Un Disco Dal Vivo Veramente “Mitico”, Anzi Due! Gov’t Mule – Bring On The Music – Live At The Capitol Theatre Parte 1

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Gov’t Mule  – Bring On The Music – Live At The Capitol Theatre2 CD + 2 DVD Deluxe Esce il 19-07/ 2 CD Mascot/Provogue

Quest’anno la band americana festeggia i 25 anni di carriera (anche se il primo album omonimo fu pubblicato nel 1995): nato come un side project di Warren Haynes e Allen Woody, all’epoca entrambi negli Allman Brothers, poi il gruppo è diventato una delle migliori realtà del rock americano, con dieci album di studio, più alcuni EP, dischi collaterali, progetti di revisione di altri CD, e almeno altrettanti dischi dal vivo ufficiali pubblicati in questo arco di tempo. Ma se andiamo a anche a vedere il materiale Live distribuito tramite il loro sito http://mule.net/ si raggiungono quantità spropositate: comunque anche per festeggiare la firma di un nuovo contratto di distribuzione con la Mascot/Provogue, dove comunque avevano già lavorato in passato, ecco che esce ora questo Bring On The Music – Live At The Capitol Theatre in diversi formati, tra cui abbiamo estrapolato per parlarne, la versione Deluxe in 2 CD e 2 DVD che affianca la versione standard in 2 CD. Perché, in un attentato ai nostri portafogli, le due edizioni contengono materiale quasi completamente diverso a livello brani e quindi toccherebbe averle entrambe (ma occhio perché ci sarà anche un bundle limitato con la versione in 4 CD + 2 DVD): si tratta di un estratto quasi completo (manca comunque qualcosa) delle due serate registrate e riprese il  27 e 28 aprile del 2018 al Capitol Theatre di Port Chester, NY (una delle due location predilette in assoluto da Haynes, insieme al Fillmore).

Lo so perché sono andato a controllare sul sito https://www.setlist. che riporta le tracklist complete dei due concerti: direte voi, ma non era più semplice pubblicare i due concerti integrali (come fanno per quelli che vendono direttamente sul sito), magari anche nella sequenza originale? Certo, ma dovendo complicarci la vita, hanno preferito optare per questa soluzione complicata che mescola e riallinea la sequenza dei  due concerti. Quindi andiamo a vedere cosa dobbiamo aspettarci, partendo dalla versione standard in 2 CD. Se non avete voglia di leggervi tutto, sappiate comunque che, come al solito, si tratta di svariate ore di grande musica rock, con la solita quota di chicche imperdibili ad insaporire un menu di per sé gustosissimo, e quindi non si può farne a meno. Non facciamo proprio una track by track completa del tutto (comunque quasi), se no fra un paio di mesi siamo ancora qui, ma guardiamo comunque in profondità i contenuti: il primo CD edizione standard si apre con Travelin’ Tune (Part 1) che è la canzone che apriva il concerto del 28 aprile (o l’undicesima del 27 aprile? Chi può dirlo, quindi non ci poniamo più il problema), comunque trattasi di uno dei brani di Revolutions Come…Revolutions Go, tra le poche, tre in tutto se non ho visto male, che non raggiungono i cinque minuti. In ogni caso i quattro, Haynes, Abts, Louis e Carlsson, partono subito alla grande, ma con un pezzo diciamo più “gentile” , più rootsy, anche senza la steel della versione di studio, rispetto al rock dirompente di gran parte del concerto, deliziosa comunque.

A seguire arriva, da By A Thread, una potentissima cover del traditional Railroad Boy, grande rock-blues con gagliardo uso di slide, da parte di Haynes, mentre la versione di Mule, oltre i dieci minuti, lo conferma come uno dei pezzi apicali della loro storia, come avrebbe detto Abantuono “Viuulenza”, ma con classe zeppeliniana, rilanci continui ed interscambio anche con l’organo e il synth, con Abts che picchia come un fabbro appunto alla Bonzo Bonham. Beautifully Broken era su Deep End 1, potremmo definirla una hard ballad, più tranquilla, ma non mancano le scariche rock tipiche dei Muli e un bellissimo assolo di Warren, poi tocca a Drawn That Way, un altro dei brani di Revolutions, altro pezzo di grande impeto, molto scandito e tirato senza requie con accelerazione finale micidiale. Nel frattempo non si segue più la sequenza del concerto originale e arriva la splendida southern ballad The Man I Want To Be, che ricorda certe cose degli Allman, compreso il ficcante assolo di chitarra. La prima sorpresa arriva con la frenetica Funny Little Tragedy (Shout!), con grande giro di basso di Carlsson, che quasi inevitabilmente porta alla citazione nella parte centrale di Message In A Bottle dei Police, o viceversa, per poi tornare al tema originale; a seguire troviamo Far Away, un brano del 2000, sempre in versione ampliata, una ballata scura che parte lentamente e poi si dipana in crescendo, fino ad un acidissimo e quasi psichedelico assolo di Warren anche in modalità wah-wah.

