Il Periodo Più Celebrato Del Gruppo Fusion Per Antonomasia. Weather Report – The Columbia Albums 1976-1982

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Weather Report – The Columbia Albums 1976-1982 – Music On CD/Sony 6CD Box Set

Miles Davis è stato probabilmente il più grande musicista jazz di tutti i tempi, ma oltre ad essere un genio il trombettista di Alton aveva anche un’altra dote: quella di circondarsi di accompagnatori di altissimo livello, che in molti casi avrebbero intrapreso una illuminata carriera per loro conto, come per esempio John McLaughlin, Chick Corea e Herbie Hancock. Nel biennio 1969-70 Davis pubblicò In A Silent Way e Bitches Brew, due album rivoluzionari in cui il leader fondeva per la prima volta elementi rock in un tessuto jazz creando un suono mai sentito prima: nella band che lo accompagnava avevano una grande importanza (anche come compositori) un tastierista austriaco di nome Joe Zawinul ed un sassofonista del New Jersey, tale Wayne Shorter, che sfruttando un’amicizia che li legava già da un decennio, decisero di formare una sorta di “spinoff band” insieme al bassista Miroslav Vitous. Nacquero così i Weather Report, che in pochi anni divennero la più popolare band del neonato genere “fusion”, cioè una miscela di jazz, rock, musica etnica, funky, avant-garde e, nel loro caso, anche elementi pop negli anni di maggior successo. La bravura di Zawinul e Shorter (gli unici membri sempre presenti nelle varie incarnazioni del gruppo dal 1971 al 1986) è stata proprio quella di rendere popolare ed alla portata di un vasto pubblico un genere musicale da sempre ritenuto elitario, mantenendosi in perfetto equilibrio tra arte e commercio in modo da accontentare sia gli appassionati sia coloro che di jazz forse compravano due-tre dischi all’anno.

Ora Sony via Music On CD rimette in circolazione ad un prezzo più che vantaggioso (intorno ai trenta euro) un box sestuplo già pubblicato nel 2011 e da tempo fuori catalogo: The Columbia Albums 1976-1982 (NDM: la mia copia in copertina riporta erroneamente la scritta “album” invece di “albums”…senza volerlo possiedo una rarità?) comprende i lavori pubblicati dal gruppo, cinque in studio ed un live, durante il periodo di maggior successo, ed insieme al cofanetto quadruplo Forecast: Tomorrow uscito nel 2006 è sicuramente il modo migliore per approcciarsi al mondo delle “Previsioni del Tempo”. Il sottotitolo di questo boxettino in formato clamshell (che riporta anche una dozzina di bonus tracks dal vivo sparse in quattro dei sei dischetti, due delle quali inedite) potrebbe essere “The Jaco Years”, dal momento che un elemento fondamentale nella lineup di quegli anni era Jaco Pastorius, talentuosissimo bassista che rivoluzionò l’approccio allo strumento: esperto della tecnica “fretless”, Pastorius era infatti capace di fraseggi di basso assolutamente geniali ed innovativi, ed il suo strumento si trovava spesso a fungere da solista (in quegli stessi anni il suo fondamentale contributo era riscontrabile anche nei dischi di Joni Mitchell): purtroppo la sua carriera, ma soprattutto la sua vita, vennero troncate nel 1986 a soli 36 anni per le conseguenze di una stupida rissa in un locale di Fort Lauderdale.

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Ma esaminiamo nel dettaglio i dischetti contenuti nel box dedicato a questo “dream team” del jazz-rock, nel quale gli unici musicisti che cambiano sono i batteristi (Alex Acuna, Chester Thompson, Narada Michael Walden, Tony Williams e, dal ’78 all’82, il grande Peter Erskine) ed i percussionisti (ancora Acuna, Manolo Bandrena e Robert Thomas Jr.), con l’alternarsi a seconda degli anni della formazione a quattro a quella a quintetto. Black Market del 1976 è insieme al seguente l’album più famoso dei nostri, un disco dove peraltro Pastorius compare solo in due brani dato che negli altri è ancora presente il vecchio bassista Alphonso Johnson. Il disco è assolutamente godibile dalla prima all’ultima canzone, con punte di eccellenza nella vivace e solare title track, piena di intriganti soluzioni melodiche e ritmiche https://www.youtube.com/watch?v=U7_vNpVXubA , la splendida ed avvolgente Cannon Ball, la potente Gibraltar, con Zawinul che fa i numeri alle tastiere https://www.youtube.com/watch?v=8TcQSLYyQnE , e la ritmata e funkeggiante Barbary Coast, con il basso di Jaco in grande evidenza. Heavy Weather (1977) è l’album più famoso e più venduto dei Weather Report, grazie soprattutto alla popolarità della pimpante ed orecchiabile Birdland, uno dei rari brani della band ad essere uscito anche come singolo https://www.youtube.com/watch?v=Ae0nwSv6cTU . Ma non sono da meno l’elegantissima e suadente A Remark You Made https://www.youtube.com/watch?v=boNCY0Ai44M , il funky scattante della breve Teen Town, la notevole Palladium, jazz-rock di gran classe, e la strepitosa Havona, roboante pezzo con eccellenti performance strumentali di tutti i membri del gruppo https://www.youtube.com/watch?v=boNCY0Ai44M .

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Anche Mr. Gone (1978) è un buon lavoro, anche se lievemente più “leggero” dei suoi due predecessori. Qui l’influenza di Pastorius è evidente (ascoltate i suoi virtuosismi nella peraltro piuttosto statica Punk Jazz), e gli episodi migliori sono The Pursuit Of The Woman With The Feathered Hat, ipnotica, con una melodia circolare che si apre gradualmente ed elementi di musica etnica https://www.youtube.com/watch?v=eE38JtY75bo , il piacevole pop-jazz Young And Fine, con il sax tenore di Shorter protagonista, la rarefatta e misteriosa The Elders e l’insinuante e cadenzata title track, dominata dallo straordinario lavoro di basso da parte di Jaco https://www.youtube.com/watch?v=s-btnDSY5R0 . Per contro, la danzereccia River People non rende giustizia alla bravura dei nostri. 8:30 è un album dal vivo pubblicato nel 1979 che rivela in maniera eccelsa che la dimensione live si addiceva alla perfezione alla musica del gruppo, con performance trascinanti, dilatate e con grande spazio per le improvvisazioni strumentali in cui i nostri erano maestri.

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Abbiamo quindi versioni “definitive” di vari classici della band come Black Market, Teen Town, A Remark You Made, Birdland https://www.youtube.com/watch?v=x9B-dSkvqB4  ed il travolgente medley Badia/Boogie Woogie Waltz https://www.youtube.com/watch?v=TZAr_lub6GQ , oltre ad una breve ma applaudita rilettura dell’evergreen di Miles Davis, ma scritto di Zawinul, In A Silent Way. I quattro pezzi finali sono brani registrati in studio, tra i quali spiccano la spigliata e diretta Brown Street   ed il puro jazz di Sightseeing https://www.youtube.com/watch?v=8zec9ABOE5k . Night Passage del 1980 è meglio di Mr. Gone, ed affiorano qua e là influenze africane ed orientali. La scorrevole ed immediata title track https://www.youtube.com/watch?v=_vxhUebW_-U , la notturna e raffinata Dream Clock, la mossa ed “africaneggiante” Port Of Entry, con Jaco formidabile https://www.youtube.com/watch?v=uGtWSlmilRc , ed una bella cover ricca di swing di Rockin’ In Rhythm di Duke Ellington sono i pezzi salienti. E veniamo a Weather Report, che nel 1982 metterà fine all’avventura di Pastorius all’interno della band (lascerà per perseguire una carriera solista che, come abbiamo visto, avrà breve durata). Il suono si fa più radiofonico ed anni 80, seppur non disprezzabile: la mini-suite in tre parti N.Y.C. fa la parte del leone https://www.youtube.com/watch?v=gDCHFgeoiY4 , ma non sono male anche la frenetica Volcano For Hire ed il lounge-jazz di classe Current Affairs https://www.youtube.com/watch?v=zS6-r_E0pgY Un box quindi imperdibile se avete mancato la prima uscita di qualche anno fa: con una cifra abbordabile vi porterete a casa un pezzo di storia della musica fusion.

Marco Verdi

Un Album Spiazzante, Sicuramente Difficile, Ma Affascinante. The Dream Syndicate – The Universe Inside

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Andiamo con ordine. Quando nel 2017 i Dream Syndicate avevano pubblicato il loro comeback album How Did I Find Myself Here?, avevo giudicato il disco sorprendente non tanto per il fatto che fosse uscito (dopotutto i nostri si erano riformati come live band nel 2012, ed era dunque lecito aspettarsi un nuovo lavoro prima o poi) quanto per la bontà del contenuto, una miscela vincente di rock’n’roll urbano, punk e psichedelia che riportava i nostri ai fasti degli anni ottanta: Un album che era l’ideale seguito più del mitico Medicine Show che del loro epitaffio Ghost Stories, ed era anche meglio di tutta la discografia solista del leader Steve Wynn, con la possibile eccezione dei notevoli Kerosene Man e Fluorescent. Lo scorso anno era poi uscito These Times, questa volta sì un po’ a sorpresa in quanto non mi aspettavo un seguito così presto https://discoclub.myblog.it/2019/05/19/la-reunion-prosegue-ed-anche-molto-bene-the-dream-syndicate-these-times/ , e di sicuro non di livello quasi comparabile al precedente: il disco era però in parte diverso, con un maggior ricorso all’elettronica pur dosata in maniera intellingente, ed un ruolo decisamente più importante per le tastiere di Chris Cacavas (ex Green On Red), un lavoro cupo e pessimistico sia dal punto di vista dei testi che del sound, e che non aveva mancato di suscitare perplessità ed attirarsi qualche timida critica.

