Il Titolo Dice Tutto, E Il Contenuto Lo Conferma Alla Grande! Eileen Rose – Muscle Shoals

eileen rose muscle shoals

Eileen Rose – Muscle Shoals Continental Song City/Eileen Rose CD/Download

Quando in una foto di copertina appare una immagine del vecchio edificio al 3614 Jackson Highway, che è l’indirizzo dello studio di registrazione a Sheffield, Alabama, dove si trova(va)no i vecchi Muscle Shoals, ora all’interno di una sorta di museo, ma tuttora funzionanti nel caso qualcuno voglia utilizzarli, ti si scalda subito il cuore, ancor di più se il disco si intitola Muscle Shoals. Se poi a pubblicarlo è una artista come Eileen Rose, non più giovanissima, ma ancora sulla breccia alla grande, il sorriso che ti si stampa sul viso si accentua: ammetto che avevo un po’ perso di vista Eileen Rose Giadone (italo-irlandese di origine, quindi “una dei nostri”), nativa dei sobborghi di Boston, ma da un po’ di anni trasferita a Nashville, Tennesse, dal “lato giusto” della città, quello dove brulica l’alternative country, la roots music, l’Americana, come volete chiamarla, ci siamo intesi. Se non mi sono perso qualcosa l’ultimo album Be Many Gone era uscito ad inizio 2014, ma la Rose aveva continuato a fare musica dal vivo accompagnata dagli Holy Wreck, altri quattro baldi “giovanotti” che la accompagnano pure nel nuovo CD (che esiste, non è solo download): The Legendary Rich Gilbert, così si autodefinisce, a chitarra, pedal steel e tastiere (in pista nella scena alternativa da inizio anni ‘80), Chris MacLachlan al basso e Steve Latanation alla batteria, con l’aiuto di Joshua Hedley al violino e Norma Giadone (parente?), alle armonie vocali.

Eileen ha una lunga storia alle spalle, iniziata quando si trasferì nel lontano 1991 nel Regno Unito a Londra, poi dopo una lunga gavetta, in una band alternative i Fledgling, autori di un solo omonimo album nel 1995, con una delle più brutte copertine mai viste, e poi all’esordio come solista nel 2000 con Shine Like It Does, dove era accompagnata dagli Alabama 3, disco che ebbe ottime critiche, e un altro nel 2002 sempre in UK, poi altri cinque dischi dopo il suo ritorno negli States avvenuto nel 2003, più alcune avventure collaterali. Facciamo un fast forward e arriviamo ai giorni nostri: la Rose decide di fare una puntatina in Alabama, dove negli studios citati prima si respira quella aria magica. Ne risulta un CD diviso in Side A e Side B (ebbene sì, ma non è un doppio) dove attraverso “9 New Songs “ e “8 Old Favorites”, ovvero vecchie canzoni registrate ex novo, delizia i nostri padiglioni auricolari. In possesso ancora oggi di una voce potente, vissuta e grintosa Eileen Rose apre le danze con She’s Gone che profuma, forse solo per questo brano, quasi inevitabilmente, di country got soul, tra Van Morrison e una Lucinda Williams più vivace, con la chitarra e l’organo di Gilbert a regalare pennellate di ottima musica, poi ribadite nelle folate rock di una He’s So Red, con chitarre ruggenti e ritmi mossi.

Atmosfere che poi si quietano nella inconsueta ma affascinante cover di Matte Kudasai, un pezzo dei King Crimson dell’era Adrian Belew (ebbene sì), trasformata in una squisita ballata che viaggia sulle ali di una sognante pedal steel, quasi alla Albatross di Peter Green, mentre la brillante ed euforica Get Up rimanda al Tom Petty più “campagnolo”, con Gilbert che imperversa alla grande con la solista https://www.youtube.com/watch?v=JYeUuwJOp1c , e Am I Really So Bad, tenera ed avvolgente, attinge dalla musica dell’anima tanto praticata in quegli studios. On Shady Hill tra country e rockabilly sprizza voglia di vivere e muovere i piedi, A Little Too Loud rimane sulla stessa collina ma invita i Creedence e i Blasters per un bel party https://www.youtube.com/watch?v=phbXeAPjnwA , Hush Shhh è quasi onomatopeica e in punta di piedi, silenziosa, ma con passione, parla la pedal steel. Il traditional The Auld Triangle, cantata a cappella in totale austerità per ricordare le radici irlandesi di Eileen Rose. La Side B dei vecchi brani rifatti per il ripasso, ma come nuovi, parte con la lunga e bellissima Shining dal primo album del 2000, qui devo dire molto Lucinda Williams, sempre meno “pigra”, ma parimenti chitarristica https://www.youtube.com/watch?v=g9ZgUsv5xdU , ottima anche la rootsy e sudista Walk The Jetty.

Good Man anche per gli sbuffi iniziali dell’armonica sembra un Neil Young d’annata virato al femminile, con weeping pedal steel, l’altalenante nei ritmi Trying To Lose You ha un che del Dylan anni ‘60 con un assolo ringhioso di Gilbert, la malinconica Stagger Home cantata con voce cavernosa, come se Marianne Faithfull avesse deciso di darsi al country in un pezzo scritto da Maria McKee, la divertente Queen Of The Fake Smile, quasi come dei Traveling Wilburys di nuovo al femminile, Old Time Reckoning, con Joshua Hedley al violino e un gran lavoro di Latanation alla batteria mi ha ricordato ancora la McKee, magari dell’era Lone Justice https://www.youtube.com/watch?v=GPAXDQ921XQ , con cui Eileen Rose condivide un timbro vocale ancora squillante benché maturo, e per concludere il jingle-jangle amaro della splendida Sad Ride Home https://www.youtube.com/watch?v=9tVzgeaCxvM .

Che dire, tutto molto bello, neanche un brano inutile: un nome da (ri)scoprire, esce, a seconda dei paesi, tra il 15 e il 22 maggio.

Bruno Conti

Il Disco Della Consacrazione Per Uno Dei “Nuovi” Fenomeni Della Chitarra. Albert Cummings – Believe

albert cummings beleive

Albert Cummings – Believe – Mascot/Provogue – 14-02-2020

Era quasi inevitabile che anche Albert Cummings, uno dei migliori chitarristi americani, prima o poi sarebbe approdato alla Mascot/Provogue: lui stesso ha detto di essere onorato per essere finito nella stessa etichetta di Joe Bonamassa, Walter Trout ed Eric Gales (e aggiungo io, decine di altri virtuosi della chitarra). Il nostro amico viene da Williamstown, Massachusetts e ha inciso finora non molti album (otto, compresi due live), visto che la sua carriera discografica ufficiale è partita solo intorno al 2000, quando aveva superato i 30 anni da tempo. “Scoperto” da Chris Layton e Tommy Shannon, a cui si era poi unito Reese Wynans, fu il primo musicista a registrare un intero album con i Double Trouble del suo idolo Stevie Ray Vaughan, dopo la scomparsa di quest’ultimo, e di cui quest’anno ricorre il 30° Anniversario dalla morte (come passa il tempo!): il disco From The Heart, uscito nel 2003, fu registrato proprio in Texas, con la produzione di Layton e Shannon. Da allora, quasi tutti i dischi successivi, usciti per la Blind Pig Records, sono stati prodotti da Jim Gaines https://discoclub.myblog.it/2012/09/13/un-ulteriore-virtuoso-della-6-corde-albert-cummings-no-regre/ , che torna dietro alla consolle anche per questo Believe, registrato in una delle mecche assolute della musica americana, i FAME Studios a Muscle Shoals, Alabama.

