Ma Lei, Buon Uomo, Di Grazia, Quanti Anni Ha? Mick Jagger – Gotta Get A Grip/England Lost

mick jagger gotta get a grip

Mick Jagger – Gotta Get A Grip/England Lost – Universal CD Single – 12” Vinyl Single – Download

La frase del titolo è la stessa che veniva rivolta durante ogni puntata del programma Quelli Della Notte da Renzo Arbore a Giorgio Bracardi (che però all’epoca di anni ne aveva 50), ma potrebbe benissimo essere formulata a Mick Jagger, che di anni ne ha 74 (appena compiuti tra l’altro, il 26 Luglio), ma che non perde occasione per tentare di sembrare giovane, alla moda e “cool”. Di tutte le volte che ha tentato di combinare qualcosa al di fuori dei Rolling Stones, il buon Mick ne ha azzeccate poche (a mia memoria solo Wandering Spirit del 1993 era un bel disco, i due degli anni ottanta facevano, con rispetto parlando, cagare, e Goddess In The Doorway del 2001 strappava una sufficienza risicata): la penultima sortita senza le Pietre era stato il pasticciato (eufemismo) album del supergruppo SuperHeavy, nel quale oltre a Jagger trovavamo la soul singer Joss Stone, Dave Stewart (ex metà degli Eurythmics), Damian Marley (figlio di Bob) ed il musicista indiano A.R. Rahman.

Ho detto penultima perché proprio oggi esce, direi a sorpresa, un singolo con due brani nuovi di zecca, Gotta Get A Grip e England Lost, due canzoni che Mick ha scritto ispirato dalla difficile situazione politica e sociale che sta attraversando il suo paese, specie dopo la Brexit; se dal punto di vista testuale l’operazione può risultare interessante, da quello strettamente musicale invece avrei da ridire, in quanto Mick non ha perso l’occasione neppure questa volta di prendere quasi le distanze dal suo gruppo principale, producendo due brani che nelle sue intenzioni dovrebbero farlo apprezzare anche tra i fruitori con meno primavere sulle spalle, anche se a mio parere l’esito finale, cioè una musica buona forse per i club più cool della città, frequentati da fighetti con portafoglio gonfio e mojito nella mano destra (ma ai quali della musica non frega una cippa), finirà per scontentare un po’ tutti. Gotta Get A Grip non è neppure oscena, una via di mezzo tra reggae, rock e hip hop, con la chitarra elettrica (suonata da Mick) nelle retrovie ed una ritmica ossessiva ed ipnotica. Jagger canta anche bene (come sempre d’altronde), ma il brano, pur non facendo proprio schifo, non è di certo imperdibile.

Pollice decisamente verso invece per England Lost, con il ritmo che spinge ancora di più sul genere hip hop, l’armonica di Mick che vorrebbe dare un tono blues ma che alla fine finisce per confondere ancora di più un suono già brutto di suo. Il testo sarà anche degno di nota (la situazione inglese vista metaforicamente come una partita di calcio), ma la musica ricorda il peggior Jagger degli anni ottanta, con in più il tragico intervento a metà canzone del rapper Skepta. Proprio l’altro giorno il portavoce degli Stones ha confermato che, dopo il tour (che li porterà anche a Lucca il prossimo Settembre), lo storico gruppo inizierà finalmente a lavorare al nuovo album di inediti: ebbene, se i brani che Jagger porterà in dote saranno del livello di England Lost, due calci in culo ben assestati da parte di Keith Richards non glieli leverà nessuno.

La versione in vinile contiene anche diversi remix che per decenza eviterei: in definitiva questo singolo è una sorpresa inattesa, ma della quale forse avremmo fatto volentieri a meno.

Marco Verdi

*NDB Concordo del tutto, anzi alcune frasi e giudizi sono il frutto di pareri che ci siamo scambiati con Marco, il risultato finale quindi, visto l’argomento, è una sorta di remix!!!

