Un Piacevole Lavoro Di Moderno Bluegrass. Ray Cardwell – Just A Little Rain

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Ray Cardwell – Just A Little Rain – Bonfire CD

Ray Cardwell è un musicista figlio d’arte originario del Missouri: suo padre, Marvin Cardwell, negli anni sessanta era a capo di un gruppo bluegrass, e questo ha trasmesso al figlio la passione per quel genere fin dai primi anni. Ray ha poi iniziato a scrivere canzoni e a girare l’America con diversi gruppi fin dalla metà dei seventies, intraprendendo una vita quasi da nomade che lo ha portato a vivere in diverse città per poi tornare in Missouri allorquando ha messo su famiglia. Una gavetta lunghissima se pensiamo che Ray è riuscito soltanto nel 2017 a pubblicare il suo album d’esordio Tennessee Moon, facendolo seguire due anni dopo da Stand On My Own, due lavori che hanno attirato l’attenzione a livello locale per quanto riguarda la musica bluegrass. Ray infatti ha deciso di continuare l’opera del padre, ma aggiungendo un tocco personale: il genitore infatti aveva un approccio decisamente tradizionale con il tipo di musica proposta, mentre Ray ha optato per un taglio più moderno per quanto riguarda la struttura compositiva, dal momento che dal punto di vista strumentale le sonorità sono assolutamente vintage.

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Just A Little Rain, terzo e nuovo album del nostro, è perfettamente indicativo di quanto sto dicendo: dieci canzoni (otto nuove più due cover) che dal punto di vista sonoro non vanno oltre la classica configurazione tipica del bluegrass, un quartetto formato da chitarra, banjo, violino e mandolino, con Cardwell al basso (e non c’è la batteria), mentre dal lato compositivo la scrittura è attuale, contemporanea. Ed il disco è godibile dall’inizio alla fine, poco più di mezz’ora di musica pura suonata con grande perizia e con ottime armonie vocali che sono il vero quid in più che fa di Just A Little Rain un album che non deluderà gli appassionati del genere. Prendete l’introduttiva e vivace The Grass Is Greener: l’accompagnamento è tradizionale al 100% con le voci amalgamate alla perfezione, ma lo script è moderno ed il brano si reggerebbe sulle proprie gambe anche con una base strumentale rock. Standing On The Rock è la cover di un pezzo degli Ozark Mountain Daredevils, puro bluegrass godibile dalla prima all’ultima nota con assoli a raffica dei vari strumenti, ed anche se la melodia originale è di matrice blues qui siamo idealmente in piena mountain music. La creatività del nostro spicca ancora di più nella seguente rilettura del classico di Al Green Take Me To The River, canzone che qui viene spogliata dei suoi elementi soul-errebi per diventare una folk song di stampo tradizionale dal sapore d’altri tempi, con Ray che canta con voce limpida https://www.youtube.com/watch?v=T9iJW_-GxRk .

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I Won’t Send You Flowers è una delicata ballad, una country tune moderna  in tutto e per tutto contraddistinta da un motivo toccante, ma con Born To Do siamo ancora in pieno bluegrass a tutto ritmo nonostante l’assenza della batteria, ed il brano è quasi un pretesto per lanciarsi in assoli al fulmicotone. La title track inizia come uno slow attendista, poi il tempo si fa più veloce ed il pezzo si tramuta in una riuscita miscela tra folk e blues; Rising Sun ricorda un po’ la Nitty Gritty Dirt Band più tradizionale, puro country nobilitato da un refrain diretto ed immediato https://www.youtube.com/watch?v=T9iJW_-GxRk , mentre Shoulda Known Better è dotata di un motivo splendido, legato a doppio filo alle canzoni di settanta e più anni fa. Il dischetto si conclude con Thief In The Night, altra bluegrass tune suonata ai cento all’ora, e con la lenta e malinconica Constant State Of Grace (scritta insieme a Darrell Scott), che ha uno sviluppo melodico simile a certe cose di Jackson Browne https://www.youtube.com/watch?v=FGI3uBuToyE . Ray Cardwell è quindi un musicista da tenere d’occhio, in quanto riesce a rendere attuale un genere musicale legato al passato grazie ad una scrittura piacevole e moderna.

Marco Verdi

Ripartono Le Uscite Nel 2017, Parte II: Ristampe. Barclay James Harvest, Sea Level, Mick Clarke, Stoneground, Sea Train, Ozark Mountain Daredevils

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Proseguiamo con le altre ristampe previste in uscita per venerdì 13 gennaio: un altro titolo dal catalogo Esoteric è l’ennesima ristampa per XII dei Barclay James Harvest, una delle migliori formazioni del rock progressivo britannico, diciamo lato melodico, tra i migliori discepoli dei Moody Blues, con due-tre eccellenti musicisti in formazione: il leader John Lees, voce e chitarra solista, Stuart “Woolly” Wolstelnholme, voce, tastiere e mellotron, Les Holroyd, basso, chitarra, tastiere e voce, con il batterista Mel Pritchard a completare il quartetto. Questo album, uscito in origine nel 1978, viene proposto in una versione tripla, in doppio CD più DVD: è l’ultimo dove appare Wolstenholme, che uscirà dal gruppo nel giugno del 1979 e viene considerato uno dei classici della band britannica.