Nello stile di Cummings quindi per l’occasione, insieme all’immancabile blues, troviamo anche forti elementi soul, rock e country ( già presenti in dischi passati e nell’educazione musicale di Albert che nei primi passi fu però occupata dall’utilizzo del banjo e dalla passione per il bluegrass, poi sostituita dalla scoperta di SRV): il disco, in uscita il 14 febbraio, è probabilmente il migliore in assoluto di Cummings, che comunque raramente, se non mai, ha tradito le aspettative dei fan del blues elettrico, con una serie di album notevoli, dove accanto alle indubbie doti tecniche applicate alla sua Fender Stratocaster, si apprezza anche una eccellente vena di autore di canzoni, rendendolo una sorta di “cantautore” del blues-rock. Qualche cover ci scappa sempre, pochissime per la verità, Live esclusi, un B.B. King qui, un Merle Haggard là, e un brano di Muddy Waters, in tutti i suoi album, ma per il nuovo disco ce ne sono ben quattro (anzi  cinque), l’iniziale Hold On (manca I’m Comin’, ma il brano è proprio quello di Sam & Dave, scritto da Isaac Hayes), e per parafrasare potrei azzardare un  “I’m Cummings”, ma temo il linciaggio per la battuta, e quindi mi limito a dire che è una versione molto calda, in un florilegio irresistibile di fiati e voci femminili di supporto, con Albert che si conferma anche cantante di buona caratura , oltre che chitarrista sopraffino, con un assolo ”ispirato” da quel Duane Allman la cui immagine lo guardava dalle pareti degli stessi studi in cui si trovava lui in quel momento.

Già che siamo in tema di cover,  troviamo  pure una delicata e deliziosa Crazy Love di Van Morrison, trasformata in una bellissima deep soul ballad, anche grazie alla presenza del tastierista Clayton Ivey, uno di quelli che suonava ai tempi nei dischi prodotti a Muscle Shoals e proprio in chiusura di CD, una intensa e scoppiettante Me And My Guitar di Freddie King, con un assolo fiammeggiante che è un misto di tecnica raffinata e feeling. Venendo agli altri brani, come negli album precedenti le canzoni a livello di testi toccano i temi del working man (in fondo Cummings ha sempre lavorato in una azienda di costruzioni di famiglia), delle difficoltà economiche, questioni amorose e così via, niente trattati psicologici, ma uno sguardo sul quotidiano, con una attitudine compartecipe, mentre musicalmente il tema R&B e southern soul rimane anche nella ritmata Do What Mama Says, sempre con fiati, coriste e tastiere a profusione, mentre al solito la chitarra lavora di fino anche a livello di riff, con Red Rooster  (anche in questo caso se gli aggiungete Little è  quella di Howlin’ Wolf e Stones) che è un blues di quelli duri e puri, con una solista “cattiva” il giusto che impazza alla grande; Queen Of Mean è di nuovo un torrido “soul got soul” (?!?), il suono tra Stax e Hi records che usciva dai Fame Studios, e ancora oggi dai dischi di Delbert McClinton, Marc Broussard e altri praticanti del genere.

Con Get Out Of Here, che aggiunge elementi country e sudisti, sempre cantati con voce ricca di impeto e passione da Cummings, che comunque rilascia un torrido assolo dei suoi, tagliente, ripetuto e vibrante. Tra le cover in effetti c’è anche quella di My Babe, Willie Dixon via Little Walter, sempre con quello spirito “sudista” e “nero” che caratterizza tutto l’album, come ribadisce una ottima It’s All Good dove gli elementi country e soul sono ancora presenti negli arrangiamenti lussureggianti della produzione di Gaines che sfrutta al meglio i musicisti degli storici studi dell’Alabama, e Albert lavora comunque di fino con le eleganti volute della sua solista, che poi si scatena,  di nuovo con misura e classe, nel blues carnale Going My Way che cita nel testo il titolo dell’album, una visione ottimistica e piena di speranza “You can have anything you want, all you need to do is believe.” Lasciando all’eccellente Call Me Crazy il pezzo più blues, dove Cummings dà libero sfogo alla sua solista in un tour de force di grande intensità, con il wah-wah che impazza nel finale in omaggio al suo “maestro” Stevie Ray Vaughan. Un delle migliori uscite di inizio anno!

Bruno Conti

Un Grande Autore Rende Omaggio Ad Una Leggenda Del Soul. Donnie Fritts – June A Tribute To Arthur Alexander

donnie fritts june

Donnie Fritts – June (A Tribute To Arthur Alexander) – Single Lock Records

La Single Lock Records è una piccola etichetta indipendente americana che ha la sua sede a Florence, Alabama, quindi profondo Sud degli Stati Uniti: tra i fondatori Ben Tanner degli Alabama Shakes, Will Trapp e John Paul White. Tra gli artisti sotto contratto, oltre a White, Dylan LeBlanc, Nicole Atkins e Cedric Burnside, di cui leggerete a parte. Il repertorio pesca dalla zona Shoals dell’Alabama, e quindi rappresenta i famosi Muscle Shoals Studios e una delle vere leggende della musica “southern” americana, ovvero Donnie Fritts, che pubblica il suo secondo album per la Single Lock, dopo l’ottimo Oh My Goodness del 2015, che si pensava potesse essere il suo ultimo album https://discoclub.myblog.it/2015/10/25/il-ritorno-forse-commiato-grande-donnie-fritts-oh-my-goodness/ . Invece, a 75 anni, Fritts è entrato ancora una volta in studio, per una serie di sessioni serali tenute ai Muscle Shoals, per realizzare un tributo al suo grande amico e mentore Arthur Alexander: dieci canzoni legate al grande cantante soul di You Better Move On, e a decine di altri brani che hanno fatto la storia della musica black, proprio a partire dal brano citato, che nel 1962 fu il primo successo ad uscire dall’area di Muscle Shoals, uno dei tre firmati dal solo Alexander.

Poi ne troviamo quattro che sono collaborazioni con Fritts, una firmata anche dal grande Dan Penn, ed infine, Soldier Of Love, comunque legata al repertorio di Arthur. Alle registrazioni dell’album, sempre essenziale ed intimo nelle sue riletture country-soul, ma non privo di momenti più mossi, hanno partecipato, oltre a White e Tanner chitarre, David Hood al basso, Reed Watson alla batteria, Kelvin Holly ancora alle chitarre e lo stesso Fritts al Wurlitzer e alle tastiere. Il risultato, lo ribadisco, è un piccolo gioiellino di equilibri sonori, intimi e confidenziali, con altri più movimentati e raffinati. D’altronde le canzoni sono tutte decisamente belle, l’interprete, per quanto la sua discografia sia veramente molto scarna, è uno che ha scritto, in tutti i sensi, la storia della musica, quindi il disco si ascolta con assoluto piacere: June, come ricorda lo stesso Donnie nelle note del libretto, invero scarne pure quelle, era il nomignolo con cui era conosciuto Arhur Alexander, e la canzone era stata scritta nel 1993 sull’onda emotiva della sua scomparsa, ed appare come toccante brano di apertura in questo album, solo la voce e il piano elettrico di Fritts, sembra una di quelle ballate romantiche in cui è maestro Randy Newman, e anche il timbro vocale è quello,  violino e viola in sottofondo e tanto feeling, deliziosa, una vera perla.

Ancora  raffinati tocchi di archi, il piano elettrico e una delicata melodia per In The Middle Of It All, una soul ballad  intimista, scritta dal solo Alexander, e apparsa nel suo album omonimo del 1972. You Better Move On l’hanno incisa in tantissimi, vorrei ricordare le versioni di Willy DeVille e degli Stones (e pure i Beatles si sono cimentati con Anna (Go To Him), il suo brano di maggior successo, viene riproposto in una sorta di unplugged version, mentre All The Time, una delle loro collaborazioni autoriali, è una deliziosa ballata country got soul, con le armonie vocali delle Secret Sisters, una sezione ritmica finalmente presente e organo e chitarre acustiche a colorare il suono. Anche I’d Do It Over Again beneficia di un arrangiamento corale, splendido ed avvolgente, con  tastiere, chitarre e voci di supporto semplicemente perfette. Ancora un arrangiamento sontuoso alla Randy Newman  per un’altra soul ballad di grana finissima come Come Along With Me, cantata sorprendentemente bene dal nostro amico che sfoggia una interpretazione da manuale https://www.youtube.com/watch?v=2CvPl12wgOc ; Lonely Just Like Me è un altro dei capolavori assoluti di Alexander, e anche il titolo del suo album finale pubblicato nel 1993, poco prima della sua scomparsa a soli 51 anni, altra versione da manuale, con quel tocco latino che sia DeVille che il Warren Zevon di Carmelita avevano cercato di carpire a Arthur, e gli echi della migliore soul music mai suonata e cantata da chicchessia, una vera chicca sonora anche in questa rilettura magnifica https://www.youtube.com/watch?v=M8ztC3ZFJIY .