Ma Che Voce Ha!?! Il “Ritorno” Di Joss Stone – The Soul Sessions Volume 2

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Joss Stone – The Soul Sessions Vol.2 – Stone’d/S-Curve/ Warner Bros 24-07-12 Europa 31-07-2012 USA – Special Edition 15 brani

Il “ritorno” è relativo, visto che Joss Stone non se ne era mai “andata”, pubblicando due album lo scorso anno, uno a nome suo, LP1, e l’altro con i SuperHeavy. Più che altro si tratta di un ritorno alle origini, a quel The Soul Sessions che nove anni fa, nel 2003, quando di anni ne compiva 16 anni, l’aveva segnalata come una delle voci più formidabili in circolazione. Joss Stone (Jocelyn Eve Stoker per la sua mamma) ha sempre avuto un contralto naturale fantastico e una sana propensione per la musica soul, genere adattissimo a quel tipo di voce, ma dopo quel primo album che conteneva una serie di cover di brani diciamo “oscuri” del repertorio black, si è affidata sempre di più, album dopo album, al lavoro e alla collaborazione con gli artisti dell’R&B e dell’Hip Hop contemporaneo che hanno snaturato il suo stile genuino (sono sempre pareri personali, poi ognuno è libero di pensarla come vuole). Anche il disco dello scorso anno, prodotto da Dave Stewart, non mi aveva entusiasmato più di tanto, al di là dei due o tre brani canonici che abbellivano comunque i suoi LP.

Per questo secondo capitolo delle Soul Sessions, la Stone si è nuovamente affidata al team della S-Curve Records (in joint venture con la sua etichetta Stone’d) e in particolare a Steve Greenberg che aveva coordinato quell’album. E i risultati si vedono o meglio si sentono, eccome se si sentono, ci sono tre o quattro brani dove canta in modo incredibile, con un feeling e una partecipazione straordinari, e la voce, senza andare sopra le righe o fare forzature innaturali, è in grado di mandare dei brividi nella schiena dell’ascoltatore, che sono sinonimi di musica di gran classe. Chi vi scrive, come forse saprete, tra le tante musiche che ascolta, ha una particolare predilezione per la musica nera e nello specifico per il soul e una passione per le belle voci femminili.

Direi che in questo album la ricerca, penso del team di produzione, si è rivolta verso brani che sono proprio da specialisti della black music, canzoni che ai tempi sono state magari anche dei successi ma che più nessuno ricorda e quindi per l’occasione, vi snocciolo una bella track-by-track anche per inquadrare i brani di cui parliamo. Per aggiungere autenticità all’album ci sono anche alcune partecipazioni i cui nomi faranno aumentare la salivazione degli appassionati, gente come Ernie Isley degli Isley Brothers alla chitarra, il grande Delbert McClinton (anche se non sono riuscito ad individuare in quale brano appare o forse sì) e il tastierista Clayton Ivey della Muscle Shoals Rhythm Section, tutta gente che è sinonimo di qualità. Sarà anche karaoke di alta classe, come ha detto qualcuno, o musica retrò, ma preferisco questo “retro” a molta musica che viene spacciata per avanguardia sonora, per lo meno c’è un’anima (soul)! 

Per essere preciso e tassonomico mi sono anche fatto delle ricerche ed ho preso degli appunti che ora vado a sfogliare:

1° brano) I Got The… qualcuno aggiunge un soul al titolo, ma non c’è, brano di Labi Siffre, nonostante il nome che può ingannare, un vocalist maschile inglese di origine africana, attivo soprattutto negli anni ’70, grande voce. La versione di Joss Stone, a dispetto du un suono moderno, soprattutto nella sezione ritmica, si colloca a cavallo tra certi brani del Philly Sound più classico e le minisinfonie soul di Isaac Hayes per l’uso di archi, tastiere e voci femminili di supporto, buon inizio anche se non memorabile, diciamo radiofonico. L’aveva campionata anche Eminem per My Name Is.

2° brano) (For God’s Sake) Give More Power To The People, cantata a pieni polmoni e con grinta dalla Stone, è un vecchio brano dei Chi-lites, ma qui è reso con un groove segnato da un basso funkyssimo (non si potrebbe dire ma è la verita) che ricorda le cose migliori dei Rufus di Chaka Khan degli anni d’oro. C’è anche una armonica malandrina che potrebbe essere quella di Delbert McClinton.

3° brano) While You’re Out Looking For Sugar è un vecchio brano del 1969 delle Honey Cone, un formidabile trio vocale femminile anche se poco conosciute se non dagli appassionati del genere. Un brano, mosso e ritmato, con un organo insinuante e la voce a piena polmoni della Stone che invade le casse dell’impianto con effetti dirompenti.