[CD1: “XII” (New 24-Bit Re-Mastered Original Stereo Mix) Released in September 1978]
1. Loving Is Easy
2. Berlin
3. A Tale Of Two Sixties
4. Turning In Circles
5. Fact: The Closed Shop
6. In Search Of England
7. Sip Of Wine
8. Harbour
9. Nova Lepidoptera
10. Giving It Up
11. Fiction: The Streets Of San Francisco
Bonus Tracks:
12. Berlin (Single Version)
13. Loving Is Easy (Single Version)
14. Turning In Circles (First Mix)
15. Fact: The Closed Shop (First Mix)
16. Nova Lepidoptera (Ambient Instrumental Mix)

[CD2: “XII” (New Stereo Mix)]
1. Loving Is Easy
2. Berlin
3. A Tale Of Two Sixties
4. Turning In Circles
5. Fact: The Closed Shop
6. In Search Of England
7. Sip Of Wine
8. Harbour
9. Nova Lepidoptera
10. Giving It Up
11. Fiction: The Streets Of San Francisco

[DVD: “XII” (New 5.1 Surround Mixes & 96 Khz / 24-Bit Stereo Mixes / 96 Khz / 24-Bit Original Mix)]
1. Loving Is Easy
2. Berlin
3. A Tale Of Two Sixties
4. Turning In Circles
5. Fact: The Closed Shop
6. In Search Of England
7. Sip Of Wine
8. Harbour
9. Nova Lepidoptera
10. Giving It Up
11. Fiction: The Streets Of San Francisco

Ovviamente sono quelle edizioni forse fin troppo elaborate rispetto ai contenuti, con il disco ripetuto ben tre volte in diversi mixaggi, e con le cinque bonus che si riducono alle solite “single version” e “first mix2” che francamente lasciano il tempo che trovano, c’è pure l’Ambient Instrumental Mix, mah! Comunque il disco è buono, anche un triplo CD così strutturato mi pare eccessivo.

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E veniamo alle altre cinque ristampe, tutte n uscite per la BGO, sempre il 13 gennaio. Il primo è un doppio CD dedicato a Mick Clarke, il grande chitarrista rock-blues britannico, uno dei più bravi usciti dalla scena del british blue originale, era il solista dei Killing Floor, una delle band minori ma tra le più valide del periodo, Poi autore di una lunghissima carriera solistica che prosegue a tutt’oggi. Non è la prima ristampa multipla che gli dedica la BGO: erano già usciti altri tre titoli, questa volta abbiamo addirittura tre titoli in un doppio CD: Ramdango Crazy Blues sono i due dischi del 2013 e 2014, mentre Shake It Up risale al 2015, quindi sono gli ultimi dischi del nostro, usciti in precedenza a livello di autodistribuzione, quindi di non facile reperibilità.

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Proseguono le ristampe dedicate ai Sea Level, dopo i vari titoli dedicati alla band di Chuck Leavell dalla Real Gone Music, tocca alla BGO completare la serie con la ripubblicazione dell’ultimo disco del gruppo Ball Room, uscito in origine nel 1980, con ancora in formazione, oltre a Leavell, Lamar Williams al basso e Jaimoe, alla batteria, entrambi degli Allman Brothers, oltre a Davis Causey e Jimmy Nalls alle chitarre e Randall Bramblett, a sax, piano, tastiere e voce. Con la consueta miscela di jazz, blues fusion, e southern rock di gran classe

1. Wild Side
2. School Teacher
3. Comfort Range
4. Anxiously Awaiting
5. Struttin’
6. We Will Wait
7. You Mean So Much To Me
8. Don’t Want To Be Wrong
9. Brandstand

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In questo doppio CD vengono riproposti il primo e il terzo album degli Stoneground, una delle classiche band californiane dei primi anni ’70, nate sulle ceneri dei Beau Brummels di Sal Valentino, avevano una formazione molto ampia, con diverse voci solista, tra cui 4 diverse vocalist femminili, tre chitarristi e il futuro bassista e tastierista dei Jefferson Starship e degli Hot Tuna Pete Sears, passato anche dall’Inghilterra per registrare Every Picture Tells A Story con Rod Stewart.  Alcuni dei restanti componenti della band (non Valentino e Sears) in seguito sarebbero diventati i Pablo Cruise, altra eccellente band di rock americano.

