Novità Agosto Parte I + Qualche Precisazione. Gov’t Mule, Black Crowes Eccetera

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Gov’t Mule – Mulennium – Evil Teen Records – 3 CD

1:

1. Bad Little Doggie
2. Lay Your Burden Down
3. Blind Man In The Dark
4. Life Before Insanity
5. Larger Than Life
6. Towering Fool
7. Countdown Jam
8. 21st Century Schizoid Man
9. We’re Not Gonna Take It
10. Dazed And Confused

Disc 2:

1. When The Blues Comes Knockin’
2. My Dog And Me
3. Lump On Your Stump
4. I Can’t Quit You Baby
5. It Hurts Me Too
6. Blues Is Alright
7. Is It My Body?
8. Power Of Soul

Little Milton on Tracks #1-6
Audley Freed on Tracks #7-8

Disc 3:

1. Helter Skelter
2. Sometimes Salvation
3. 30 Days In The Hole
4. End Of The Line
5. Out Of The Rain
6. I Shall Be Released
7. Simple Man

Audley Freed on Tracks #1-5, 7
Robert Kearns on Tracks #3 & 6
Johnny Mosier on Tracks #5 & 6
Make Van Allen on Tracks #5-7

Questa è una bella sorpresa dell’ulima ora! Esce il giorno 3 agosto tramite il loro sito e chi lo ha prenotato sullo stesso (ma qualche copia dovrebbe circolare anche nelle desolate lande italiche), poi sarà distribuito regolarmente dalla Provogue/Edel dal 30 agosto. Come vedete dalla lista dei brani si tratta di un concerto di quelli da leccarsi baffi: registrato il 31/12/1999 al Roxy di Atlanta, Ga, quando nella formazione era presente ancora il bassista originale Allen Woody. Non mi è chiaro se chi lo acquista tramite download sul loro sito verrà omaggiato di un ulteriore CD (visto che dice che chi ha prenotato avrà diritto al dowload di Mullenium + bonus disc). Manca poco, vedremo.

Un paio di precisazioni.

Chi, come me, ha prenotato alla Rhino Handmade il box quadruplo di Delaney & Bonnie On Tour sappia che la data è stata posticipata dal 27 luglio al 10 agosto.

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Questo è il nuovo album di Loudon Wainwright III (il babbo) 10 Songs For The New Depression di cui vi avevo parlato mesi orsono quando era “uscita” la versione digitale, padri-loudon-wainwright-iii-songs-for-the-new-depression.html, ora è disponibile la versione europea in CD pubblicata dalla Proper Records.

Il giorno 3 agosto saranno nei negozi anche, il nuovo Los Lobos, The Suburbs degli Arcade Fire e Tom Jones Praise and Blame, tutti e tre ottimi, recensioni nei prossimi giorni, sempre presenti indefessi al posto di combattimento.

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Sempre il giorno 3, ma da verificare, dovrebbe uscire anche il doppio acustico Croweology dei Black Crowes, dove rivisitano in chiave acustica molti classici del loro repertorio, secondo alcuni dopo questo disco il gruppo potrebbe sciogliersi di nuovo. Ma visto che l’hanno già fatto in passato, per le leggi della fisica, ciò che si scioglie può rinascere a nuova vita, mai disperare.

Esce per il 20° anniversario dell’uscita di Shake Your Moneymaker e questa è la lista dei brani:

CD 1
Jealous Again
Share The Ride
Remedy
Non-Fiction
Hotel Illness
Soul Singing
Ballad In Urgency
Wiser Time
Cold Boy Smile
Under A Mountain

CD 2
She Talks To Angels
My Morning Song
Downtown Money Waster
Good Friday
Thorn In My Pride
Welcome To The Good Times
Girl From A Pawnshop
Sister Luck
She
Bad Luck Blue Eyes Goodbye

Direi che per oggi può bastare, nei prossimi giorni oltre alle recensioni promesse la lista delle altre novità di agosto e qualche anticipazione di settembre.

Bruno Conti

Questo Non Lo Dovevano Fare. Sandy Denny – Box Set

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Mancano ancora più di 2 mesi (ma se ne parlava già da tempo), il 4 ottobre la Island del gruppo Universal pubblicherà un Box set di 19 CD con l’opera omnia di Sandy Denny. Proprio quella meraviglia che vedete qui sopra: il titolo e la copertina non sono ancora definitivi (e forse neppure la data) però non se ne può più.

Qual’è l’anniversario che si festeggia o si commemora? Sandy Denny è nata il 6 gennaio del 1947 ed è morta, a sola 31 anni per uno stupido incidente casalingo, il 21 aprile 1978, la Island Records ha festeggiato lo scorso anno i 50 anni dalla sua fondazione, quindi quale è il motivo che sta alle spalle dell’uscita di questo cofanetto? Forse spillarci altri soldi? Temo di sì.

