Anche Al “Cubo” E’ Sempre Bonamassa Con Soci Vari. Rock Candy Funk Party – The Groove Cubed

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Rock Candy Funk Party – The Groove Cubed – Mascot/Provogue     

Già serpeggiava la preoccupazione tra I fans e gli addetti al settore: ma come, saranno almeno un paio di mesi (o poco più), in pratica dall’ultimo dei Black Country Communion  , che non usciva nulla di nuovo di Joe Bonamassa http://discoclub.myblog.it/2017/09/13/avevano-detto-che-non-sarebbe-mai-successo-e-invece-sono-tornati-e-picchiano-sempre-come-dei-fabbri-black-country-communion-bcciv/ ! E invece niente paura ecco il nuovo CD dei Rock Candy Funk Party, il quarto, compreso il Live del 2014: il titolo The Groove Cubed, ovvero “il groove al cubo” farebbe pensare ad un album ancora più funky del solito, invece mi sembra, pur rimanendo in quell’ambito, che la quota rock sia aumentata http://discoclub.myblog.it/2015/09/05/attesa-del-nuovo-live-ecco-laltro-bonamassa-rock-candy-funk-party-groove-is-king/ . Non che il funk ed jazz-rock strumentale dei dischi precedenti sia assente, ma già la presenza di due brani cantati, uno da Ty Taylor dei Vintage Trouble e l’altro da Mahalia Barnes (sempre più figlia di Jimmy, e spesso “complice” di Bonamssa nei suoi dischi), segnala una maggiore varietà di temi sonori, peraltro non del tutto per il meglio.

Il disco è suonato comunque in modo impeccabile (a tratti addirittura travolgente a livello tecnico) dal quintetto dei RCFP: Ron De Jesus alle chitarre e Renato Neto alle tastiere, si dividono con Joe Bonamassa le parti soliste, senza dimenticare la sezione ritmica con l’ottimo bassista Mike Merritt ed il fantastico batterista Tal Bergman, una vera potenza nonché leader della band. Brani come l’iniziale Gothic Orleans, con le sue atmosfere sospese che poi esplodono in un vortice rock, e la successiva Drunk On Bourbon On Bourbon Street segnalano una maggiore presenza appunto del filone rock, con elementi funky in arrivo questa volta dalla Louisiana, ma la con band che tira anche di brutto, con le chitarre ficcanti e un piano elettrico che si dividono gli spazi solisti. Il funky al cubo riprende il sopravvento in una ritmatissima In The Groove che sembra uscire da qualche vecchio disco dei Return To Forever con Al DiMeola o della band di Herbie Hancock di metà anni ’70, quella con Wah-Wah Watson alla chitarra; pure il brano cantato da Ty Taylor, Don’t Even Try It, più che a James Brown o al soul, mi sembra si rivolga a Prince e Chaka Khan, piuttosto che a Parliament o Funkadelic, per la gioia della casa discografica, quasi un singolo radiofonico, direi fin troppo commerciale.

Two Guys And Stanley Kubrick Walk Into A Jazz Club, oltre a candidarsi tra i migliori titoli di canzone dell’anno, è più scandita e jazzata, con improvvise scariche elettriche a insinuarsi in un tessuto quasi “tradizionale” con Merritt impegnato anche al contrabbasso e Renato Neto al piano, entrambi che lavorano di fino; Isle Of The Wright Brothers è un breve intermezzo superfluo, mentre il groove torna padrone assoluto nella atmosferica Mr. Space, che tiene fede al proprio titolo, in un brano che potrebbe richiamare persino i Weather Report più elettrici. I Got The Feelin’ è il pezzo dove appare Mahalia Barnes, ma anche  in questo caso più che al soul o al R&B misto al rock, marchio di famiglia, ci si rivolge ad un funky alla Chaka Khan, ma non del periodo Rufus. Insomma i due brani cantati mi sembrano i meno validi ed interessanti, bruttarelli direi, a dispetto delle belle voci utilizzate, sulla pista da ballo faranno la loro porca figura, ma ci interessa meno. Afterhours è un altro breve episodio più riflessivo, ma termina troppo presto, mentre nella ricerca di titoli divertenti e curiosi, il secondo che troviamo è This Tune Should Run For President, un mid-tempo quasi melodico, con improvvise accelerazioni e cambi di tempo di stampo zappiano, che culmina in un notevole assolo di Bonamassa, ricco di feeling, tecnica e velocità.