CD1: Stoneground]
1. Looking For You
2. Great Change Since I’ve Been Born
3. Rainy Day In June
4. Added Attraction (Come And See Me)
5. Dreaming Man
6. Stroke Stand
7. Bad News
8. Don’t Waste My Time
9. Colonel Chicken Fry
10. Brand New Start

[CD2: Stoneground 3]
1. Dancin’
2. On My Own
3. You Better Come Through
4. Ajax
5. Down To The Bottom
6. From A Sad Man Into A Deep Blue Sea
7. From Me
8. Lovin’ Fallin’
9. Butterfly
10. Gettin’ Over You
11. Heads Up
12. Everybody’s Happy

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Altra band poco conosciuta ma importante della scena californiana dell’epoca furono i Sea Level, nati dalla dissoluzione dei Blues Project nel 1969: in formazione c’erano anche Peter Rowan Richard Greene, oltre a Andy Kulberg a basso e flauto. In effetti quando uscì Watch il loro quarto album del 1973 in formazione era rimasto solo Kulberg degli originali, ma il disco non è malaccio, contiene una versione splendida del classico Flute Thing, un pezzo all’origine suonato dai Blues Project e che usavo ai tempi quando trasmettevo in radio come sigla (scusate la divagazione). Il CD era già stato pubblicato dalla Wounded Bird, ma credo non sia più disponibile da tempo.

1. Pack Of Fools
2. Freedom Is The Reason
3. Bloodshot Eyes
4. We Are Your Children
5. Abbeville Fair
6. North Coast
7. Scratch
8. Watching The River Flow
9. Flute Thing

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Last but not least la ristampa dell’omonimo album degli Ozark Mountain Daredevils del 1980. Gli Ozark sono stati una delle più grandi formazioni di country-rock classico americano, autori di alcuni album splendidi, e credo tuttora in attività, anzi ne sono certo visto che ricevo ancora regolarmente le loro news nella posta e proprio recentemente hanno annunciato alcune date dal vivo previste per il 2017. Comunque in questo disco del 1980, il loro settimo disco di studio, c’erano ancora in formazione Steve Cash John Dillon, e le loro armonie vocali non hanno perso lo splendore dei tempi d’oro anche se il sound è diventato più mainstream, tipo gli Eagles dell’epoca.

Per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Country-Bluegrass Di Vecchio Stampo, Ma Con Nuova Freschezza. National Park Radio – The Great Divide

national park radio the great divide

National Park Radio – The Great Divide – Mri Associated

Sono in cinque, vengono dalla zona delle Ozark Mountains, e il loro stile si ispira (forse inconsciamente), o cosi sostiene il loro leader Stefan Szabo, a quello di gruppi come i primi Mumford And Sons, gli Avett Brothers, gli Old Crow Medicine e a tutto quel movimento che fa riferimento a bluegrass, country, folk, old mountain music, Americana e roots. Insomma una vecchia storia che si ripete, pensate anche a gruppi dei tempi che furono, Ozark Mountain Daredevils, Dillards, Country Gazette, certe cose più bluegrass della Nitty Gritty Dirt Band, tutti gruppi, gli ultimi quanto i primi, che Szabo dichiara di non avere mai sentito ai tempi o oggi, se non dopo essere entrato nel mondo della musica. Il nostro amico, che dichiara di essere un “vecchio tipo” di 30 anni che va per i 60, ha iniziato tardi a fare musica: sposato a 18 anni, a 21 aveva già due figli, e fino a 27 anni non ha iniziato a scrivere canzoni, accompagnandosi con una Fender Statocaster, poi venduta per passare ad un banjo a 6 corde accordato come una chitarra. Dal 2012 ha cominciato a cercare anime gemelle per proporre quella che era la sua musica (diversa da i successi da top 40 e dall’alternative Christian rock che ascoltava alla radio quando era un ragazzo), quindi una musica prettamente acustica che nasce dalla zona dell’Arkansas nei pressi delle Ozark Mountain, a Harrison, nelle vicinanze del Parco Nazionale del Buffalo National River, da cui ha preso il nome il gruppo.

Dicevamo che sono un quintetto, oltre a Szabo, voce solista, chitarra acustica, banjo e autore delle canzoni, Heath Shatwell, banjo e voce, Mike Womack, basso, Ed Barrett, batteria e il violinista Jon Westover, polistrumentista che suona anche altri strumenti a corda e le tastiere. Il suono che scaturisce dal loro album di esordio, questo Great Divide, ispirato dalla linea che divide in due longitudinalmente il continente americano, è, come si diceva, una miscela di country e bluegrass, principalmente acustico, ma con la grinta e l’attitudine di una band rock, infatti qualcuno con termine felice ha parlato di “Rock And Roll Americana”. In effetti sembra proprio di ascoltare molte delle band citate poc’anzi, tra folate poderose di banjo, chitarre acustiche, una ritmica quasi sempre impegnata sui ritmi del bluegrass ma con l’approccio di una band rock, un violino guizzante e la bella voce di Szabo che ricorda quelle dei vari Richie Furay, John Dillon e Steve Cash ( i due degli Ozarks), Doug Dillard, Jeff Hanna, fino ad arrivare agli attuali Seth e Scott Avett e Ketch Secor degli Old Crow Medicine Show. Le undici canzoni sono tutte piuttosto belle, ma come in tutti gli album d’esordio confluisce il materiale preparato da tutta una vita e quindi poi sarà difficile ripetersi (a giudicare da altri brani che si trovano in rete non è detto però https://www.youtube.com/watch?v=C9hFOvLJ-e4  ), ma per il momento accontentiamoci.

