Piacevole E Solare, Ma… Jack Johnson – All The Light Above It Too

jack johnson all the light above it too

Jack Johnson – All The Light Above It Too – Brushfire/Republic/Universal       

Jack Johnson è un cantautore ed (ex) surfista, o così riportano le sue biografie, anzi cantautore, surfista, musicista, attore, produttore, documentarista, abbiamo dimenticato qualcosa? Ecologista e impegnato con la moglie Kim in varie iniziative benefiche: in pratica un “santo”. Ma anche lui ha le sue debolezze, per esempio il surf: di fronte all’invito di un amico che gli proponeva di andare a fare del surf alle isole Marshall, ha rinviato l’uscita del nuovo album All The Light Above It Too, che era prevista per giugno, e a un certo punto ha rischiato addirittura di essere cancellato. Poi è stato pubblicato ed è arrivato “solo” al 5° posto delle classifiche americane (quelli precedenti erano abbonati al primo posto, o al limite al secondo o al terzo); può essere che abbia contribuito un maggiore impegno politico nei testi del disco, accanto alle critiche sui guai del mondo come l’inquinamento, soprattutto dei mari, il riscaldamento globale e altre cause sociali a cui Johnson è sempre stato legato, l’arrivo di Trump non poteva passare inosservato, un presentatore di reality televisivi diventato presidente degli Stati Uniti, così lo chiama il musicista hawaiano.

JackJohnsonHillary-Walsh-1480x832

https://www.youtube.com/watch?v=FfSXmbAGl8A

In effetti il buon Jack vive sempre con la famiglia (beato lui) nel nord di Ohau, una delle isole Hawaii, dove è nato, e non credo abbia particolari problemi economici e quindi la sua musica, come sempre, ha quell’aura, quella patina, gioiosa e leggera, direi solare, che ne ha sempre caratterizzato lo stile musicale, un rock che comunque è sempre preceduto da un prefisso, soft rock, folk rock, acoustic rock, surf rock, che fa sì che piaccia un po’ a tutti, forse senza mai entusiasmare la critica: forse, non a caso, il miglior disco della sua carriera viene considerato a livello critico il Live Best Of Kokua Festival, che era quello però che prevedeva la presenza di una sfilza di ottimi musicisti come ospiti,  Willie Nelson, Eddie Vedder, Ben Harper, Jackson Browne, Dave Matthews, Tim Reynolds, Taj Mahal, Ozomatli, e molti altri. Il sottoscritto appartiene alla categoria degli ascoltatori “tiepidi”: in generale non mi dispiace, alcuni brani li apprezzo più di altri, ma non rientra tra i miei preferiti. E questo nuovo album non farà nulla per farmi cambiare parere; come al solito un buon disco, prodotto da Robbie Lackritz, con lo stesso Jack Johnson che suona quasi tutti gli strumenti, chitarre, piano, batteria, con l’aiuto di un paio di altri musicisti, Adam Topol e Merlo Podlewski,  che con l’immancabile presenza di Zach Gill, piano e fisarmonica, costituiscono da tempo la Jack Johnson Band. Subplots che apre l’album è una delle gentili ballate che caratterizzano la sua discografia, una produzione, nitida e ben delineata, che mette in evidenza la bella voce di Johnson, le sue melodie accattivanti , il sound elettroacustico ispirato dai cantautori classici degli anni 70, mentre You Can’t Control It, l’unica firmata insieme a Zach Gill (che suona anche la fisarmonica) ha quel leggero ritmo caraibico, più mosso, ricco di percussioni, che lo avvicina vagamente a Jimmy Buffett, con una chitarra elettrica che vivacizza il suono, sempre molto gradevole https://www.youtube.com/watch?v=lv1mhhvOyII .

jack-johnson-all-the-light-above-it-too-uk-tour-2018-702x336

https://www.youtube.com/watch?v=bXiPDy4VQLY

Sunsets For Somebody Else ha quel tocco più folk, più intimo, delicato e lezioso, che si apprezza nei brani più malinconici di Johnson ed è il secondo singolo dell’album; My Mind Is For Sale è la prima delle due canzoni “dedicate” a Donald Trump, c’è una certa urgenza nella musica e nei testi che viene a turbare il consueto aplomb di Jack, a cui evidentemente “le balle girano” (con moderazione), come nella famosa canzone di Paolo Conte dedicata a Bartali https://www.youtube.com/watch?v=Q3REipDpxNQ . Daybreaks per quanto piacevole è comunque uno dei classici brani irrisolti del nostro, che non decolla mai, con Big Sur, un filo più briosa grazie alle acustiche arpeggiate e alle percussioni di Topol, per poi passare a una Love Song #16, solo voce e chitarra elettrica appena accennata, che appare più un demo che una canzone compiuta. Meglio Is One Moon Enough?, con un mandolino sullo sfondo (forse un ukulele?) e una melodia più delineata, deliziose armonie vocali e la solita dolcezza dei brani migliori del cantautore americano, che ritorna ad occuparsi del Donald in Gather, un brano che grazie alla sua costruzione sonora più complessa e “funky” è stato accostato a certi brani di Beck, non mi fa impazzire, ma la musica si anima più del solito. Conclude Fragments, il brano tratto dal film Smog Of The Sea, una sorta di ninna nanna dolente sui problemi dei “suoi” mari. Tre stellette, un sei di stima, ma può fare meglio.