4° brano) Sideway Shuffle, e qui diamo uno schiaffo morale ai tipi di Wikipedia che così scrivono, non è un brano di Tim Renwick (peraltro grande chitarrista inglese) che ha una S in più nel titolo, ma una canzone firmata dalla grande Linda Lewis, altra formidabile vocalist di colore inglese che ha vissuto il suo periodo di fulgore negli anni ’70 (ma tuttora in attività), quando oltre a pubblicare i suoi dischi la si trovava come background vocalist negli album di Cat Stevens, Rod Stewart, David Bowie e tantissimi altri, e in anni più recenti anche con i Jamiroquai. La Lewis, che ha una estensione vocale di cinque ottave, secondo alcuni è stata la prima ad utilizzare quella nota acuta, quasi un fischio inaudibile se non ai cani (scherzo), che è stata una caratteristica anche di Minnie Riperton e Mariah Carey. 

5° brano) I don’t want to be with nobody but you è una ballata lenta soul con fiati, scritta da Eddie Floyd di Staxiana memoria, e qui Joss Stone è nel suo campo, e canta, cazzo se canta! Senza esagerare ma con la giusta misura, a venticinque anni è nel pieno del suo sviluppo come cantante, sia come tecnica che come bravura di interprete. Varrebbe la pena solo per questo brano, se il resto non fosse comunque buono, per consigliarvi questo CD. Senti che roba!

6° brano) Teardrops è più moderna, si tratta di un brano degli anni ’80 scritto da Womack & Womack, l’avevano fatta anche Elton John e Kd Lang nell’album di duetti del 1993, ma non c’è paragone con questa versione, soul music di classe cristallina con quell’organo e gli archi che si insinuano nelle pieghe della canzone. Che è anche orecchiabile come è giusto che siano le grandi canzoni pop(olari) e cantata ancora in modo perfetto, senza esagerazioni inutili, con un finale da grande interprete.

7° brano) Stoned Out Of My Mind è un altro super funky (ditemi chi è il bassista? James Alexander) scritto da Barbara Acklin ancora per i Chi-Lites, di cui appaiono due brani nel CD, versione da manuale.

8° brano) The Love We Had (Stays On My Mind), scritta da Terry Callier per i Dells è un’altra slow ballad fantastica, mi sarebbe piaciuto ascoltarla cantata da Aretha o da Dionne Warwick, armonie vocali femminili da sballo e un’altra interpretazione magnifica di Joss Stone, “accontentiamoci”!

9° brano) The High Road, introdotta dalla chitarra spaziale di Ernie potrebbe essere uno di quei brani magici degli Isley Brothers futuribili del periodo Epic dei primi anni ’70, ma in effetti è un brano contemporaneo firmato da James Mercer (Shins) e Brian Burton (aka Danger Mouse) per il loro progetto come Broken Bells. Dovrebbe essere uno dei singoli dell’album come era stato per la cover del brano dei White Stripes, Fell In Love With A Boy, nelle precedenti Soul Sessions.

10° brano) Pillow Talk è un vecchio successo del 1973 di Sylvia (Robinson) che poi sarebbe stata la fondatrice a fine anni ’70 della Sugar Hill Records. La canzone in origine era stato scritta per Al Green, e il brano, in quella versione, oltre a tutto, anticipava, con i suoi gemiti e lamenti e un groove molto scandito, di un paio d’anni, la Donna Summer di Love To Love you Baby e la disco. Con le sue percussioni, il wah wah, un organo magico, la giusta dose di riverbero e gli urletti mirati, questa versione della Stone è una piccola lezione su come fare del funky di classe senza scadere nello scontato. La base ritmica del brano è stata usata anche da Kate Bush per Running Up That Hill, per la serie non si butta via niente.

11° brano) Then You Can Tell Me Goodbye è un brano scritto in origine da John D. Loudermilk per Don Cherry nel 1962, poi è diventato un brano doo-wop nella versione dei Casinos, molti anni dopo il boom di questo genere e infine, in versione country, un successo per Eddy Arnold. Questa versione di Joss Stone la fa diventare una dolcissima ballata con l’accompagnamento di una chitarra acustica pizzicata e una sezione archi, nonché le immancabili voci femminili di supporto e come tutti i brani lenti è manna dal cielo per la voce di Joss  Stone, forse un filo di melassa di troppo ma comunque molto buona.