Altra delizia per i padiglioni auricolori è Soldier Of Love, suonata e cantata con un impeto ed una intensità pregevoli ,e non si scherza neppure con il deep soul screziato di gospel di una intensa e sgargiante Thank God He Came con le Secret Sisters scatenate a livello vocale in un finale veramente ispirato. A chiudere il CD Adios Amigo, titolo del tributo del 1994 e altra canzone epocale, di nuovo rivista in modo più intimo, solo il Wurlitzer, gli archi e le voci delle sorelle Rodgers https://www.youtube.com/watch?v=nhWkBfDxNAk . Disco commovente e intenso, a dimostrazione che la classe non è acqua.

Bruno Conti

Anticipazioni Della Settimana (Ferr)Agostana, Prossime Uscite Di Settembre: Parte V. Rod Stewart, Ian Gillan, Amy Helm, Tony Joe White, Muscle Shoals, Linda Thompson, Joe Strummer, Chuck Leavell.

rod stewart blood red roses 28-9

Quinta ed ultima parte dedicata alle novità di settembre, queste sono le uscite previste per il 28. Iniziamo con Rod Stewart che dopo il discreto https://discoclub.myblog.it/2015/11/02/tutta-la-buona-volonta-riesco-stroncarlo-rod-stewart-another-country/, pubblica il 30° album della sua carriera, ovvero Blood Red Roses, etichetta Republic/Decca, quindi sempre gruppo Universal, come il precedente che però era su Capitol. Il nostro amico Rod The Mod lo presenta come uno dei più caldi ed intimi della sua carriera (e ci mancherebbe): l’album contiene 13 nuove composizioni dell’artista nativo di Londra ma scozzese per elezione, nella versione standard, mentre nell’edizione Deluxe, singola (benché costerà come un doppio) altre 3 bonus tracks, tutte cover, per un totale di 16 brani. Si sa che il disco è stato co-prodotto dallo stesso Stewart e dal suo vecchio amico e collaboratore Kevin Savigar, con lui, sia pure non continuativamente, dalla fine degli anni ’70.

Non azzardo previsioni sulla qualità dei brani dell’album, mi limito a pubblicare la lista completa dei pezzi e il primo singolo estratto dal disco, Didn’t I, che trovate qui sopra, testo interessante ed intenso, canzone piacevole, ma niente per cui strapparsi i capelli e in cui la voce duettante è di tale Bridget Cady, di cui ignoravo l’esistenza. Delle tre cover presenti come bonus nella Deluxe edition, una, Who Designed The Snowflake è firmata da Paddy McAloon dei Prefab Sprout, It Was A Very Good Year è uno standard americano reso celebre da Frank Sinatra negli anni ’60 e I Don’t Want To Get Married dovrebbe sempre venire da quel periodo, ma ne esiste anche una scritta da Irving Berling, al momento non so dirvi di quale si tratti .

1. Look In Her Eyes
2. Hole In My Heart
3. Farewell
4. Didn’t I
5. Blood Red Roses
6. Grace
7. Give Me Love
8. Rest Of My Life
9. Rollin’ & Tumblin’
10. Julia
11. Honey Gold
12. Vegas Shuffle
13. Cold Old London
Deluxe Edition Bonus Tracks:
14. Who Designed The Snowflake (Paddy McAloon penned)
15. It Was A Very Good Year
16. I Don’t Want To Get Married

ian gillan and the javelins 28-9 ian gillan and the javelins open cd 28-9

Per quanto possa sembrare incredibile questa è la stessa band con cui Ian Gillan suonava e cantava cover più di 50 anni fa, agli inizi degli anni ’60, prima degli Epsode Six e ovviamente dei Deep Purple: si trattava di una band semiprofessionale, i Javelins (e tale sarebbe rimasta anche oggi, nelle parole dello stesso Gillan) che suonava nei locali nei dintorni di Londra e chi è sciolta già nel 1964. Il repertorio è quello pop, blues, soul e R&R dell’epoca, come si evince dal primo video che farebbe la gioia di Springsteen.

E dalla tracklist del CD, che verrà pubblicato dalla EarMusic il 28 settembre.

 1. Do You Love Me
2. Dream Baby (How Long Must I Dream)
3. Memphis, Tennessee
4. Little Egypt (Ying-Yang)
5. High School Confidential
6. It’s So Easy!
7. Save The Last Dance For Me
8. Rock and Roll Music
9. Chains
10. Another Saturday Night
11. You’re Gonna Ruin Me Baby
12. Smokestack Lightnin’
13. Hallelujah I Love Her So
14. Heartbeat
15. What I’d Say
16. Mona (I Need You Baby)

amy helm this too shall light 28-9

Al sottoscritto il precedente disco di Amy Helm era piaciuto moltissimo https://discoclub.myblog.it/2015/08/02/degna-figlia-tanto-padre-amy-helm-didnt-it-rain/. Questo nuovo si annuncia addirittura superiore dalla prime notizie che filtrano sul CD: d’altronde dalla figlia di Levon Helm e componente degli Ollabelle non mi aspetterei di meno. Registrato agli United Recording Studios di Los Angeles, quello dove i Beach Boys hanno registrato Pet Sounds, con la produzione di Joe Henry, che ha firmato anche alcuni nuovi brani con la stessa Amy, il disco pesca anche dal repertorio di Rod Stewart, T. Bone Burnett, Allen Toussaint, Robbie Robertson e dei Milk Carton Kids, ma contiene anche composizioni di MC Taylor ovvero Hiss Golden Messenger, Ted Pecchio dei Chris Robinson Brotherhood e della Tedeschi Trucks Band, oltre ad una rilettura del traditional Gloryland che il babbo Levon Helm aveva insegnato alla figlia.

La nuova etichetta per questo secondo disco solista della Helm This Too Shall Light è la Yep Rock, mentre la lista completa dei brani la trovate sotto, insieme ad un paio di estratti che confermano la bontà del disco.

1. This Too Shall Light
2. Odetta
3. Michigan
4. Freedom For The Stallion
5. Mandolin Wind
6. Long Daddy Green
7. The Stones I Throw
8. Heaven’s Holding Me
9. River Of Love
10. Gloryland

muscle shoals small town big sound 28-9

A proposito di studi di registrazione storici, sempre a fine settembre, su etichetta BMG, è in uscita anche questo Muscle Shoals Small Town Big Sound, che non è una compilation ma un nuovo disco tributo a quegli studios, ai grande musicisti che vi suonarono e ad alcune delle grandi canzoni che ne hanno fatto la storia.

Tutte nuove registrazioni, anche se non è ancora disponibile la lista completa dei musicisti che partecipano, tra quelli già noti alcuni sono interessanti, altri decisamente meno: Chris Stapleton, Willie Nelson, Lee Ann Womack, Jamey Johnson, Steven Tyler, Keb’ Mo’, Grace Potter, ma anche Demi Lovato e Aloe Blacc. Vedremo e soprattutto sentiremo.

