Il Ritorno, Inatteso, Di Uno Dei Gruppi Di Culto Per Antonomasia Degli Anni Ottanta, Ora Anche In CD. X – Alphabetland

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X – Alphabetland – Fat Possum Download/CD da fine luglio/inizio agosto

Durante la lunga e maledetta quarantena alla quale buona parte del mondo è stata costretta negli ultimi mesi, diversi musicisti hanno pensato di alleviare le pene di chi era costretto a casa anticipando via streaming e download uscite discografiche che si spera saranno seguite anche dal supporto “fisico” (come per esempio Phish, Cowboy Junkies e Joe Ely) o pubblicando a sorpresa nuovi singoli, sempre in formato digitale (Bob Dylan e Rolling Stones). Tra le varie anticipazioni (le versioni in CD e vinile escono tra fine luglio e agosto, anche se su Bandcamp sono già ordinabili) questo nuovo Alphabetland degli X è da considerarsi un piccolo evento, in quanto la punk-rock band di Los Angeles non pubblicava un nuovo album di studio da ben 27 anni, che diventano 35 se andiamo a cercare l’ultimo disco con la formazione originale (Ain’t Love Grand): infatti in questo Alphabetland troviamo proprio i quattro membri che fondarono il gruppo nel lontano 1977, e cioè i cantanti ed ex coniugi John Doe (anche bassista) ed Exene Cervenka, il chitarrista Billy Zoom ed il drummer DJ Bonebrake.

I quattro in realtà avevano ricominciato ad esibirsi insieme dal vivo con tour sporadici e spettacoli “one-off” già dal 2004, ma un album nuovo non sembrava nei programmi nemmeno quando lo scorso anno era uscito il singolo Delta 88 Nightmare, che tra parentesi è l’unico pezzo tra quelli presenti su Alphabetland a risalire ai tardi anni settanta, in quanto gli altri dieci sono stati scritti tutti negli ultimi 18 mesi. Prodotto da Rob Schnapf (Elliott Smith, Beck), Alphabetland ci fa ritrovare un gruppo che non è mai stato popolarissimo ma che negli anni ottanta era arrivato ad un buon livello di culto, oltre a godere della stima di molti colleghi (Dave Alvin aveva perfino fatto parte della band, anche se per un solo disco). I quattro sono in ottima forma, e ci consegnano un lavoro che fonde in maniera esplosiva punk e rock’n’roll, con brani suonati a mille all’ora, le chitarre sempre in tiro e la sezione ritmica che non molla un secondo: per chi non li conoscesse (o se li fosse dimenticati), la loro musica si potrebbe paragonare a quella dei Ramones, anche se forse la band dei Queens era più monotematica per ciò che riguarda il songwriting.

Un album fresco, corroborante ma anche di piacevole ascolto, benché la durata di 27 miseri minuti sia forse fin troppo esigua, in pratica un minuto di musica per ogni anno che li separava dal loro ultimo album di inediti, Hey Zeus. Il lavoro inizia con la title track (canta Exene), che dà subito il via al ritmo sostenuto e con la chitarra che riffa alla grande, ma il brano non è affatto ostico ed anzi si rivela godibile, con tanto di ritornello a due voci e coretti nel bridge. Free vede Doe alla voce solista, ed è di nuovo una scarica elettrica con le chitarre che fendono l’aria, ma il motivo di fondo mantiene il marchio di rock’n’roll song suonata con foga da punk band. Water & Wine è puro punk’n’roll, divertente, trascinante e con un assolo di chitarra breve ma godurioso (e spunta anche un sax), Strange Life, cantata a due voci, è coinvolgente sin dalle prime note e presenta un riff accattivante, così come I Gotta Fever che nei suoi due minuti e mezzo scarsi non fa prigionieri, mostrando che la grinta è ancora quella di un tempo.

La già citata Delta 88 Nightmare è una corsa forsennata ai 200 all’ora che si ferma ben al di sotto dei due minuti, Star Chambered, pur mantenendo un ritmo acceso, ha una struttura più lineare ed un motivo ben definito, mentre Angel On The Road ha una delle melodie più articolate del lavoro, e sembra uscita dal periodo classico della band. L’album si chiude con Cyrano DeBerger’s Back, che è il pezzo più diverso essendo un funk-rock cadenzato ed orecchiabile, la forsennata Goodbye Year, Goodbye e la bizzarra All The Time In The World, uno strano talkin’ con sullo sfondo un piano suonato in modalità jazz-lounge e licks di chitarra da parte dell’ospite Robby Krieger, che conferma il legame degli X con i Doors dato che Ray Manzarek aveva prodotto i loro primi quattro album.

