Un Altro Grande Disco Per La “Randy Newman Al Femminile”! Jude Johnstone – A Woman’s Work

jude johnstone a woman's work

Jude Johnstone – A Woman’s Work – Bojak Records

In questi giorni “post-sanremesi”, mi sembra doveroso e quasi obbligatorio tornare a parlarvi di una “vera” cantante come Jude Johnstone, a distanza di tre anni dal precedente Shatter (13) recensito da chi scrive su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2013/06/01/sconosciuta-ma-non-per-tutti-jude-johnstone-shatter/ . La Johnstone piano e voce (arrivata con questo lavoro al settimo album), come sempre si avvale di grandi musicisti, a partire dal chitarrista Charles Duncan, il batterista Darrell Voss, il tastierista Radoslav Lorkovic, il bassista Ken Hustad, con il consueto apporto di “turnisti” del calibro del polistrumentista Bob Liepman, e di Rob Van Durren, Jill Poulos, Linley Hamilton, Larry Klein (ex marito di Joni Mitchell), Danny Frankel, anche lui alla batteria, il tutto sotto la co-produzione di Steve Crimmel e registrato nei famosi Painted Sky Studios di Cambria nella solare California.

A Woman’s Work si apre con la pianistica Never Leave Amsterdam, con la sorprendente voce di Jude accompagnata da una dolce pedal-steel, a cui fa seguito la title track, un valzer su un delicato tessuto di piano, violoncello e archi (sarebbe perfetta nel repertorio di Randy Newman), il raffinato e sofferto blues People Holding Hands, con il notevole assolo di tromba di Linley Hamilton, stesso discorso per The Woman Before Me (che avrebbe impreziosito qualsiasi disco della migliore Carole King), per poi passare ad una leggermente “radiofonica” Little Boy Blue, con una batteria elettronica che detta il ritmo del brano. Il “lavoro” della brava Jude riprende con una deliziosa What Do I Do Now, seguita da una stratosferica lenta ballata dall’aria celtica Road To Rathfriland, solo pianoforte, arpa e viola, un’altra tranquilla “song” per pianoforte e poco altro come I’ll Cry Tomorrow, per poi passare ad una ballata “rhythm and blues” come Turn Me Intro Water (sembra di risentire il favoloso periodo Stax), e affidare la chiusura ad una intima e malinconica Before You, perfetta da cantare su un qualsiasi buio palcoscenico di un Nightclub.

Le canzoni di A Woman’s Work riflettono senza ombra di dubbio l’attuale situazione sentimentale della Johnstone (un recente divorzio dopo un matrimonio durato 28 anni), un lavoro quindi molto intimo, emozionale, con arrangiamenti raffinatissimi eseguiti con strumentisti di assoluto valore, che danno vita ad un disco dal fascino incredibile, un piccolo gioiello fatto certamente con cuore e passione. Jude Johnstone non la scopriamo adesso (già in passato con l’amico Bruno abbiamo avuto modo di parlare dei suoi dischi), in quanto si tratta di una “songwriter” dalla vena poetica e passionale, e le sue canzoni sono state cantate da  artisti come Bonnie Raitt, Emmylou Harris, Stevie Nicks, Bette Midler e altri (ma è nota soprattutto per quella Unchained resa celebre da Johnny Cash).

Il forte sospetto è che questa (giovanile) signora californiana con questo settimo episodio della sua “storia” discografica, passi ancora una volta inosservata e inascoltata come era stato per i precedenti lavori, ed è un vero peccato perché A Woman’s Work resta comunque un ottimo disco di cantautorato al femminile, che piacerà a chi acquistava i dischi di Rickie Lee Jones e Carole King, ma soprattutto è un grande album per gli amanti della musica con forte presenza di pianoforte, e il grande Randy Newman in particolare viene alla mente. Da ascoltare!

Tino Montanari

NDT: Nei prossimi giorni, sempre per guarire dal “contagio sanremese” parleremo anche di un altro personaggio emarginato, ma amato dal Blog: Otis Gibbs !

Un Curtis Tira L’Altro Ma Anche “Questo Non Me Lo Aspettavo”! Curtis Stigers – Let’s Go Out Tonight

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Curtis Stigers – Let’s Go Out Tonight – Concord Jazz/Universal

Lo so, il titolo l’avevo già usato, cambiando il nome, per Jonathan Edwards e Jonathan Wilson, e anche il “sottotitolo” se è per questo, ma dopo oltre 900 Post in questo Blog ogni tanto mi “scappa” di riutilizzare un titolo quando rende l’idea. E quindi, dopo l’ottimo Curtis Salgado, eccomi a parlare di questo CD di Curtis Stigers: confesso che mai e poi mai mi sarei aspettato di recensire un album di questo cantante americano. Il suo genere, nel passato, è sempe stato “l’Anticristo” della musica che mi piace, e ne ascolto di ogni tipo, ma lo smooth pop prima e jazz in seguito, dell’ex lungocrinito interprete di Boise, Idaho mi aveva sempre convinto poco. Il suo primo album omonimo era stato un notevole successo nell’America dei Kenny G, Michael Bolton e Co. e quindi lo avevano chiamato per la colonna sonora di The Bodyguard ma poi il suo stile si era man mano trasformato, lungo l’arco di una decina di album, da un “leccato” pop con venature soul in un altrettanto levigato, ma mai esaltante, jazz da crooner leggero.