Per i due o tre che non sanno chi è e per i profani e i più giovani, Sandy Denny è quella che canta in The Battle Of Evermore su Led Zeppelin IV, ma per il sottoscritto e per Robert Plant (e mi auguro, per decine di migliala di persone sparse in tutto il mondo), è “La più grande voce femminile di tutta la scena musicale inglese di sempre”.

Quello che mi rompe la balle (scusate la volgarità) è, che questo sarebbe, sarà, il quarto cofanetto a lei dedicato che comprerò: dopo il triplo Who Knows Where The Time Goes? (che è anche il titolo di una sua indimenticabile canzone), il quintuplo A Boxful Of Treasures e quello quadruplo Live At The BBC. Oltre ad una serie di antologie singole e doppie, Cd pubblicati solo per il mercato australiano, ristampe del disco con gli Strawbs, tutti i dischi con i Fairport Convention e della sua carriera solista e con i Fotheringay, via via arricchiti di brani inediti e nuove masterizzazioni.

E adesso, puff, esce questo box che conterrà tutto questo nei primi 11 CD e altri 8 CD di materiale raro ed inedito: secondo il curatore dell’opera Andrew Batt almeno il 15-20% del contenuto non è mai stato pubblicato prima, tra cui due brani, Lord Bateman e Twelfth Of Never di cui si narrava l’esistenza ma non si erano mai visti (ma pare ce ne siano altri).

Il tutto sarà corredato da un libro rilegato di 72 pagine, memorabilia vari e tutti i CD saranno confezionati con copertine digipack apribili, in definitiva una goduria per il pirla che risiede in noi. Questo scherzetto dovrebbe costare, dalle prime anticipazioni sui siti inglesi, tra le 140 e le 150 sterline, quasi 200 euro, un bel botto quindi, speriamo nelle magnanimità dei distributori italiani.

Comunque imperdibile sin d’ora, uno degli eventi discografici dell’anno: quando avrò altre notizie vi terrò informati.

Bruno Conti

Previsioni Azzeccate? Vediamo Cosa Hanno Detto! Bo Ningen, John Grant, Erland and The Carnival, Rox, Holly Miranda, Soft Pack, Queen Emily eccetera

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All’inizio di ogni anno uno dei giochi preferiti delle riviste musicali è quello di scegliere “Names To Watch”, quelli da tenere d’occhio per l’anno che verrà, nel parlarvi di Grace Potter and the Nocturnals vi avevo segnalato che era stata inserita in quel tipo di lista pubblicata da Rolling Stone.

Ma lo fanno quasi tutte le riviste: a metà anno è bello andare a vedere cosa avevano detto e se si sono verificate le loro previsioni. Questa volta parliamo di Mojo, una delle più prestigiose e autorevoli riviste inglesi, che leggo con piacere e continuità anche se non è che condivida proprio tutto quello che dicono, ma è una di quelle di cui mi fido di più.

L’articolo, con autoironia spero, si chiamava “The Future Now – 10 For 2010”, e vediamoli questi dieci nomi.

I primi erano i Bo Ningen, un quartetto di giovani giapponesi trasferitisi in quel di Londra per studiare e che hanno messo in piedi il loro gruppettino: “Ninne Nanne Cosmiche e Canti Dal lontano Oriente” recita il loro Facebook, oppure messa in soldoni ” I Can incontrano i Black Sabbath”, ma anche “feral punk-metal”. Se sarà tutto vero non è dato sapere visto che a tutt’oggi, a parte quell’Ep che vedete effigiato qui sopra e che ha generato l’interesse non hanno pubblicato altro. Quindi direi prima previsione “mmhh!”…

Proseguiamo con i Soft Pack che vengono presentati come degli epigoni dei primi R.E.M., i primi Modern Lovers o gli Only Ones e qui da quello che ho ascoltato del loro primo omonimo album glielo posso appoggiare. Non male, oltre a tutto (come per gli Steely Dan) prendono il nome da un dildo. Peraltro prima si chiamavano Muslims, quindi…Bravini, musica semplice, pochi accordi, ritmi veloci e frenetici ma ben eseguiti.

Erland and The Carnival sono quelli che mi piacciono di più (avrò diritto di esprimere le mie opinioni!): anche loro prendono lo spunto da questo nuovo revival del folk britannico, il loro leader Erland Cooper è stato fulminato dalla scoperta di Davy Graham e comunque amano prendere ispirazione dalla musica popolare inglese o proprio “copiare” di gusto come ammettono di avere fatto per il brano You don’t have to be lonely che sarebbe un rifacimento, peraltro irriconoscibile di Greensleeves, con un accompagnamento di ritmi tribali e arrangiamenti vocali quasi elisabettiani, comunque funziona. Della partita è anche l’ex Verve Simon Tong e il disco è stato registrato negli studi di Damon Albarn. Hanno anche buone letture, Disturbed this morning è un poema “erotico” di Leonard Cohen, al quale è stata aggiunta della musica e arrangiato in modo da sembrare, indovinato, come una ballata di Leonard Cohen, e pure bella. Da tenere d’occhio, il disco merita.