Mr Funkadamus Returns And He Is Mad, sembra un pezzo estratto da Spectrum di Billy Cobham, con la batteria “lavorata” di Bergman in evidenza. Funk-o-potamia (nei titoli la fantasia regna sovrana), potrebbe essere il figlio illegittimo di Kashmir e di qualche brano degli Yes o degli Utopia, quindi più sul lato rock che funky, mentre The Token Ballad, nonostante il titolo che fa presagire qualcosa di tranquillo,  viaggia ancora verso territori prog, con vorticosi interscambi tra tastiere e chitarre, con un assolo di synth molto anni ’70. Ping Pong è il divertissement finale, una specie di swing jazz con assolo di chitarra situato tra Jim Hall e Wes Montgomery e successivo intervento di piano elettrico. Molta carne al fuoco, forse anche troppa, ma chi ama la musica complessa potrebbe trovare pane per i suoi denti.

Bruno Conti

In Attesa Del Nuovo Live Ecco “L’Altro” Bonamassa. Rock Candy Funk Party – Groove Is King

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Rock Candy Funk Party Featuring Joe Bonamassa – Groove Is King – J&R Adventures/Provogue

Forse, anzi sicuramente, il pubblico non è lo stesso che segue i suoi album blues, e magari neppure quelli più rock, ma uno dei motivi di interesse dei Rock Candy Funk Party è quel termine featuring, con la partecipazione di…Joe Bonamassa. Non per nulla l’album, come il primo di studio e l’ottimo Live At Iridium, esce per la J&R Adventures, l’etichetta di Joe. Possiamo definire questo progetto un “divertissement” per il chitarrista newyokese? Naturalmente, ma come tutte le cose che fa Bonamassa è sì un album creato per divertire, ma suonato, come di consueto, con tutti i crismi della grande professionalità. Poi il risultato finale è pure piacevole all’ascolto, il famoso groove del titolo non manca, se nel primo disco era un omaggio al We Want Groove di Miles Davis, in questo Groove Is King dovrebbe essere più legato al funky, perfino alla disco meno bieca, perché se la traduzione letterale di “groove” è solco, quella più vicina al senso che interessa noi è di tipo ritmico, l’equivalente, più o meno, di riff, in ambito melodico, o swing in quello jazzistico. Prima di perdermi in un cul de sac (il doppio senso è voluto) diciamo che i fattori ritmo e divertimento hanno una notevole importanza in questi progetti, ma il tutto visto in un’ottica ricercata!

Mi rendo conto che mi sto incasinando sempre di più, per cui diciamo che poco cambia rispetto agli album precedenti, Tal Bergman, il batterista e produttore, Joe Bonamassa il chitarrista, Ron DeJesus, il secondo chitarrista e Mike Merritt, il bassista (nonché figlio di Jymie, che era ai tempi il bassista dei Jazz Messengers di Art Blakey, un altro che di ritmo se ne intendeva), sempre affiancati da Renato Neto e Fred Kron alle tastiere, con l’aggiunta di una sezione fiati, guidata e arrangiata dal trombettista Randy Brecker,  con Daniel Sadownick alle percussioni (quest’ultimo e Neto, anche nei dischi precedenti), e tale Zia, alla voce. Maestro di Cerimonie è Mr. Funkadamus, ovvero un Billy Gibbons degli ZZ Top completamente calato nella parte, mentre le influenze musicali, che i vari componenti del gruppo citano alla rinfusa, andrebbero dai Daft Punk ai Brecker Brothers, da Mark Ronson ai Massive Attack, passando per i Led Zeppelin!