A meno di un anno di distanza il Sindacato del Sogno è di nuovo tra noi con The Universe Inside (che, coronavirus permettendo, uscirà in CD il primo maggio (a parte negli States, dove è in vendita dal 10 aprile, per ora è solo in download), un album ancora più imprevedibile e spiazzante nel quale i nostri in cinque lunghi pezzi ci fanno vedere quello che sono oggi, cioè una band in cui il Paisley Sound degli inizi ha ceduto ormai il passo ad una musica che fonde in maniera solo apparentemente caotica avanguardia europea, jazz-rock, progressive e massicce dosi di psichedelia. Registrato in presa diretta durante una notte di fine anno scorso (80 minuti poi ridotti a 58), The Universe Inside ci mostra che i nostri oggi non concepiscono la loro musica secondo schemi classici, e le cinque tracce presenti non è neppure il caso di chiamarle “canzoni”, bensì un viaggio lisergico ed allucinato nei bassifondi di Los Angeles (o di New York, i bassifondi sono tutti uguali, marci e malati allo stesso modo), un disco che avrebbe potuto concepire uno come Lou Reed se fosse stato ancora tra noi, ed in cui la voce di Wynn non è una guida melodica ma una sorta di strumento aggiunto. In questo lavoro vengono poi fuori le radici avanguardistiche dell’altro chitarrista Jason Victor e quelle jazz della formidabile sezione ritmica formata da Mark Walton e Dennis Duck: infatti l’approccio musicale si potrebbe paragonare a quello che diede vita al leggendario Bitches Brew di Miles Davis, cioè un’unica ed improvvisata session che fu poi leggeremente accorciata in sede di post-produzione.

E’ un po’ come se Wynn e soci ci avessero detto: “Eccoci di nuovo qui: ora vi facciamo vedere che siamo ancora capaci di fare quello che sapevamo fare negli anni ottanta (How Did I Find Myself Here?). Attenzione però, noi non siamo più quelli, ma il nostro suono si sta evolvendo (These Times), ed oggi siamo questi qua (The Universe Inside)”. L’album non mette dunque l’ascoltatore in posizione privilegiata, ma in realtà è come se lo caricasse di botte ed alla fine lo lasciasse a terra malconcio e sanguinante (e magari in overdose), ma se riuscirete ad “entrare” nel disco per il verso giusto, come sono fortunatamente riuscito a fare io, non potrete che rimanerne affascinati. Se la struttura vi può sembrare simile a quella di The Third Mind, esordio omonimo del supergruppo guidato da Dave Alvin, tenete presente che là i brani erano un omaggio al rock psichedelico di fine anni sessanta ed il suono decisamente più accomodante https://discoclub.myblog.it/2020/03/06/un-dave-alvin-diverso-ma-sempre-notevole-the-third-mind/ : qui di accomodante non c’è assolutamente nulla.

l pezzo più lungo, The Regulator, è messo proprio all’inizio, più di venti minuti che partono con un ritmo sostenuto, una chitarra per ognuno dei due lati dello stereo che vanno ciascuna per conto suo riuscendo però a non perdere il filo con il tema musicale di base (“melodia” mi sembra una parola grossa), con l’aggiunta dei riff di un sitar elettrico suonato da Stephen McCarthy dei Long Ryders; poi una chitarra parte per la tangente con suoni distorti, così come distorta è la voce di Wynn (sembra più Leonard Cohen all’inizio ed Iggy Pop alla fine), mentre Cacavas comincia a farsi largo con un piano elettrico ed un synth usato in maniera “giusta”, e spuntano anche un’armonica, il sax di Marcus Tenney suonato proprio alla maniera di Miles Davis (so che Miles era un trombettista, ma sto parlando dello stile) ed un coro quasi onirico, fino all’esplosione sonora finale. Musica in assoluta libertà, di chiaro impianto psycho-jazz (se mi passate la definizione), ma decisamente intrigante. In confronto la seguente The Longing (“solo” sette minuti e mezzo) è una canzonetta: con il suo ritmo cadenzato ed i riff chitarristici lancinanti alla Neil Young, il brano è un rock psichedelico e notturno che rimanda ai Dream Syndicate classici, con un motivo di fondo abbastanza definito che mi ricorda un po’ anche il David Bowie più sperimentale e che si potrebbe anche definire piacevole (almeno fino al quinto minuto, dato che il finale è puro trip lisergico).

Apropos Of Nothing (nove minuti e mezzo) è un potente rock’n’roll elettrico alla maniera dei nostri, leggermente più disteso dei precedenti ma sempre con un’aura psichedelica, con una steel in sottofondo che cerca di ammorbidire il suono: Steve canta nel suo tipico stile ed in leggero contrasto con l’accompagnamento strumentale, ed il tutto risulta anche gradevole (nel senso più “perverso” del termine) e meno difficile del resto, nonostante anche qui la parte centrale sembri la colonna sonora di un “viaggio” a base di allucinogeni, con tanto di accelerazione ritmica finale. Lo strumentale Dusting Off The Rust, altri dieci minuti, inizia in maniera obliqua con le chitarre decisamente “avant-garde” ed i suoni elettronici di Cacavas che prendono il sopravvento, mentre il sax tenta di riportare il tutto ad una dimensione terrena riuscendoci a poco a poco visto che il sound si fa più morbido con il passare del tempo, ed il brano diventa quasi fruibile pur rimanendo nei binari dell’improvvisazione “free”; chiusura con gli undici minuti di The Slowest Rendition, un pezzo che parte lento, etereo e dissonante, con Wynn che interviene in maniera discorsiva con voce quasi narrante, poi entra una ritmica ossessiva dai suoni sintetici trasformando la canzone nell’ideale soundtrack di un film sperimentale di ambientazione post-apocalittica, per quello che è l’episodio più ostico di The Universe Inside.

Un disco non facile quindi, che necessita di più ascolti per essere assorbito a dovere: una cosa è sicura, e cioè che i Dream Syndicate non sono certo una band che si adagia sugli allori.

Marco Verdi

 

Un Gruppo Ormai Tra I Migliori In Circolazione! Tedeschi Trucks Band – Live From The Fox Oakland

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Tedeschi Trucks Band – Live From The Fox Oakland – Fantasy/Universal 2CD/DVD

Nata dalle ceneri della Derek Trucks Band, e formata da Derek Trucks, grande chitarrista di scuola Allman (nipote tra l’altro del recentemente scomparso Butch Trucks http://discoclub.myblog.it/2017/01/27/lultima-testimonianza-di-un-grande-batterista-great-caesars-ghost-with-butch-trucks/ ) insieme alla moglie, la cantante e chitarrista Susan Tedeschi, la Tedeschi Trucks Band è un gruppo in costante ascesa, che migliora di disco in disco, e penso che si possa affermare che, dopo tre album di studio e due live, è oggi uno dei migliori acts a livello mondiale. Un esordio buono ma non eccezionale nel 2011 (Revelator), al quale aveva fatto seguito due anni dopo il più riuscito Made Up Mind e, lo scorso anno, l’eccellente Let Me Get By, un grande disco di southern rock come si usava fare negli anni settanta, ma con la band che palesava uno stile proprio che si rifaceva anche al suono di gruppi come Derek & The Dominos, Delaney & Bonnie ed a quel meraviglioso carrozzone che erano i Mad Dog & Englishmen guidati da Joe Cocker http://discoclub.myblog.it/2016/01/27/unoretta-pure-delizie-sonore-anche-piu-nella-versione-deluxe-tedeschi-trucks-band-let-me-get-by/ . In mezzo, un album dal vivo splendido, Everybody’s Talkin’ (2012), che mostrava che on stage la band, libera dai vincoli di studio, era veramente capace di suonare qualsiasi cosa. Oggi il gruppo è cresciuto ancora, è ulteriormente maturato, ed è migliorata anche l’intesa tra i molti membri (ben dodici), e questo si palesa alla grande in questo nuovo disco dal vivo, Live From The Fox Oakland, un doppio fantastico che supera anche il già bellissimo Everybody’s Talkin’ http://discoclub.myblog.it/2012/05/20/grande-musica-rock-70-s-style-tedeschi-trucks-band-everybody/ .

Registrato lo scorso 9 Settembre al Fox Theatre di Oakland, California, questo doppio CD con accluso DVD ci presenta una band in stato di grazia, guidata da un chitarrista (Trucks) che non esito e definire tra i migliori (se non il migliore) della sua generazione (magari a pari merito con Joe Bonamassa, ma superiore, ad esempio, a Kenny Wayne Shepherd), un axeman dotato di grandissima tecnica ma anche decisamente creativo e con un feeling enorme; Susan, poi, è una sparring partner perfetta: dotata di un’ottima voce, grintosa ma sensuale all’occorrenza, è anche lei una notevole chitarrista, quasi una sorta di novella Bonnie Raitt (anche se la rossa californiana è ancora qualche gradino più su). Il resto del gruppo, a partire dalla voce solista maschile di Mike Mattison (ex DTB) è un treno in corsa, con una menzione particolare per il tastierista Kofi Burbridge (fratello di Oteil), il basso preciso di Tim Lefebvre, la doppia batteria di Tyler Greenwell e J.J. Johnson e la sezione fiati di tre elementi, che dona ulteriore colore, e calore, ad un suono già di per sé ricco di sfumature. Live From The Fox Oakland presenta le solite differenze nella tracklist tra CD e DVD, anche se devo dire che per una volta è più completo il supporto audio, sebbene solo nella parte video trovino spazio due brani che da soli valgono parte del prezzo richiesto, e cioè una bellissima versione del classico country di George Jones Color Of The Blues (già cantato da Susan lo scorso anno con John Prine nell’album di duetti di quest’ultimo) ed una gradevole You Ain’t Going Nowhere di Bob Dylan eseguita in maniera informale nel backstage e con Chris Robinson come membro aggiunto.