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Questo dovrebbe essere il terzetto delle “Voci” con la V maiuscola: Rox con Memoirs è stata presentata come la nuova stella del black english soul o country meets Gospel. In effetti come si sente dal singolo, molto radiofonico, My Baby Left Me mi sembra più un incrocio tra Adele e Duffy, con qualche vago retrogusto di Amy Winehouse e Lauryn Hill (per le influenze reggae visto che è di origine metà giamaicana e metà iraniana). Il legame con la Winehouse è dato dal fatto che l’ha sostituita alcune volte nel gruppo di Mark Ronson quando la nostra amica non si presentava ai concerti. Piacevole ma come mille altre. Holly Miranda devo dire che mi aveva incuriosito parecchio visto che era stata presentata come un intreccio vocale tra Feist, Jeff Buckley e Nina Simone. Come direbbero finemente a Roma “mei coioni”: purtroppo non siamo a quei livelli, la produzione è affidata a Dave Sitek dei TV On The Radio, reduce, per usare un eufemismo, dalla delusione dell’album di cover di Tom Waits fatto con Scarlett Johansson. Qui siamo su livelli decisamente migliori ma quel sound estremamente carico, molto elettronico che avvolge e fa quasi scomparire la voce della Miranda non è che faccia apptrzzare questo mitico falsetto così osannato. C’è del talento, qualche brano è interessante ma è da rivedere o meglio da riascoltare. Come dite? Il titolo dell’album: The Magician’s Private Library. Joe Worricker, un giovane virgulto inglese di circa venti anni viene presentato come una sorta di nuovo Antony Hegarty: sull’evidenza dell’unico Ep in vinile pubblicato fino ad ora non mi sembra, anche se specie in un brano, la versione demo di Littleman, la stoffa c’è. Ultimamente dice di avere “scoperto”, nei suoi ascolti musicali, Kate Bush e i Beatles, insistere negli ascolti e ripassare.

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L’ultimo terzetto consigliato consiste di: Jim Jones Revue che hanno già pubblicato due CD, di cui uno è la raccolta dei loro singoli, lati A e B, sono una sorta di revivalisti del rock’n’roll delle origini, Little Richard soprattutto, rivisto attraverso una ottica punk, con cantato urlatissimo, strumenti al limite della distorsione, velocità supersoniche, un pianista indiavolato ma anche fatto scomparire negli arrangiamenti ultra energetici dei loro brani che comprendono classici come Hey Hey Hey, Good Golly Miss Golly e Big Hunk Of Love, la loro etichetta si chiama Punk Rock Blues Records, più chiaro di mille recensioni. Se devo essere sincero, ma proprio sincero, preferisco gli originali di Little Richard e Elvis. I White Rabbits che hanno pubblicato il loro disco di esordio It’s Frightening non sono male, due batterie, tre chitarre, tre cantanti, la varietà quantomeno non manca così pure come l’energia. Memorabili non direi ma fanno dell’onesto rock alternativo. Dell’ottimo album di esordio dell’ex leaders degli Czars John Grant, Queen Of Denmark vi avevo parlato diffusamente qualche mese fa e se volete ve lo potete rileggere qua tornano-gli-anni-70-ma-quali-john-grant-queen-of-denmark.html. Uno dei migliori dischi d’esordio dell’anno, qui concordo con lo staff di Mojo. Rimarrebbe tra i nomi citati dalla rivista Queen Emily, una cantante gospel-soul non professionista, quinta classificata nella edizione americana di America’s Got talent del 2008, la Malaco, una ottima etichetta di Mississippi soul, l’ha messa sotto contratto nel 2009 ma il nuovo e primo disco tarda ad arrivare, nell’attesa senti che voce…

Quindi in definitiva, attendibilità delle previsioni? Doppio mmhhh!

Bruno Conti

Live At New Orleans Jazz & Heritage Festival. The Radiators – Pre-war Blues

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The Radiators – Pre-war Blues – Live At The 2010 New Orleans Jazz & Heritage Festival (Jazz Fest Live)

Allora, tanto per cominciare la copertina non c’entra niente con quella del CD dei Radiators e in generale con quelle dell’edizione 2010 ma era per dare un’idea degli album che vengono prodotti ogni anno relativamente a questo incredibile Festival che si tiene ogni anno in quel di New Orleans lungo l’arco di due week-end tra la fine di aprile e i primi di maggio. Su 11 diversi palcoscenici anche quest’anno hanno suonato qualche centinaio di gruppi e solisti delle più disparate provenienze: qui potete andare a curiosare se vi interessa http://www.nojazzfest.com/, in ogni caso gli headliners erano i Pearl Jam, ma c’erano, tra gli altri, anche Aretha Franklin e Van Morrison per certificare l’ecletticità del cast.