Varrebbe già la pena per questi 11 brani, ma nella versione Special del disco ce ne sono altri quattro ancora più oscuri e goduriosi: una First Taste Of Hurt scritta da tale Wilson Turbinton, che sarebbe il mitico Willie Tee dei grandi Wild Magnolias, una delle formazioni cardine del suono di New Orleans, One Love In My Lifetime era un brano del repertorio della Diana Ross degli anni ’70 e in generale in questo album di Joss Stone ci sono quei momenti “panterati” tipici dell’ex cantante delle Supremes. Nothing Take The Place of You è addirittura da “archeologi” del soul, un brano firmato da Toussaint McCall, altro genio minore della musica soul della Louisiana, mentre la conclusiva (1-2-3-4-5-6-7) Count The Days è stato un brano minore di Inez & Charlie Foxx che sono passati alla storia del pop per quella Mockingbird che quasi tutti conoscono però nella versione di James Taylor e Carly Simon.

Questa volta mi sono cimentato un poco nell’arte delle citazioni e dei richiami che è uno dei piaceri nascosti del parlare della musica pop e soul ma l’argomento trattato lo consentiva. Se poi vi viene voglia di andare alla ricerca anche delle versioni originali, non sarebbe una cattiva idea. Ripetiamolo, sarà musica retrò come poche, ma fatta un gran bene, insieme a quello di Rumer uno dei migliori dischi di cover dell’anno, casualmente belle voci entrambe! Adesso aspettiamo il terzo capitolo fra una decina d’anni.

Bruno Conti

Non Solo “Superheavy”, SuperReggae & Bollywood Ma…

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Superheavy – Normal & Deluxe Editions – A&M/Universal 20-09-2011

Ma…Lo ammetto, dopo il primo ascolto di questo CD dei Superheavy nella versione Deluxe (16 brani), la mia prima tentazione sarebbe stata quella di prendere a calci nel culo (si può dire calci?) tutti i componenti della “Superband” e rispedirli nei rispettivi stati e continenti, India, Giamaica, Inghilterra e Stati Uniti (anche quelli di adozione)! Poi mi sono detto, prima di scrivere qualsiasi cosa proviamo un secondo ascolto, magari con le cuffiette dei Walkman, che è probabilmente il supporto con il quale questo album verrà ascoltato con maggiore frequenza e poi di nuovo con l’impianto per scorgere eventuali particolari sfuggiti nei primi giri. E la pazienza ha dato i suoi frutti, il disco, che paventavo “una cagata pazzesca” di dimensioni fantozziane, non dico che mi piaccia moltissimo, ma aldilà dei quattro o cinque brani con cui avrei potuto fare un discreto EP ed archiviarlo a futura memoria insieme a tutta la discografia solista di Mick Jagger, ha “svelato” un suo progetto unitario, democratico, commerciale ma migliore di quello semplicemente “supermodernista” di Goddess In The Doorway, che, come avrebbe detto dell’Ignazio Larussa Fiorello, era veramente brutto.

Il disco veleggia in un ambito sonoro Super reggae e Bollywood, sostenuto dalla sezione ritmica abituale di Damian Marley, i cosidetti Distant Relatives, Courtney Diedrick e Shiah Coore, che assieme alla violinista Ann Marie Calhoun e alle tastiere di A.R. Rahman (il “Morricone indiano”, ma mi faccia il piacere!), viene mitigato dal plotone occidentale capitanato da Jagger e Stewart, che sono i due produttori e dalla voce soul “della madonna” (non alla Madonna o Nicole Scherzinger come nella versione dance del soundtrack del Milionario) di Joss Stone, che come direbbe la Marchesini è anche una “bella faiga”!

Alla fine ho raggiunto un compromesso con me stesso: non sarà quel capolavoro che molti quotidiani, soprattutto italiani, vi vorranno far credere ma rimane un dignitoso lavoro, commerciale e piacevole da ascoltare, soprattutto se vi piace il reggae, nelle sue forme più moderne e contaminate con rap e hip-hop, con la presenza del “toaster” (che non è la macchinetta per fare i toast, ma tradotto all’impronta per i profani si potrebbe definire un incrocio tra un dj e un rapper, quelli che “cantano parlando”, e allora dillo!) Damien Marley, che a mio parere, ma a me il reggae non piace molto, lo riabadisco, è tra i figli di Bob uno dei meno talentuosi, e non è che gli altri abbiano incendiato il mondo della musica. Anche la Bollywood dance ha una sua forte presenza, ma rock, soul e ballate, mescolate a tutto quanto cercano di emergere dall’impasto democratico del gruppo, con le voci di Jagger e Joss Stone (con il suo cognome quasi predestinata)che spesso si incrociano efficamente in una tradizione che da Lisa Fischer, passando per Tina Turner risale fino a Merry Clayton tra quelle che hanno misurato le loro ugole frenetiche con Mick.

