow blues intenso e di grande pathos, dove si apprezzano anche il sax tenore di Hank Ford e il piano di Roosevelt Purifoy , grande versione. Diciamo che nel brano successivo Riverboat, né il soggetto del tributo, Big Time Sarah, né l’interprete dello stesso, Demetria Taylor, sono conosciutissime, quest’ultima forse più nota per essere la figlia di Eddie Taylor, ma comunque in possesso di una voce ragguardevole che usa con profitto in questa canzone, mentre Flynn e Wheeler pennellano con le loro chitarre.

otis rush so many roads

Jimmy Burns rende omaggio a Big Joe Williams con uno dei suoi cavalli di battaglia, She Left Me A Mule To Ride, solo voce e chitarra, ma di notevole intensità. Lil’Ed, non ha mai inciso per la Delmark, sempre per la Alligator, ma unisce le forze con Dave Weld e i suoi Imperials per un omaggio a tutta slide a J.B. Hutto in una gagliarda Speak My Mind. Ottima anche l’accoppiata che si forma per il tributo al grande Magic Sam, di cui viene ripreso l’ottimo lento Out Of Bad Luck in un tripudio di chitarre, affidate a Jimmy Johnson e Dave Specter, mentre Sumito “Ariyo” Aryhoshi accarezza il suo pianoforte. Corey Dennison, voce e chitarra acustica e Gerry Hundt, mandolino ed armonica, reinterpretano da par loro, cioè ottimamente Broke And Hungry di Sleepy John Estes, e pure Mike Wheeler, chitarrista della house band nel CD, quando è il suo momento non si risparmia in una fluida e sontuosa versione del super classico di Otis Rush So Many Roads. Anche Shirley Johnson non è forse conosciutissima (però ha fatto anche, parecchi anni or sono; un disco per l’Appaloosa di Franco Ratti), ma la sua voce non teme confronti in una struggente Need Your Love So Bad che rende omaggio alla vecchia cantante texana Bonnie Lee. In conclusione di un disco solido, magari non memorabile, ma che sarà apprezzato dagli amanti delle 12 battute Ken Saydak e il suo pianoforte omaggiano il grande Roosevelt Sykes con il frizzante barrelhouse Boot That Thing.

P.S. Non essendo disponibili video dei brani contenuti nel nuovo CD ho inserito nel Post le copertine di alcuni dei più importanti album della Delmark da cui sono state prese le canzoni originali poi riprese nel Tributo.

Bruno Conti

E Ora Riesportiamo Anche Il Blues A Chicago: Da Roma Alla Windy City, Con Classe. Breezy Rodio – Sometimes The Blues Got Me

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Breezy Rodio – Sometimes The Blues Got Me – Delmark Records

In una mia recensione di una decina di anni fa per il Buscadero, riferendomi a Linsey Alexander, vecchio bluesman di stanza a Chicago, avevo scritto “ma dove si era nascosto Linsey Alexander in tutti questi anni?”. La stessa frase potrei riproporla per Breezy Rodio, ma nel suo caso la risposta la so: ha suonato la chitarra nei tre dischi incisi da Alexander per la Delmark tra il 2012 e il 2017, oltre ad avere pubblicato tre album di blues come solista ed anche uno di reggae (?!?). Come il cognome lascia intendere Rodio più che di origini è proprio italiano, nato a Roma, si è trasferito prima a New York e poi a Chicago, per vivere il blues. Il nostro Breezy, o Fabrizio, come risulta all’anagrafe, è veramente bravo: chitarrista sopraffino, cantante duttile e dal timbro vocale ora morbido, ora grintoso, buon autore, suoi ben 10 dei 17 brani contenuti nell’album, a livello di testi molto “bluescentrici”, ma troviamo pure ballate quasi da crooner, pezzi con abbondante uso di fiati, e quindi ricchi di soul e R&B.

Insomma nel menu sono presenti tutti gli ingredienti della musica di Chicago: che sia la splendida canzone d’apertura Don’t Look Now, But I’ve Got The Blues, scritta da Lee Hazlewood, ma resa celebre da B.B. King, in una incisione del 1958, un lento con fiati, dove risalta anche l’ottimo pianista Sumito “Ariyo” Ariyoshi”, che ci delizia per tutto l’album, e in alcuni brani si gusta un organo vintage veramente efficace suonato da Chris Forman. Ma tra i collaboratori di Rodio, niente male la sezione ritmica, con Light Palone al basso, e Lorenzo Francocci alla batteria (ma allora ditelo che siete italiani!), oltre agli eccellenti Constantine Alexander, che si alterna con Art Davis alla tromba, Ian “The Chief” McGarrie ai vari tipi di sax e Ian Letts al sax tenore,  indaffarati pure nella versione quartetto della pianistica Change Your Ways, puro Chicago Blues con l’armonica aggiunta di Simon Noble, cantata con voce scandita e sicura da Rodio, che poi si fa più appassionata nell’ottima cover di Wrapped Up In Love Again, un brano di Albert King dove si apprezza anche la solista pungente del bravo chitarrista italiano, che poi dimostra di conoscere a menadito il jump blues in una felpata e mossa I Walked Away di T-Bone Walker, e di nuovo il repertorio di B.B. King in un tiratissimo lento come Make Me Blue. E poi ci racconta il suo amore accorato per il blues in una quasi autobiografica e didascalica Let Me Tell You What’s Up, con assolo di McGarrie al sax, doppiato dallo stesso Breezy alla solista.