1. Road of Love
2. I’d Rather Go Blind
3. Brown Sugar
4. Gotta Serve Somebody
5. I Never Loved A Man (The Way I Love You)
6. Snatching It Back
7. I’ll Take You There
8. Cry Like A Rainy Day
9. True Love
10. Come And Go Blues
11. Respect Yourself
12. Wild Horses
13. Mustang Sally
14. We’ve Got Tonight
15. Givin’ It Up For Your Love

tony joe white bad mouthin' 28-9

Sempre dal profondo Sud degli States, lui è della Louisiana, anche se tutti pensano venga dalla Georgia, arriva un nuovo album anche per Tony Joe White. Il nuovo disco, puree questo pubblicato dalla Yep Rock, è un misto di brani originali di White, cinque, che erano rimasti a lungo nel cassetto e da una serie di cover di blues dal repertorio di grandi artisti, tra gli altri Lightnin’ Hopkins, Muddy Waters, John Lee Hooker; quindi per l’occasione il classico swamp-rock del nostro si immerge profondamente nel blues. Voce sempre più vissuta e il classico sound indolente e pungente della chitarra di TJW, con qualche tocco aggiunto di armonica.

1. Bad Mouthin’
2. Baby Please Don’t Go
3. Cool Town Woman
4. Boom Boom
5. Big Boss Man
6. Sundown Blues
7. Rich Woman Blues
8. Bad Dreams
9. Awful Dreams
10. Down the Dirt Road Blues
11. Stockholm Blues
12. Heartbreak Hotel

linda thompson my mother doesn't know 28-9

Questo, come lascia intendere il titolo, non è un disco nuovo della ex moglie di Richard, nonché una delle più belle voci della scena musicale britannica: Linda Thompson Presents My Mother Doesn’t Know I’m On The Stage è un album che celebra il music hall inglese, attraverso una serie di registrazioni che verranno pubblicate dalla Omnivore Records, etichetta specializzata abitualmente soprattutto in ristampe. Quindi si tratta di brani che ruotano attraverso questo stile particolare che la Thompson ha sempre molto amato: Materiale registrato con famiglia e ospiti al seguito nel maggio del 2005 al Lyric Hammersmith di Londra, dove la nostra amica appare solo in due brani e quindi indirizzato a collezionisti incalliti o amanti del genere, per cui occhio. Interessante, ma molto di nicchia, anche se alcuni dei nomi presenti sono legati alla tradizione del folk britannico: da Bob Davenport Cara Dillon, Sam Lakeman e Jools Holland, anche James Walbourne, marito di Kami Thompson, la figlia più giovane di Richard e Linda, con cui milita nei Rails e anche l’altro fratello Teddy Thompson appare nel CD, come pure Martha Wainwright e il grande attore Colin Firth.

Ecco la lista completa delle canzoni e relativi interpreti:

1. I Might Learn To Love Him Later On (Tra-La-La-La) featuring Linda Thompson
2. Beautiful Dreamer featuring Martha Wainwright
3. My Mother Doesn’t Know I’m On The Stage featuring Colin Firth
4. London Heart featuring James Walbourne
5. Good-Bye Dolly Gray featuring Linda Thompson
6. I Wish You Were Here Again featuring Bob Davenport
7. A Good Man Is Hard To Find featuring Justin Vivian Bond
8. Here Am I Broken Hearted featuring Teddy Thompson
9. If It Wasn’t For The ‘ouses In Between (or The Cockney’s Garden) featuring John Foreman
10. Burlington Bertie From Bow featuring Teddy Thompson
11. The Lark In The Clear Air featuring Cara Dillon
12. Wotcher! (Knocked ‘Em In The Old Kent Road) featuring Roy Hudd
13. Brother, Can You Spare A Dime? featuring Teddy Thompson
14. Show Me The Way To Go Home Ensemble

joe strummer 001 28-9 joe strummer 001 deluxe 28-9

A dicembre saranno passati 16 anni dalla morte di Joe Strummer, quindi l’uscita di questo Joe Strummer 001 non pare commemorare nessun evento particolare, semplicemente sarà pubblicato il 28 settembre per la Ignition Records e raccoglierà, nelle intenzioni della etichetta, materiale estratto dalla carriera di Joe al di fuori dei Clash; quindi brani dei 101ers, dei Mescaleros, dagli album solisti, dalle colonne sonore e un album di materiale inedito. Ovviamente ci saranno vari formati: quella in doppio CD standard, che comunque conterrà tutte le canzoni, quella in 2 CD Deluxe, (molto) più costosa per via della confezione, con lo stesso libro formato A4 della Super Deluxe, ma con solo una piccola parte dei memorabilia della versione da ricchi, che costerà indicativamente oltre i 100 euro, e al cui interno troveranno posto anche un libro rilegato, 3 album in vinile, un singolo 7 pollici con 2 demo inediti e una musicassetta contenente l’U.S. North” – Basement Demo, due lyric sheets, la riproduzione della patente di guida californiana di Strummer e altre chicche varie.

Comunque ecco la lista completa dei brani delle varie edizioni, che nel doppio CD raccolgono in ogni caso le stesse canzoni.

[CD1]
1. Letsagetabitarockin (2005 Remastered Version) – The 101ers
2. Keys To Your Heart (Version 2) [2005 Remastered Version] – The 101ers
3. Love Kills – Joe Strummer
4. Tennessee Rain – Joe Strummer
5. Trash City – Joe Strummer & The Latino Rockabilly War
6. 15th Brigade – Joe Strummer
7. Ride Your Donkey – Joe Strummer
8. Burning Lights – Joe Strummer
9. Afro-Cuban Be-Bop – The Astro-Physicians
10. Sandpaper Blues – Radar
11. Generations – Electric Dog House
12. It’s A Rockin’ World – Joe Strummer
13. Yalla Yalla – Joe Strummer & The Mescaleros
14. X-Ray Style – Joe Strummer & The Mescaleros
15. Johnny Appleseed – Joe Strummer & The Mescaleros
16. Minstrel Boy – Joe Strummer & The Mescaleros
17. Redemption Song – Johnny Cash & Joe Strummer
18. Over The Border – Jimmy Cliff & Joe Strummer
19. Coma Girl – Joe Strummer & The Mescaleros
20. Silver & Gold / Before I Grow Too Old – Joe Strummer & The Mescaleros

[CD2]
1. Letsagetabitarockin’ – Joe Strummer
2. Czechoslovak Song / Where is England – Strummer, Simonon & Howard
3. Pouring Rain (1984) – Strummer, Simonon & Howard
4. Blues On The River – Joe Strummer
5. Crying On 23rd – The Soothsayers
6. 2 Bullets – Pearl Harbour
7. When Pigs Fly – Joe Strummer
8. Pouring Rain (1993) – Joe Strummer
9. Rose Of Erin – Joe Strummer
10. The Cool Impossible – Joe Strummer
11. London Is Burning – Joe Strummer & The Mescaleros
12. U.S.North – Joe Strummer & Mick Jones

[Seven-Inch Single]
1. This is England – 1984 July Demo – Previously Unreleased
2. Before We Go Forward – 1984 July Demo – Previously Unreleased

[Cassette: U.S. North Basement Demo]
1. Unreleased. Recorded 1986. Discovered in Joe’s cast cupboard.
2. Joe Strummer & Mick Jones: Vocals, Guitar, Drum Machine

chuck leavell chuck gets big 28-9

Ultima segnalazione scelta tra le tante uscite del mese di settembre (almeno quelle annunciate finora) è per il CD di Chuck Leavell With The Frankfurt Radio Big Band, già disponibile per il download digitale da giugno, verrò pubblicato su CD dalla BMG sempre il 28 settembre. Si tratta della registrazione di un concerto del 2011 tenuto in Germania, con una orchestra fiati, chitarra e sezione ritmica per un totale di 17 elementi sul palco: Chuck Gest Big rivisita il passato del grande tastierista americano andando a pescare nel repertorio di Allman Brothers, Sea Level Rolling Stones, oltre che dai suoi dischi solisti.