I nostri amici ogni anno registrano decine di concerti che poi vengono venduti sul loro sito, ma, da qualche tempo, un po’ di titoli vengono importati anche in Italia dall’Ird. Tra gli ultimi arrivi, oltre ad un ottimo doppio Allman Brothers Band registrato nella serata del 25 aprile vi voglio segnalare anche quello dei Radiators, sempre stesso giorno ma altro palco per spendere due parole per questa gloriosa formazione.

La “ragione sociale” completa sarebbe The Radiators From New Orleans, ma visto che quest’anno hanno messo in piedi uno show che attinge al repertorio del Blues di prima della guerra si presentavano con quel nome particolare ma sempre loro erano.

Ed Volker, il tastierista e cantante nonché leader del gruppo, i due chitarristi Dave Malone e Camille Baudoin, più Frank Bua alla batteria e Reggie Scanlan al basso. Sono in attività dal 1978 ma non hanno una discografia immane, una dozzina di album in studio e molti CD dal vivo, perlopiù di produzione propria e di non facile reperibiltà. Direi che se riuscite a mettere le mani sui dischi in concerto in generale non vi sbagliate mai, quest’ultimo compreso. Si tratta di una delle formazioni più formidabili in circolazione, una sorta di “nuovi” Little Feat, se quelli “vecchi” non fossero ancora vivi e vegeti, ma il termine di paragone principale è sicuramente quello.

Ritmi molto funky, grandi dosi di blues e rock, fantastici assoli di chitarra incrociati, un tastierista incredibile che si destreggia tra piano, piano elettrico, marimba e organo, in possesso di una voce che sta a metà tra il Lowell George dei giorni migliori e i grandi cantanti della tradizione di New Orleans, da Dr. John ai  Neville Brothers e mille altri e che come pianista oltre al già citato “Dottore” due o tre ideuzze se le gioca con Allen Toussaint, Fats Domino, Professor Longhair o i mitici Bill Payne dei Feat e Garth Hudson della Band per l’incredibile varietà delle sonorità delle sue tastiere.

In Italia non sono conosciutissimi ed è un peccato: per chi li conosce e li ama questo è un ennesimo album dal vivo di qualità eccellente con un repertorio che spazia da Sittin’ On Top Of The World a Goodnight Irene di Leadbelly, passando per una Jack Of Diamonds introdotta da un assolo incredibile di marimba e che finisce con una coda chitarristica (ma un po’ tutto il brano) che avrebbe reso orgogliosi i migliori Grateful Dead. Notevole anche la lunga Go Down Hanna e le riletture elettriche di Delia’s Gone e Corrinna.

Anche chi non li conosce ma ama la buona musica rock, quella ricca di improvvisazione ma sempre in un ambito che pesca anche a grandi mani dalla tradizione della Crescent City come nella saltellante Last Fair Deal Gone Down, che potrebbe essere un brano del repertorio di Fats Domino o Dr. John, anche costoro potrebbero, dovrebbero, trovare pane per i loro denti, un’oretta abbondante di sano rock-blues-errebi-swamp-un filo di jazz e molto funky il tutto abilmente miscelato, a New Orleans lo chiamano Gumbo, noi la chiamiamo buona musica.

Bruno Conti

Da Evitare Se Possibile. Coco Montoya – I Want It All Back

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Coco Montoya – I Want It All Back – Ruf Records

Ogni tanto faccio operazione recupero di qualche pezzo scritto per il Busca e non pubblicato per ragioni di spazio, questo è uno, vi anticipo fin da ora che il disco in questione non è il massimo della vita ma sapendolo si evita il pericolo o magari questo è il disco che aspettavate da anni!

Lo avevamo lasciato nel 2007 con Dirty Deal un disco pubblicato per la Alligator dove era accompagnato dai Little Feat al completo, il CD era co-prodotto da Paul Barrére e non era niente male, sano e onesto rock-blues suonato come Dio comanda.
D’altronde da un musicista che per dieci anni è stato uno dei chitarristi dei mitici Bluesbreakers di John Mayall, mi sembra il minimo che uno si può aspettare.
Lo ritroviamo nel 2010 (nel frattempo è uscita un’antologia pubblicata dalla Blind Pig che raccoglie il meglio del suo periodo precedente) con una nuova etichetta, la Ruf, un nuovo produttore, anzi due Keb’ Mo’ e Jeff Paris e un nuovo gruppo di musicisti che lo accompagnano, in particolare una sezione ritmica formata da Stephen Ferrone alla batteria e Reggie McBride al basso.
Tutto bene quindi? Ma proprio per niente! Innanzitutto Stephen Ferrone, aldilà di miliardi di album dove ha suonato come session-man mi ricorda otto anni in cui ha suonato con la Average White Band e fin qua nulla di male, un’istituzione nel loro genere, ma Ferrone mi ricorda anche Journeyman, uno dei dischi più infausti nella discografia di Eric Clapton, una elegia del bland-rock con cui il drumming del nostro amico secondo me centrava qualcosa (poi si è riabilitato nell’Unplugged).
Il suo socio Reggie McBride ha suonato anche lui con molti luminari della musica nera, da Stevie Wonder ad Al Jarreau passando per i Funkadelic, nonché essendo una presenza quasi fissa nei dischi di Keb’ Mo’.