Si parte con una Superheavy corale caratterizzata dal toasting di Marley, dal cantato della Stone, dall’ipnotismo indiano di A.r. Rahman, ma anche dagli intermezzi rock della chitarra di Dave Stewart (che dalla sua residenza giamaicana è stato l’istigatore di questa “operazione) per uno stile dancehall rock-reggae che poi si perpetua in Unbelievable cantata da Mick Jagger che in questo disco ha abbandonato quello stile vocale “finto” giamaicano che aveva adottato per le collaborazioni anni ’70 con Peter Tosh, passi per Joss Stone ma gli intermezzi vocali falsamente etnoindiani li trovo un po’ fasulli. Miracle Worker, la conoscono un po’ tutti, è il singolo che da qualche mese si sente ovunque, un superreggaeone molto piacevole cantato a turno dai vari componenti del gruppo ma con la voce guida di Joss Stone, un esempio di pop music intesa nel senso di “popolare”, con il violino quasi country della Calhon e la chitarrina riffata di Stewart che si integrano alla perfezione con la sezione ritmica reggae e Damian che non rompe troppo le balle. Ma in Energy ci ammolla una lunga introduzione che poi, per fortuna, diventa un bel brano dal taglio rock con Jagger che si cimenta brevemente anche lui nel toasting sostenuto dalla voce a piena gola della Stone e dalla chitarra di Stewart e dall’armonica dello stesso Mick che cercano di ricreare sonorità alla Black & Blue piuttosto che alla Emotional Rescue, per fortuna!

Satyameva Jayathe è il famoso brano cantato in sanscrito con una introduzione vocale corale, poi una parte cantata (presumo da Rahman) fino all’ingresso della Stone che è la vocalist principale e l’immancabile Marley per convergere in una parte strumentale interessante dove le tastiere e il violino si mettono in evidenza prima della parte finale di nuovo corale. Questo è uno di quelli che al primo giro non mi era piaciuto per nulla e poi ho rivalutato. I due brani che seguono sono due delle migliori cose di Mick Jagger degli ultimi 30 anni, la prima One Day One Night, una ballata neo soul in crescendo ancora percorsa da un violino struggente e con delle tastiere di nuovo alla Black & Blue, che ci conferma che per quanti sforzi faccia (e noi apprezziamo) Damian Marley non è un cantante, come è confermato dallo strepitoso intervento vocale nella parte finale di Joss Stone. La seconda, una piccola perla dall’inizio acustico Never Gonna Change, che in alcune interviste Jagger ha paragonato a As Tears Go By, al sottoscritto ha ricordato molto brani come Far Away Eyes e non gli sta distante anche a livello qualitativo. Beautiful People è il secondo potenziale singolo dell’album, un bel duetto tra la Stone che la guida e Jagger che la segue con gran classe, con il terzo incomodo Marley che si intromette ogni tanto, comunque nel complesso un pezzo di pop-reggae commerciale che nella spazzatura radiofonica che si ascolta risalterà sicuramente. Rock me Gently, se si può dire, è un blue-eyed reggae-soul con Marley, Stone e Jagger che si integrano alla perfezione e piacciono pure a me che non amo il reggae, ripeto se non si era capito (ognuno ha i suoi gusti, o no, io ascolto tutti i generi come avrà capito chi legge questo Blog, ma il reggae non lo reggo). Bello l’assolo nella parte centrale della chitarra di Dave Stewart, che ove possibile si ritaglia i suoi spazi.