I testi sono ispirati dallo spirito esplorativo dei pionieri, dalla sana provincia americana che non si accontenta di vivere secondo le regole del consumo, andare al college, trovare un lavoro, magari per la stessa società per 30 anni e passa e poi ritirarsi: Szabo predica la vita all’aria aperta, l’andare in canoa, fare camping, crescere la propria famiglia secondo sani principi, anche religiosi, preservare la natura (e quindi anche i Parchi Nazionali), seguire le proprie passioni e i propri amori, tutte bellissime cose sulla carta, nella tradizione del grande sogno americano, poi non sempre si riesce a realizzarli. Musicalmente si diceva che prevale questo country-bluegrass veloce e frizzante, esemplificato per esempio dall’iniziale title track The Great Divide, dove un banjo detta il ritmo frenetico che poi viene arricchito da vari altri strumenti a corda, acustiche, mandolini, e da una ritmica incalzante, begli intrecci vocali, soprattutto la voce pimpante di Stefan Szabo e una melodia ariosa che ti rimane in testa

Nella successiva There’s A Fire entra nell’insieme anche il violino guizzante di Jon Westover, sullo sfondo si agitano pure piccoli tocchi di tastiere, per un suono che è tutt’altro che monocorde, degno degli migliori canzoni degli Old Crow Medicine Show o degli Avett Brothers più roots, veramente coinvolgente. In Steady, che rallenta leggermente i tempi, entrano piccoli elementi vaudeville, con piano e organo e le deliziose armonie vocali che assumono un’aria un poco demodé ma non pacchiana, cosa di cui erano maestri quelli della Nitty Gritty https://www.youtube.com/watch?v=9te90CQ5N7E ; I Will Go On, una canzone incentrata sulla sopravvivenza nei difficili tempi che stiamo vivendo, riparte di grande lena, di nuovo con banjo e violino sugli scudi, oltre alle immancabili chitarre acustiche e a quel sound senza tempo della migliore tradizionale musicale americana, con l’appassionata voce di Szabo ad incorniciare il tutto, e qui l’energia almeno ricorda quella dei primi Mumford And Sons https://www.youtube.com/watch?v=1cXihlp5OAY .

Monochrome è una delle migliori canzoni dell’album, una ballata mid-tempo degna dei migliori brani del country-rock di inizio anni ’70, con le tastiere, piano e organo, che conferiscono un tocco di “modernita” (si fa per dire) degno della Band più rurale e genuina, con le canzoni di tutto il disco che hanno spesso questo spirito quasi antemico nel loro dipanarsi; Ghost, altro brano più intimo e raccolto, ma sempre con il picking vorticoso degli strumenti a corda e le evoluzioni del violino ben presenti, insomma si rallenta appena, ha uno svolgimento tra lo spirituale ed il religioso, pur sempre con quella leggera vena irriverente e scanzonata che scorre comunque nei pezzi di Szabo, peraltro assai godibili. Once Upon A Time, ancora per merito della voce brillante di Stefan Szabo, sembra un brano di quelli più belli degli Avett Brothers, con intrecci vocali e strumentali di grande fascino. Rise Above è bluegrass allo stato puro, al limite con qualche elemento gospel, una canzone dallo spirito positivo e ottimista, con chitarre, mandolino, banjo e sezione ritmica sempre impegnati nelle evoluzioni tipiche dello stile, e qui mi gioco di nuovo Old Crow Medicine Show e Nitty Gritty, e pure i Dillards, ma è solo per tracciare dei parallelismi con il meglio del genere. The Walking Song, per quanto piacevole, tra voce come filtrata da un megafono e l’uso del kazoo, è forse la traccia meno brillante del disco, mentre The Ground And The Knee, di nuovo una brillante folk-country song, un filo meno frenetica e con un coretto coinvolgente da memorizzare, e soprattutto la splendida ballata conclusiva, una Virginia che illustra anche il lato più melodico e raccolto del songbook di Szabo, con un violino struggnete, sono di nuovo ottimi esempi del talento compositivo del leader di questi National Park Radio. Promossi con pieno merito,

Bruno Conti

Con Quel Nome Possono Fare Ciò Che Vogliono, Ma Fanno Del Country-Rock Sopraffino! I See Hawks In L.A – Mystery Drug

