Sono “Tornati”: Una Energica E Gioiosa Festa In Musica. Hooters – Give The Music Back Live

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Hooters – Give The Music Back Live – 2 CD Hooters Music

Non so esattamente su quanti estimatori possano contare gli Hooters nel nostro paese, pochini suppongo: negli States la band di Filadelfia è invece un quintetto piuttosto noto, e hanno nei due “leaders” Eric Bazilian e Rob Hyman due musicisti di valore non comune che hanno contribuito al successo della bizzarra Cindy Lauper, scrivendo la famosissima Time After Time (che ha avuto l’onore di moltissime versioni, tra cui quella nobile del grande Miles Davis), e dell’album di esordio di Joan Osborne Relish con la nota One Of Us (nominata nel ’96 nelle varie categorie per diversi Grammy Awards), avviando nel tempo anche collaborazioni con artisti del calibro di Taj Mahal, Mick Jagger, Sophie B.Hawkins, Willie Nelson, Carole King, Dar Williams, Billie Myers, Jon Bon Jovi, Scorpions, Meatloaf (e vi assicuro che l’elenco non è completo). Gli Hooters hanno esordito con un lavoro autogestito dal titolo Amore (ebbene sì) nel lontano ’83 (che ha venduto quasi centomila copie solo nell’area di Filadelfia), successo che li ha portati a firmare per una “major” come la Columbia incidendo poi Nervous Night (85)e One Way Home (87), due dischi molto popolari in cui mandolini e strumenti a corda si mischiavano alla perfezione alle belle armonie vocali della band, ed a una solida sezione ritmica, e il cui seguito Zig Zag (89,) un lavoro più raffinato (conteneva la cover della famosa folk song 500 Miles), non ha reso altrettanto bene come vendite e questo purtroppo ha incrinato il rapporto con la casa discografica; passati poi alla MCA hanno pubblicato prima Out Of Body (93), quindi un eccellente album dal vivo Hooters Live (93), che è stato purtroppo il loro canto del cigno. Dopo una lunga pausa di riflessione (e dopo saltuarie brevi “reunion”), tornano un po’ a sorpresa con l’ottimo Time Stand Still (07), a cui fanno seguire un altro disco dal vivo Both Sides Live (08), e un EP Five By Five (10), prima di far perdere di nuovo le tracce, sino a questo eccellente Give The Music Back Live, dove dimostrano che dopo 35 anni la loro musica (un cocktail intrigante di pop, irish folk, e rock), è ancora viva.

Il concerto è stato registrato in quattro diverse serate, nel novembre 2015 e novembre 2016, sul palco casalingo del Keswick Theater di Filadelfia, e vede salire sul palco stesso Eric Bazilian alla voce, chitarre, mandolino, flauto, armonica e sax(di recente in azione con Joe Bonamassa), Rob Hyman voce, tastiere e fisarmonica, John Lilley chitarre e mandolino, Frank Smith Jr. voce e basso, Tommy Williams voce, chitarre e mandolino, e David Uosikkinen alla batteria e percussioni, per una “performance” di oltre due ore, con una maggiore apertura verso la tradizione roots, con l’uso di strumenti come mandolino, fisarmonica, armonica e flauto dolce. Il primo set inizia con una I’m Alive (brano dell’ultimo periodo) fresca e coinvolgente, solida e chitarristica, con un fascino antico irlandese, per poi pescare a piene mani da Nervous Night con una Hangin’ On A Heartbeat dal passo “reggae”, l’inno generazionale di una energica Day By Day,  per poi attraversare di nuovo ritmi “caraibici” con una solare All You Zombies. Nella “folk-oriented” Morning Buzz (la trovate su Time Stand Still) si respira un’aria quasi celtica, mentre la seguente Private Emotion è una ballata suonata con la cornice di una chitarra acustica arpeggiata, per poi rispolverare, sempre dal primo periodo, una ballabile South Ferry Road, e rileggere in modo “folkie” The Boys Of Summer (la famosa canzone di Don Henley), che i non più “ragazzi” ripropongono in modo brillante ed essenziale. Da One Way Home viene pescata Graveyard Waltz, una ballata intensa e triste giocata sul pianoforte, per poi entusiasmare il pubblico con il famosissimo tradizionale 500 Miles, la folk ballad della cantante degli Appalachi Hedy West (portata al successo negli anni ’60 dal trio Peter, Paul & Mary e da Bobby Bare), che gli Hooters hanno reinventato in una chiave “reggae-folk”; sorprende una intrigante “cover” di Lucy In The Sky With Diamonds di “beatlesiana” memoria, e chiude la prima parte del concerto  un altro buon pezzo molto “British” come Where Do The Children Go, con un gran finale con il mandolino di Bazilian.

