Altro Grande Disco, Ormai E’ Una Garanzia! Tom Russell – October In The Railroad Earth

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 Tom Russell – October In The Railroad Earth – Frontera/Proper CD

Tom Russell è oggi, almeno a mio parere, uno dei maggiori songwriters americani, la cui crescita come autore è avvenuta progressivamente negli anni, disco dopo disco. Tom fa infatti parte di quella ristretta categoria di artisti che non sbaglia un colpo e che, con le sole possibili esclusioni di Hotwalker e Aztec Jazz, non ha mai deluso. Nel 2015 ha pubblicato il suo capolavoro assoluto, il magnifico The Rose Of Roscrae https://discoclub.myblog.it/2015/04/29/epica-saga-del-west-lunga-quarantanni-tom-russell-the-rose-of-roscrae-ballad-of-the-west/ , ma la sua carriera è piena di album degni di nota, pubblicati tra l’altro con cadenza abbastanza regolare: titoli come The Rose Of San Joaquin, The Man From God Knows Where, Borderland (disco dell’anno 2001 per il sottoscritto), Indian Cowboys Horses Dogs, Mesabi, solo per citare i miei preferiti. Ho sempre sostenuto che Russell, originario della California, sia in realtà un texano mancato, in quanto le sue canzoni parlano spesso di storie di confine, e spesso e volentieri vengono rivestite di sonorità country e tex-mex; ma Tom è un artista a tutto tondo, in quanto si diletta anche nella pittura (le copertine dei suoi album sono opera sua, e tiene anche diverse mostre in varie gallerie d’arte), ed in più i suoi testi hanno quasi sempre riferimenti letterari che denotano una notevole cultura.

Il suo nuovissimo album October In The Railroad Earth, per esempio, ha parecchi riferimenti alle opere di Jack Kerouac (uno dei padri della Beat Generation) a partire dal titolo che è lo stesso di uno scritto dell’autore del Massachusetts. Ed è proprio a Kerouac che Russell dedica il lavoro, ma anche a Johnny Cash: e pure questa non è una dedica casuale, in quanto October In The Railroad Earth è musicalmente ispirato direttamente dall’Uomo In Nero (i cui dischi, specie quelli tematici dei primi anni sessanta, sono stati indispensabili per la formazione musicale di Tom), e di conseguenza è quello dalle sonorità più country di tutta la carriera del californiano. Ma October In The Railroad Earth è prima di tutto un grande disco, che si pone da subito tra i migliori di Russell, ispiratissimo sia dal punto di vista lirico (ed è un vero peccato che nei suoi CD raramente Tom includa i testi) sia da quello musicale, ed in più suonato alla grande da una super band guidata dalla chitarra elettrica di Bill Kirchen, storico band leader dei Lost Planet Airmen di Commander Cody, e completata dalla sezione ritmica di David Carroll (basso) e Rick Richards (batteria) e dalla bella steel guitar di Marty Muse, mentre la quota tex-mex è rappresentata dal bajo sexto e fisarmonica di Max e Josh Baca dei Los Texmaniacs.

Ed il CD parte subito alla grande con la title track, in cui il vocione profondo di Tom introduce una strepitosa country song, quasi come se Cash fosse ancora tra noi: melodia accattivante, ritmo acceso ed una bellissima steel a punteggiare, oltre ad un breve ma ficcante assolo di Kirchen. Small Engine Repair è una cadenzata ballatona contraddistinta da uno splendido refrain, un pezzo ancora sfiorato dal country che dimostra lo status di grande cantautore ormai raggiunto dal nostro; T-Bone Steak And Spanish Wine sposta l’album su territori folk, e vede Tom accompagnarsi solo all’acustica, per un intenso racconto tipico dei suoi, cantato con la solita voce espressiva, mentre Isadore Gonzalez è assolutamente strepitosa, un valzerone tex-mex dominato dalla fisa di Josh Baca, servito da un testo profondamente evocativo e da un motivo irresistibile: una delle migliori composizioni di Tom, e non solo su questo disco. Red Oak Texas è ancora un’ottima ballata, nella quale Russell alterna cantato e talkin’ con estrema disinvoltura, un accompagnamento avvolgente da parte della band ed un altro ritornello vincente.

Back Streets Of Love vede di nuovo Tom in perfetta solitudine alle prese con uno slow intenso e toccante, con l’aggiunta della seconda voce di Eliza Gilkyson che fa la differenza, un brano in contrasto con la bellissima Hand-Raised Wolverines, una rock song elettrica e potente, suonata alla grande e melodicamente sempre ad alto livello. Highway 46 è un limpido e terso country tune, più texano che mai, dal delizioso chorus ed ancora con la Gilkyson ad impreziosire il tutto con la sua voce cristallina; con Pass Me The Gun, Billy siamo in pieno territorio western, un racconto decisamente emozionante tra talkin’, melodia, canzone e poesia. Chiusura con When The Road Gets Rough, movimentato pezzo elettrico tra country e rock (tra i più riusciti del CD) e con una fantastica ripresa di Wreck Of The Old 97, brano popolare reso famoso proprio da Cash: gran ritmo e Kirchen che arrota da par suo, il miglior omaggio possibile al Man In Black. Altro gran bell’album da parte di Mr.Tom Russell: October In The Railroad Earth ce lo ritroveremo tra le mani anche a fine anno, quando sarà tempo di classifiche.