Ma veniamo al concerto: si parte con la potente Don’t Know What It Means, chitarra wah-wah di Derek, fiati, poi entra il resto della band, con Susan che intona una delle melodie più dirette di Let Me Get By, specie nel ritornello, un modo decisamente adatto ad aprire la serata, in cui Trucks fa sentire subito di che pasta è fatto, ed un assolo di sax molto free che ci porta verso una versione scintillante di Keep On Growing (proprio dal classico unico album di Derek And The Dominos), lunga, fluida, dal suono caldo e con Derek che “claptoneggia” alla grande; Bird On The Wire è un sentito omaggio a Leonard Cohen (che all’epoca del concerto era ancora tra noi), una rilettura decisamente soul, quasi gospel, ancora calda e profonda, e cantata in maniera strepitosa da Susan: quasi un’altra canzone. Within You, Without You, proprio il brano di George Harrison incluso in Sgt. Pepper, non mi ha mai entusiasmato, e neppure questa versione con la chitarra al posto del sitar mi convince a cambiare idea, per fortuna dura poco e confluisce nella tonica Just As Strange, un’altra rock song dal suono pieno ed “allmaniano”, con Susan che più va avanti e meglio canta; Mattison non è la Tedeschi, ma se la cava egregiamente nella bella Crying Over You, uno dei pezzi migliori dell’ultimo album, un errebi colorato dai fiati e con la solita prestazione maiuscola di Derek, qui doppiato alla grande dall’organo di Burbridge, per la serie ca…spiterina se suonano! Il primo dischetto termina con la lunga ed intensa These Walls, che ospita il musicista indiano Alam Khan al sarod per un momento di quiete, e con la magistrale Anyhow, molto anni settanta, un vero pezzo di bravura da parte di tutti, un brano disteso e liquido, con uno splendido pianoforte e la solita chitarra spaziale.

Il secondo CD si apre con la deliziosa Right On Time, quasi un brano dixieland, davvero godibile e che mostra la versatilità della TTB; un po’ di sano rock-blues con Leavin’ Trunk (di Sleepy John Estes, ma Taj Mahal, con Jesse Ed Davis Ry Cooder alle chitarre, ne faceva una versione strepitosa), che vede il gruppo compatto e granitico come al solito ed un Derek stratosferico; Don’t Drift Away è una sontuosa ballata ancora soul-oriented, e qui è Kofi al piano ad offrire una prova da applausi. La mossa e vibrante I Want More è un errebi di gran classe, al livello delle cose migliori di Aretha Franklin e, come ciliegina, il brano termina con una ripresa del classico di Santana Soul Sacrifice, tra le cose più belle dello show, un tour de force che da solo vale il disco (ma come suona Derek? Sembra che abbia dieci mani…). Un po’ di sano blues è quello che ci vuole, e I Pity The Fool (Bobby Bland) è il classico pezzo giusto al momento giusto: ottimo uso dei fiati e band che suona in modo sciolto e con la solita classe. Il doppio termina con Ali, un classico di Miles Davis che è anche un perfetto pretesto per improvvisare partendo dal giro melodico originale, divagando in maniera totalmente libera, un altro momento di puro godimento sonoro, e con Let Me Get By, altra fluida e vibrante rock ballad, che chiude il concerto ancora con sonorità tra, rock, soul, gospel e blues. Un live album imperdibile, per un gruppo che è ormai una delle realtà più cristalline nel mondo del southern rock, e non solo.

Marco Verdi

Ma Che Cosa Si Sono “Fumato”? 3rd Ear Experience – Incredible Good Fortune

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3rd Ear Experience – Incredible Good Fortune – Thousand Thunders Music

Si scopre sempre qualcosa di nuovo cercando nell’enorme serbatoio della musica “indipendente” americana: prendete questi 3rd Ear Experience, un quintetto californiano che gravita intorno all’area del deserto del Mojave e quella di Joshua Tree, fino ad oggi mai sentiti (almeno dal sottoscritto), ma già autori di ben tre album, dal 2012, anno della loro formazione, ad oggi https://www.youtube.com/watch?v=JyMGdzJubNo . Che genere fanno? Potremmo proporre uno space rock alla Hawkwind, con derive psichedeliche e progressive, accenni di stoner e desert rock, ma anche del suono della Kosmische Musik tedesca (Amon Duul II, i Popol Vuh meno elettronici e più californiani) molto seventies oriented. Lunghissimi brani di improvvisazione programmata, si va dagli oltre 19 minuti della iniziale Tools ai “soli” otto di White Bee, cinque pezzi in totale per quasi 75 minuti di musica.

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Le chitarre sono le protagoniste principali ma si inseriscono su un tappeto di tastiere, un synth sibilante vecchia maniera (quello che più ricorda gli Hawkwind citati), cavalcate ritmiche in crescendo ma anche tocchi di musica etnica ed elettronica qui e là, l’utilizzo di musicisti esterni, ad esempio un lungo intervento di sax nella parte centrale di Tools https://www.youtube.com/watch?v=TDRAflD9ut8 , affidato a tale John Whollilurie, flauto, percussioni, djembe e mouth organ in altri momenti del disco, ogni tanto ci sono degli spettrali inserti vocali, come in One, dove è il leader della band nonché uno dei due chitarristi, Robbi Robb, a fare sentire la sua voce e qui il sound vira verso la scuola stoner rock desertico, con qualche vaga analogia pure con i primi Pink Floyd, quelli più sperimentali, ma anche con le improvvisazioni strumentali di gente come Bo Hansson, per citare un nome del passato o con le jam band più “estreme”, quelle senza elementi blues e country nel loro Dna, per rimanere nel presente.

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Il titolo del disco (anche in doppio vinile) viene da una raccolta di poesie della bravissima e visionaria autrice americana di fantasy e fantascienza Ursula K. Le Guin, e in effetti la musica ha questo afflato sci-fi, con chitarre e tastiere che si insinuano su dei ritmi costanti, ipnotici e ripetuti, dove di solito strumentalmente peraltro poco si muove, per approdare ad improvvise oasi sonore durante le quali la musica si fa quieta e dominano rumori e sensazioni più intime e raccolte, anche se forse non particolarmente eccitanti. Il terzo brano over 15 (come durata), presenta anche delle componenti orientali, con inserti vocali della presenza femminile della band, tale Amritakripa (?!?), che è colei che si occupa dei synth, anche se in questi picchi e vallate, stop e ripartenze quasi costanti, sono comunque le chitarre, spesso suonate all’unisono (l’altro solista è Eric Ryan), a guidare le danze, lavorando più su impressioni soniche che sul virtuosismo spicciolo, anche se ogni tanto qualche assolo selvaggio tra psichedelia ed heavy rock ci scappa.

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Magari, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nonostante la musica sia sicuramente energica e poderosa, la varietà dei temi, ad andare bene a vedere, non è proprio così totale come appare, che è un po’ il difetto che di tanto in tanto fa capolino anche nelle migliori jam band, molto apprezzate dai fruitori del genere ma non poi sempre così originali, ovvero, come direbbe qualcuno: dove sono le canzoni? Per i 3rd Ear Experience,  potrei azzardare che dipende in parte da cosa si sono fumati, ma forse anche no. Qualcuno ha citato nelle proprie impressioni di ascolto il Miles Davis di Bitches Brew tra le influenze del gruppo, e non lo escluderei, bisognerebbe chiederlo però a loro. White Bee, la traccia più breve, a otto minuti e spiccioli, è il brano più lento e sperimentale, con interventi parlati e la batteria che nel caso specifico è quella che guida la struttura sonora molto frammentaria del pezzo, che poi esplode in un emozionante crescendo strumentale nel finale, con le chitarre distorte di nuovo protagoniste. La conclusiva Shaman’s Dream è forse la “canzone” più vicina all’hard rock classico, con ritmi serrati, tastiere sibilanti, canti tribali pellerossa (lo Sciamano del titolo) e le chitarre immancabili in ripetuta modalità jam. Non so dirvi se sia un album che incoraggia ascolti ripetuti, ma sicuramente è un prodotto interessante dalla fervente scena alternativa californiana https://www.youtube.com/watch?v=QE0DDxRWcoE , se amate i generi citati all’inizio fateci un pensierino. Ripeto, “strano” ma interessante.

Bruno Conti

Parenti Eccellenti! Mahalia Barnes & The Soulmates – Ooh Yea The Betty Davis Songbook

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Mahalia Barnes & The Soulmates – Ooh Yea The Betty Davis Songbook – Provogue/Edel

Mahalia Barnes ha sia un nome che un cognome che mi dicono qualcosa: il cognome è lo stesso del suo babbo (il poderoso cantante australiano Jimmy Barnes, e lo zio è Johnny Diesel, sposato con la sorella della moglie di Jimmy e leader degli ottimi Diesel), il nome di battesimo il padre glielo ha dato in onore della grande cantante gospel, Mahalia Jackson. Era quasi inevitabile che con simili precedenti familiari anche la giovane Barnes (ma ormai ha i suoi bravi 32 anni) si sarebbe data alla musica ed in effetti con le sorelle ha iniziato a cantare quando era meno che una adolescente. Ha già prodotto un paio di EP e un album a nome proprio, oltre ad un disco in coppia con Prinnie Stevens, sua compagna di viaggio al The Voice Australia, dove nessuna delle due ha vinto, ma almeno partecipano come “Sister Of Soul”, piuttosto che “sorelle” vere! Recentemente ha partecipato al disco di duetti di babbo Jimmy Barnes, 30:30 Hindsight http://discoclub.myblog.it/2014/11/04/30-anni-jimmy-barnes-hindsight/ , firmando una delle migliori prove con Stand Up. In quell’occasione, già che si trovavano down under e avevano tre giorni liberi, il produttore Kevin Shirley e Joe Bonamassa, sono entrati in studio con Mahalia Barnes ed i suoi Soulmates e qui si sono detti, che facciamo?

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Perché non un bel disco tributo ad una delle donne simbolo della fine anni ’60, primi anni ’70, quella Betty Davis che ai meno attenti non dirà nulla (non è l’attrice ovviamente), ma agli amanti della buona musica, viceversa sì. Modella, attrice, cantante, moglie di Miles Davis, secondo varie voci (tra cui lo stesso Davis nella sua autobiografia) colei che ha introdotto Jimi Hendrix e Sly Stone al grande Miles (e viceversa), piantando i primi germi della svolta elettrica di quegli anni, e quello che più importa autrice di tre ottimi album usciti nel 1973-1974-1975 per la Just Sunshine e ripubblicati in CD dalla Light In The Attic.

Si tratta di un vero compendio di sana ed ottima funky music, mista a rock, soul e R&B, che ha sicuramente influenzato gente come Rick James, Prince, Erykah Badu, i Roots e moltissimi altri negli anni a venire, e penso anche i Rufus di Chaka Khan, nati più o meno in contemporanea, mentre anche lo Stevie Wonder di quel periodo era a sua volta una influenza.