Un ritorno quindi inatteso e di buon livello questo degli X: Alphabetland è un lavoro che nonostante la scarsa durata ci procura una salutare scarica di adrenalina, molto utile in questi tempi cupi.

Marco Verdi

Vero Rockin’ Country, Molto Rockin’ E Poco Country! Jesse Dayton – The Outsider

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Jesse Dayton – The Outsider – Blue Elan CD

Jesse Dayton, texano di Beaumont, ha scelto un titolo perfetto per il suo nuovo CD. Stiamo parlando infatti di un musicista che ha iniziato ad incidere album a suo nome ben più di vent’anni fa, nel 1995, senza mai riuscire a far parlare di sé. Anzi, essendo un ottimo chitarrista, si è guadagnato da vivere più come axeman che come musicista in proprio: il suo curriculum comprende una lunga serie di artisti country e non, tra i quali John Doe ed i suoi X, i Supersuckers, ma soprattutto tre quarti degli Highwaymen, cioè Johnny Cash, Waylon Jennings e Kris Kristofferson, con i quali è talvolta andato anche in tour. Il disco che lo ha riportato alle cronache è stato The Revealer, uno degli album di rockin’ country più interessanti usciti nel 2016, pubblicato dopo diversi anni di silenzio, e che ci ha fatto conoscere un countryman dal pelo decisamente duro, che a violini e banjo preferisce nettamente le chitarre elettriche e sezioni ritmiche che pestano secco https://discoclub.myblog.it/2016/11/05/divertimento-purocosa-volete-piu-jesse-dayton-the-revealer/ .

Ora abbiamo tra le mani il seguito di quel lavoro, The Outsider, che dimostra che Jesse non è il tipo che si siede sugli allori e ripropone lo stesso disco all’infinito: infatti ci troviamo di fronte ad una serie di brani ancora più rock che in The Revealer, con le chitarre che arrotano che è un piacere, ed il nostro che ci mette tutta la grinta che ha in corpo, centrando ancora una volta il bersaglio, grazie anche ad una solida band che non va tanto per il sottile. Certo, il country non manca di certo, ma anch’esso viene suonato con il piglio del vero rocker. L’album inizia in maniera potente con May Have To Do It, un rock-blues grintoso e chitarristico, dal ritmo acceso e con un paio di assoli che di country hanno molto poco. Decisamente “cattiva” anche Jailhouse Religion, ritmica pulsante ed un’atmosfera paludosa ed annerita, come se Tony Joe White si fosse fatto un giro in Texas, ed anche qui non manca un’ottima prova del nostro con la chitarra (slide); con Changin’ My Ways iniziamo a sentire un po’ di country, una ballatona solida e comunque elettrica e vibrante, quasi come se a suonarla ci fosse un gruppo southern.

Hurtin’ Behind è pressante, roccata, vigorosa, con altri assoli lancinanti buttati lì con nonchalance, We Lost It è uno slow sontuoso, figlio delle sonorità degli outlaws degli anni settanta (soprattutto Waylon, ed anche qualcosa di Merle Haggard, che era un fuorilegge onorario), mentre Tried To Quit (But I Just Quit Tryin’) è un trascinante pezzo ad alto tasso elettrico, a metà tra rock’n’roll e honky-tonk texano, davvero irresistibile. L’elettroacustica Charlottesville è invece puro country, ancora dal ritmo elevato ed un sapore quasi bluegrass, anche se suonato alla maniera di un rocker, ed ancora ottimi interventi solisti (qui acustici), Belly Of The Beast rimanda invece a Cash, con tanto di ritmica boom-chicka-boom, mentre Burnin’ concede un momento di relax, un gustoso folk-blues acustico che sa di Mississippi. Il CD si chiude con la limpida Killer On The Lamb, un brano country & western dall’incedere epico e con un motivo di sicuro impatto, uno dei migliori del lavoro.

Sembra che Jesse Dayton sia tornato stabilmente tra noi, e pare con discreti risultati di critica e pubblico, anche perché su quelli artistici non avevo molti dubbi: per gli amanti del country-rock più elettrico, quelli per cui Nashville è soltanto la capitale del Tennessee.

Marco Verdi