Sarà vero? Verifichiamo! Dopo la prima introduzione da parte di Mr. Funkadamus ci tuffiamo nella title-track Groove Is King, che diversamente da quanto ci raccontano viaggia sempre dalle parti di quel jazz-rock alla Herbie Hancock Headunters, Stratus di Billy Cobham, Return To Forever, con chitarre “cattive”, tastiere e ritmi sonori sostenuti, come usava nel primo disco e nel live. Poi Low Tide ammorbidisce leggermente i suoni, entrano i fiati, il groove si fa più funky, il basso si arrotonda, le chitarrine sono più ammiccanti e siamo dalle parti di Rufus, Earth, Wind And Fire, Average White Band,  con un vecchio synth a conferire quel flavor anni ’70. Uber Station fonde la chitarra “cattiva”  e rock di Bonamassa con dei fiati alla Brecker Brothers, perché, diciamocelo tra noi, questo disco, nonostante le influenze citate dubito fortemente che sia indirizzato ai fan di Daft Punk e Ronson (forse Mick più che Mark!) https://www.youtube.com/watch?v=gWGxjmt-9tw . East Village addirittura profuma di jazz, con il piano elettrico che si intreccia alle evoluzioni delle soliste (se no Bonamassa che ci starebbe a fare?), insomma siamo sempre dalle parti del Miles Davis “grooveggiante” https://www.youtube.com/watch?v=UH88BuNz8Bc .

If Six Was Eight (uno meno di Hendrix) è un festival di percussioni varie, mentre Cube’s Brick potrebbe passare addirittura per un brano dei Weather Report con le chitarre aggiunte (e che chitarre, qui Bonamassa ci dà dentro di gusto) https://www.youtube.com/watch?v=vJQgpVJdA6M . Torna lo sponsor Mr.Funkadamus per la presentazione del singolo Don’t Be Stingy with the SMTPE, che grazie anche al video con il gruppo di “gnoccolone” che sostituiscono i RCFP, ha quell’aura funky e danzereccia anni ’70 e anche C You On The Flip Side è puro funky con fiati. Digging In The Dirt, che è proprio quella di Peter Gabriel, già di suo si prestava al genere, ma qui, stranamente, è meno ritmata e più ricercata dell’originale, con la citata “Zia” che vocalizza nel finale https://www.youtube.com/watch?v=yYid5Do1UM0 . Don’t Funk With Me è più rockeggiante di quanto farebbe supporre il titolo, con un bel solo della tromba “trattata” di Brecker e poi i chitarristi che prendono il possesso del brano https://www.youtube.com/watch?v=OCjf9yD1AhQ , The 6 Train To The Bronx, di nuovo con tromba e chitarra in bella evidenza è più jazz che funky, e ancora di più Rock Candy, che è un pezzo di cool jazz quasi puro, anzi togliete il quasi, Rock appare solo nel titolo del brano https://www.youtube.com/watch?v=mT4gUC7sxHc . Ultimo “commercial” di Gibbons e siamo alla conclusione con The Fabulous Tales Of Two Bands, l’unica traccia che in effetti sembra una qualche outtake dei Prodigy, con intrusioni rock dei Led Zeppelin, per rovesciare le parti! Per il resto solo del sano buon vecchio jazz/rock/funky suonato come si dovrebbe!            

Bruno Conti

Un Supergruppo Di Non Famosi, Tranne Uno, Mr. Bonamassa! Rock Candy Funk Party – Takes New York Live At The Iridium

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Rock Candy Funk Party – Takes New York  Live At The Iridium 2CD+DVD J+R Rec.

Mentre è uscito anche l’atteso doppio album dal vivo con Beth Hart (nei prossimi giorni recensione completa sul Blog), Joe Bonamassa ci delizia con una delle sue tante avventure trasversali. I Rock Candy Funk Party nascono, come primo nucleo, nel 2007, dall’incontro tra il batterista e produttore Tal Bergman e il chitarrista Ron DeJesus per un disco intitolato Groove Vol.1, programmatico fin dal titolo. Negli anni successivi sono entrati via via in formazione il bassista Mike Merritt, il tastierista Renato Neto e, nel 2012, Joe Bonamassa. A questo punto le cose si sono fatte serie, la formazione ha inciso un primo CD di studio per l’etichetta di Bonamassa, We Want Groove, dove lo stile strumentale della band, che fonde jazz, rock, funky, fusion ha raggiunto una sua quadratura, rimanendo però assai ricco nel reparto improvvisazione https://www.youtube.com/watch?v=MCrXcvsRwPs .

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Tra un impegno e l’altro, il gruppo, con l’aggiunta di Daniel Sadownik alle percussioni, ha deciso di registrare un concerto all’Iridium di New York, per pubblicare un doppio CD dal vivo, con DVD (o Blu-Ray) allegato, che riporta, oltre al concerto, un ricco documentario girato dietro le quinte, più di 100 minuti di musica, nella migliore tradizione del genere, che proprio in questa modalità dà i migliori risultati. Forse non saranno un “supergruppo”, visto che l’unico famoso (ma non celeberrimo) è proprio Bonamassa, ma se conta la bravura allora ci siamo.