Marco Verdi

Lo Springsteen Del 1° Aprile, Non E’ Uno Scherzo: Acustico E Ricco Di Sorprese! Bruce Springsteen – Trenton 2005

bruce springsteen live trenton 2005

Bruce Springsteen – Sovereign Bank Arena, Trenton NJ 2005 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

Quello che al momento è l’ultimo episodio della serie di concerti live pubblicati mensilmente da Bruce Springsteen (mentre scrivo queste righe il prossimo volume è ancora ignoto) ci vede proiettati per la terza volta nell’anno 2005, con il Boss che si esibiva in perfetta solitudine a supporto dell’album Devils And Dust (che era però un disco elettrico, pur senza la E Street Band, ma con sonorità decisamente “roots”). A differenza degli altri due concerti già pubblicati questa serata del 22 Novembre a Trenton, in New Jersey (quindi a pochi chilometri da casa Springsteen), è davvero speciale, e non solo perché è l’ultima della parte americana del tour, ma soprattutto per il fatto che Bruce delizia il pubblico con una scaletta piena di scelte sorprendenti. E’ risaputo che lo Springsteen folksinger e storyteller è decisamente meno apprezzato di quello più prettamente rocker, ma Bruce sopperisce alla mancanza di una band con una performance di grandissima forza e vitalità (che è una costante per lui nelle serate finali di una tournée), ed interagisce parecchio con il pubblico dialogando a più riprese ed introducendo diverse canzoni ora scherzosamente ora più seriamente.

Abbiamo detto che il Boss è sul palco da solo (c’è solo Alan Fitzgerald alle tastiere, ma off-stage), ma il suono è decisamente variegato, in quanto il nostro si accompagna non solo con la chitarra acustica, ma anche con l’elettrica, l’armonica a bocca, l’ukulele, il pianoforte sia acustico che elettrico ed anche l’organo a pompa. E poi ci sono le canzoni, che in questa versione spoglia vengono anche arrangiate in maniera molto diversa, come una Born In The U.S.A. dura e bluesata (solo armonica e voce pesantemente filtrata), una The Promised Land cantautorale e quasi irriconoscibile, l’antica It’s Hard To Be A Saint In The City che diventa un brano quasi cooderiano con tanto di slide, Growin’ Up che invece vede Bruce all’ukulele ed una bella rilettura pianistica di All That Heaven Will Allow. Devils And Dust la fa ovviamente da padrone, con ben sette canzoni (ma stranamente nessuna da Tom Joad), con punte come la splendida Long Time Comin’ e le toccanti Leah e Matamoros Banks. Il nostro suona anche molto spesso il pianoforte, sia prevedibilmente nella splendida Backstreets (non è Roy Bittan, ma si difende) che nella struggente ed intensissima Drive All Night (suonata in questo tour per la prima volta dai tempi di The River), ma anche nella rara Thundercrack, che mantiene ugualmente la sua forza anche senza chitarre, mentre la poco nota My Beautiful Reward (era su Lucky Town) risulta addirittura migliorata dal maestoso arrangiamento a base di organo a pompa e con la fisarmonica di Fitzgerald.

E poi ci sono le già annunciate sorprese, siano esse relative (Empty Sky e Fire, due brani non inusuali ma suonati per la prima volta in questo tour, l’ultima delle due ancora con voce filtrata da vecchio bluesman degli anni trenta) che assolute, a partire dal pezzo che apre lo show, e cioè una vibrante versione del famoso strumentale di Link Wray Rumble, con cui il Boss fa capire da subito il suo stato di forma. Ma le altre due rarità sono ancora più inattese: la vecchissima e commovente Zero And Blind Terry, eseguita per la prima volta addirittura dal 1974 (e mai prima al pianoforte) e soprattutto l’inedita Song For Orphans, un intenso brano di inizio carriera che il Boss non era mai riuscito a pubblicare e che non aveva mai suonato in pubblico prima di questa serata, una vera chicca (ricorda leggermente My Back Pages di Bob Dylan). Dopo una festosa Santa Claus Is Coming To Town, eseguita con Patti Scialfa ed altri membri della sua famiglia (Patti era già salita sul palco per accompagnare il marito in una bellissima e toccante Mansion On The Hill) e la già citata The Promised Land, lo spettacolo si chiude in linea con gli altri concerti del tour, cioè con Bruce che si accomoda all’organo per una lucida rilettura di Dream Baby Dream dei Suicide.

Gran bel concerto, anche senza E Street Band.

Marco Verdi