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I See Hawks In L.A. – Mystery Drug – Blue Rose

E al country-rock canonico possiamo aggiungere tocchi di quello “cosmico” di Gram Parsons e quello più “esoterico” di Gene Clark, con o senza Byrds e anche qualche spruzzata psichedelica, ma leggera, dei Grateful Dead più acustici, come dimostra il video che vedete qui sotto. Il tutto cantato principalmente da Rob Waller, il leader e autore in capo del gruppo, con una voce bassa e risonante che può ricordare un Johnny Cash o un Waylon Jennings in alcuni momenti, gli altri due cantanti citati, in altri. Belle canzoni, ricche di melodia e cambi di tempo, con un sound pieno di mille sfumature: in copertina sono in otto, ma nel disco suonano addirittura in dieci, anche se il nucleo principale, oltre a Waller, ruota intorno a Paul Lacques, chitarra solista e voce e al bassista Paul Marshall, anche lui cantante ed autore, con gli altri due, della totalità dei brani del disco. E poi hanno questo nome evocativo, in questo ambito possono competere solo gli Starry Eyed And Laughing, un vecchio gruppo, peraltro inglese, di inizio anni ’70, che prendeva il proprio “patronimico” da un verso di Dylan, loro padre spirituale e dai figliocci Byrds, anche a livello musicale, più jingle jangle degli “Hawks”, come li chiamerò d’ora in poi, per brevità.

La formazione nasce nella California del Sud intorno alla fine degli anni ’90, e sino ad ora, compreso questo Mystery Drug (che esce in questi giorni, in ordine sparso, nei vari paesi), hanno realizzato sette album, uno più bello dell’altro. La caratteristica saliente di questo nuovo album, rispetto ai precedenti, è la presenza della pedal steel, strumento che sta ritornando in auge, suonata da due diversi musicisti, Rick Shea (già con Dave Alvin) e Pete Grant, peraltro solo in cinque brani, che però sono tra i più interessanti del disco (di solito, con minor frequenza, come lap steel, la suona Laques). Ad esempio la bellissima Oklahoma’s Going Dry, un brano che parla dei cambiamenti climatici che stanno preoccupando i contadini e gli allevatori americani, il tutto condito da una musica che scivola deliziosamente sulle corde d’acciaio della pedal steel di Rick Shea, e che pare uscire da un vinile dei primi anni anni ’70 degli Ozark Mountain Daredevils, degli Eagles, ma anche dei Flying Burrito Brothers, con cascate di chitarre elettriche ed acustiche, armonie vocali fantastiche e quell’aria tipicamente sognante della migliore musica Weastcoastiana, pre e post Parsons. Ancora intrecci vocali da brividi nella delicata e più acustica Mystery Drug o nella sognante Yesterday’s Coffee, dove il testo su in caffè invecchiato è una metafora su una relazione che sta finendo, sempre con la pedal steel che si fa largo tra la chitarre acustiche e le voci armonizzanti del gruppo, guidate da Waller, che vocalmente mi ricorda per certi versi anche retrogusti à la Gordon Lightfoot o Neil Diamond, o, tra i “moderni”, per una certa indole malinconica, anche i Son Volt di Jay Farrar. 

Ma gli “hawks” sanno andare anche su tempi rock (e negli album precedenti ce ne sono parecchi esempi) e quindi quando parte un ritmo incalzante, segnato da una slide pungente, come in The Beauty Of The Better States, l’ascoltatore non può non godere, perché gli intrecci delle acustiche e delle voci non vengono meno, ma si arricchiscono di nuove nuances più grintose. We Could All Be In Laughlin Tonight, con il suo testo che cita le cover bands che sera dopo sera eseguono versioni di Free Bird (un omaggio indiretto ai Lynyrd), sembra una sorella minore, nata tanti anni dopo, di canzoni come Tequila Sunrise o certi brani del primo Guy Clark, e perché no, anche Michael Martin Murphey (non nella voce, quella di Waller è troppo maschia e particolare), weeping pedal steel guitar inclusa. One Drop Of Human Blood, con i suoi matrimoni rituali nel deserto e una fisarmonica malandrina che si aggiunge alle operazioni potrebbe ricordare certe canzoni di Tom Russell o Joe Ely, miscelate a quelle canzoni desertiche del Gene Clark prodotto da Thomas Jefferson Kaye (No Other). Sky Island è un’altra bellissima ballata, leggermente mid-tempo, nella quale il gruppo eccelle, con le sue armonie vocali avvolgenti ed emozionanti e la musica acustica, ma ricchissima che esce dai solchi digitali di questo eccellente disco.