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Se tutti questi nomi non vi sono ignoti, in questo album di Mahalia Barnes troverete di che compiacervi: con un bel sound realizzato da Shirley, la presenza fissa e costante di Joe Bonamassa che con la sua chitarra rilascia una serie di assolo che dimostrano che la parentesi con i Rock Candy Funk Party non era dovuta al caso. Darren Percival, altro concorrente a The Voice (mi sa che è meglio di quello nostrano!) duetta in una “cattivissima” Nasty Gal, dove anche il buon Joe rivolta la sua solista come un calzino, il papà appare come indiavolata voce aggiunta nella seconda parte di Walking Up The Road, uno dei tanti brani che non hanno nulla da invidiare al repertorio più R&B-soul oriented della coppia Beth Hart/Joe Bonamassa.

Le ballate e i brani lenti non sono molti, anzi direi uno, ma In The meantime è una piccola delizia di pura soul music, impreziosita dal lavoro prezioso della chitarra di Bonamassa, ormai un uomo per tutte le stagioni (e tutti i generi); per il resto è un impazzare di chitarrine choppate, clavinet, piani elettrici e organo messi ovunque sul groove super funky di un basso spesso slappato e batteria dai ritmi sincopati, in brani che rispondono a nomi come He Was A Big Freak, Anti-Love Song, Shoo-B-Doop And Cop Him, If I’m In Luck I Might Get Picked Up dove ricorrono termini piccanti e salaci tipo “Wiggling my Fanny”, che però secondo la Barnes in Australia hanno altri significati. In definitiva se vi piace un suono crudo, gagliardo, sentito oggi magari non particolarmente innovativo, ma ruspante e decisamente ben suonato vi consiglio di farci un pensierino https://www.youtube.com/watch?v=uG9KSnwy5cU . Lei è brava, ha una bella voce, potente e decisa, Bonamassa e Shirley ultimamente sono una garanzia, il gruppo dei Soulmates è ben bilanciato, non sarà un capolavoro ma perché no? Potete pensarci con calma, perché tanto esce verso fine febbraio, il 24 per la precisione!

Bruno Conti

Un Supergruppo Di Non Famosi, Tranne Uno, Mr. Bonamassa! Rock Candy Funk Party – Takes New York Live At The Iridium

rock candy funk party takes new york live

Rock Candy Funk Party – Takes New York  Live At The Iridium 2CD+DVD J+R Rec.

Mentre è uscito anche l’atteso doppio album dal vivo con Beth Hart (nei prossimi giorni recensione completa sul Blog), Joe Bonamassa ci delizia con una delle sue tante avventure trasversali. I Rock Candy Funk Party nascono, come primo nucleo, nel 2007, dall’incontro tra il batterista e produttore Tal Bergman e il chitarrista Ron DeJesus per un disco intitolato Groove Vol.1, programmatico fin dal titolo. Negli anni successivi sono entrati via via in formazione il bassista Mike Merritt, il tastierista Renato Neto e, nel 2012, Joe Bonamassa. A questo punto le cose si sono fatte serie, la formazione ha inciso un primo CD di studio per l’etichetta di Bonamassa, We Want Groove, dove lo stile strumentale della band, che fonde jazz, rock, funky, fusion ha raggiunto una sua quadratura, rimanendo però assai ricco nel reparto improvvisazione https://www.youtube.com/watch?v=MCrXcvsRwPs .

rock candy band members

Tra un impegno e l’altro, il gruppo, con l’aggiunta di Daniel Sadownik alle percussioni, ha deciso di registrare un concerto all’Iridium di New York, per pubblicare un doppio CD dal vivo, con DVD (o Blu-Ray) allegato, che riporta, oltre al concerto, un ricco documentario girato dietro le quinte, più di 100 minuti di musica, nella migliore tradizione del genere, che proprio in questa modalità dà i migliori risultati. Forse non saranno un “supergruppo”, visto che l’unico famoso (ma non celeberrimo) è proprio Bonamassa, ma se conta la bravura allora ci siamo.

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Il titolo del primo disco era ispirato da un celebre album di Miles Davis, ma il primo brano, Octopus-E  ha un groove che è puro Herbie Hancock Headhunters circa Man-Child. con Wah-Wah Watson, Blackbyrd McKnight e David T-Walker alle chitarre https://www.youtube.com/watch?v=Cv_GE_n2oZQ . Non si può dimenticare il suono di Spectrum di Billy Cobham, con Tommy Bolin alla chitarra, quello dei Return To Forever di Chick Corea, Al Di Meola e Stanley Clarke, la Mahavishnu Orchestra, gli Eleventh Hour di Larry Coryell e Alphonse Mouzon, tutto un periodo glorioso che rivive nelle esplosioni ritmiche e chitarristiche di Work https://www.youtube.com/watch?v=DgoY7t1eGrQ . Ma anche il Jeff Beck del periodo jazz-rock, le percussioni latineggianti di Sadownik, le evoluzioni al basso di Merritt, le twin guitars di Bonamassa e DeJesus in We Want Groove, stanno tra il Santana influenzato da John McLaughlin, il Davis del periodo elettrico e tutto quel jazz-funky meticciato che impazzava nella prima metà anni ’70, potreste rifarvi alla famosa rubrica della settimana enigmistica, “scopri la differenza”!

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Tanto virtuosismo, ma anche tanto divertimento, la facciata accettabile del prog-rock virtuosistico e fine a sé stesso di molti gruppi (ma non tutti). Bonamassa si sente spesso e volentieri, ma è primus inter pares, le tastiere di Neto, oltre che salire al proscenio spesso, soprattutto con il piano elettrico, con la parte elettronica dei synth svolgono anche le funzioni che erano dei fiati (e parliamo sempre di We  Want Miles). Si vede e si sente che i musicisti (e il pubblico) si divertono, il wah-wah di Bonamassa (o DeJesus, o entrambi) e il piano elettrico di Neto sono frenetici nella superfunky Heartbeat,, ma il gruppo se la cava egregiamente anche nelle atmosfere liquide e sognanti di New York Song, dove anche le linee melodiche e non solo il groove inarrestabile hanno un loro spazio. Però quando la batteria di Bergman innesta le alte velocità ritmiche di Spaztastic, che sono nuovamente figlie di Spectrum, ma anche di James Brown, Sly and Family Stone e di tutti i funky drummers passati e futuri, le attitudini jam del gruppo prendono il sopravvento, in un’orgia di tastiere, chitarre e strumenti ritmici che folleggiano ondeggiando per la gioia degli ascoltatori. E siamo solo alla fine del primo CD.

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Altri sei brani nel secondo, con le lunghezze che si allungano, due oltre i dieci minuti e uno oltre i quindici: Ode To Gee sperimenta sonorità spaziali (sia come attitudine musicale che mentale, anche se non sono vestiti con quelle tutine da astronauti che impazzavano all’epoca), sempre in quel territorio tra jazz, rock e funky che è prerogativa dei Rock Candy Funk Party, non potendo tradire il proprio nome https://www.youtube.com/watch?v=c7SW3z3BVho . Un ensemble molto democratico, dove Bonamassa è la star, con i suoi soli e scale fulminanti, ma il suono è decisamente compatto, come nella “breve” Dope On A Rope, ricercato, sperimentale e ricco di inventiva nella lenta e sinuosa The Best Ten Minutes Of Your Life. Non siamo proprio a un concerto dei Kiss, per capirci, anche quando i ritmi si fanno nuovamente “fonky”  in Steppin’ Into It,  le evoluzioni sono comunque più per il cervello che per i piedi. Il rituale dell’assolo di batteria non poteva mancare, fa parte della liturgia, ma poi arrivano tutti gli altri che alla fine si scatenano nella devastante e lunghissima One Phone Call, vero tributo al jazz-rock e al virtuosismo dei suoi interpreti. Se vi piace Whole Lotta Love e non Quadrant forse avete sbagliato disco, se vi piacciono tutte e due e anche gli assolo di synth potreste averci preso!

Bruno Conti                                                      

Cofanetti Pre (Quasi Tutti) E Post Natalizi IV E Ultima Parte. Complete Motown Singles XIIB, Miles Davis Mono Albums, Donny Hathaway, Small Faces, Mike Bloomfield

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Ultima parte dedicata alle uscite di cofanetti di questo scorcio stagionale.

The Complete Motown Singles Vol. 12B: 1972 è l’ultimo volume dedicato all’integrale dei singoli pubblicati dalla etichetta di Berry Gordy negli anni d’oro della soul music. Esce il 10 dicembre per la Hip-o Select/Universal negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, ma probabilmente (anzi quasi certamente) non in Italia, dove verrà pubblicato a metà gennaio. Si tratta di un box da 5 CD e questa è la lista completa dei contenuti:

Disc 71 (Vol. 12B/Disc 1)
1. Your Wonderful Sweet Sweet Love – The Supremes
2. The Wisdom Of Time – The Supremes
3. Green Grow The Lilacs – The Festivals
4. So In Love – The Festivals
5. Green Grow The Lilacs [stereo promo version] – The Festivals
6. What Is Black – Billy Proctor
7. I Can Take It All – Billy Proctor
8. What Is Black [stereo promo version] – Billy Proctor
9. Ben – Michael Jackson
10. You Can Cry On My Shoulder – Michael Jackson
11. That’s How Love Goes – Jermaine Jackson
12. I Lost My Love In The Big City – Jermaine Jackson
13. Duck You Sucker – Jerry Ross Symposium
14. It Happened On A Sunday Morning – Jerry Ross Symposium
15. (It’s The Way) Nature Planned It – Four Tops
16. I’ll Never Change – Four Tops
17. Our Lives Are Shaped By What We Love – Odyssey
18. Broken Road – Odyssey
19. The Night – The Four Seasons
20. Sun Country – The Four Seasons
21. Daddy Could Swear, I Declare – Gladys Knight & The Pips
22. Can’t Give It Up No More – Gladys Knight & The Pips