Introdotto da un “What The Fuck Is Goin’ On” urlato a gran voce dalla Stone, I Can’t Take It No More è il pezzo rock “politico” dell’album scritto e cantato da Jagger e ne potrebbe essere il manifesto anche a livello musicale: “Che caspita sta succedendo, cazzo!” (sempre se si può dire caspita) come definizione del genere dei Superheavy potrebbe andare! Un po’ ruffiano ma pieno di energia. Non male anche la simil-soul ballad I Don’t Mind ancora cantata in coppia con libidine dalla Stone e da Jagger che si intendono a meraviglia senza terzi incomodi se non il violino della Calhoun, o almeno si sperava perché nel finale la presenza di Marley è inesorabile con tanto di citazioni di Just my Imagination e Sweet Dreams nel classico stile toasting. World Keeps Turning è un altro ballatone cantato con gusto dalla Stone con gli altri, Jagger in testa, che la seguono coralmente, e lei ha una gran voce, magari non ancora un repertorio. E a questo punto finisce la versione normale, almeno per l’Italia, dove la versione Deluxe con 16 brani non verrà pubblicata. A proposito vorrei sapere chi è l’inventore di queste doppie versioni: a quelle con CD o DVD aggiunto ci eravamo abituati, ma questo fatto dell’album che esce in una versione, sempre singola prego notare, ma con alcuni pezzi in più, in questo caso 4, ad un prezzo maggiorato francamente non lo capisco. Se uno potesse scegliere chi direbbe “Vorrei quella con meno canzoni, grazie!”, misteri della discografia.

Di Mahiya un pezzo in puro stile Bollywood che uno si immagina con migliaia di indiani che si muovono a tempo con qualche coreografia pacchiana se ne poteva anche fare a meno. Il rock-reggae-dance-bollywood di Warring cantato da Mick Jagger col supporto della Stone è meglio ma non imprescindibile. Meglio il reggae-soul divertente di Common Ground cantato con voce potente dalla brava Joss Stone con l’immancabile Damian Marley che in questo brano mi ricorda molto (e anche in altri per la verità) l’ineffabile Shaggy, mi aspetto sempre, da un momento all’altro un “mister lovva lovva”. Buona anche la parte di Jagger e l’ottimo violino quasy country della Calhoun merito forse delle visite a Nashville del co-produttore Dave Stewart. Non mi piace la conclusione di Hey Captain, che è come come paventavo sarebbe stato l’album, una accozzaglia di dance, reggae, soul e rock con intermezzi “indiani”.

Non salverà il rock, ma forse, per il momento, con le sue vendite, la discografia sì, in definitiva un album commerciale e piacevole molto meno peggio di quello che mi aspettavo, da tre stellette, sei e mezzo, nel suo genere. Non so se lo comprerei ma ammetto che sbagliavo nel mio primo giudizio e quindi i fans degli Stones questa volta saranno forse costretti a sborsare. Comunque dal 20 sarà nei negozi e vi potrete fare la vostra idea.

I supergruppi di una volta erano un’altra cosa ma…

Bruno Conti

Lo So. Avevo Promesso! Miracle Worker & Ain’t No Miracle Worker Take 2. E Altre Storie…

 

Avevo promesso di non parlare più dei SuperHeavy fino alla fine dell’estate, lo so! Ma oggi non ho avuto tempo per scrivere un Post quindi me la cavo con la parte II di Miracle Worker Vs. Ain’t No Miracle Worker (ovvero Ragazzo di Strada dei Corvi, ma questa è la versione più lenta della Chocolate Watch Band, altro grande gruppo garage/psichedelico).

Tipicamente estivo il brano del “supergruppo” ora disponibile in rete come video ufficiale con Mr. J. che rispolvera Mr. D. e Joss Stone molto carina con il grembiulino, in base a questa canzone il disco non lo acquisto manco dipinto ma pare, azzardo un sembrerebbe che, forse, ma forse, l’album sia meglio.

Chiedo venia, domani o dopo recensione Kenny Wayne Shepherd nuovo. Non male ma…

Bruno Conti

P.s

Se avete quei 300 euro che vi crescono, il 4 ottobre per la Rhino esce questo Box degli Smiths The Complete Smiths. Oppure lo mettete nelle vostre richieste per Babbo Natale insieme alla Uber Deluxe Version di Achtung Baby degli U2. Oppure i Box di Hendrix, Nirvana e Sting in uscita a settembre.  Buone Feste! Come dite? E’ Ferragosto! Vado a farmi un ghiacciolo, gusto alla giacca di Jagger.

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Complete is the ultimate The Smiths remasters collection, lovingly reworked by
Johnny Marr and Rhino UK. Presented in a unique trunk-style box, the collection
is packaged for the first time across three formats: CD, LP and Deluxe
CD/LP/7inch. It includes all four of the band’s studio albums: The Smiths
(1984), Meat Is Murder (1985), The Queen Is Dead (1986), Strangeways, Here We
Come (1987); their sole live album Rank (1988); as well as firm fan favourite
compilations Hatful Of Hollow (1984), The World Won’t Listen (1987) and Louder
Than Bombs (1987).

