Il Migliore Finora Tra I Cofanetti Di Halloween: Garantisce Il Conte Frankula! Frank Zappa – Halloween ‘81

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Frank Zappa – Halloween ’81 – Zappa/Universal 6CD Box Set

Terzo cofanetto in quattro anni che si occupa dei concerti che Frank Zappa era solito tenere il 31 ottobre ed il primo novembre di ogni anno (dopo quello del 1977 uscito nel 2017, con però la parte musicale disponibile solo su chiavetta USB, e quello dello scorso anno dedicato al 1973 https://discoclub.myblog.it/2019/10/31/cofanetti-autunno-inverno-5-tutto-il-necessario-per-una-festa-mostruosa-frank-zappa-halloween-73/ ), un’abitudine nata nei primi anni settanta e terminata a metà anni ottanta che aveva come costante la presenza del nostro e della sua band al Palladium Theatre di New York, con l’eccezione delle prime due edizioni al Capitol Theatre di Passaic e l’ultima del 1984 al Felt Forum, sempre a NY. Dopo le maschere di Zappa “normale” e di Frankenzappa, quest’anno tocca al Conte Frankula fare capolino dalla confezione di Halloween ‘81, che dal lato musicale presenta ben tre concerti (quasi) completi, i due show serali del 31/10 e quello dell’1/11, divisi in due CD ciascuno, per un totale di 86 pezzi (ma alcune tracce sono dialoghi) di cui ben 70 inediti: esiste anche una versione singola con gli highlights, con dentro per la “gioia” dei fans la Strictly Genteel suonata il primo novembre e non inclusa nel cofanetto.

Ma veniamo al contenuto del box, tre concerti superlativi che vedono Frank ed il suo gruppo in forma smagliante, e che rendono Halloween ’81 la più riuscita tra le tre ristampe deluxe uscite finora: ciò è dovuto un po’ alla scelta del repertorio, che rende i tre show più godibili di altri pur belli pubblicati di recente (compreso Zappa In New York e The Mothers 1970), con una maggiore presenza di brani cantati e di breve durata, ma gran merito va anche alla splendida band che accompagna il nostro, un mix tra elementi vecchi e nuovi e che vede alle chitarre Ray White e soprattutto un ancora sconosciuto Steve Vai, alle tastiere (e purtroppo anche ai synth, anche se non ne abusano) Tommy Mars e Robert Martin, la sezione ritmica di Scott Thunes al basso e Chad Wackerman alla batteria e Ed Mann alle percussioni. Possiamo quindi ascoltare con grande piacere la consueta miscela tra serietà (poca) e follia, genio e sregolatezza, grande musica e momenti demenziali, con la solita miscela tra rock, jazz, blues, pop, doo-wop ed improvvisazione come solo Zappa sapeva fare.

I primi due CD documentano il primo concerto del 31, alle 8 p.m., che inizia con una potente versione dello strumentale Chunga’s Revenge, in cui Frank dà subito un saggio della sua tecnica chitarristica, e poi mette in fila una serie di brani di alto livello musicale nonostante qualche titolo non proprio convenzionale come Alien Orifice e Broken Hearts Are For Assholes. Gli episodi salienti sono l’orecchiabile e corale The Meek Shall Inherit Nothing, il rap-rock Dumb All Over, il coinvolgente jump blues Suicide Chump, il binomio tra pop music e pazzia di Jumbo Go Away, gli strepitosi nove minuti tra rock ed improvvisazione di Drowning Witch ed i quasi dieci del funkettone City Of Tiny Lites. Non mancano alcuni classici zappiani, come la complessa Envelopes, quasi dissonante, l’irresistibile Flakes (con tanto di parodia di Bob Dylan), il rock’n’roll (almeno all’inizio, poi Frank si mette a cazzeggiare) di Tinsel Town Rebellion, la deliziosa Bobby Brown Goes Down, una canzone regolare e canonica (testo a parte), la relativamente famosa Dancin’ Fool ed un finale che vede l’inatteso omaggio alla Allman Brothers Band con una lucida e solida rilettura di Whipping Post.

I dischetti numero tre e quattro sono relativi al concerto della mezzanotte del 31 (quindi poco dopo la fine dell’altro), che all’epoca venne mandato in diretta televisiva dall’allora neonata MTV. Lo show, che in comune con quello prima ha soltanto Strictly Genteel, inizia con la melliflua Black Napkins e presenta un numero maggiore di classici come ad esempio la divertente Montana, una frenetica Easy Meat (forse qui troppi synth, ma un grande guitar solo), le brevi e dirette Doreen e Joe’s Garage e tre autentici tour de force con The Torture Never Stops, The Illinois Enema Bandit e King Kong che sommano solo loro mezz’ora complessiva. Altri highlights sono la rockeggiante Society Pages, la pimpante ed orecchiabile Charlie’s Enormous Mouth, il country dell’irresistibile Harder Than Your Husband, il quasi hard rock di Bamboozled By Love e Stevie’s Spanking (sentite la chitarra), la godibile Cocaine Decisions, dalla linea melodica quasi rigorosa, lo strepitoso blues di Nig Biz ed un’altra notevole rock jam con The Black Page # 2; finale “strano” con il noto traditional Auld Lang Syne, che normalmente si suona a Capodanno e non certo a Halloween.

Gli ultimi due CD sono infine dedicati allo show del primo novembre (che all’epoca non si sapeva, ma sarà l’ultimo in assoluto per Zappa al Palladium), una sorta di “best of” dei due concerti tenuti la sera prima con una setlist che comprende appunto diversi brani già ascoltati il 31. Le uniche novità sono messe all’inizio, e tra di esse ci sono almeno tre classici zappiani come l’iniziale Zoot Allures e le note I’m The Slime e Cosmik Debris. Non sto ad elencarvi di nuovo i pezzi restanti, ma è doveroso dire che forse ci troviamo di fronte allo spettacolo migliore dei tre, con versioni ancora più convincenti di Easy Meat, Stevie’s Spanking, Cocaine Decisions, The Torture Never Stops ed un’altra Whipping Post di alto livello.