1. Route 66
2. King Grand
3. Losing Hand
4. Honky Tonk Woman
5. Living In A Dream
6. Blue Rose
7. Southbound
8. Tumbling Dice
9. Ashley
10. Statesboro Blues
11. Georgia On My Mind
12. Compared To What
Bonus Track:
13. Tomato Jam

Con questo è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

L’Airone Dell’Oklahoma Ha spiccato Il Volo, Con Un Grande Disco. Levi Parham – It’s All Good

levi parham it's all good

Levi Parham – It’s All Good – Horton Records/Continental Record Services

Il 23 luglio dello scorso anno mi trovavo a Pusiano, la bella località in provincia di Como dove da diversi anni si svolge il Buscadero Day, imprescindibile appuntamento per tutti gli appassionati di ottima musica rock. Ingolosito dal ricco cast previsto in cartellone, dal bravo e simpatico Joe D’Urso fino alle stelle della serata Alejandro Escovedo e Willie Nile, poco dopo le diciotto e trenta mi trovavo seduto sull’erba a godermi il sole e la piacevole brezza proveniente dal lago, quando un quartetto è salito sul palco, guidato da un magro spilungone con occhiali da sole e berretto con visiera. Sono bastati pochi accordi del primo pezzo per farmi provare autentici brividi di piacere, ancora più intensi perché inattesi. Così è stato per tutta la durata dell’esibizione di Levi Parham, che allora, colpevolmente, non conoscevo, come del resto quasi tutti i presenti. I brani eseguiti provenivano per lo più dal suo CD del 2016, These American Blues, prodotto dal compianto Jimmy LaFave (che si può definire a pieno titolo suo mentore e scopritore), dopo le due prove ancora acerbe ed autoprodotte, l’esordio An Okie Opera del 2013 e l’Ep Avalon Drive dell’anno seguente. Un’esibizione eccellente, quella del giovane songwriter originario di McAlester, piccola cittadina dell’Oklahoma, che ha conquistato la platea grazie ad un melange irresistibile di folk, rock e blues, scandito dalla sua voce ricca di sfumature, dalle sferzate elettriche dell’ottimo chitarrista che lo accompagnava e da una solida sezione ritmica.

Appena un mese dopo, Parham, rientrato negli States, ha avuto la geniale idea di raccogliere un gruppo di musicisti tra i più dotati della zona di Tulsa (tra cui i fratelli Jesse e Dylan Aycock, Paul Benjaman e John Fullbright, autori di buoni dischi in proprio) e di recarsi con loro al Cypress Moon Studio di Muscle Shoals in Alabama, dove sono nati tanti dischi leggendari, come quelli di Aretha Franklin o dei Rolling Stones, solo per fare due nomi. L’esito di quelle sessions di registrazione è ora qui nelle nostre mani e supera ogni rosea previsione. It’s All Good, così si intitola, è un disco splendido, uno dei migliori usciti quest’anno (e lo sarà fino alla fine, ne sono certo) in quanto possiede un sound ed un livello di composizione capace di rinverdire i fasti di grandi album del passato che abbiamo consumato, come Dixie Chicken dei Little Feat o Layla di Derek & The Dominoes. Un suono che trasuda di umori southern in ogni nota, basato sulle chitarre, con l’uso della slide sempre in primo piano, ma impreziosito dal sapiente uso delle tastiere e dal sax. L’apertura è affidata a Badass Bob, già presentata dal vivo a Pusiano, che parte pigra e lenta come lo scorrere del Mississippi vicino al delta, animandosi gradualmente fino al bell’assolo centrale, mentre Levi passa con disinvoltura dai toni sommessi a quelli aggressivi, evocando il fantasma di Lowell George. La tensione aumenta in Borderline, drammatica storia di confine, in cui la fuga del protagonista nel finale del pezzo viene enfatizzata dal continuo ed esaltante sovrapporsi delle chitarre suonate da Dustin Pittsley e dai già citati Paul Benjaman e Jesse Aycock in un crescendo tipico delle southern rock bands. Il blues, torrido e viscerale, domina nella seguente Turn Your Love Around, lenta, sofferta e incendiata da un sontuoso assolo di slide  mentre Parham offre un’interpretazione vocale da brivido, sostenuto dalle due coriste, Lauren Barth e Lauren Farrah.

My Finest Hour è uno dei vertici assoluti dell’album, sembra il punto d’incontro tra Jackson Browne e Gregg Allman, partendo come una ballad di chiaro stampo californiano e  trasformandosi poi in una jam session dove ciascuno dei musicisti presenti offre il proprio contributo nel creare un seducente magma sonoro. Gli Stones di Exile On Main Street si candidano come maggior fonte d’ispirazione per la ruspante Boxmeer Blues, in cui Fullbright si mette in luce con un delizioso assolo di piano elettrico e hammond, prima di lasciare spazio alle chitarre. La suadente Shade Me è invece il più evidente tributo pagato da Parham & soci all’eterna e infinita eredità beatlesiana, melodia splendida e chitarre che citano George Harrison o il Clapton di Derek & The Dominos, se preferite. Heavyweight non è inedita, bensì il rifacimento di un brano tratto da An Okie Opera, il disco d’esordio di Levi. Questa nuova versione ne accentua la componente blues e la devozione del suo autore per i mitici Little Feat, sentire per credere l’uso della slide e del piano. Kiss Me In The Morning è l’ennesima riprova del talento di Parham, arricchita da un bell’intervento del sax di Michael Staub, come pure la successiva title.track,  che mantiene quelle indolenti cadenze blueseggianti che tanto abbiamo amato nei capolavori degli anni settanta della band di Lowell George. C’è spazio ancora per un ultimo brano, All The Ways I Feel For You, un’oasi acustica che non guasta dopo tanti riff elettrici, una intensa e delicata love song eseguita col giusto pathos in assoluta soitudine. Levi Parham con questo It’s All Good si conferma uno dei più validi cantautori dell’attuale scena americana, non è più una promessa ma un’esaltante realtà, ascoltare per credere!

Marco Frosi

 *NDB Il disco sta uscendo un po’ a macchia di leopardo in giro per il mondo: in Europa su CRS è già stato pubblicato il 25 maggio, in Inghilterra uscirà l’8 giugno e il 15 giugno negli USA su Horton Records, l’etichetta per cui hanno inciso album anche molti dei musicisti usati da Levi e che vale la pena di esplorare.

Adesso E’ Giunta L’Ora Di Scrivere Un Po’ Per Sé Stessi! James LeBlanc – Nature Of The Beast

james leblanc nature of the beast

James LeBlanc – Nature Of The Beast – Dreamlined/Red CD

James LeBlanc, oltre ad essere il padre di Dylan LeBlanc (un giovane e promettente musicista che ha già qualche disco all’attivo http://discoclub.myblog.it/2010/08/24/giovani-virgulti-crescono-1-dylan-leblanc-paupers-field/ ) è anche un affermato autore per conto terzi, avendo scritto diverse canzoni per nomi di punta a Nashville come Jason Aldean, Martina McBride, Gary Allan e Travis Tritt (il cui successo da Top Ten Modern Day Bonnie & Clyde porta proprio la firma di LeBlanc). Originario di Shreveport, Louisiana, James ha anche un album al suo attivo, Muscle Shoals City Limits (2003), ma in generale ha sempre preferito restare nelle retrovie e sbarcare il lunario con il remunerativo lavoro di songwriter su commissione. Ora però ha finalmente deciso di mettere fuori la testa e dare un seguito al suo ormai lontano primo album, ed il risultato finale è talmente riuscito che mi chiedo perché avesse aspettato così tanto. Nature Of The Beast, nel quale LeBlanc raccoglie alcune canzoni da lui scritte ma tenute nei cassetti, non sembra infatti il lavoro di uno che non ha quasi mai inciso a suo nome, ma bensì è il prodotto di anni di esperienza come songwriter e di frequentazioni di musicisti più o meno noti e di studi di registrazione dove si respira aria di leggenda (per esempio era di casa ai Muscle Shoals Studios, dove ha inciso il primo disco, mentre questo è stato registrato a Sheffield, sempre in Alabama).