Disc 72 (Vol. 12B/Disc 2)
1. Keep On Running – Stevie Wonder
2. Evil – Stevie Wonder
3. The Morning After – Michelle Aller
4. Spend Some Time Together – Michelle Aller
5. Just Not Gonna Make It – Michelle Aller
6. Walk On, Don’t Look Back – Frankie Valli & the Four Seasons
7. Who Is The Leader Of The People – Edwin Starr
8. Don’t Tell Me I’m Crazy – Edwin Starr
9. Who Is The Leader Of The People [stereo promo version] – Edwin Starr
10. Gospel Truth – Bob Babbitt
11. Running Like A Rabbit – Bob Babbitt
12. If You Let Me – Eddie Kendricks
13. Just Memories – Eddie Kendricks
14. I Guess I’ll Miss The Man – The Supremes
15. Over And Over – The Supremes
16. The Good Things (Where Was I When Love Came By) – The Naturals
17. Me And My Brother – The Naturals
18. The Good Things (Where Was I When Love Came By) [stereo promo version] – Naturals
19. I Love Every Little Thing About You – Syreeta
20. Black Maybe – Syreeta

Disc 73 (Vol. 12B/Disc 3)
1. Papa Was A Rollin’ Stone (Vocal) – The Temptations
2. Papa Was A Rollin’ Stone (Instrumental) – The Temptations
3. Corner Of The Sky – The Jackson 5
4. To Know – The Jackson 5
5. Good Time Sally – Rare Earth
6. Love Shines Down – Rare Earth
7. Genius – Valerie Simpson
8. Silly Wasn’t I – Valerie Simpson
9. I Believe I’m Gonna Take This Ride – Valerie Simpson
10. What If – Thelma Houston
11. There Is A God – Thelma Houston
12. Mama I Gotta Brand New Thing (Don’t Say No) – The Undisputed Truth
13. With A Little Help From My Friends – The Undisputed Truth
14. Girl You’re Alright – The Undisputed Truth
15. Girl You’re Alright [stereo promo version] – The Undisputed Truth
16. She Said That – Lesley Gore
17. The Road I Walk – Lesley Gore
18. Spanish Harlem – The Crusaders
19. Papa Hooper’s Barrelhouse Groove – The Crusaders

Disc 74 (Vol. 12B/Disc 4)
1. Superstition – Stevie Wonder
2. You’ve Got It Bad Girl – Stevie Wonder
3. You’ve Got My Mind – Sisters Love
4. Try It You’ll Like It – Sisters Love
5. Songwriter – Repairs
6. Fiddler – Repairs
7. Average People – Bobby Darin
8. Something In Her Love – Bobby Darin
9. Since I Met You There’s No Magic – Celebration
10. The Circle Again – Celebration
11. Come Get This Thang – G.C. Cameron & Willie Hutch
12. My Woman – G.C. Cameron & Willie Hutch
13. Daddy’s Home – Jermaine Jackson
14. Take Me In Your Arms (Rock Me A Little While) – Jermaine Jackson
15. I Can’t Stand To See You Cry – Smokey Robinson & The Miracles
16. With Your Love Came – Smokey Robinson & The Miracles
17. I Can’t Stand To See You Cry [stereo promo version] – Smokey Robinson & The Miracles
18. Happy (Love Theme From “Lady Sings The Blues”) – Bobby Darin

Disc 75 (Vol. 12B/Disc 5)
1. Trouble Man – Marvin Gaye
2. Don’t Mess With Mr. T – Marvin Gaye
3. Robot Man – Jay & The Techniques
4. I’ll Be Here – Jay & The Techniques
5. Long Life And Success To The Farmer – Martin & Finley
6. Half Crazed – Martin & Finley
7. Take It Out On Me – Jerry Ross Symposium
8. It’s The Same Old Love – Jerry Ross Symposium
9. Love Ain’t Love (Till You Give It To Somebody) – The Courtships
10. Oops, It Just Slipped Out – The Courtships
11. We’re Gonna Have A Good Time – Rare Earth
12. Would You Like To Come Along – Rare Earth
13. Ballad Of The Unloved – Wolfe
14. Tale Of Two Cities – Wolfe
15. It’s Not The Last Time – Puzzle
16. On With The Show – Puzzle
17. Good Morning Heartache – Diana Ross
18. God Bless The Child – Diana Ross
19. I Want To Come Home For Christmas – Marvin Gaye
20. Christmas In The City – Marvin Gaye
21. Neither One Of Us (Wants To Be The First To Say Goodbye) – Gladys Knight & The Pips

Non ci sono molti brani celeberrimi, però Papa Was A Rolling Stone dei Temptations  http://www.youtube.com/watch?v=Hcqs5z0yEl4, Ben di Michael Jackson http://www.youtube.com/watch?v=nD0QGhIk2DQ e Superstition di Stevie Wonder  http://www.youtube.com/watch?v=wDZFf0pm0SE (questa l’hanno vista “solo” 23 milioni persone!), sono degni di nota.

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Altro cofanetto strepitoso per gli amanti della musica soul è quello quadruplo che la Atco-Warner-Rhino ha dedicato alla musica di Donny Hathaway. Si chiama Never My Love: The Anthology ed è stato pubblicato il 12 novembre. Tra l’altro la Warner Music France ne aveva pubblicato nel 2010 uno, altrettanto bello, che si chiamava Someday We’ll All Be Free e conteneva anche una quindicina di inediti. Per chi non lo conosce Hathaway è stato uno dei grandi del soul degli anni ’70 in possesso di una voce ricca di melisma (e di carisma) ci ha lasciati alcuni album fantastici, da solo, dal vivo ed in duetto con Roberta Flack che rivaleggiano come qualità con i dischi di Marvin Gaye o Stevie Wonder,  morto suicida nel 1979, a soli 33 anni, per una “caduta” dalla finestra dell’albergo dove viveva. Il box, in effetti contiene il meglio della sua produzione, con moltissimo materiale inedito, dal vivo e in studio e permette di gustare una voce straordinaria ed un artista anche in grado di sperimentare negli ambiti della musica nera. Questo è il contenuto del box che si dovrebbe recuperare intorno ai 30 euro:

Disc 1: The Life and Music of Donny Hathaway

  1. I Thank You Baby – June & Donnie
  2. Just Another Reason – June & Donnie
  3. The Ghetto – Part 1 http://www.youtube.com/watch?v=OqZ2JBVXgpA
  4. The Ghetto – Part 2
  5. Thank You Master (for My Soul) (Promo Edit)
  6. Voices Inside (Everything is Everything)
  7. Tryin’ Times
  8. To Be Young, Gifted and Black
  9. I Believe to My Soul
  10. This Christmas
  11. A Song for You
  12. Magnificent Sanctuary Band
  13. Giving Up
  14. Come Back Charleston Blue – Donny Hathaway with Margie Joseph
  15. Little Ghetto Boy
  16. Valdez in the Country
  17. I Love You More Than You’ll Ever Know http://www.youtube.com/watch?v=Dko6eQl4w2s
  18. Lord Help Me
  19. Come Little Children
  20. Love, Love, Love
  21. Someday We’ll All Be Free
  22. You Were Meant for Me

Disc 1, Track 1 from Curtom single CR 1935, 1969
Disc 1, Track 2 from Curtom single CR 1971, 1972
Disc 1, Tracks 3-9 from Everything is Everything (ATCO SD 33-332, 1970)

  • Disc 1, Tracks 3-4 released as ATCO single 45-6719, 1970
  • Disc 1, Track 5 released on ATCO single 45-6759, 1970

Disc 1, Track 10 from ATCO single 45-6799, 1970
Disc 1, Tracks 11-13 from Donny Hathaway (ATCO SD 33-360, 1971)
Disc 1, Tracks 14-15 from Come Back Charleston Blue: Original Motion Picture Soundtrack (ATCO SD-7010, 1972)
Disc 1, Tracks 16-17 and 19-21 from Extension of a Man (ATCO SD-7029, 1973)
Disc 1, Track 18 from ATCO single 45-6903, 1972
Disc 1, Track 22 from The Best of Donny Hathaway (ATCO SD 38-107, 1978)

Disc 2: Studio Recordings *

  1. Never My Love
  2. A Lot of Soul
  3. Let’s Groove
  4. Latin Time
  5. Tally Rand
  6. Memory of Our Love
  7. Sunshine and Showers
  8. After the Dance is Done
  9. Don’t Turn Away
  10. Always the Same
  11. Brown Eyed Lady (Instrumental)
  12. The Sands of Time
  13. ZYXYGY Concerto http://www.youtube.com/watch?v=l_gOwbPgn-s

Disc 2, Tracks 1 and 6 released as ATCO/Rhino single 8122 79667-3, 2013

Disc 3: Live at The Bitter End 1971 *

  1. What’s Going On
  2. Sack Full of Dreams
  3. Little Ghetto Boy
  4. You’ve Got a Friend
  5. Voices Inside (Everything is Everything)
  6. He Ain’t Heavy, He’s My Brother
  7. Jealous Guy
  8. I Love You More Than You’ll Ever Know
  9. Hey Girl
  10. The Ghetto http://www.youtube.com/watch?v=H1vDEJ7R3Rc

Disc 4: Roberta Flack & Donny Hathaway Duets http://www.youtube.com/watch?v=jFE1D_KceJ0

  1. I (Who Have Nothing)
  2. You’ve Got a Friend http://www.youtube.com/watch?v=ZRDYYFyAYVg
  3. Baby I Love You
  4. Be Real Black for Me
  5. You’ve Lost That Loving Feeling
  6. For All We Know
  7. Where is the Love http://www.youtube.com/watch?v=ZcHPNUN-U8E
  8. When Love Has Grown
  9. Come Ye Disconsolate
  10. Mood
  11. The Closer I Get to You
  12. You Are My Heaven
  13. Back Together Again 

Disc 1, Tracks 1-10 released as Roberta Flack & Donny Hathaway (Atlantic SD-7216, 1972)
Disc 1, Track 11 from Blue Lights in the Basement (Atlantic SD-19149, 1977)
Disc 1, Tracks 12-13 from Roberta Flack Featuring Donny Hathaway (Atlantic SD-16013, 1980)

miles-davis-original-mono-recordings

Se vi volete comprare per la miliardesima volta le stesse cose (ma nella versione mono) la Columbia Legacy ha pubblicato questo Miles Davis The Original Mono Recordings il 12 novembre, sono 9 CD, senza bonus o altro, però si tratta di alcuni dei capolavori assoluti della musica Jazz del 20° secolo:

  • ‘Round About Midnight (1957)
  • Miles Ahead (1957)
  • Milestones (1958)
  • Jazz Track (1959)
  • Porgy and Bess (1959)
  • Kind of Blue (1959)
  • Sketches of Spain (1960)
  • Someday My Prince Will Come (1961)
  • Miles & Monk at Newport (1964)

Perchè in mono non lo so, visto che la CBS Columbia registrava ottimamente in stereo jazz e classica già dalla prima metà degli anni ’50. Forse una sofisticata forma di purismo, chi lo sa? Comunque sono bellissimi e costano relativamente poco.