E pure quando i ritmi rallentano ulteriormente, come nella dolcissima If You remind Me, con un refrain da ucciderli per quanto sono bravi, non puoi fare a meno di meravigliarti perché sono conosciuti, purtroppo, da così poca gente, anche tra i cultori del genere,  sono meglio del 90% di gruppi che vengono presentati da molta critica come i salvatori del mondo (musicale). Rock’n’Roll Cymbal From The Seventies, fin dal titolo, è decisamente più energica, con le chitarre elettriche nuovamente sugli scudi e una delle autrici aggiunte del brano, la batterista Victoria Jacobs, indaraffata al suo strumento (la Jacobs si alterna alla batteria con altri due strumentisti, Shawn Nourse, quello storico del gruppo e con il fratello del chitarrista Paul Lacques, Anthony, uno dei membri fondatori degli Hawks). Tongues Of The Flames è un breve brano che vive su gli intrecci delle acustiche e delle voci, mentre Stop Driving Like An Asshole, è una divertente presa in giro dei frequentatori delle highways, peraltro molto bella musicalmente, peccato duri solo un minuto e mezzo. My Local Merchants parte come Get back e diventa un brano alla Creedence, un rock’n’roll tirato e coinvolgente, dove la band lascia intuire che anche dal vivo non sono da trascurare, per la loro grinta, peccato che anche questa sia cortissima. Ma ci rifacciamo con la conclusiva The River Knows, quasi otto minuti di magia sonora, dove la pedal steel ripende il ruolo che le compete, circondata dalle acustiche insinuanti e dalle armonie vocali magnifiche del trio Waller-Lacques-Marshall, mentre il ritmo del brano si fa sempre più incalzante, in un crescendo fantastico, dove la pedal steel è protagonista assoluta, ma è tutto l’insieme che funziona come un orologio svizzero, costruito in California dai I See Hawks In L.A, prendere nota e non dimenticare.

“Ho visto dei falchi a Los Angeles” ed erano magnifici! 

La ricerca continua.

Brunio Conti

*NDB Non ci sono video dei brani nuovi, ma si capisce lo stesso che sono bravi, la riprova qui sotto.

Novità Di Ottobre Seconda Parte Della Parte II. Radiohead, Marketa Irglova, William Shatner, John Wesley Harding, ZZTop Tribute, Rich Robinson, John Fahey, Ozark Mountain Daredevils Eccetera

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Altri dischetti in uscita questa settimana. Partiamo con il doppio album di Remix dei Radiohead Tkol Rmx 1234567 che esce per la XL Recordings al prezzo di un singolo album. Già The King Of Limbs non mi era parso un disco fantastico adesso abbiamo un ulteriore doppio di 19 brani, tutti quelli che erano usciti come remix in 12″, de gustibus. Per chi ama il genere remix, non i Radiohead, secondo me.

Marketa Irglova (che per qualche strano motivo ero convinto si chiamasse Inglova) era la ragazzina ceca del film Once e, prima e dopo, in coppia con Glen Hansard nel gruppo degli Swell Season. Nel frattempo, in una pausa sabbatica del gruppo ognuno ha lavorato ad un progetto solista, per primo esce questo Anar per la Anti Records. Registrato negli Stati Uniti, che sono la sua nuova patria dopo il trasferimento da Dublino, nel frattempo si è pure sposata (non con Hansard) con un ingegnere del suono. Il disco unisce il suo amore per la musica classica, il piano e cantanti come Joni Mitchell e Kate Bush. Negli Swell Season era quella che cantava meno ma il disco è bello.

Un ennesimo tributo, questa volta agli ZZTop A Tribute From Friends esce per la Show Dog Nashville/Universal questa settimana e dalla ascoltata veloce che gli ho dato…Preferisco non esprimermi sembra un disco degli Aerosmith più picchiati che rifanno i pezzi del trio texano e infatti i M.O.B. del primo brano sono Steven Tyler, Johnny Lang e la sezione ritmica dei Fleetwood Mac. Ma la loro versione di Sharp Dressed Man non è neppure malaccio. Mi chiedo cosa c’entrino Filter, Nickelback, Wolfmother, Coheed & Cambria, Mastodon, Duff McKagan e altri che se allargate la copertina del disco riuscite a leggere, con la musica degli ZZTop. Salverei la versione di Tush di Grace Potter and The Nocturnals e promuoverei Jamey Johnson che ci regala una versione fantastica di oltre 8 minuti di La Grange. Un album tutto così l’avrei preso subito, mi accontenterò di un EP con i 3 brani buoni.