Nature Of The Beast non è un disco country, almeno non come uno si potrebbe aspettare: il country c’è, ma è usato quasi da sfondo alle ballate profonde del nostro, canzoni lente, meditate ma piene di feeling e mai noiose. Un tipico disco da cantautore, più che da countryman, registrato con la produzione di Jimmy Nutt (che come ingegnere del suono ha lavorato anche con Jimmy Buffett e Jason Isbell) e vede in studio con lui un numero di musicisti non estesissimo ma di alto livello, tra i quali il figlio Dylan ed il grande bassista della gang di Muscle Shoals David Hood. Il disco inizia con la title track, lenta, crepuscolare, con la chitarra arpeggiata e la voce profonda di James ad intonare un motivo intenso, drammatico e di grande pathos: prendete le cose migliori di Calvin Russell, levategli un po’ di polvere texana ed avrete un’idea. Mean Right Hand è un brano full band, ma anche qui l’accompagnamento è discreto, nelle retrovie, in modo da mettere in primo piano la melodia e la voce, una bella canzone con agganci anche allo Springsteen di Tom Joad; My Middle Name è ancora lenta, ma la batteria scandisce il tempo in maniera netta e c’è una chitarra elettrica che ricama alle spalle del leader, un altro pezzo di buona intensità, da cantautore più rock che country. Yankee Bank è più ricca dal punto di vista strumentale, è sempre una ballata ma con maggiore energia ed un bell’intreccio di chitarra, steel ed organo, oltre ad un motivo di prima qualità.

LeBlanc si conferma un songwriter di vaglia, ma dimostra di essere anche un performer di livello. Bottom Of This è una country song, sempre lenta e malinconica, ma dallo script solidissimo ed ottimo lavoro di piano e steel, Answers (scritta dal figlio Dylan) dà una scossa al disco, il ritmo è più sostenuto e la chitarra elettrica è in primo piano, oltre ad un refrain che prende all’istante, mentre I Ain’t Easy To Love è un altro brano spoglio ma di grande carattere, e qui l’arma in più è la seconda voce femminile di Angela Hacker, fidanzata di James ed artista per conto suo. Una splendida steel (Wayne Bridge) ci introduce alla lenta Nothing But Smoke, dove LeBlanc ha sicuramente fatto tesoro della lezione di Willie Nelson: l’ennesimo slow, ma la noia è bandita; bella anche Anchor, distesa, fluida e con la solita melodia di prim’ordine, tra le migliori del CD, mentre 4885 inizialmente vede il nostro in quasi totale solitudine, poi dalla seconda strofa entra il resto della band, anche se James se la cavava comunque anche con pochi strumenti attorno. L’album si chiude con la vibrante Coming Of Age, più mossa ma sempre senza andare sopra le righe, e con la deliziosa cover di Beans, un vecchio brano di Shel Silverstein che qui è un honky-tonk con arrangiamento di altri tempi ed un bel ritornello corale, un finale in allegria e dunque in decisa controtendenza.

Per quanto mi riguarda James LeBlanc può pure continuare a scrivere per altri, ma se quando incide a suo nome il livello è questo, mi auguro che non faccia passare altri 14 anni prima del prossimo disco.

Marco Verdi

Tra Texas, Alabama E Più Di Uno Sguardo Al Passato! Paul Cauthen – My Gospel

paul-cauthen-my-gospel

Paul Cauthen – My Gospel – Ligthning Rod CD

Esordio sorprendente per un giovanotto texano di ottime speranze: Paul Cauthen è un musicista cresciuto a pane ed outlaw country, ma nel suo background troviamo anche soul, rhythm’n’blues e gospel dell’Alabama, ed il titolo del suo debut album, My Gospel, è sintomatico. Ma Paul non si è limitato ad ispirarsi a certe sonorità classiche degli anni sessanta e settanta, ma è proprio andato sul luogo del delitto: gran parte di My Gospel, infatti, è stato inciso ai leggendari FAME Studios di Muscle Shoals (oltre a Los Angeles e Dallas), un posto che ha visto nascere alcune tra le più belle pagine della musica americana ed i cui muri trasudano storia (si fa prima a citare chi non ci è passato, ma l’elenco sarebbe talmente lungo che occuperebbe lo spazio di due recensioni, faccio solo cinque nomi: Aretha Franklin, Otis Redding, Duane Allman, Don Covay, Solomon Burke), e lo ha fatto non con musicisti locali, ma usando gente conosciuta da lui (anche se all’organo in un brano c’è il grande Spooner Oldham), ricreando però le sonorità e le atmosfere di quaranta-cinquanta anni fa, con l’aiuto del giovane ma valido produttore Beau Patrick Bedford.

La base di partenza è country, ma l’uso di cori, organo e pianoforte danno a parecchie canzoni (tutte scritte da Cauthen) un feeling decisamente sudista, e la bravura nel nostro nell’interpretarle con buona dose di feeling fa il resto, facendo di My Gospel un disco che non sembra affatto un’opera prima, ma il frutto di anni di lavoro di un artista già esperto. Still Drivin’ apre il CD con un puro outlaw sound, dalla vocalità del nostro (molto Waylon), al ritmo, all’approccio ruvido e chitarristico, un brano tosto e vibrante ma nel contempo accessibile, ancora senza contaminazioni sudiste. La spedita I’ll Be The One cambia subito registro, assumendo toni errebi molto sixties, con una melodia gradevolissima ed uno sviluppo che va via fluido come un treno: ci sono vaghe somiglianze con Nathaniel Rateliff, anche se qua c’è più soavità e meno forza; As Young As You’ll Ever Be è tutta costruita attorno ad un motivo molto southern ed una strumentazione parca, con ottimi inserti di pianoforte ed un’atmosfera decisamente soulful.

Grand Central è uno slow intimo ma dal grande pathos con un arrangiamento d’altri tempi, un country-soul molto bello, splendidamente anni settanta ed un leggero tocco gospel, una piccola grande canzone in poche parole; Saddle sta giusto a metà tra outlaw country e southern soul, un mix stimolante e di sicuro impatto, mentre Once You’re Gone è una bellissima ballata country & western, ancora legata a sonorità classiche ed una melodia emozionante (splendido l’uso del pianoforte da parte dello stesso produttore Bedford). Marfa Lights è più interiore, non è male ma è quella finora di minore impatto, anche se come arrangiamento siamo dalle parti giuste; Be There Soon (il pezzo con Oldham) è puro gospel, di elevata intensità e con un coro femminile che dialoga alla grande con Paul, mentre Hanging Out On The Line, pur mantenendo anch’essa elementi gospel, è più mossa e diretta, con un refrain di grande bellezza. L’album, una bella sorpresa per feeling e creatività, si chiude con la country ballad pianistica Let It Burn, ancora caratterizzata da un motivo decisamente riuscito, e con la title track, un finale perfetto, un pezzo da brividi cantato in maniera magnifica e con il solito splendido coro, una delle più belle del disco.

Se Paul Cauthen è già a questi livelli nell’album d’esordio, è lecito aspettarsi grandi cose nel prossimo futuro, ed il fatto che sia texano mi fa pensare che non resteremo delusi.

Marco Verdi

Un “Piccolo” Grande Tributo! Do Right Men: A Tribute To Dan Penn And Spooner Oldham

do-right-men-a-tribute-to-dan-penn-and-spooner-oldham

Do Right Men:  A Tribute To Dan Penn And Spooner Oldham  – Zip City Records/Tone In Motion

Nel corso del 2016 c’è stato un vero florilegio di pubblicazioni discografiche concernenti tributi agli artisti più disparati: dallo splendido Day Of The Dead ai recenti volumi dedicati a Jerry Garcia, Dr. John e Emmylou Harris. Mentre per la categoria “minori”, ma solo perché i nomi coinvolti non sono di primissimo piano (per quanto sia da vedere) e la etichetta è minuscola, la Zip City Records che pubblica questo Do Right Men, che parafrasa una delle più note canzoni dei due autori che vengono omaggiati in questo CD, e cioè Dan Penn e Spooner Oldham: la canzone ovviamente è Do Right Man, Do Right Woman (la versione “colossale” è quella di Aretha Franklin). Non sempre le canzoni sono scritte solo dai due, nello specifico quella appena citata porta la firma di Chips Moman con Dan Penn, ma i due ne hanno scritte veramente tantissime, una più bella dell’altra. In questo Do Right Men ne troviamo 17, e nel disco cantano (e suonano) anche alcuni dei luminari assoluti della musica del Sud degli States. L’album è stato inciso in vari piccoli studi, evidentemente in base ai budget disponibili, ma come ricorda Dick Cooper, “custode storico” dei Muscle Shoals, lo spirito che si respira è quello delle grandi canzoni che in 50 anni di carriera ci hanno regalato Penn e Oldham, con nuove versioni create per l’occasione.