Bruno Conti

*NDB Al momento c’è un problema tecnico nel Blog (che ovviamente non dipende da me) per cui i video non li potete vedere direttamente all’interno dei Post (quelli nuovi), ma dovete cliccare sul link ed andarli a vedere su YouTube.

Quando Il Vintage Diventa Alternativo! JD McPherson – Undivided Heart And Soul

jd mcpherson undivided heart & soul

JD McPherson – Undivided Heart And Soul – New West CD

Terzo album con incluso cambio d’etichetta (la New West, dopo i primi due lavori targati Rounder) per JD McPherson, giovane musicista originario dell’Oklahoma ma da tempo residente a Nashville. Nonostante risieda nella capitale del Tennessee, e sia anche andato ad incidere il suo nuovo album nel leggendario RCA Studio B (un pezzo di storia, dentro ci sono passati tra gli altri Chet Atkins, Ernest Tubb, Don Gibson, Jim Reeves, Porter Wagoner, Willie Nelson e, last but nor least, Elvis Presley), McPherson non fa country, non ne è neppure lontanamente influenzato. Infatti la sua musica è una originalissima miscela di sonorità rock’n’roll anni cinquanta, surf music, pop in perfetto stile sixties ed anche garage music, il tutto mescolato ad arte e condito con melodie di stampo moderno. JD (che sta per Jonathan David) non assomiglia a nessuno, fa la sua musica ed album dopo album è riuscito nell’intento di far parlare di sé: Undivided Heart And Soul è il suo nuovo disco, un lavoro che riunisce in undici canzoni tutte le caratteristiche del nostro, con la produzione di Dan Molad, da tempo collaboratore dei Lucius (e metà del gruppo di Brooklyn è presente, nelle persone di Jess Wolfe e Holly Laessig).

Un album fresco, pimpante, creativo e, per una volta, originale, anche se fa un po’ di tristezza dover constatare che per essere fuori dal coro bisogna tornare alla musica di cinquanta e passa anni fa. JD può inoltre contare su di una band molto solida che ha i suoi punti di forza nella chitarra di Doug Corcoran e nelle tastiere di Raynier Jacildo, ma anche la sezione ritmica formata da Jimmy Sutton e Jason Smay non si tira certo indietro. Il disco inizia con la roccata Desperate Love, un brano coinvolgente, ritmato e con un feeling da garage band anni sessanta, voce sicura ed attenzione dell’ascoltatore già catturata fin dal principio. Crying’s Just A Thing You Do è più elettroacustica, ma il ritmo è comunque sostenuto, forse il brano è un po’ ripetitivo ma JD compensa con energia e feeling, e poi c’è un assolo molto particolare di una chitarra twang alquanto distorta. Lucky Penny è il singolo (esiste anche un video), ma il pezzo non è per nulla commerciale, anzi mantiene quelle caratteristiche da canzone underground d’altri tempi, elettrica, grintosa e molto diretta, mentre Hunting For Sugar, sempre restando a cavallo tra sessanta e settanta, ha un’atmosfera eterea, cosmica, al limite del psichedelico, ma con un’anima pop niente male.

Con On The Lips andiamo ancora più indietro nel tempo, l’accompagnamento è quasi surf, con reminiscenze degli Shadows o del Link Wray più “tranquillo”, il tutto in contrasto con la voce e la melodia, indubbiamente contemporanee; la title track, sempre cadenzata, ha un deciso e limpido gusto pop-rock che la avvicina a certe cose di Dave Edmunds, Bloodhound Rock inizia come uno strumentale ancora molto sixties, la voce entra solo a metà canzone e le chitarre, ben doppiate dall’organo, suonano con grinta. Style (Is A Losing Game) ricorda i primi Kinks, quelli più rock’n’roll, Jubilee è una squisita pop ballad che sembra uscita da un disco del 1967/68, ancora piacevole nel suo voluto citazionismo, Under The Spell Of City Lights è giusto a metà tra pop e rock, anzi sembra quasi il pezzo di un oscuro gruppo beat; il CD si chiude con Let’s Get Out Of Here While We’re Young (bel titolo), già vintage fin dalle prime note d’organo, e pure nel prosieguo a base di riff di chitarra in puro stile garage, degno finale per un album molto piacevole, fresco e perfino innovativo nel suo voler essere insistentemente retro.