Va be’ non stiamo lì a menarcela questo disco non mi sembra fantastico, non è brutto per l’amor di Dio ma inutile, che è quasi peggio (giudizio soggettivo ovviamente): si spazia dal rock venato di latinità dell’iniziale Hey Senorita, dove quantomeno la chitarra di Montoya si fa apprezzare, vagamente Santaneggiante ma ultima versione per giungere subito a quel genere “morbido” della title-track che molto ricorda il Clapton di cui sopra ma anche il sound anni ’80 dei Doobie Brothers a trazione McDonald ma senza avere la voce del buon Michael, gli assoli, brevi sono sempre gradevoli tra un coretto e un synth. Forever di Dozier-Holland-Gorman (quindi non il trio classico era Motown) ricorda l’ultimo Robert Cray, sarà un complimento?

Cry Lonely e As Close As I Have Come sono due composizioni originali di Gary Nicholson, ma non si avvicinano neanche alla lontana allo stile di Delbert McClinton, o meglio lo stile sì ma non i risultati. C’è anche una cover di un pezzo di Smokey Robinson, The One Who Really Loves You, diciamo non tra i suoi migliori.
Dobbiamo arrivare all’ultimo brano per gustare un po’ di sano blues, una cover di Fannie Mae rivitalizzata dalla presenza di Rod Piazza all’armonica e Honey Alexander al piano, niente di eccezionale ma in mezzo a tanto piattume sembra un capolavoro.
Come ciliegina sull torta l’album si chiude con una versione di Somebody’s Baby non certo il primo brano che uno sceglierebbe nella discografia di Jackson Browne.
File under bland-rock.

Bruno Conti

Un’Altra Piccola Perla “Americana”. Cindy Bullens – Howling Trains And Barking Dogs

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Cindy Bullens – Howling Trains And Barking Dogs – MC records/Ird

Dischi belli là fuori ce ne sono tantissimi, non posso parlare di tutti, ma mi piace, di tanto in tanto, andare alla ricerca di personaggi particolari, nuovi e vecchi, che sono in grado di regalare qualche sprazzo di buone emozioni.

Cindy Bullens, non la scopro ora (almeno io), ma anche gli ascoltatori più distratti, magari inavvertitamente, la conoscono: fate un salto nel passato, calatevi alla fine degli anni ’70, anzi facciamo qualche anno prima così andiamo all’inizio della storia. Quindi, metà anni ’70. Cindy inizia la sua carriera come corista di Elton John, con tre importanti tournéè, l’album Blue Moves e il singolo Don’t Go Breaking my heart, tutti e tre del 1976 e qualcuno la nota e le offre un contratto per un album solista Desire Wire, uno di quei dischi che vengono considerati tra i “piccoli tesori perduti” del rock di quegli anni, anticipatore di gente come Pat Benatar o Melissa Etheridge che verranno dopo, l’etichetta è la United Artists, l’anno è il 1978 e non credo che sia mai uscito in CD. Lo stesso anno partecipa in tre brani alla colonna sonora del film Grease e viene candidata al Grammy come Migliore Performance Vocale Rock. L’anno successivo registra un nuovo album, per la Casablanca, Steal The Night, meno riuscito, poi scompare dalle scene per dieci anni per farsi una famiglia. Riappare nel 1989, con un album omonimo, pubblicato dalla Universal ma poi si ritira di nuovo per un motivo drammatico, nel 1996 muore per un tumore la figlia di 11 anni, Jessie.

Proprio a lei sarà dedicato uno dei suoi dischi migliori, Somewhere Between Heaven And Earth, che esce nel 1999 per la Artemis Records, seguito nel 2001 dall’eccellente Neverland (esatto, la stessa etichetta che citavo per i Marah, sembra che le cerchino con il lanternino, buona musica, etichetta di qualità, fallita, un’equazione, purtroppo infallibile, anche se non sempre).

Gli anni 2000 hanno visto la pubblicazione di un altro album, Dream #29, nel 2005, un ottimo doppio disco dal vivo nel 2007 e il progetto collaterale Refugees con Wendy Waldman e Deborah Holland. Quello che è impressionante è leggere la lista dei musicisti che hanno suonato in tutti questi dischi: si va da Elton John a Delbert McClinton e Garry W. Tallent, passando per Steve Earle, John Hiatt e Emmylou Harris, per non parlare di Bonnie Raitt, Beth Nielsen-Chapman, Bryan Adams, Rodney Crowell e Lucinda Williams e qui mi fermo. Se questa non è stima non saprei come definirla!

Questo nuovo Howling trains and barking dogs non è da meno. Cindy Bullens, come al solito, suona le chitarre elettriche ed acustiche, l’armonica, il piano ma si fa aiutare da alcuni nomi eccellenti: visto che l’album è una sorta di resumé di vecchi brani composti con e per altri colleghi, l’occasione è ideale per rivisitarli in versione nuove di zecca, spesso con gli autori dei brani presenti alla registrazione.