Altra sorpresa in arrivo con la cover di Sin’s A Good Man’s Brother, un vecchio brano dei Grand Funk Railroad, che non eseguivano in concerto dal 2002, un pezzo di vibrante e gagliardo rock americano targato anni ’70, Mr. Man era su Dèjà Voodoo, altra bomba rock “riffatissima” che sembra uscire da qualche vecchio vinile dei Deep Purple, con Danny Louis molto Jon Lord alle tastiere. Dark Was The Night Cold Was The Ground è il vecchio traditional arrangiato da Blind Willie Johnson, che a sua volta Haynes aveva trasformato in un roccioso blues-rock per la versione di studio di Revolutions Come… qui ancora più grintoso in una versione monstre di oltre 10 minuti, intro pianistica, poi arriva la slide ed un groove che ricorda molto i Led Zeppelin di Physical Graffiti, grande brano. Life Before Insanity  che apre il secondo CD è un pezzo dall’aria più sudista, nuovamente allmaniano, con una bella melodia ricorrente, prima di passare a Thorns Of Life, uno dei brani migliori del disco del 2017, con Warren che lavora di fino su timbri e tonalità della propria chitarra nell’atmosfera sospesa della canzone, prima di scaricare insieme ai suoi pards tutta la potenza di fuoco della band, dieci minuti poderosi, poi replicati nell’altrettanto lunga title track dell’ultimo album (di cui vengono eseguiti ben 9 dei 12 brani, d’altronde era il Revolutions Come…Revolutions Go Tour), altro brano “swingin’ rock”, ancorato da un bel giro di basso e dalle divagazioni dell’organo, prima di una incantevole jam, quasi jazzata nella parte centrale strumentale e poi cambio di tempo verso un blues-rock cadenzato e infine di nuovo al tempo originale, con Louis impegnato anche alla tromba, oltre che all’organo.

Anche No Need To Suffer era su Life Before Insanity, altro lento dalle atmosfere sospese ed avvolgenti, per rimanere in tema Zeppelin siamo dalle parti di Houses Of Holy, altro tipico brano in crescendo con piano elettrico sullo sfondo e poi l’esplosione di un splendido assolo di chitarra torcibudella di Haynes, Dreams & Songs viene da Revolutions…, una dolente southern ballad con uso slide, tra Allman e Lynyrd Skynyrd, prima di passare alla lunghissima Time To Confess, che era su The Deep End 2, con accenni reggae e improvvise fiammate rock, che confluiscono nella devastante jam strumentale nella parte centrale, con un altro assolo mostruoso di Warren, che poi ci regala un’altra chicca come la cover di Comeback dei Pearl Jam, una primizia nel repertorio dei Muli, un pezzo non notissimo della band di Vedder, sul loro omonimo disco del 2006, una vibrante confessione ad una compagna che non c’è più, cantata con empatia e partecipazione da Haynes, che si immerge a fondo nella canzone, fino all’assolo lirico e liberatorio. World Boss era la traccia di apertura di Shout!, uno dei classici pezzi rock molto mossi dei Gov’t Mule, con qualche elemento hendrixiano nello svolgimento,  brano che conclude questo doppio CD nella versione standard.

Nella seconda parte del Post vediamo cosa contiene la versione Deluxe in 2 CD e 2 DVD.

Bruno Conti

Dagli Archivi Inesauribili Dei Gov’t Mule Ecco Le Tel-Star Sessions.

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Gov’t Mule – The Tel-Star Sessions – Mascot/Provogue EU/Evil Teen USA

Praticamente le conosciamo già tutte le canzoni contenute in questo The Tel-Star Sessions, ma in queste versioni registrate nel 1994 in Florida a Bradenton, appunto ai Tel- Star Studios, con l’apporto dell’ingegnere del suono Bud Snyder, non le avevano mai sentite. I brani nascevano come demo in preparazione di quello che sarebbe stato il primo album della band, in uscita per la Relativity nell’ottobre del 1995. In quegli anni, fino al 1997, sia Warren Haynes che Allen Woody suonavano ancora con gli Allman Brothers, mentre i Gov’t Mule erano una sorta di side-project dove li aveva raggiunti Matt Abts, il batterista che aveva già fatto parte, con Haynes, della band di Dickey Betts.  Diciamo subito che l’album è notevole e vale la pena di averlo, a maggior ragione se siete fans dei “Muli”, ma anche se amate in generale il miglior rock-blues, versione power trio, nella tradizione che discende da Cream, Jimi Hendrix Experience, Taste, Free, Hot Tuna e poi giù fino a Mountain, ZZ Top e tantissime altre band che hanno influenzato Haynes e soci. Il disco, pur partendo da semplici demo, è stato amorevolmente completato a livello tecnico dal buon Warren e suona come se fosse stato registrato ieri mattina, ed è il tassello mancante che va a completare la storia di una delle più gloriose formazioni del rock americano classico.