Dopo una giustificata pausa, la seconda parte del concerto si apre con la splendida Karla With A K. (recuperatela assolutamente, assieme a tutto l’album, la trovate su One Way Home), seguita da un trascinante brano Jigs And Reels in puro stile irish-folk elettrificato, in cui il pubblico muove il piedino e plaude con vigore alla melodia tradizionale, ma prima possiamo ascoltare ancora una spettacolare versione di 25 Hours A Day (questa la trovate su Out Of Body), che nel suo sviluppo più che vigoroso, sintetizza perfettamente la musica degli Hooters, dove il rock sanguigno del gruppo incontra le danze folcloristiche di matrice irlandese; non mancano due altri cavalli di battaglia come le famosissime Satellite, ancora riletta in chiave “folk”, e una Johnny B. in versione molto estesa, che conserva sempre il sapore dell’Irlanda e la bellezza delle ballate evocative,che quella terra da sempre offre (le trovate entrambe su One Way Home), con il pubblico entusiasta che canta il ritornello finale. Con una sostenuta And We Danced viene riproposto il primo successo del gruppo, per poi estrarre da un disco interlocutorio come Zig Zag una dolcissima ballata Give The Music Back, che dà il titolo a questo album:  gli “encore” si aprono con un medley di sette minuti dove fa la sua “porca” figura una torrida versione di It’s The End Of The World As We Know It dei R.E.M., ma anche la splendida What’s So Funny ‘Bout Peace, Love & Understanding, scritta da Nick Lowe e resa celebre da Elvis Costello. Per concludere un concerto magnifico arriva una ariosa Beat Up Guitar, dal “riff” accattivante e trascinante. Sipario e applausi.

Gli Hooters non sono una band qualunque, hanno cultura e preparazione, e anche se, come detto, non sono molto popolari nelle nostre lande, fanno comunque  una musica folk-rock sempre di buon livello qualitativo, che rimanda  alle sonorità di gruppi come i The Men They Could’t Hang, certe cose dei Pogues, degli Hothouse Flowers, e persino (per chi scrive) dei Waterboys di Fisherman’s Blues, e devo ammettere che per quanto mi piacessero in passato non pensavo che sarebbero stati capaci di arrivare al livello di questo album dal vivo, e quindi come dimostra Give The Music Back Live, anche se erano scomparsi in silenzio e riappaiono senza clamori, hanno ancora, almeno per il sottoscritto, parecchio da dire nell’ambito del panorama musicale roots-rock americano. Quindi anche se, come al solito, il disco non è di facile reperibilità (è uscito nel mese di giugno), vale la pena di cercarlo.

Tino Montanari

Gli Piace Vincere Facile! Cat Stevens – The Laughing Apple

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Cat Stevens/Yusuf – The Laughing Apple – Cat-O-Log/Decca/Universal CD