Intanto diciamo che questa signora è in possesso di una voce bellissima, pensate alla purezza della voce di Mary Chapin Carpenter unita alla grinta di Lucinda Williams e non sarete lontani dalla verità e a quei livelli qualitativi. Il genere è quello che si suole definire Americana, un misto di country, roots, rock, folk ben miscelato.

Si aprono le danze con la gentilmente roccata Love Gone Good dove il mandolino della Bullens si alterna al violino di David Mansfield, con una sezione ritmica gagliarda che ricorda il Mellencamp del periodo roots, il brano è firmato insieme a Bill Lloyd (quello di Foster & Lloyd). Can’t Stop This Train composta insieme a Matraca Berg sembra una di quelle oscillanti ballate rock di Lucinda Williams, energiche e dolci al tempo stesso, grande equlibrio sonoro. E che dire dell’ottima In A Perfect World che ricorda il periodo più rock di Mary Chapin Carpenter? Che ha un fantastico break chitarristico molto twangy.

Labor of Love scritta con l’altra metà di Foster & LLoyd, Radney Foster, e cantata in duetto con lo stesso, sembra un brano “perduto” del repertorio degli Eagles o del Jackson Browne più ispirato con una bella slide guitar che tanto ricorda David Lindley, bellissima.

All My Angels scritta e cantata con la collega Refugee Wendy Waldman, un’altra con un grandissimo talento e pedigree, è una dolcissima canzone dalle melodie avvolgenti e struggenti di chi ha vissuto mille storie e avventure. Whistles And Bells scritta ancora con Foster è un brano del repertorio delle Dixie Chicks, un country-rock veloce e divertente mentre I Didn’t Know scritta con Al Anderson degli NRBQ è un divertente quasi R&R con il piano di Bob Colwell a duettare con una sbarazzina chitarra elettrica e relativa coda strumentale.

Everywhere and nowhere sta a cavallo tra Mary Chapin Carpenter e quelle belle ballate elettroacustiche che una volta erano il pane di Melissa Etheridge, dolce ma con quel sano retrogusto rock. Un paio di bei brani tra folk e country, The Misty Hills of Tennessee in particolare, concludono in gloria un ottimo album che vi posso solo consigliare con convinzione.

Dimenticavo. Per non farsi mancare niente Cindy Bullens si è pure candidata come Senatrice del suo stato, il Maine.

Bruno Conti

Una Capatina In Danimarca Mancava! Thorbjorn Risager – Track Record

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Thorbjorn Risager – Track Record – Dixiefrog/Cope Records

Quando si pensa alla musica rock non è che il primo paese che venga in mente sia la Danimarca, eppure questo album di Thorbjorn Risager potrebbe cambiare le cose.

A parte Amleto noto bardo, principe e rocker di natali Shakespeariani, di solito se penso alla musica danese mi viene in mente l’Eurofestival o i mitici Michael Learns To Rock, paladini del pop rock più melodico e popolarissimi nei paesi asiatici, in particolare le Filippine dove sono dei veri e propri idoli. A livello individuale ci sarebbero Lars Ulrich il batterista dei Metallica e Mike Tramp il cantante dei White Lion ma sono naturalizzati americani, vogliamo aggiungere The Raveonettes? Ce ne sono sicuramente altri ma facendo uno sforzo di memoria mi vengono in mente i Burnin’ Red Ivanhoe grande gruppo rock progressivo, tra rock, jazz e psichedelia che a cavallo tra fine anni ’60 e primi anni ’70 ha registrato una manciata di dischi gagliardi tra cui vorrei ricordare l’ottimo WWW.

Ma non dobbiamo parlare di loro: questo Thorbjorn Risager che è il nome di uno ma anche il nome di un gruppo eccellono in un genere il Blues che non si è soliti collegare con i paesi nordici. E’ un blues venato di mille rivoli rock, soul, jazz e persino roots eseguito da una formazione ampia di sette elementi, dove accanto alla solita strumentazione fa la sua bella figura anche una piccola sezione fiati.

La prima volta che ho sentito la loro musica (e precisiamo che non sono dei novellini all’esordio hanno già fatto altri quattro album tra cui due live) e la voce dell’omonimo leader soprattutto, il primo nome, anzi i primi nomi che mi sono venuti in mente, lì come delle lampadine accese, sono stati quelli di Chris Farlowe, enfant prodige e protetto degli Stones, nonché grande cantante con Colosseum e Atomic Rooster, e, sull’altro lato dell’Atlantico, il canadese David Clayton-Thomas grandissimo cantante con i Blood, Sweat & Tears.

Entrambi condividono con il nostro amico un bel vocione potente e grintoso, una grande abilità nell’insinuarsi negli arrangiamenti del gruppo e una notevole duttilità vocale. Sono solo impressioni ma hanno un fondo di verità, veniamo al dischetto comunque.