Per finire due cofanetti che usciranno nel 2014.

small faces here comes the nice

Ennesimo cofanetto mega dedicato agli Small Faces, si chiamerà Here Come The Nice: Immediate Years 1967-1969, tiratura limitata di 3.000 copie, si può prenotare in esclusiva su Amazon.com negli Stati Uniti e Burning Shed in Inghilterra, pubblicato dalla Charly (che già aveva dedicato un ottimo box al gruppo negli anni ’90, The Immediate Years,il  titolo più o meno è quello, 4 CD, anche il contenuto ha varie tracce in comune, lo so perché lo possiedo, è questo che vedete qui sotto):

small faces immediate years

che peraltro, un po’ a fatica, si trova ancora, e costa molto meno di quello nuovo (che comunque come riporta la tracklist ha molte versioni alternative e inedite rispetto al cofanetto più vecchio, oltre a tutto il materiale non discografico, memorabilia si chiama), in uscita il 28 gennaio del 2014, che costerà un pacco di soldi, intorno ai 150 euro e con questo contenuto:

Track listing

Disc 1: Small Faces Singles Worldwide As Bs & EPs:  

  • 1. Here Come the Nice
  • 2. Talk To You
  • 3. (Tell Me) Have Youe Ever Seen Me
  • 4. Something I Want To Tell You
  • 5. Get Yourself Together
  • 6. Become Like You
  • 7. Green Circles
  • 8. Eddie’s Dreaming (b-side edit)
  • 9. Itchycoo Park
  • 10. I’m Only Dreaming
  • 11. Tin Soldier
  • 12. I Feel Much Better
  • 13. Lazy Sunday
  • 14. Rollin’ Over (Part II of Happiness Stan)
  • 15. Mad John (single version)
  • 16. The Journey (single version)
  • 17. The Universal
  • 18. Donkey Rides, A Penny A Glass (single version)
  • 19. Afterglow of Your Love (single version)
  • 20. Wham Bam Thank You Mam

Original Immediate single versions. Taken from original mono master tapes.

Disc 2: Small Faces In The Studio – Olympic, IBC & Trident Sessions – Part 1: 

  • 1. Shades of Green (take 4 instrumental)
  • 2. Green Circles (take 1)
  • 3. Green Circles (take 1 alt – mix 1)
  • 4. Anything (tracking session)
  • 5. Anything (backing track)
  • 6. Show Me The Way (stripped down mix)
  • 7. Wit Art Yer (tracking session)
  • 8. Wit Art Yer (backing track)
  • 9. I Can’t Make It (alt mix)
  • 10. Doolally (tracking session)
  • 11. What’s It Called? (overdub session)
  • 12. Call It Something Nice (take 9)
  • 13. Wide Eyed Girl (take 2)
  • 14. Wide Eyed Girl on the Wall (alt mix)
  • 15. Donkey Rides, A Penny A Glass (stripped down mix)
  • 16. Red Balloon With a Blue Surprise (take 5)
  • 17. Red Balloon (alt mix)
  • 18. Saieide Mamoon (tracking session)

All tracks previously unreleased versions. Taken from original studio multitrack and session master tapes.

Disc 3: Small Faces In The Studio – Olympic, IBC & Trident Sessions – Part 2:

  • 1. Wham Bam Thank You Mam (alt mix)
  • 2. I Can’t Make It (stripped down mix)
  • 3. This Feeling of Spring (take 1)
  • 4. All Our Yesterdays (backing track)
  • 5. Talk To You (alt mix)
  • 6. Mind the Doors Please (instrumental)
  • 7. Things Are Going To Get Better (stripped down mix)
  • 8. Mad John (tracking session)
  • 9. A Collibosher (take 4)
  • 10. Lazy Sunday Afternoon (early mix)
  • 11. Jack (backing track)
  • 12. Fred (backing track)
  • 13. Red Balloon (stripped down mix)
  • 14. Kolomodelomo (take 1)
  • 15. Donkey Rides, A Penny A Glass (alt mix)
  • 16. Jenny’s Song (take 2)

All tracks previously unreleased versions. Taken from original studio multitrack and session master tapes.

Disc  4: Alternate Small Faces Outtakes & In Concert: 

  • 1. Itchycoo Park (take 1, stereo mix)
  • 2. Here Come The Nice (take 1, stereo mix)
  • 3. I’m Only Dreaming (take 1, stereo mix)
  • 4. Don’t Burst My Bubble
  • 5. I Feel Much Better
  • 6. Green Circles (take 1 – Italian version)*
  • 7. Yesterday, Today & Tomorrow (alt mix)*
  • 8. Piccanniny (alt mix)
  • 9. Get Yourself Together (alt mix)*
  • 10. Eddie’s Dreaming (take 2 – alt mix)*
  • 11. (Tell Me) Have You Ever Seen Me (take 2 – alt mix)*
  • 12. Up the Wooden Hills To Bedfordshire (US alt mix)*
  • 13. Afterglow of Your Love (alt single version)*
  • 14. (If You Think You’re) Groovy (The Lot version – PP Arnold & Small Faces)
  • 15. Me You & Us Too
  • 16. The Universal (take 1, stereo mix)
  • 17. Rollin’ Over (live)
  • 18. If I Were A Carpenter (live)
  • 19. Every Little Bit Hurts (live)
  • 20. All Or Nothing (live)
  • 21. Tin Soldier (live)

All tracks rare or * previously unreleased versions. Taken from original studio and session master tapes. Live tracks recorded at Newcastle City Hall 18 November 1968. Taken from Pye Studios master tape, pitch and speed corrected.

Vinyl seven-inch #1: Small Faces Album Sampler – One-sided promo single – Excerpts From The Small Faces L.P. (mono)

  • The original 7″ vinyl was issued as a promotional single for the debut Immediate album. Featuring excepts from Get Yourself Together, Green Circles, Talk To You, All Our Yesterdays, Up The Wooden Hills To Bedfordshire with DJ Tommy Vance announcements, the original vinyl has gone on to become the rarest Small Faces single amongst collectors.

Vinyl seven-inch #2: Here Come The Nice – French E.P.

  • Here Come The Nice (mono) – This is the same performance as the regular ‘Here Come The Nice’ mixed to mono but similar to other releases at the time, was subjected to varispeed so plays slightly faster.
  • • Talk To You (mono)
  • • Become Like You (mono)
  • • Get Yourself Together (mono)

Vinyl seven-inch #3: Itchycoo Park – French E.P.

  • • Itchycoo Park (mono)
  • • I’m Onky Dreaming (mono)
  • • Green Circles (mono)
  • • Eddie’s Dreaming (mono)

Vinyl seven-inch #4: Replica acetate: “Mystery…”

  • Intended to be a single, a handful of acetates of Mystery were produced for the band and Andrew Loog Oldham to check the mix. For unknown reasons, the single wasn’t released, and Ronnie went back into Olympic to record a new vocal during April 1967 for the newly entitled Something I Want To Tell You. This is a replica of the acetate delivered to Andrew Loog Oldham back in 1967.

I CD sempre quattro sono ma il contenuto cambia, però…non se ne può più, per me!

mike-bloomfield-box

Per finire parliamo di questo cofanetto dedicato al grande Michael Bloomfield, annunciato per la Sony Legacy in uscita il 4 febbraio 2014, conterrà 3 CD + 1 DVD, visto che è stata resa pubblica la lista dei contenuti (anche con alcune rarità assolute registrate con Bob Dylan): titolo From His Head To His Heart To His Hands, dovrebbe essere il documento definitivo su uno dei più grandi chitarristi americani della storia del rock e del blues (purtroppo anche lui con una storia con un finale tragico, dopo molti anni “difficili”, morto per una probabile overdose nel 1981, quando aveva 37 anni e il sottoscritto che lo ha visto in quel periodo lo ricorda veramente come l’ombra di sè stesso). 46 canzoni sui tre CD con dodici brani inediti e un DVD Sweet Blues, che è la storia della sua vita e delle sue passioni musicali. Ecco la tracklist con i tre dischetti divisi per “argomenti”:

CD1 – ROOTS

  1. I’m a Country Boy 2:45*
  2. Judge, Judge 2:03*
  3. Hammond’s Rag 2:09*
  4. I’ve Got You in the Palm of My Hand 2:26
  5. I’ve Got My Mojo Workin’ 2:36
  6. Like a Rolling Stone (Instrumental) 6:35* – performed by Bob Dylan
  7. Tombstone Blues (Alternate Chambers Brothers Version) 5:58* – performed by Bob Dylan
  8. Michael Speaks About Paul Butterfield 0:39
  9. Born in Chicago 3:05 – performed by The Paul Butterfield Blues Band
  10. Blues with a Feeling 4:23 – performed by The Paul Butterfield Blues Band
  11. East-West 13:12 – performed by The Paul Butterfield Blues Band
  12. Killing Floor 3:51 – performed by The Electric Flag
  13. Texas 4:47 – performed by The Electric Flag
  14. Susie’s Shuffle (Live Jam) 3:42* – performed by The Electric Flag
  15. Just a Little Something (Live) 3:22* – performed by The Electric Flag
  16. Easy Rider 0:47 – performed by The Electric Flag