Marco Verdi

Tre Volte Campione Del Mondo Di Surf E Ora Più Jackson di Browne! Tom Curren –

tom curren in plain.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tom Curren – In Plain View – Wolfbomb Productions

Quanti cantanti conoscete che sono stati campioni del mondo in qualche disciplina sportiva? E non una ma ben tre volte, 1985, 1986 e 1990! Io, neanche uno. Fino all’uscita di questo In Plain View, che mi ha portato ad interessarmi “all’opera” di questo musicista. Intanto precisiamo che lo sport in cui eccelleva Tom Curren era il surf, disciplina non solo sportiva che ha già dato altri appassionati e praticanti alla musica, primo fra tutti, il suo “amico” Jack Johnson, che però quando Tom vinceva il suo primo titolo aveva solo dieci anni. Chi altri? Eddie Vedder, altro amante di questa pratica sportiva, naturalmente i Beach Boys, che ne sono stati i cantori, non me ne vengono in mente altri, che sicuramente esistono ma sono meno noti: forse Donavon Frankenreiter, della Brushfire, l’etichetta di Johnson, tra i praticanti si ricorda anche Ben Howard, ma trattasi di inglese! Gli altri provengono quasi tutti dalla California (a parte Johnson, un nativo delle Hawaii, naturalizzato californiano), patria della surf music e anche dello sport.

Non è che questo faccia automaticamente di Curren un fuoriclasse anche nella musica: nato nel 1964, Tom non è quindi uno di primo pelo, è sempre stato anche un musicista (conosciuto soprattutto nei circoli “carbonari” della musica, Tony Levin dice che è un virtuoso dello stick, ma non è dato sapere), ha pubblicato due album in precedenza, uno strumentale di jazz-rock e fusion, a metà anni ’90, dopo il suo ritiro dalle scene sportive, e uno omonimo nel 2004, da cantautore. Ma questo In Plain View si può considerare il suo debutto ufficiale. Intanto il produttore è John Alagia, noto per il suo lavoro con Dave Matthews Band e John Mayer, nonché decine di altri musicisti e quindi il suono è molto professionale, a dispetto dell’etichetta autogestita, ma il libretto del CD contiene tutti i testi (anche se non la lista dei musicisti, e questo è un difetto); per deduzione, frugando tra i ringraziamenti delle liner notes, si può estrapolare anche il nome di William Kimball, altro cantautore e surfer, amico di Curren ed ottimo chitarrista. Al di là dei nomi il sound del disco è quanto di più californiano possiate immaginare, pensate agli Eagles e soprattutto a Jackson Browne. Anzi vi dirò di più, la musica e soprattutto la voce fanno pensare ad una sorta di figlio illegittimo del nostro amico Jackson, nato da una sua fugace relazione amorosa con una onda marina della costa californiana, tra Santa Barbara e Los Angeles. Ed è pure bravo.

Il disco non sarà un capolavoro ma si ascolta con grande piacere, ballate, pezzi rock, ottimi arrangiamenti e una sorprendente (ma già evidenziata poco fa) somiglianza con Jackson Browne, quindi fans in astinenza pigliate nota. Gerry è una bella ballata che rivaleggia con alcune delle migliori di Jackson, meno sofferta e più leggera nei testi ma nobilitata da un bellissimo assolo di chitarra nella parte finale, la voce ha quel piglio tenorile tipico del biondo californiano (di adozione), anche In Plain View in un blind test potrebbe passare per un suo brano o comunque di un buon epigono, con tastiere, chitarre e voci femminili arrangiate ottimamente da Alagia. Nel testo di First c’è perfino una citazione di Hotel California e il suono roccato del brano si situa nell’alveo del periodo più rock degli “Aquilotti” ma sempre con Browne nel cuore.

In particolare Curren si ispira al sound più rock e della seconda parte di carriera per entrambi, quindi niente country e un sound west coast più rock, anche con uso di fiati e ritmi latini nella citata First. Feel ha quell’aria malinconica della West Coast dagli amori contrastati ma dalle musiche dolci e risananti. Tom tra le sue influenze cita anche Stevie Wonder e Beatles, ma poi con quella voce chi lo ascolta può pensare solo a spiagge assolate e lunghe onde marine o al limite alle highways dove spararti brani rock come la conclusiva Lady, tettuccio aperto e limiti di velocità rispettati (per amor di Dio), chitarre a manetta e sano rock che esce dagli altoparlanti. I brani citati vengono soprattutto dalla seconda parte del CD, quindi se la prima parte fatica ad entrare resistete un attimo e sarete ripagati con della buona musica. Citiamo anche Unconditional un altro perfetto esempio del classico sound californiano, la deliziosa Sunderland Road con una insinuante armonica e la ballata pianistica Moon, Jackson Browne uber alles, perfino Rolling Stone se ne è accorto, anche se lui non lo cita mai direttamente nelle interviste, lo spirito aleggia sul disco. Poteva andarci peggio. E bravo il surfista!

Bruno Conti