Sono dieci brani, sette del vocalist che giustifica la sua leadership, due del batterista Martin Seidelin e una notevole cover del classico Baby Please Don’t Go qui attribuita a Big Joe Williams. Partiamo proprio da questo brano che non avrà la grinta della versione dei Them del giovane Van Morrison, ma ha un suo incedere maestoso che lo avvicina ai grandi classici, con la voce rampante di Risager che duella con tromba e sax, ben sostenuta dal motivo ricorrente della chitarra e da un organo avvolgente, breve e ficcante.

La successiva Let’s Go Down con l’armonica dell’ospite Jarno Varsted ad ampliare ulteriormente lo spetto sonoro rientra in territori blues più classici con un pianino malandrino in sottofondo e una chitarra acustica a sottolineare la voce. Ma facciamo un passo indietro all’iniziale Rock’n’Roll Ride dove una certa spinta rootsy ricorda alcune cose del primo Seger o del grande Jimmy Barnes, rock, soul, errebì, una bella slide, la voce tonante di Risager e la ritmica frizzante sono sinomini di ottima musica. You Walked Right In con un bel riff di chitarra, i fiati in evidenza, delle pimpanti voci femminili di supporto, ricorda, oltre che il già citato Clayton-Thomas, l’ottimo Delbert McClinton e certe cose degli Stones dell’era Mick Taylor, sempre per esagerare.

7 Steps To Heaven, funky e jazzata, con un drive R&B, è uno dei due brani composti dal batterista Seidelin, più complessi negli arrangiamenti ma sempre immediati e coinvolgenti nello svolgimento, con fiati e sezione ritmica in grande spolvero. Stand Beside Me è una grande ballata soul che fa risaltare le grandi capacità vocali di Thorbjorn Risager, messa in evidenza da una grande linea di basso di Soren Bojgaard e da un pungente intervento della chitarra solista, elementi chiave nelle deep soul ballads che si rispettino. Eyes That Turned Away è un altro blues venato di rhythm and blues, con fiati, coretti femminili, organo e chitarra perfettamente inquadrati nell’ottica del brano, più la “voce” di Risager. Rhythms of The Night, piacevole ma episodio minore e I’ll be Moving On, vero episodio di puro swing ci conducono alla conclusiva e lunga, il brano di maggiore durata, Bells Of Joy, l’altra composizione di Seidelin, belle atmosfere notturne e raffinate, che si aprono in improvvise fiammate chitarristiche, sempre con il blues jazzato del disco nei cromosomi del brano.

Una bella sorpresa! Qui per avere una idea di cosa vi aspetta, virati seppia come si conviene.

Bruno Conti

Pensavo Peggio. Eliza Doolittle – Eliza Doolittle

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Eliza Doolittle – Eliza Doolittle – Parlophone/Emi

Devo ammettere che quando ho visto questo album entrare direttamente al 3° posto delle classifiche britanniche ho pensato all’ennesima tavanata galattica!

Invece, per la serie “pensavo peggio”, è gradevole e piacevole, tipicamente estivo e nella grande tradizione del pop inglese, niente di trascendentale. Come un piccolo ghiacciolino, ogni tanto fa piacere. Lo sento bene e vi faccio sapere.

In uscita sul mercato italiano a fine settembre. Questo è il video della canzone che si sente già da un po’ alla radio.


Eliza Doolittle – Pack Up
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Bruno Conti

Qualche Consiglio (Musicale) Per Le Vacanze – Kevin Welch, Eric Andersen, Tim Buckley, Carolyne Mas

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Kevin Welch – A Patch Of Blue Sky – Music Road Records 2010

Kevin Welch non si può definire un musicista prolifico, cinque album in venti anni, più i tre registrati con Kieran Kane e Fats Kaplin come Dead Reckoners, e ora questo A Patch Of Blue Sky, ma ragazzi se è bravo! Grande autore ma anche interprete raffinato e misurato, con una voce che ti accarezza senza volerti mai prevaricare, discreta ma efficace, una base musicale di gran classe, che sembra scarna ed essenziale ma è complessa e molto varia. Viene definito country ma è un termine riduttivo: Lyle Lovett, il primo termine di paragone che mi viene in mente è country? Qualche spruzzatina non manca, ma qui siamo nell’ambito del Cantautore con la C Maiuscola, quella che ti racconta storie e canzoni sempre diverse ed interessanti dove i testi sono fondamentali (a questo proposito potete andare nel sito di Welch http://www.kevinwelch.com/, scaricarvi i testi ed i credits del CD, sono lì a disposizione di tutti, poi ve li stampate, magari a carattere 20, così riuscite a leggerli bene, vi accomodate nella poltrona e…manca qualcosa…ah sì, comprate il disco e vi godete una quarantina di minuti di grande musica). Se non vi ho convinto potrei dirvi che questo album mi ha ricordato per contenuti musicali e approccio vocale il miglior Eric Andersen, quello di Blue River, capolavoro della musica dei cantautori dei primi anni ’70. Non sapete chi diavolo sia. Ho un ultimo tentativo per Kevin Welch: vi ricordate la musica dello spot della birra Tuborg a metà anni ’90? Era There’s something ‘bout you di Kevin Welch tratta dal suo secondo album Western Beat del 1991. Vedete quando la cultura aiuta! Questa qui per intenderci.