CD2 – JAMS

  1. Albert’s Shuffle 6:55
  2. Stop 4:17
  3. His Holy Modal Majesty 7:17
  4. Opening Speech (Live) 1:23
  5. 59th Street Bridge Song (Feeling Groovy) (Live) Hybrid Edit 5:39*
  6. Don’t Throw Your Love on Me So Strong (Live) 7:49
  7. Santana Clause (Live) 4:41*
  8. The Weight (Live) 4:08
  9. Opening Speech (Live) 1:27
  10. One Way Out (Live) 4:17
  11. Her Holy Modal Highness (Live) 6:09
  12. Fat Grey Cloud (Live) 4:30
  13. Mary Ann (Live) 5:19
  14. That’s All Right (Live) 3:42

CD3 – LAST LICKS

  1. I’m Glad I’m Jewish (Live) 3:15
  2. Men’s Room – Spoken Word Segment from McCabe’s (Live) 0:51
  3. Don’t You Lie to Me (Live) 3:09
  4. Can’t Lose What You Ain’t Never Had (Live) 3:04 – performed by Muddy Waters
  5. Gypsy Good Time (Live) 4:29
  6. One Good Man 4:02 – performed by Janis Joplin
  7. It’s About Time (Live) 5:15
  8. Carmelita Skiffle (Live) 2:53
  9. Darktown Strutters Ball (Live) 3:56
  10. Don’t Think About It Baby 3:31
  11. Jockey Blues/Old Folks Boogie (Live) 3:15
  12. A-Flat Boogaloo (Live) 3:55
  13. Glamour Girl (Live) 8:02*
  14. Spoken Intro – Bob Dylan (Live) 2:02*
  15. The Groom’s Still Waiting at the Altar (Live) 5:50* – performed by Bob Dylan
  16. Hymn Time (Live Excerpt) 1:53

(*) denotes previously unreleased track

DVD – Sweet Blues: A Film About Michael Bloomfield

  • A Ravin’ Film. Directed by Bob Sarles. Produced and Edited by Bob Sarles and Christina Keating. Director of photography: Ted Leyhe. Producers: Ted Leyhe, Larry Milburn & Bruce Schmiechen.

That’s all folks, alla prossima!

Bruno Conti

 

Replay! Una Anteprima A Lunga Gittata: 19 Febbraio 2013 Il Nuovo Album Di Robben Ford – Bringing It Back Home

Come promesso ripubblico la recensione, visto che era stata postata quasi due mesi fa, il disco esce martedì prossimo, ed eccola di nuovo, con video, come promesso nel Post scriptum.

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Robben Ford – Bringing It Back Home – Provogue/Mascot  19-02-2013

Un “ritorno alle origini” di Robben Ford? Il titolo lo potrebbe fare supporre, ma in effetti direi che se di ritorno si tratta è quello alle radici del suo suono, dopo gli “esperimenti” più rock nei due CD dei Renegade Creation. Quindi una forte componente di Blues, primo amore, il jazz raffinato immancabile, un pizzico (abbondante) di funky e rock. Quando Robben iniziava la sua carriera nella Charles Ford Blues Band uno dei primi punti di riferimento fu sicuramente il sound della Butterfield Blues Band e il chitarrista di quel gruppo (va bene, uno dei due, l’altro era Elvin Bishop) era un certo Mike Bloomfield, che trasformò un modesto futuro sassofonista in uno dei più grandi stilisti della chitarra elettrica del 20° secolo (non per nulla la compianta rivista Musician lo inserì tra i 100 più grandi del secolo). Robben Ford è passato con assoluta nonchalance dal blues puro che suonava con Musselwhite e Witherspoon alla fusion degli L.A. Express, poi raffinata nell’eccelsa arte di Joni Mitchell, per approdare infine al jazz “elettrico” di Miles Davis.

Tutti gli elementi che hanno da sempre contrassegnato la sua carriera e che ora ritornano in questo Bringing It Back Home, quindi non solo Blues come si può leggere in rete dai “soliti informati” che non hanno ancora sentito il disco e quindi riciclano più o meno le notizie rilasciate dalla casa discografica o qualche dichiarazione parziale dello stesso Ford. Chi vi scrive l’album lo sta ascoltando in questo momento, e posso assicurarvi che non è proprio così, anche se per verificare dovrete aspettare fino al 19 febbraio del 2013 quando uscirà il disco. Siamo un po’ in anticipo. La prima novità saliente è che i musicisti del CD suonano per la prima volta con Robben Ford, anzi quando il disco è stato inciso in una session di tre giorni ai Village Studios di Los Angeles, sotto la supervisione di Ed Cherney (Stones, Bonnie Raitt, Ry Cooder) era addirittura la prima volta che si trovavano tutti insieme; anche se mi sembra, a memoria, che almeno con il batterista Harvey Mason (quello dei mitici Headhunters di Herbie Hancock e poi anche nei Fourplay) abbia già suonato in passato e con la sua presenza aumenta la quota “funky” del disco. Ottimi anche gli altri: Larry Goldings alle tastiere ( da James Taylor a Jim Hall), David Piltch al basso (tra gli altri con Kd Lang e Solomon Burke), oltre a una new entry come strumento nei dischi di Ford, il trombone, affidato a Steve Baxter (che ha suonato con Macy Gray ma anche con Johnny Guitar Watson, tra i tanti). Non proprio una formazione di bluesmen, anche se almeno idealmente, si potrebbe dire, come spesso nei suoi dischi, che è il Blues “according to Robben Ford”!

Quello che è certo è che gli amanti della chitarra avranno di che deliziare i padiglioni auricolari, con quel suo stile unico, che riunisce le influenze di Bloomfield, Jim Hall, Miles Davis, tanto Blues e ancor di più Robben Ford, che questa volta si cimenta in tutto il disco con una sola chitarra,  Epiphone Riviera del 1963 che permette di cogliere il suo suono cristallino e scandito, raramente sopra le righe, forse troppo turgido per quelli che non lo amano, ma è sempre un bel sentire.

Dall’iniziale Everything I Do Gonna Be Funky (il titolo dice tutto) dal repertorio di Allen Toussaint, passando per Bird’s Nest Bound, un brano di Charley Patton conosciuto da Ford nella versione di Bukka White, dove il country blues dell’originale usufruisce della “fordizzazione” del chitarrista, con la solista a duettare con l’organo insinuante di Goldings. Fair Child è un oscuro brano di tale Willie West, un cantante soul/R&B che pure io che sono un cultore del genere, non ricordavo assolutamente, anche questa molto funky con batteria e trombone in evidenza. Oh Virginia è una bellissima soul ballad suonata (che bell’assolo) e cantata in modo incantevole. Anche Slick Capers Blues, se è quella (ho poche informazioni al momento), è un oscuro brano di tale Little Buddy Doyle, un bel blues dal suono old fashioned con trombone e organo di supporto, non dissimile dal suono dell’ultimo Clapton omonimo del 2010.

On That Morning è l’unico brano strumentale del disco, ispirato da Kind Of Blue di Davis, nelle parole di Ford vorrebbe essere un omaggio a quel suono dagli spazi aperti, ma ricorda anche i duetti organo-chitarra di Smith & Montgomery. Traveler’s Waltz non so che origini abbia ma sembra una di quelle ballate raffinate alla James Taylor, godibilissima. Most Likely You Go Your Way(And I’ll Go Mine) invece la conosciamo tutti, è proprio il brano di Bob Dylan, che potrebbe uscire dalla vecchia Supersession di Bloomfield e Kooper (senza Stills) e Trick Bag sarà mica quella dei Meters (che però era di Earl King)? Mi sa di sì, con il contrabbasso di Piltch e la batteria di Mason a scandire il ritmo e la solista di Ford a ricamare assoli come lui sa fare. Per finire Fool’s Paradise che è un vecchio classico che faceva anche Sam Cooke, un bel Blues sapido che conclude in gloria uno dei migliori dischi della discografia del grande musicista californiano, poco pirotecnico ma molto solido per l’occasione.

Bruno Conti

P.s Ogni tanto mi “scappano” queste anteprime, ma eventualmente in avvicinamento all’uscita dell’album pubblicherò di nuovo questo Post, magari con qualche video aggiunto, visto che per ora del nuovo CD non c’è ancora nulla.

Forse Non Più Un “Innovatore”, Sicuramente Ancora Un Grande Musicista (E Che Gruppo)! John McLaughlin & The 4Th Dimension – Now Here This

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John McLaughlin & The 4Th Dimension – Now Here This – Abstract Logix/Ird

Era da qualche tempo che non seguivo più con attenzione le evoluzioni della musica di John McLaughlin, anche se nell’ultima decade il musicista inglese stava vivendo una sorta di seconda giovinezza musicale, ma sicuramente il suo momento di maggiore splendore lo ha vissuto a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, prima con la collaborazione in due dischi che hanno visto la nascita del Miles Davis “elettrico” (in A Silent Way e ancora di più Bitches Brew), tanto da meritarsi anche un brano a proprio nome, e poi con la fondazione della Mahavishnu Orchestra, uno straordinario gruppo che per primo ha affrontato quello stile musicale che allora fu definito Jazz-rock e poi, con connotati più “morbidi” e funky, meno furiosi sarebbe diventata fusion. Ma McLaughlin, già da prima aveva esplorato le connessioni tra jazz, rock e blues, in una formazione come la Graham Bond Organization, dove con lui suonava gente come Jack Bruce, Ginger Baker e Dick Heckstall-Smith e lì imparava l’arte della improvvisazione strumentale jazz applicata ad una musica con molti agganci al rock classico.

I primi dischi della Mahavishnu Orchestra, Inner Mountain Flame, Birds Of Fire e il Live, erano suonati con una ferocia e una carica che allora avevano solo le prime formazioni di hard rock, ma con una perizia strumentale quasi senza uguali, se non nei migliori musicisti dell’epoca: Hendrix fu sicuramente una influenza su McLaughlin, come anche il Tony Williams Lifetime, in cui peraltro militò (e nel quale, anni dopo, fu sostituito da Allan Holdsworth). Ma nella formazione della Mahavishnu c’erano altri musicisti formidabili, a partire da Billy Cobham, che era una sorta di piovra umana della batteria, con mani ovunque che si muovevano freneticamente sul suo strumento (e che con Spectrum, di lì a poco, avrebbe realizzato una creatura simile ma più spostata verso il rock), o un tastierista come Jan Hammer, fra i primi ad usare strumenti elettrici ed elettronici in un ambito jazz e con sonorità rock, e poi compagno di avventura di Jeff Beck, un altro che ha preso una bella sbandata per il genere, che continua a tutt’oggi. Al violino, un virtuoso dello strumento elettrico, Jerry Goodman, proveniente da un gruppo quasi psichedelico come i Flock. Il più “scarso” fra loro, ma è un eufemismo, era il bassista Rick Laird, diciamo che era il meno incline al virtuosismo del gruppo.