L’argomento viene ribadito nello slow Sometimes The Blues Got Me, dove sembra di riascoltare il South Side sound degli anni d’oro di Magic Sam o di Mike Bloomfield, con la chitarra che viaggia spedita e sicura, mentre in I Love You So, altro brano di B.B. King, si respira aria di doo-wop, delle ballate da crooner quasi alla Sam Cooke. Non manca lo shuffle travolgente della ficcante You Drink Enough, dove Rodio e un travolgente Ariyoshi si superano, spalleggiati dal vivace intervento della tromba di Art Davis, per non dire di una sinuosa The Power Of The Blues, dal sound più moderno,  che ruota intorno a un giro di basso veramente funky, con l’organo di Forman a sostenere le divagazioni della solista , grande tecnica e feeling, al di là dei testi forse naif. Ma nello strumentale  A Cool Breeze In Hell sembra quasi di sentire una outtake della leggendaria Super Session di Bloomfield, Kooper e Stills; tra i 17 brani, tanti ma tutti molto belli, citerei ancora una scintillante cover del brano dei Delmore Brothers Blues Stay Away From Me, che diventa un magistrale blues fiatistico, e la delicata Fall In British Columbia, una ballata struggente che illustra il lato più intimo della musica di Fabrizio “Breezy” Rodio, con tanto di intermezzo swing ed assolo magico di tromba, e l’elettroacustica, quasi folk-blues Not Going To Worry: un altro “cervello in fuga” che è andato a Chicago per registrare uno dei migliori dischi di blues urbano che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni, come ribadisce anche l’ultimo brano Chicago Is Loaded With The Blues. Consigliato vivamente.

Bruno Conti

Aggiungiamo Alla Lista Dei Bluesman. Mike Wheeler – Self Made Man

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 Mike Wheeler – Self Made Man – Delmark

Ecco un altro “giovane” e pimpante artista blues, su piazza (Chicago) da soli trenta anni, questo dovrebbe essere il suo secondo album da solista, ma ha suonato (e suona) con molti dei migliori artisti della scena locale e non. Ad esempio è apparso anche con un paio di musicisti di cui mi è capitato di parlare in questi ultimi tempi: Linsey Alexander e, soprattutto, con i Chicago Playboys dell’ottimo Big James ( big+james+and+the+chicago+playboys), entrambi compagni di etichetta, ovvero per la mai doma Delmark, sempre alla ricerca di artisti in grado di perpetrare la lunga storia del Blues (o meglio, Alexander e Wheeler incidono per la Delmark, Big James per la Blind Pig)!

Nei Chicago Playboys (con cui suona dal 1998 ed appare in 5 dei loro CD), Mike Wheeler ha sviluppato anche una notevole attitudine per il funky, il r&B e il soul, da unire al classico Chicago blues, caratteristica che (nel suo piccolo) lo avvicina a uno come Albert King, che nei suoi dischi su Stax sapeva abilmente miscelare tutte queste sonorità. Wheeler, naturalmente, non è a quei livelli, ma si difende alla grande, bella voce, senza esagerare, un suono della solista limpido e pungente, con il giusto rilievo alla parte ritmica, in alternativa a soli brevi e ficcanti ma ricchi di gusto. E questo Self Made Man sicuramente soddisferà il palato degli appassionati del genere.

Si tratti del lungo funky-soul bluesato dell’iniziale Here I Am, con la solista in bella evidenza. ben supportata dall’organo vintage del bravo Brian James, che si concede dei piacevoli interventi, o il classico swing di Big Mistake, con James al piano ad alternarsi con la chitarra di Wheeler. Anche la title-track, Self Made Man predilige ritmi funky ed evidenzia l’influenza di Albert King, con l’armonica di Omar Coleman ad aggiungere pepe all’esecuzione. Nel CD c’è posto anche per il classico shuffle di I’m Missing You, canonico blues nelle sonorità care all’etichetta di appartenenza, con qualche svolazzo dell’organo di James che prepara il terreno per il solo di Wheeler. Join Hands è super funky, con tanto di basso “slappato” dell’onesto Larry Williams.

Let Me Love You è proprio il classico di Willie Dixon, ma suonato con una patina di modernità, alla Robert Cray per intenderci. Siamo al settimo brano e ancora nessun bello slow blues di quelli dove puoi strapazzare la chitarra per la goduria dei “chitarrofili”? You’re Doing Wrong rimedia alla grande con Wheeler che esplora il manico della sua chitarra con la giusta dose di abbandono. Walkin’ Out The Door paga il giusto tributo all’altro grande King, B.B, con il suo ritmo marcato e le linee sinuose della solista in alternanza al piano. Ritmi nuovamente sincopati per Get Your Mind Right con armonica e organo a dare man forte alla voce e chitarra di Mike Wheeler. Anche I Don’t  Like It Like That ha quel sound funky alla Albert King, Albert Collins o Johnny Guitar Watson, con l’aggiunta di organo Hammond, come pure Moving Forward nuovamente con il basso molto carico di Williams e le lunghe linee soliste della chitarra. Per concludere, un brano che si chiama Chicago Blues (c’è bisogno di dire altro?) e I’m Working nuovamente tra funky e R&B con la chitarrina ritmica del leader a dettare i tempi.

Per essere “uno che si è fatto da sé”, non male, aggiungiamo alla lista!

Bruno Conti