So a cosa state pensando: che questo disco in realtà è accreditato a Yusuf, cioè lo pseudonimo che il cantautore inglese nato Steven Demetre Georgiou si scelse nel 1978 quando si convertì alla religione musulmana (il “cognome” Islam non viene mai menzionato per chiare ragioni di marketing), ma sfido chiunque a trovare anche un solo fan del nostro che non si riferisca a lui con il nome con il quale è diventato celebre, cioè Cat Stevens. Da quando il “Gatto” ha riposto il Corano e ripreso in mano la chitarra ha pubblicato tre album, nessuno dei quali va detto è all’altezza dei suoi capolavori degli anni settanta (ma forse meglio di Izitso sì), cioè il buon An Other Cup del 2006 ed i discreti Roadsinger (2009) e Tell’Em I’m Gone (2014); quest’anno cadono i cinquant’anni dal suo debutto (nel 1967 uscirono i suoi primi due lavori, Matthew & Son e New Masters), e Cat decide di celebrarli con The Laughing Apple. Il disco è infatti un omaggio sia ai suoi esordi, dai quali vengono riprese quattro canzoni (Blackness Of The Night, The Laughing Apple, Northern Wind e I’m So Sleepy, tutte tratte da New Masters), sia al suo periodo più classico, richiamato fin dalla copertina (che ricorda volutamente quelle dei celebri Tea For The Tillerman e Teaser And The Firecat), ma anche dagli arrangiamenti semplici e folk, in contrasto con il suono dei suoi primi due album che erano di genere pop con orchestrazioni un po’ ridondanti, anche se contenevano classici assoluti come Matthew And Son, Here Comes My Baby e The First Cut Is The Deepest.

E per completare il richiamo al passato, Cat ha richiamato il produttore dei suoi dischi migliori, cioè Paul Samwell-Smith (già membro fondatore degli Yardbirds) ed anche il suo chitarrista preferito, Alun Davies (completano il ristretto gruppo di musicisti l’ex bassista dei Fairport Convention, Maartin Allcock, ed il batterista ghanese Kwame Yeboah). The Laughing Apple è quindi un disco volutamente nostalgico, autocitazionista, al limite del ruffiano (da qui il titolo del post), ma anche il miglior album di Cat/Yusuf da quando ha ripreso a fare musica, ispirato e suonato con forza: se non fosse per la voce leggermente invecchiata (ma non più di tanto), sembrerebbe quasi di avere tra le mani un disco inedito dell’epoca, risalente magari al periodo tra Catch Bull At Four e Foreigner: Il CD si apre con la nuova versione di Blackness Of The Night, la più nota tra le quattro canzoni riprese: sempre splendida, più lenta e con un arrangiamento leggero e sobrio, che mette in primo piano la melodia, accompagnata solo dalla chitarra, la sezione ritmica ed una spolverata di organo. Forse meglio dell’originale. See What Love Did To Me è vivace e solare, la chitarra è suonata con molta forza ed a metà canzone spunta un intermezzo orientaleggiante; la title track ha un’atmosfera quasi rinascimentale, un motivo decisamente evocativo ed anche qui un’interessante fusione con la musica araba, mentre la delicata Olive Hill è una filastrocca dal sapore folk, chiudete gli occhi e vi sembrerà di tornare indietro di più di quarant’anni (anche se il brano è nuovo).

Forse nei seventies Stevens non avrebbe intitolato una canzone Grandsons, ma l’unica cosa che la distingue da quel periodo sono giusto il titolo ed il testo, dato che il resto mantiene lo stesso sapore, con in più un leggero quanto suggestivo intervento orchestrale. Mighty Peace è un brano scritto all’epoca della colonna sonora di Harold & Maude ma mai inciso, ed è la quintessenza del classico suono del nostro, un piano, due chitarre, un basso e la voce profonda del Gatto; con Mary And The Little Lamb Stevens prende spunto dalla nota canzone popolare per scrivere un bellissimo pezzo nel quale per l’occasione Davies imbraccia una chitarra elettrica dal suono jingle-jangle e l’orchestra commenta ancora con estrema finezza: una delle più riuscite del lavoro. La saltellante e parzialmente elettrica You Can Do (Whatever), ancora molto gradevole, precede Northern Wind, più cupa delle altre, anche se di una cupezza all’acqua di rose. Il CD termina con le tenui Don’t Blame Them e I’m So Sleepy, la prima nuova e l’altra antica, ma legate insieme dal suono classico e folkeggiante. Ho qualche dubbio che Cat Stevens abbia ancora nelle sue corde un grande disco sui livelli della prima metà degli anni settanta, ma è indubbio che The Laughing Apple è finora il miglior lavoro della sua “seconda” carriera di cantautore.

Marco Verdi