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Il titolo del primo disco era ispirato da un celebre album di Miles Davis, ma il primo brano, Octopus-E  ha un groove che è puro Herbie Hancock Headhunters circa Man-Child. con Wah-Wah Watson, Blackbyrd McKnight e David T-Walker alle chitarre https://www.youtube.com/watch?v=Cv_GE_n2oZQ . Non si può dimenticare il suono di Spectrum di Billy Cobham, con Tommy Bolin alla chitarra, quello dei Return To Forever di Chick Corea, Al Di Meola e Stanley Clarke, la Mahavishnu Orchestra, gli Eleventh Hour di Larry Coryell e Alphonse Mouzon, tutto un periodo glorioso che rivive nelle esplosioni ritmiche e chitarristiche di Work https://www.youtube.com/watch?v=DgoY7t1eGrQ . Ma anche il Jeff Beck del periodo jazz-rock, le percussioni latineggianti di Sadownik, le evoluzioni al basso di Merritt, le twin guitars di Bonamassa e DeJesus in We Want Groove, stanno tra il Santana influenzato da John McLaughlin, il Davis del periodo elettrico e tutto quel jazz-funky meticciato che impazzava nella prima metà anni ’70, potreste rifarvi alla famosa rubrica della settimana enigmistica, “scopri la differenza”!

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Tanto virtuosismo, ma anche tanto divertimento, la facciata accettabile del prog-rock virtuosistico e fine a sé stesso di molti gruppi (ma non tutti). Bonamassa si sente spesso e volentieri, ma è primus inter pares, le tastiere di Neto, oltre che salire al proscenio spesso, soprattutto con il piano elettrico, con la parte elettronica dei synth svolgono anche le funzioni che erano dei fiati (e parliamo sempre di We  Want Miles). Si vede e si sente che i musicisti (e il pubblico) si divertono, il wah-wah di Bonamassa (o DeJesus, o entrambi) e il piano elettrico di Neto sono frenetici nella superfunky Heartbeat,, ma il gruppo se la cava egregiamente anche nelle atmosfere liquide e sognanti di New York Song, dove anche le linee melodiche e non solo il groove inarrestabile hanno un loro spazio. Però quando la batteria di Bergman innesta le alte velocità ritmiche di Spaztastic, che sono nuovamente figlie di Spectrum, ma anche di James Brown, Sly and Family Stone e di tutti i funky drummers passati e futuri, le attitudini jam del gruppo prendono il sopravvento, in un’orgia di tastiere, chitarre e strumenti ritmici che folleggiano ondeggiando per la gioia degli ascoltatori. E siamo solo alla fine del primo CD.

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Altri sei brani nel secondo, con le lunghezze che si allungano, due oltre i dieci minuti e uno oltre i quindici: Ode To Gee sperimenta sonorità spaziali (sia come attitudine musicale che mentale, anche se non sono vestiti con quelle tutine da astronauti che impazzavano all’epoca), sempre in quel territorio tra jazz, rock e funky che è prerogativa dei Rock Candy Funk Party, non potendo tradire il proprio nome https://www.youtube.com/watch?v=c7SW3z3BVho . Un ensemble molto democratico, dove Bonamassa è la star, con i suoi soli e scale fulminanti, ma il suono è decisamente compatto, come nella “breve” Dope On A Rope, ricercato, sperimentale e ricco di inventiva nella lenta e sinuosa The Best Ten Minutes Of Your Life. Non siamo proprio a un concerto dei Kiss, per capirci, anche quando i ritmi si fanno nuovamente “fonky”  in Steppin’ Into It,  le evoluzioni sono comunque più per il cervello che per i piedi. Il rituale dell’assolo di batteria non poteva mancare, fa parte della liturgia, ma poi arrivano tutti gli altri che alla fine si scatenano nella devastante e lunghissima One Phone Call, vero tributo al jazz-rock e al virtuosismo dei suoi interpreti. Se vi piace Whole Lotta Love e non Quadrant forse avete sbagliato disco, se vi piacciono tutte e due e anche gli assolo di synth potreste averci preso!

Bruno Conti