Dopo questa lunga introduzione, saltiamo (non perché non sia valido, ma per motivi di spazio) di sana pianta tutta la carriera successiva di John McLaughlin, la collaborazione mistica con Santana (tutti e due vestiti di bianco, come due pirla), la seconda versione della Mahavishnu con Jean-Luc Ponty e il batterista (Narada) Michael Walden, il periodo “orientale” con gli Shakti, le collaborazioni in trio acustico con Paco De Lucia e il suo epigono (nella fase elettrica) Al Di Meola e poi tutto quello che è venuto dopo, dagli anni ’80 fino a questi The 4Th Dimension, che sono nuovamente un gruppo di musicisti straordinari a livello tecnico e  che hanno ridato alla musica del chitarrista quel drive sonoro che si era un po’ smarrito in una serie di album sempre validi, ma abbastanza blandi e ripetitivi ( a questi livelli comunque elevati, ovviamente). Now here this, a livello innovativo non porta nulla di nuovo, ma è suonato un gran bene, e gli amanti del genere avranno modo di apprezzare le evoluzioni sonore di tutti i componenti del gruppo.

Dai duelli, a mille all’ora, tra la chitarra di McLaughlin e la batteria dell’indiano Ranjit Baron (uno che non ha nulla da invidiare al miglior Billy Cobham), nell’iniziale Trancefusion, dove si cominciano ad apprezzare anche il piano elettrico di Gary Husband (collaboratore di Allan Holdsworth e mille altri), e il basso vorticoso del camerunense Etienne M’Bappé che al basso elettrico e fretless è una sorta di incrocio tra Jaco Pastorius e Stanley Clarke, un altro mostro di bravura. Parlando proprio di “mille” e oltre, la tanto da me vituperata AllMusic Guide, riporta 1245 collaborazioni di McLaughlin nel corso della sua carriera pluridecennale (qualcuna “ciccata” come al solito, perché mi sembra improbabile che nel 1954 abbia suonato con Stan Getz, a 12 anni e anche con i Platters?!?), mentre con le sorelle Labeque sì, anche perché una delle due è stata sua moglie. Nell’altrettanto potente groove di Riff Raff, dove l’interplay tra il basso funky di M’Bappé e la batteria di Baron si avvicina alla stratosfera del ritmo, Gary Husband utilizza un synth spaziale che ricorda le sonorità futuristiche di Jan Hammer e riaccende la vecchia fiamma della improvvisazione più feroce, in un McLaughlin che non sentivo così ispirato nei suoi assoli da lunga pezza. Addirittura in Echoes From Then sfodera delle timbriche di chiara derivazione rock, con una chitarra dal suono duro e grintoso che ha poco del tocco raffinato dei solisti jazz, mentre tutti gli altri strumentisti lo attizzano di gusto, con le sinuose linee di basso dell’africano e l’intricatissimo lavoro della batteria dell’indiano, per non parlare delle tastiere, veramente bravi. 

Dopo un terzetto di brani quasi ail limiti della frenesia, Wonderfall si appoggia al piano acustico di Husband e al basso fretless di M’Bappé per un approccio più lirico, rilassato, quasi morbido, mentre Call And Answer giostra attorno ad un prodigioso assolo di basso che ricorda i virtuosismi indimenticabili del miglior Jaco e McLaughlin e Husband si scambiano assoli degni di quelli della coppia Beck e Hammer. Not here, not there è l’altro brano tranquillo, un mid-tempo sognante, dalle scansioni tra soul e derive quasi pop, con un lungo assolo molto lirico e melodico, inconsueto per McLaughlin, forse l’unico pezzo che potremmo definire “fusion”. Guitar Love, ancora rockeggiante, con M’Bappé che suona il suo basso con i guanti (inteso in senso letterale, se guardate la foto interna il musicista suona con un paio di guanti) e McLaughlin che improvvisa lunghe sequenze di note con la sua chitarra e Baron si sfoga dei suoi patimenti per le collaborazioni bollywodiane con A.R. Rhaman, con delle serie di scariche di batteria che faranno godere i patiti dello strumento, mentre nella parte conclusiva Husband rilascia un bel assolo di organo. Nella conclusiva Take It Or leave it, c’è una commistione tra atmosfere indiane e il basso funky slappato (mancava!), mentre le tastiere avvolgono il sound di questo brano, il più breve dell’album, sotto i 4 minuti.

Bello, non pensavo, “after all these years” e a 70 anni suonati, Mister John McLaughlin è ancora un signor musicista, e con un fior di gruppo! Per appassionati del genere, ma anche per amanti del virtuosismo non fine a sé stesso, per ascoltare qualcosa di diverso.

Bruno Conti

Un Po’ Mi Mancava! Al Di Meola – Pursuit Of Radical Rhapsody

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Al Di Meola – Pursuit Of Radical Rhapsody – Telarc

Toh chi si rivede! Lo dico per me, non per lui, era da un po’ di anni che le nostre strade non si incrociavano: Al Lawrence Di Meola, nativo di Jersey City, New Jersey, negli anni ’70 (e oltre) era stato un frequentatore abituale del mio giradischi e poi lettore CD, quasi come “l’altro” nativo dello stato del Nord America. In quegli anni si ascoltava, giustamente, di tutto e di più (e tempo permettendo mi piace farlo ancora oggi) e la scena musicale era assai movimentata. Erano gli anni delle fusioni tra diversi tipi di musica: nell’ambito jazz tutto nasceva dalla cosiddetta svolta “elettrica” di Miles Davis.

Senza farla troppo lunga molti dei suoi discepoli avevano fondato i loro gruppi, uno dei più validi ed interessanti erano sicuramente i Return To Forever di Chick Corea che nascono come gruppo acustico/elettrico nella versione con Flora Purim e Airto Moreira e diventano tra gli alfieri del jazz-rock con l’ingresso in formazione prima di Bill Connors e poi di Al Di Meola alla chitarra elettrica (e di gruppi fantastici ce n’erano molti in questo ambito, dalla Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin agli 11th Hour di Larry Coryell passando per la svolta strumentale di Jeff Beck). Musicisti, parliamo dei chitarristi in particolare, che univano il jazz con il rock di Hendrix e Santana (e mille altri), la musica latina, il flamenco e qui penso in modo più specifico a Al Di Meola che entra nei Return To Forever (riuniti proprio nel 2009 per un tour e relativo CD e DVD) nel 1974 con lo scintillante Where I have known you before e ci rimane fino al 1976 di Romantic Warrior.

Tre anni intensi che sfociano nel primo album da solista Land Of the Midnight Sun seguito dall’eccellente Elegant Gipsy e dall’altrettanto buono Casino. Nel secondo album c’era la versione di studio di Mediterranean Sundance quello straordinario duetto acustico con Paco Di Lucia che da lì a poco, con l’aggiunta di John Mc Laughlin, nel 1980, avrebbe dato il via all’epocale Friday Night In San Francisco un disco dove le chitarre acustiche raggiungono vette di virtuosismo e creatività fantastiche.

Devo dire che da quando, anche per problemi di salute dovuti al tinnito, “l’italiano” Di Meola ha abbandonato l’elettrica per dedicarsi ad uno stile ibrido che fondeva la world music, il flamenco, qualcosa di classica, un pizzico di new age come aveva fatto molto meglio agli inizi, me le ero un po’ perso per strada. Sarà la pausa di cinque anni dal precedente Diabolic Inventions And Seduction For Solo Guitar (un titolo, un programma), sarà il ritorno alla chitarra elettrica (celebrata nella reunion con i Return To Forever) alternata o spesso in accoppiata con l’acustica, sarà la scelta del materiale, tra brani originali e azzeccate cover, sarà la presenza di alcuni ospiti di prestigio ma questo Pursuit Of radical rhapsody mi sembra il suo disco migliore da lunga pezza.

Dall’apertura con la lunga suite Siberiana dove la chitarra acustica di Di Meola si misura con la fisarmonica di Fausto Beccalossi (sarà parente del mitico Evaristo? temo di no!) fino all’ingresso delle vibrazioni della chitarra elettrica mentre l’ottima ritmica del batterista Peter Kaszas e del contrabassista Victor Miranda unita alle percussioni di Gumbi Ortiz e alla seconda chitarra di Kevin Seddiki (così li abbiamo nominati tutti), tutti questi elementi ricordano i fasti del “primo” Al Di Meola tra tango, flamenco e jazz-rock come ai vecchi tempi. Paramour’s Lullaby è più melodica ma sempre con la chitarra elettrica (finalmente) in primo piano. Mawazine Pt.1 è il primo di due brevi brani ispirati (anche musicalmente) da una partecipazione a un Festival in Marocco, le percussioni sono di Mino Cinelu.

Michelangelo’s 7th Child è un brano dedicato al padre (e indirettamente al nonno napoletano Michelangelo) e fonde musica popolare, con qualche elemento classico fornito dalla sezione archi dello Sturcz String Quartet. Gumbiero è il primo dei brani più jazz latini che vede la partecipazione del grande pianista Gonzalo Rubalcaba e le percussioni di Gumbi Ortiz in grande evidenza. Fireflies è un flamenco tangato (ma esisterà, l’ho sparata lì) mentre Destination Gonzalo è un altro bel duetto latino con Rubalcaba mentre Bona è un pezzo acustico con il quartetto d’archi. Rimangono Radical Rhapsody di nuovo con Rubalcaba e con l’ottimo Peter Erskine che appare anche in altri due brani. Le due cover finali sono due grandi standard Strawberry Fields dei Beatles e Over The Rainbow, in entrambe appare Charlie Haden al contrabbasso a nobilitare le operazioni e il risultato è ottimo.

Bruno Conti