La partenza è affidata a Blind Man In The Dark, un brano scritto da Warren Haynes che non sarebbe apparso su disco fino a Dose del 1998, ma faceva già parte del repertorio live del band, un pezzo sintomatico dello stile del trio: voce dura, rauca e possente, una sezione ritmica scintillante, basata sui giri armonici vorticosi di Woody, degno erede di bassisti come Jack Bruce soprattutto, ma anche Andy Fraser dei Free, a cui si ispirava, e alla batteria agile ma potente di Matt Abts, in possesso pure lui di una notevole tecnica individuale. Sul tutto la chitarra di Haynes, sempre in grado di disegnare linee soliste di grande fascino e varietà, inserendosi anche in quel filone delle jam band, dove l’improvvisazione è principe e fa sì che un brano non sia mai uguale alle volte precedenti, e quindi anche i sette pezzi presenti nel disco di esordio (uno ripetuto due volte) sono comunque abbastanza differenti da quelli presenti in questo Tel- Star Sessions: bellissimo l’assolo di Warren,in questo brano che rimane uno dei loro migliori in assoluto. Notevole anche Rocking Horse, un pezzo che oltre a quelle di Haynes e Woody, porta anche le firme di Gregg Allman Jack Pearson del giro Allman Brothers, e quindi ha una impronta più “sudista” nello stile, sempre bluesato e incalzante ma anche con le stimmate del gruppo di Macon presenti nel sound del brano, con Haynes che si sdoppia su due chitarre soliste, lavorando di fino sia con gli assolo come con il raccordo ritmico, ottima versione. Il wah-wah è il tratto distintivo di Monkey Hill, come la voce filtrata dell’artista di Asheville, NC nella parte iniziale, che poi lascia posto ad una traccia dal suono di nuovo molto alla Cream. Mr Big, estratta da Fire And Water dei Free, è uno dei riff di chitarra più classici del rock (grazie a quel chitarrista splendido e sottovalutato che fu Paul Kossoff) ma vive anche sul lavoro agli armonici di Allen Woody che ripropone quel assolo nell’ assolo di Andy Fraser contrapposto a Kossoff nel brano originale, una canzone difficile da migliorare e che si può solo cercare di riproporre con fedeltà ed amore, e i Gov’t Mule ci riescono alla perfezione.

The Same Thing è un brano scritto da Willie Dixon per Muddy Waters, il classico brano blues che diventa l’occasione per un’altra scorribanda alla Cream (pur se il brano era anche nel repertorio di Allman, Thorogood, Grateful Dead, della Band e di moltissimi altri), ancora con il trio impegnato nelle classifiche jam di libera improvvisazione e interscambio tra i tre musicisti, basate sulle 12 battute. Anche Mother Earth di Memphis Slim ha chiare origini nel blues ma viene rifatta con uno spirito direi hendrixiano, l’arcirivale di Clapton, che aveva comunque le basi della propria musica ben piantate nella tradizione, poi riveduta e corretta attraverso delle derive decisamente più rock, come dimostra anche questa versione dei Gov’t Mule, poderosa ed intensa, con la chitarra di Haynes che scivola fluida e decisa nel magma sonoro del trio. Classico da terzetto è anche Just Got Paid dei ZZ Top, altro brano che non avrebbe fatto parte dell’esordio dei Muli del 1995, un boogie blues tra i più belli e famosi del trio texano di Gibbons e soci, con il nostro amico che si raddoppia di nuovo alle chitarre, questa volta aggiungendo una slide minacciosa e turbolenta che duella con il basso pompatissimo di Allen Woody, prodigioso come sempre. E pure in Left Coast Groovies Woody si inventa un giro armonico sinuoso e geniale, decisamente funky, che stimola Warren Haynes ad inventarsi un assolo di rara tecnica e precisione, ben sostenuto anche dal lavoro tentacolare della batteria di Abts, tre virtuosi al lavoro. Chiudono queste Tel-Star Sessions due diverse versioni di World Of Difference, ovvero il pezzo che chiudeva anche il disco di debutto omonimo: un brano che, come l’iniziale Blind Man, ha anche elementi psych ed hendrixiani, e persino tocchi dark, che poi sarebbero stati sviluppati nel successivo Dose, la seconda versione leggermente più breve, mantiene il mixaggio originale ed è riportata come bonus track.

Ho anche colto l’occasione per andarmi a risentire il disco originale che era almeno dieci o quindici anni che non ascoltavo, e devo dire che è sempre un grande album, tra l’altro ristampato lo scorso anno in Europa dalla Retroworld. Se vi manca potreste fare un bel uno-due, della serie un mulo tira l’altro, se no comunque il “nuovo” Tel-Star Sessions è un ottimo disco (per quanto ovviamente leggermente inferiore all’originale, più completo e rifinito). Esce oggi.

Bruno Conti