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Questo è un terzetto di uscite dalla non facile reperibilità, per usare un eufemismo. Uno dei migliori gruppi country-rock della storia, gli Ozark Mountain Daredevils, pubblicano un nuovo doppio album registrato in concerto. Si intitola Alive & Wild ed esce per la New Era Productions solo sul suolo americano dove è stato registrato nell’autunno del 2010. Costa un botto, un po’ per la distribuzione e un po’ anche perché è stato realizzato utilizzando solo materiale ecologico, niente plastica nella confezione. Ci sono tre dei membri originali della formazione e il sound è più country-folk che country-rock a giudicare da quello che ho sentito, con le magiche armonie vocali delle origini affaticate dal tempo che passa. Insomma piacevole ma non indispensabile, se non avete nulla di loro meglio investire su uno dei Twofer della BGO che accoppiano il primo omonimo a It’ll Shine When It Shines e The Car Over The Lake a Men From Earth, i primi due prodotti dal grande Glyn Johns e che rivaleggiano con il meglio di Eagles, Poco o Flying Burrito Brothers.

John Wesley Harding è uno dei cantautori “sconosciuti” più longevi e più bravi in circolazione, inglese ma americano d’adozione ha già pubblicato 19 album e tre romanzi e si vi capita di sentirlo per sbaglio in un blind test ha la voce quasi identica a Costello (e anche lo stile si avvicina), ironico e caustico, basta leggere i titoli delle canzoni, nel nuovo album The Sound Of His Own Voice che esce in questi giorni per la Yep Rock, ce n’è una che si chiama There’s A Starbucks (Where the Starbucks Used To Be). Il disco è co-prodotto con Scott McCaughey (quello dei R.E.M., Baseball project, The Minus Five) e l’ingegnere del suono è Tucker Martine (Decemberist, My Morning Jacket) e marito di Laura Veirs che appare nell’album con 4 dei Decemberists stessi, Peter Buck, Rosanne Cash e John Roderick dei Long Winters. Ad un primo ascolto mi sembra uno dei migliori della sua carriera, consigliato se lo conoscete già ma anche come disco in generale.

Il CD delle Pistol Annies Hell On Heels in America è già uscito da più un mese per la Sony Nashville e mi ero dimenticato di proporlo. Si tratta di un disco di ottimo country con un trio di voci femminili, in cui la più famosa è sicuramente Miranda Lambert, ma anche le altre due Ashley Monroe e Angaleena Presley sono molto brave. Country delle “radici” tipo quello che fa abitualmente la Lambert della quale ai primi di novembre uscirà anche il nuovo album da solista Four The Record sempre country ma con la giusta dose di rock.

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E’ lui o non è lui? Certo che è lui! William Shatner alias il Comandante Kirk (ma anche Tj Hooker) torna a colpire gli appassionati di Star Trek con un nuovo album, questa volta addirittura doppio, per la Cleopatra Records, Seeking Major Tom, che fra un mesetto uscirà anche in Europa. Ma quello che stupisce è la quantità di musicisti famosi che riesce a raccogliere intorno ai “suoi progetti musicali”, questa volta, guarda caso, le odissee spaziali. Leggete chi c’è e cosa suonano e cantano sotto il suo vocione declamante:

01. Major Tom (feat. The Strokes’ Nick Valensi and Zakk Wylde on guitar and and Mike Inez (Alice In Chains) on bass)
02. Space Oddity (David Bowie) [feat. Ritchie Blackmore (ex-Deep Purple) on guitar and Alan Parsons on keyboards)
03. In a Little While (U2) (feat. Manuel Göttsching from Ash Ra Tempel on guitar)
04. Space Cowboy (Steve Miller) (feat. Brad Paisley on guitar and vocals)
05. Space Truckin’ (Deep Purple) (feat. Deep Purple drummer Ian Paice and Johnny Winter on guitar)
06. Rocket Man (Elton John) (feat. Steve Hillage (ex-Gong member) on guitar)
07. She Blinded Me With Science (Thomas Dolby) (feat. Bootsy Collins on bass and Patrick Moraz (ex-Yes and Moody Blues) on keyboards/synth)
08. Walking on the Moon (The Police) (feat. Toots (Toots & the Maytals) on vocals)
09. Spirit in the Sky (Norman Greenbaum) (feat. Peter Frampton on guitar)
10. Bohemian Rhapsody (Queen) (feat. John Wetton (Asia) on bass and vocals)
11. Silver Machine (Hawkwind) (feat .Wayne Kramer (MC5) on guitar and Carmine Appice (Vanilla Fudge/Rod Stewart) on drums)
12. Mrs. Major Tom (feat. Sheryl Crow)
13. Empty Glass (The Tea Party) (feat. Michael Schenker (UFO/Scorpions) on guitar)
14. Lost in the Stars (Frank Sinatra version) (feat. Ernie Watts on saxophone)
15. Learning to Fly (Pink Floyd) (feat. Edgar Froese (Tangerine Dream) on guitar and keyboards)
16. Mr. Spaceman (The Byrds) (feat. Dave Davies (The Kinks) on guitar)
17. Twilight Zone (Golden Earring) (feat. Warren Haynes (Gov’t Mule/Allman Brothers) on guitar)
18. Struggle
19. Iron Man (Black Sabbath) (feat. Zakk Wylde on guitar and vocals)
20. Planet Earth (Duran Duran) (feat. Steve Howe (Yes) on guitar)