Quest’anno forse a causa del Covid le feste di Halloween saranno bandite e quindi non potrete indossare maschera e mantello da Conte Frankula, ma nessuno vi impedirà di godere della parte musicale di questo Halloween ’81, sia che scegliate l’impegnativo box sestuplo che il più pratico (anche per le vostre tasche) singolo CD.

Marco Verdi

Rimandato E Ora Finalmente Pubblicato, Tra Doors, Zappa E Jazz-Rock. Robby Krieger – The Ritual Begins At Sundown

robby krieger the ritual begins at sundown

Robby Krieger – The Ritual Begins At Sundown – Mascot/ Players Club

*NDB Annunciato tempo fa, e poi rinviato di ben quattro mesi, finalmente la settimana prossima esce questo CD. Visto che la recensione era pronta dall’epoca ho preferito (ri)proporvela così come l’avevo scritta prima dell’esplosione della pandemia.

Per parafrasare una delle frasi più famose di Highlander, “alla fine ne rimarrà una sola”, evidenziando la campagna acquisti che sta effettuando la Mascot/Provogue, la quale settimana dopo settimana sta mettendo sotto contratto molti dei più importanti chitarristi in circolazione in ambito rock, blues e dintorni; l’ultimo arrivato è Robby Krieger, il grande solista dei Doors, che esordisce per la etichetta euro-americana con questo The Ritual Begins At Sundown, in uscita a breve, un disco strumentale, il nono (così dice la sua biografia) della carriera del musicista californiano, sempre incentrato in un ambito che potremmo definire jazz-rock-fusion. Scritto e co-prodotto con il suo grande amico Arthur Barrow, con cui collabora sin dalla metà degli anni ‘70: Barrow, che suona il basso nell’album, si è portato appresso parecchi altri alunni zappiani, dal tastierista Tommy Mars al batterista Chad Wackerman (che per un refuso nella cartella stampa viene chiamato Joel, e ovviamente in rete l’errore è diventato virale), e ancora anche i fiatisti Jock Ellis al trombone e Sal Marquez alla tromba.

A completare la line-up ci sono poi diversi musicisti impiegati ai fiati: AeB Byrne, una gentile donzella al flauto e Chuck Manning e Vince Denim al sax, oltre a Joel Taylor che si alterna alla batteria con Wackerman (forse da qui nasce il nome errato del drummer), per un disco che vista la presenza massiccia dei fiati ha un suono che in parecchi brani vira pure verso il funky, ma per la maggior parte sembra ispirato proprio dal sound dello Zappa di fine anni ‘70, prima metà anni ‘80, quello di dischi come Joe’s Garage, You Are What You Is, Them Or Us, ma anche lo strumentale Shut Up ‘N Play Yer Guitar, periodo in cui spesso suonavano con Frank anche Mars e Wackerman. L’ultimo album pubblicato da Krieger Singularity, è uscito dieci anni fa nel 2010 (anche se nel 2017 l’ineffabile Cleopatra ha pubblicato un raffazzonato disco In Session, che constava di brani pescati dagli album più disparati, soprattutto tributi vari, in cui Robby si limitava a suonare la chitarra, e che per motivi che sfuggono la mia comprensione è stato pure candidato ai Grammy), ma lo stile, come vi dicevo poc’anzi è rimasto il suo solito. A partire dal jazz-rock in salsa funky dell’iniziale What Was That?, con profluvio di fiati, le tastiere liquide di Mars e il basso rotondo di Barrow che fanno da sfondo alle divagazioni di Krieger che dimostra la sua eccellente tecnica chitarristica con un assolo appunto molto zappiano, con grande controllo di toni e suoni, fluido e complesso e alternato a quello del sax di Manning (o è Denim?).

Slide Home, con il flauto della Byrne in evidenza, è più etereo e spaziale, con la slide che disegna traiettorie sempre molto ricercate, mente l’unica cover presente, ca va sans dire di Frank Zappa, è una gagliarda Chunga’s Revenge, sempre con lo stile del baffuto musicista ben in mente e reso con la giusta carica da tutti i musicisti, con Robby che ci regala un altro assolo dove brillano la sua tecnica e il suo feeling sopraffini. Ma prima troviamo un’altra funky tune molto seventies jazz-rock come The Drift, dove gli arrangiamenti sono impeccabili anche se un po’ di maniera e a tratti datati, benché gli assoli siano sempre ben realizzati; Yes The River Knows presenta un altro assolo da urlo di Krieger, su un tema musicale dai ritmi più lenti, ma comunque di notevole suggestione, The Hitch vira verso un suono più rock e sincopato con qualche deriva errebì, con Hot Head che fa riferimento più alla fusion di gruppi come Spyrogyra, Yellow Jackets o dei vecchi LA Express di Tom Scott e Robben Ford (di cui Krieger a tratti ricorda il tocco, o è viceversa?), con un assolo di piano elettrico di Mars che rimanda anche ai Doors di Riders On The Storm https://www.youtube.com/watch?v=pHaFBYk9c_o . Dr. Noir è vicina al suono più jazzy dei primi album di Krieger, con gli sbuffi di organo e l’uso all’unisono di fiati e chitarra, che poi rilascia un altro assolo di notevole spessore e pure Bianca’s Dream rimane più o meno su queste coordinate sonore, lasciando alla conclusiva Screen Junkie una maggiore ricerca di temi vicini al buon Frank, senza però i tocchi di genio di Zappa.

Bruno Conti