E poi, al decimo disco, mi fa questo Let’s Go Out Tonight e mi spiazza completamente. Intanto la scelta del repertorio, brani di alcuni cantautori pescati tra la crema della musica rock, pop e soul e non dal classico songbok americano dei Cole Porter, Gershwin e Rodgers & Hart. Nonché un produttore come Larry Klein, che oltre ad essere stato il bassista e marito di Joni Mitchell, nel corso degli anni si è creato un CV come architetto di suoni tra i più raffinati in circolazione: artisti come Madeleine Peyroux, Holly Cole, Julia Fordham, Vienna Teng, Rebecca Pidgeon, Walter Becker, Tracy Chapman, Melody Gardot e nel passato Mary Black, Shawn Colvin, David Baerwald, oltre naturalmente a Joni Mitchell, si erano rivolti alle sue sapienti mani per creare un suono caldo ed avvolgente, ricco nei particolari e di gran classe, anticipatore, in parte, dello stile di T-Bone Burnett e, soprattutto, Joe Henry. Non per niente in questo disco suonano i musicisti abituali di Burnett e Henry: Jay Bellerose alla batteria, Dean Parks alla chitarra, Larry Goldings e Patrick Warren alle tastiere, David Piltch al basso (Klein non pratica quasi più lo strumento, peccato perché era un bassista quasi ai livelli di Jaco Pastorius) e l’eccellente John Sneider alla tromba, oltre allo stesso Stigers che in alcuni brani utilizza il suo sax con ottimi risultati.

Si diceva della scelta oculata dei brani e dei loro autori: si parte alla grande con una versione di Things Have Changed di Robert Dylan (giuro, è scritto così sul libretto, il nome d’arte è Bob, sarebbe come se Iggy Pop diventasse Iguana o Ignazio Pop, per dire), il brano chiunque l’abbia scritto è comunque bellissimo e appariva nella colonna sonora del film con Michael Douglas The Wonder Boys, un Dylan come avrebbe potuto interpretarlo Tom Waits se avesso avuto la voce di Neil Diamond, rasposa, leggermente roca e vissuta ma non esageratamente profonda come quella di Waits, diciamo quella degli anni ’70 che molti ancora oggi preferiscono (ho alzato timidamente la mano) e anche lo stile è quello, con assolo libidinoso di tromba che è la ciliegina sulla torta di questo pezzo. David Poe (altro musicista raffinato e poco conosciuto che ha avuto un disco prodotto da Burnett) è l’autore, nonché alle armonie vocali, nel brano Everyone Loves Lovers, una dolcissima slow song per innamorati dove la voce di Stigers pennella la note e l’arrangiamento di Klein ricorda quelli del Burt Bacharach dei tempi d’oro, l’interscambio tra la chitarra “trattata” di Parks, l’organo di Goldings, i fiati di Sneider e lo stesso Stigers è ai limiti della perfezione per questo tipo di canzone. Oh How It Rained è un vecchio brano soul di Eddie Floyd e Steve Cropper che qui diventa un blues sofferto e primigenio.

Goodbye di Steve Earle, è un brano che già di suo è molto bello, come quello appena citato di Dylan, in questa versione soffice diventa una canzone totalmente diversa ma altrettanto valida, e questo sarebbe il compito di coloro che chiamiamo “interpreti”, fare propria la canzone, ma ci riescono solo quelli bravi e in questo disco Stigers centra pienamente l’obiettivo: la tromba, il piano, l’organo e la ritmica delicata al servizio della voce partecipe di Stigers, bellissima. Into Tempation è un brano di Neil Finn, il leader dei Crowded House per intenderci, ma in questa versione diventa un’altra ballata notturna e fumosa. Otis Clyde è stato un autore nero-americano minore ma il suo posto nella storia se l’è meritato con Route 66 e comunque questa This Bitter Earth è strepitosa, la faceva Dinah Washington, ma la versione di Stigers è notevole, sembra un brano del Ray Charles più ispirato, sia per come è cantata, con l’inflessione vocale di “The Genius” ma anche per l’arrangiamento ricalcato sul sound degli album Modern Sounds in Country & Western, con la pedal steel di Parks ad adagiarsi insinuante sulla tromba di Sneider.

Ma a dispetto di tutti questi brani di autori grandissimi il capolavoro dell’album è una versione di quella meraviglia che si chiama Waltzing’s For Dreamers, una canzone di una bellezza disarmante scritta dal geniale Richard Thompson, e questa versione è da pelle d’oca e lacrimuccia anche se non siete sentimentali. A questo punto sarebbe impossibile fare meglio ma anche Chances Are scritta da Hayes Carll ha molte frecce al suo arco, una ballata solare ancora una volta con uso di tromba e con Stigers che canta in assoluta souplesse sillabando il testo con perfezione quasi assoluta, altra piccola perla ancora una volta con quell’effetto Diamond meets Charles. You’re Not Alone non è quella di Michael Jackson ma un brano scritto da Jeff Tweedy dei Wilco per Mavis Staples, ancora una volta con quel tipo di sound raffinato tipo la Mitchell fine anni ’70, primi ’80, quando collaborava con Klein o un Van Morrison d’annata, che non avevamo ancora nominato, ma ci sta, bello l’assolo di sax di Stigers, breve e pertinente. La title-track Let’s Go Out Tonight firmata da Paul Gerard Buchanan (perché il nostro amico è uno preciso con nomi e cognomi) è un brano tratto dal repertorio della band di Buchanan, i Blue Nile forse il gruppo che ha la maggiori similitudini sonore con il contenuto di questo album, altra ballata notturna e intimista sempre caratterizzata da quel mood malinconico impersonato dalla tromba di John Sneider.

Una bella sorpresa, non me l’aspettavo!

Bruno Conti