Each album has been taken back to original tape sources and remastered by
master-engineer Frank Arkwright, assisted by Johnny Marr at the Metropolis
Studios in London. Individually numbered, the collector’s editions are strictly
limited to 3000 worldwide. Contents include:

    8 x CD Mini LP Albums
    8 x 12″ LP Albums
    25 x 7″ Singles
    The Complete Picture DVD
    8 x 12″ Art Prints
    Single & Album artwork poster
    Code to download catalogue as high-quality MP3s
    Booklet with new liner notes and foreword by Johnny Marr

“The Smiths have never sounded so good”–Johnny Marr, 2011

Capitolo Terzo: Forse Non Sarà Poi Così Malvagio! SuperHeavy – SuperHeavy

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SuperHeavy – SuperHeavyA&M/Universal 20-09-2011

L’uscita è confermata per il 20 settembre (19 in Inghilterra) e dal video di presentazione che hanno messo sul loro sito, una sorta di “un disco in cinque minuti e mezzo”, non sembra neanche malaccio…

Dire bello è troppo ma si intravedono segnali di vita sul pianeta SuperHeavy, in ogni caso questa è la lista dei brani:

  1. Superheavy
  2. Unbelievable
  3. Miracle Worker
  4. Energy
  5. Satyameva Jayathe
  6. One Day One Night
  7. Never Gonna Change
  8. Beautiful People
  9. Rock Me Gently
  10. I Can’t Take It No More
  11. I Don’t Mind
  12. World Keeps Turning                  
  13.  

Visto il gruppo paventavo la “Super tavanata galattica!” invece forse il buon vecchio Mick Jagger riesce a fare un disco fuori dagli Stones decente, ma vedremo, mai parlare troppo presto (e per essere onesti Wandering Spirit del 1993 non era male, ma Goddess In The Doorway era uno dischi più brutti degli ultimi duecento anni)! Giuro che fino all’uscita non ne parlo più ma è il tipico argomento balneare.

A proposito di estate e Ferragosto, domani lista delle uscite discografiche del 15 agosto, altro che periodo di pausa!

Bruno Conti

Meglio La Seconda! SuperHeavy Vs. Brogues

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 Per la serie una cosa tira l’altra in questi giorni è disponibile su YouTube Miracle Worker il primo brano dei SuperHeavy, la band di Jagger, Stewart, Stone, A.R. Rhaman e Marley (figlio). Si tratta di un reggae-pop non memorabile ma meno peggio di quello che mi aspettavo e che anticipa l’album che anche se TBC (To Be Confirmed) dovrebbe uscire il prossimo 20 settembre per la A&M (e pare non sia poi male ma vige sempre il sistema San Tommaso, provare per credere). Cantano Damian Marley, che dovrebbe essere l’autore (ma forse è Mick) Jagger e Joss Stone.

Di quest’ultima è in uscita il 26 luglio il nuovo album LP1 prodotto da Dave Stewart, registrato in quel di Nashville qualche tempo or sono e molto meglio di quanto mi aspettavo. Da quello che ho sentito (una volta, velocemente) mi sembra un ritorno alle promesse del primo album anche se la bilancia sonora sì è spostata verso un sound più rock e commerciale ma di buona qualità e lei con la voce chi si ritrova, senza rappers e sonorità dance imposte dalla (ex) casa discografica, è libera di cantare a piena ugola. Sta ritornando sulla retta via, anche se il nuovo progetto potrebbe traviarla di nuovo. Vedremo, in fondo ha solo 24 anni! Questa è la canzone dei Super Heavy

Si diceva, una cosa tira l’altra, en passant Miracle Worker era anche il titolo originale del film Anna dei miracoli di Arthur Penn con Ann Bancroft, ma Ain’t No Miracle Worker era il titolo di una Nugget presente nel cofanetto su garage e psichedelia curato da Lenny Kaye ma non nel doppio LP originale Nuggets. Il brano, cantato dai Brogues, ovvero Gary Duncan e Greg Elmore dei futuri Quicksilver Messenger Service, era la versione originale di Sono un ragazzo di strada dei Corvi (ebbene sì, anche quella era una cover)! E mi sembra molto meglio della prima. Ascoltare, please!

That’s All Folks!

Bruno Conti