Non gli sfugge nessuno: alcune sono piacevoli come la versione di Rocket Man o Mrs. Major Tom l’unica cantata da Sheryl Crow. Altre sono da sentire per crederci: Bohemian Rhapsody con John Wetton alla voce ve la raccomando. Altre ancora sono credibili, Walking On The Moon con Toots Hibbert in fondo era già reggae di suo e Silver machine degli Hawkwind con Wayne Kramer degli MC5 e Carmine Appice dei Vanilla Fudge è quasi bella! Ma Dave Davies dei Kinks che fa Mr. Spaceman dei Byrds e Ritchie Blackmore e Alan Parsons che fanno Space Oddity non me le sarei mai aspettate. Anche perchè ovviamente sono gli altri che conoscono lui, dubito che Shatner avesse mai sentito nominare Manuel Gottsching degli Ash Ra Tempel prima di questo disco!

Dale Watson è uno dei re del rockabilly moderno, ma anche dell’honky tonk, e questo The Sun Sessions registrato ai famosi Sun Studios di Nashville, Tennessee (ma non li avevano chiusi)? è proprio bello. Pubblicato dalla Red House, sembra un disco di Elvis dei tempi d’oro ma più ancora sembra un album perduto della prima produzione di Johnny Cash. Boom Chicka Boom!

Martina McBride è una delle più famose cantanti country americane, negli anni ’90 rivaleggiava come popolarità (e spesso cantavano insieme) con Garth Brooks. Questo Eleven che esce per la Republic Nashville sarà mica l’undicesimo della sua carriera? Mi sa di sì! Comunque se vi piace il country e amate le belle voci c’è in giro di peggio (ma anche di meglio, tipo la Miranda Lambert citata prima)! Una canzone che tratta il tema del cancro è sempre benvenuta anche se farcita di buoni sentimenti, ma ci sta, le intenzioni sono ottime!

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Quello che vedete raffigurato qui sopra è il nuovo album di Sharon Jones and The Dap-Kings ma anche no! Mi spiego meglio. Se leggete le anticipazioni in giro per la rete (quelle poco informate) parlano del nuovo fantastico album di Sharon Jones. Sul fantastico possiamo essere d’accordo perché lei è proprio brava, sul nuovo dobbiamo intenderci. In effetti si tratta di una raccolta di materiale uscito in dischi in vinile, b-sides, compilations, colonne sonore, brani natalizi e altro materiale registrato tra il 2004 e oggi e raccolto in questo Soul Time pubblicato dalla Daptone Records/Goodfellas. E’ comunque un bel sentire visto che lei ha una gran voce (la James Brown femminile) e per quei due o tre che non lo sanno i Dap-Kings erano quelli che suonavano spesso nei dischi di Amy Winehouse. 

Il nuovo cofanetto di John Fahey Your Past Comes Back To Haunt You The Fonotone Years 1958-1965 pubblicato dalla Dust To Devil/Revenant Records ha un solo difetto, o meglio due, la reperibilità e il prezzo. Per il resto si tratta di un box di cinque CD che come dice il titolo raccoglie il materiale registrato nei primi anni della sua carriera, molti brani appaiono per la prima volta su CD ed è l’occasione per ascoltare uno dei più grandi chitarristi acustici della storia agli albori della sua carriera. Sono 115 brani rimasterizzati ed inseriti in un box che contiene anche il primo libro scritto sulla storia di John Fahey, uno dei più grandi visionari ed improvvisatori della storia dello strumento, per chi scrive alla pari con Robbie Basho. Non l’ho mai visto in concerto (Robbie Basho sì, fine anni ’70, non mi chiedete la data, di tutti i posti, all’Anteo di Milano, se non ricordo male non era manco amplificato, tanto eravamo tutti a pochi passi dal palco improvvisato, un personaggio stranissimo ma un musicista fantastico) ma ho sentito tutti i suoi dischi e vi posso assicurare che se vi piace la musica “coraggiosa” qui c’è materiale molto interessante, aldilà del prezzo, credo si andrà verso i 100 euro. Ma il materiale della Dust To Devil/Revenant è sempre interessante, sono quelli che avevano pubblicato il cofanetto di inediti di Captain Beefheart, Grow Fins.

Rich Robinson è il fratello “meno bravo”, si fa per dire, dei Black Crowes, il chitarrista e questo Through A Crooked Sun è il suo secondo album da solista dopo Paper del 2008 e il Live acustico con il fratello Chris Robinson, Brothers Of A Feather registrato prima della reunion del gruppo. Non è male, la voce non è al livello di quella del fratello (ovviamente) ma ci sono belle ballate, pezzi rock e molta chitarra come è giusto. Etichetta Spunk.

Direi che per questa settimana è tutto.

Bruno Conti