Vediamo chi c’è, sia come canzoni che come musicisti: si apre con una versione acustica di I’m Your Puppet, uno dei primi brani scritti dalla coppia, cantato in origine da James & Bobby Purify (ma anche da Marvin Gaye e Tammi Terrell, e molti altri), qui la canta Buddy Causey, uno degli “originali” dei Muscle Shoals, tra country e blue-eyed soul, di recente con problemi di salute, e che quindi canta con un filo di voce, ma con tonnellate di feeling, una versione acustica, solo chitarra e il magico Wurlitzer di Spooner Oldham. A dispetto dell’età invece Bonnie Bramlett (proprio quella di Delaney & Bonnie) ha ancora una voce della Madonna, e lo dimostra in una versione potente della hit dei Box Tops, Cry Like A Baby, in coppia con Christine Ohlman, al basso Shonna Tucker, l’ex Drive-by Truckers; primo colpo al cuore con una versione magnifica di Dark End Of The Street, una delle più belle canzoni soul di tutti i tempi nella versione di James Carr, la canta Russell Smith dei grandissimi Amazing Rhythm Aces (una band che negli anni ’70 era seconda solo alla Band e ai Little Feat nell’ambito rock americano), la voce è ancora magica, e il basso di David Hood e il Wurlitzer di Oldham ci riportano a quell’era magnifica. Jackson Highway era l’indirizzo degli studi Muscle Shoals a Sheffield, ma anche il nome di una band sudista dove suonano i fratelli Dennis & Russell Gulley, Johnny Neel alle tastiere e un ottimo Britt Meachum alla slide, Battle Cry è un pezzo recente, del 2002, scritto per loro da Penn/Oldham e Donnie Fritts, ragazzi se viaggiano.

Altro capolavoro assoluto, A woman left lonely, scritta per Janis Joplin, e qui cantata in modo splendido da uno dei secreti meglio custoditi (purtroppo) della musica americana, Kate Campbell, una southern ballad colossale. In You Really Know How To Hurt A Guy, eseguita dai Brambleman Allstars, il nome più noto è Gary Talley, che era la chitarra solista dei Box Tops, ma la canzone si trova in varie compilation della Fame, cantata da Jimmy Hughes, versione discreta, mentre Sandy Jackson non la conosco, anche se dovrebbe essere parente di Jimmy Johnson, e nella buona versione di Do Right Man, Do Right Man ci sono anche Billy Earheart degli Amazing Rhythm Aces, oltre a Hood e Johnson, ovviamente la versione di Aretha rimane inarrivabile. Mark Narmore, se la cava egregiamente con una versione gospel di I Met Her In Church, come pure l’altrettanto sconosciuto (per me) Marc Phillips, alle prese con Uptight Good Woman, che in originale cantava Solomon Burke. Viceversa la versione di You Left The Water Running è splendida, voce solista Jimmy Hall dei Wet Willie, alla chitarra Steve Cropper, e scusate se è poco! Out Of Left Field la canta con immutata intensità Donnie Fritts, ancora in grande spolvero, con Zero Willpower scritta dal magico trio Penn/Oldham/Fritts per Irma Thomas cantata qui da Ron Williams e Charlie Burgin (scomparso proprio in questi giorni), voce soul autentica e anche Debbie Blond per la sua versione di Sweet Inpiration se la cava, anche se l’originale…Lonely Women Make Good Lovers cantata da Shonna Tucker evidenzia gli elementi più country dei compositori, molto gradevole comunque. Travis Wammack ci dà dentro di brutto per una Too Rock For Country, scritta da Dan Penn con Lonnie Mack e a chiudere Hello Memphis di Albert Junior Lowe, uno swamp blues rock di buona fattura. Ho saltato Is A Bluebird Blue? di tali Nmbr 11 di cui non si sentiva la mancanza. Per il resto un piccolo gioiellino da cercare assolutamente, con tutte le canzoni che hanno scritto potrebbero farci un’altra ventina di tributi.

Bruno Conti

Il Ritorno (E Forse Commiato) Di Un Grande! Donnie Fritts – Oh My Goodness

donnie fritts oh my goodness

Donnie Fritts – Oh My Goodness – Single Lock CD

Donnie Fritts, ultrasettantenne musicista dell’Alabama, è un pezzo di storia della musica. Sessionman, tastierista, autore, Fritts è stato, dalla fine degli anni sessanta in poi, tra i maggiori responsabili del mitico Muscle Shoals Sound, dal nome dei famosi studi di Sheffield (Alabama) dai quali è passata la crema del rock americano e non, insieme a luminari del calibro di Dan Penn, Billy Sherrill, David Briggs, Robert Putnam, Jerry Wexler, Spooner Oldham, Tony Joe White, David Hood e Barry Beckett, solo per citare i più noti, un suono caldo con marcati elementi soul ed un grande uso dell’organo, con variazioni talvolta funky, talvolta quasi country, sound che all’epoca diventò un vero marchio di fabbrica. Come pianista ed organista il suo nome è legato a doppio filo a quello di Kris Kristofferson, per il quale ha suonato per circa quarant’anni, mentre come autore ha scritto, da solo o in coppia con altri, alcuni brani diventati dei veri e propri classici, tra cui Adios Amigos (Arthur Alexander), Breakfast In Bed (Dusty Springfield) e soprattutto, insieme a Troy Seals (un’altra mezza leggenda), We Had It All, incisa per primo da Waylon Jennings ma in seguito anche da gente come Ray Charles, Willie Nelson, Rolling Stones (è nella ristampa deluxe di Some Girls https://www.youtube.com/watch?v=4mJ6aZ3Bj7c ), Rod Stewart e Dolly Parton, oltre ad essere stata suonata dal vivo per una trentina di volte da Bob Dylan durante la sua tournée con Tom Petty negli anni ottanta.

Fritts non ha inciso molto a suo nome, solo tre dischi in quaranta anni (Prone To Lean nel 1974, l’ottimo Everybody’s Got A Song nel 1997, con ospiti del calibro di John Prine, Willie Nelson, Waylon, Kristofferson, Tony Joe White e Delbert McClinton, e One Foot In The Groove nel 2008), e pertanto questo nuovissimo Oh My Goodness, uscito un po’ a sorpresa, è da considerarsi un piccolo evento, impreziosito dal fatto che il disco risulta decisamente buono. Donnie ha prodotto l’album insieme al tastierista Ben Tanner ed a John Paul White, ex dei Civil Wars https://www.youtube.com/watch?v=GYBaUU34iy4 , il quale ha fatto un lavoro eccelso, mettendo la voce di Fritts (non perfetta, ma particolare e comunicativa sì) al centro di tutto, e rivestendola con pochi e selezionati strumenti, lasciando uscire quindi l’essenza delle canzoni. Un disco composto per lo più da ballate, arrangiate in maniera semplice e classica, e che mette spesso da parte l’elemento sudista (sempre comunque presente) in favore di un’atmosfera più intimista, risultando certamente tra i lavori di Donnie quello più personale (i brani sono quasi tutti scritti da lui, alcuni decenni fa e alcuni oggi, ma c’è spazio anche per qualche selezionata cover).

Anche gli ospiti speciali (e ce ne sono: John Prine, Brittany Howard degli Alabama Shakes, le Secret Sisters, ovvero Laura e Lydia Rogers, Jason Isbell ed il chitarrista Reggie Young) non si prendono mai il centro della scena, ma si mettono a completa disposizione delle canzoni, rendendo il giusto omaggio ad un musicista d’altri tempi. L’album si apre con Errol Flynn, una canzone poco nota di Amanda McBroom, una toccante ballata dall’arrangiamento spoglio ma di grande effetto, solo un wurlitzer, la chitarra acustica, qualche fiato e la voce vissuta di Donnie https://www.youtube.com/watch?v=4Fj5NXCQJy0 . La splendida If It’s Really Gotta Be This Way, di Donnie e Arthur Alexander https://www.youtube.com/watch?v=4ELdcxo9Px0 , rivive in questa nuova versione, con la melodia eccellente che spicca in mezzo ad un arrangiamento di grande impatto emotivo, con un bel quartetto d’archi che aggiunge il giusto pathos. Memphis Women And Chicken è un noto brano di Fritts e Dan Penn, e qui il caldo suono dell’Alabama fa finalmente la sua comparsa, un country-blues elettrico dal timbro decisamente sudista e con la chitarra “paludosa” di Bryan Farris; The Oldest Baby In The World, scritta dal nostro insieme a Prine (che suona anche l’acustica) è una folk ballad pura, che ha il passo e lo stile del grande cantautore di Chicago, alla quale il piano elettrico di Donnie aggiunge l’”Alabama touch”.

Tuscaloosa 1962 è una gustosa rock song rurale, sullo stile delle ultime cose di Levon Helm, con graditi interventi di Isbell alla slide; Them Old Love Songs, solo voce, piano, basso e le sorelle Rogers, è un altro lento pieno d’anima, cantato con feeling dalla voce quasi spezzata del nostro, mentre Foolish Heart (di Jesse Winchester), sempre guidata dal wurlitzer di Donnie, è trasformata in un pezzo quasi dixieland grazie al sapiente uso dei fiati. Lay It Down è la signature song del semisconosciuto Gene Thomas (ed incisa tra gli altri da Waylon e dagli Everly Brothers), ed è un’ altra emozionante slow tune: è anche il brano tra tutti con più strumenti (chitarre, archi, fiati), ma usati con senso della misura e grande classe https://www.youtube.com/watch?v=gtmfPKwgKmg ; la mossa Good As New dà un po’ di verve ad un album che predilige i ritmi lenti (ottima qui la parte strumentale); Temporarily Forever Mine, una canzone del bravo Paul Thorn, è un altro slow suonato in punta di dita e cantato in maniera diretta. Il CD si chiude con la grintosa e ritmata Choo Choo Train (*NDB: si tratta del celebre brano dei Box Tops di Alex Chilton, scritta con Eddie Hinton) e la toccante title track, solo Donnie alla voce ed il vecchio compare Spooner Oldham al piano, un finale di sicuro effetto.

Dai ringraziamenti stampati nel libretto interno al disco sembrerebbe che Oh My Goodness possa essere l’ultimo lavoro per Donnie Fritts (ed è credibile vista l’età e la regolarità con cui incide): se così fosse, sarebbe il migliore dei commiati.

Marco Verdi

Fabrizio Poggi & Chicken Mambo, Concerto A Milano Il 10 Gennaio E Supplemento Best 2014

fabrizio foggi milano blues 89fabrizio poggi spaghetti juke joint

Nella lista dei migliori dischi “italiani” del 2014 ovviamente c’era anche questo Spaghetti Juke Joint di Fabrizio Poggi con i suoi Chicken Mambo http://discoclub.myblog.it/2014/11/03/quindi-abbiamo-inventato-anche-il-blues-fabrizio-poggi-chicken-mambo-spaghetti-juke-joint/ , ma per varie ragioni (problemi tecnici del PC e altri motivi che ora vi dico) non è rientrato nei vari elenchi dei migliori, come pure la sua lista. Approfittando del fatto che avevo comunque intenzioni di segnalarvi il concerto che Fabrizio terrà a Milano questa settimana, sabato 10 gennaio, allo Spazio Teatro 89 (ormai zona di conquista per le band di Pavia e dintorni, in questo caso Voghera) nell’ambito della rassegna Milano Blues 89, di cui potete leggere gli altri partecipanti nella locandina raffigurata ad inizio Post), rimedio alla mancanza pubblicando le sue liste dei Best of 2014, ovviamente incentrate sul Blues e dintorni (* NDB. alcuni sono anche tra i miei preferiti dell’anno del genere, come potete verificare nei link):

DISCHI – (LUCKY 13)
charlie musselwhite juke joint

-Charlie Musselwhite – Juke Joint Chapel  Anche se è uscito nel 2013! Gran disco però http://discoclub.myblog.it/2014/01/14/tre-consecutivi-meglio-dellaltro-charlie-musselwhite-juke-joint-chapel/

tommy castro the devil

-Tommy Castro & The Painkillers – The Devil You Know

too slim blue heart

-Too Slim And The Taildraggers – Blue Heart  Pure questo sarebbe del 2013 http://discoclub.myblog.it/2013/07/10/di-nuovo-lo-smilzo-too-slim-the-taildraggers-blue-heart-5501/

keb mo bluesamericana

-Keb’ Mo’ – Bluesamericana http://discoclub.myblog.it/2014/06/08/il-titolo-del-disco-dice-keb-mo-bluesamericana/

ronnie earl good news

-Ronnie Earl & The Broadcasters – Good News  http://discoclub.myblog.it/2014/07/12/ottimo-ed-abbondante-ronnie-earl-and-the-broadcasters-good-news/

bobby rush decisions

-Bobby Rush With Blinddog Smokin’ – Decisions http://discoclub.myblog.it/2014/07/19/otis-senpre-laltro-bobby-rush-with-blinddog-smokin-decisions/

walter trout blues came

-Walter Trout – The Blues Came Callin’  http://discoclub.myblog.it/2014/05/19/disco-la-vita-walter-trout-the-blues-came-callin/

selwyn birchwood don't call

-Selwyn Birchwood – Don’t Call No Ambulance  http://discoclub.myblog.it/2014/06/14/piccoli-alligatori-pettinature-afro-selwyn-birchwood-dont-call-ambulance/

john mooney son & moon

-John Mooney – Son And Moon

rob paparozzi

-Rob Paparozzi And The Ed Palermo Big Band – Electric Butter A Tribute To Paul Butterfield And Michael Bloomfield

eric bibb blues people

-Eric Bibb – Blues People  di questo colpevolmente non ho parlato ma è li tra i “sospesi” da recuperare, altro gran bel disco

levon helm midnight ramble 3

-Levon Helm Band – The Midnight Ramble Sessions Vol. 3

regina carter southern comfort

-Regina Carter – Southern Comfort  http://discoclub.myblog.it/tag/regina-carter/

RISTAMPE:
allman brothers 1971 fillmore east
Allman Brothers Band The 1971 Fillmore East Recordings
LIBRI:
please be with me duane allman
Please Be with Me: A Song for My Father, Duane Allman di Galadrielle Allman
CONCERTI:
-2014 Blues Music Awards – Memphis  Tennessee
-2014 Porretta Soul Festival – Guitar Shorty / Anthony Paule & Frank Bey
-2014 Aglientu Summer Blues Festival – Charlie Musselwhite
-2014 Piacenza Blues Festival – Royal Southern Brotherhood
-2014 King Biscuit Blues Festival – Helena Arkansas
FILM:
muscle shoals
Muscle Shoals
Fabrizio Poggi
Questo è tutto, comunque segnatevi sull’agenda, sullo smartphone, nel PC, su un pezzo di carta, dove vi capita: sabato 10 gennaio Spazio Teatro 89, Via F.lli Zoia 89 Milano, concerto di Fabrizio Poggi & Chicken Mambo, una bella serata blues. Fine dello spottone!
Bruno Conti