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Eric Andersen – Blue River – Columbia 1972

Per associazione di idee, questo è Blue River, capolavoro assoluto di Eric Andersen, per molti, con Blue di Joni Mitchell e Blood on the tracks di Bob Dylan, vetta assoluta del fare musica dei sentimenti dei cantanti-autori (singer-songwriters) di quegli anni. Eric Andersen, uno dei migliori rappresentanti della scuola NewYorkese dei primi anni ’60, lui nativo di Pittsburgh, poi “rivale” di Dylan al glorioso Greenwhich Village di quegli anni, Thirsty Boots e Violets of Dawn rimangono episodi epocali della sua prima produzione. Poi la svolta di Blue River, registrato a Nashville nel 1971, ma per il tipo di suono, morbido e raffinato considerato tra i precursori della scuola californiana. Uno stuolo di grandi musicisti, David Bromberg, Norbert Putnam che ne fu anche il produttore, Eddie Hinton, David Briggs in prestito da Neil Young, le straordinarie armonie vocali di Joni Mitchell. Un grandissimo successo di critica stroncato miseramente dalla Columbia che perse i nastri dell’album successivo, Stages, pubblicato postumo una ventina di anni dopo. Per farsi perdonare (ma è dura), la Sony/Bmg ha pubblicato nel 2009 una ri-edizione ampliata da due brani inediti di questo disco fantastico. Naturalmente si trova solo import, ma visto che siete in vacanza potete investigare con calma, ne vale assolutamente la pena.

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Tim Buckley – Lorca – Elektra/Warner 1970

E visto che parliamo di album ingiustamente affidati alle nebbie del tempo, quest’anno cade il 40° anniversario della pubblicazione di Lorca di Tim Buckley. Naturalmente, per il momento. la cosa è passata sotto silenzio assoluto ed è un vero peccato perchè si tratta di un altro capolavoro assoluto.

Album considerato “difficile” (e qui, qualcosa di vero c’è, ricordo che la prima volta che ho ascoltato la prima facciata del disco, quella con Lorca, nove minuti e cinquantatre secondi di vocalità free-form straordinaria per i tempi e Anonymous proposition, altri otto minuti di quelli tosti, oltre a tutto in cuffia e in una calda serata estiva, al termine avevo un forte impulso di buttarmi dalla finestra, per fortuna ero al primo piano e ho desistito) ma sicuramente una delle più fulgide esemplificazioni delle straordinarie capacità vocali di Tim Buckley, babbo “ripudiato” di quel Jeff Buckley, amatissimo, giustamente, da pubblico e critica, ma che ha non ha raggiunto, forse anche per la prematura scomparsa, neanche un terzo dell’arte del genitore.

Reduce dai successi dei primi album, tra gli altri Happy/sad e Goodbye  and Hello di fine anni ’60 dove proponeva una musica “folk” da cantautore che era già anni luce avanti agli altri per le sue incredili capacità vocali e interpretative, con il successivo Blue Afternoon del 1969 e con Starsailor sempre del 1970 avrebbe raggiunto vette qualititative difficilmente riscontrate nella cosiddetta musica rock. Oltre a tutto era in grado di coniugare la ricerca più ostica a momenti di incredibile dolcezza come in I Had A Talk With My Woman che nella seconda facciata di Lorca regala momenti più accessibili e indica che i geni di Jeff Buckley da qualche parte saranno pure venuti.

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Carolyne Mas – Still Sane A Retrospective 1979-1990 – Zolatone Nusic 2010

Un’altra che entra di diritto nel folto gruppone dei “Beautiful Losers” è sicuramente Carolyne Mas, cantautrice e rocker di classe pura anche lei orìginaria di New York, a cavallo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 ha registrato una serie di album di grande energia e pieni fino all’orlo di belle canzoni. La sua carriera tra alti e bassi (più i secondi per sfortuna) prosegue tuttora, è venuta anche in Italia un po’ in sordina pochi anni orsono, e per passione mi sono iscritto alla sua mailing list per vedere se c’era qualche novità significativa. Proprio qualche giorno fa ho ricevuto una mail dove informava sulla uscita di questa compilation. Se volete sentire alcune di quelle “belle canzoni” che l’avevano fatta definire, a torto o a ragione, propendo per la seconda ipotesi, una sorta di Springsteen in versione femminile questo CD, visto la scarsità di materiale in circolazione, potrebbe essere l’occasione giusta, ecco il contenuto:

1)Still Sane

2)Sadie Says

3)Snow

4)He’s So Cool

5)Go Ahead And Cry Now

6)Love Like Stone

7)Remember The Night

8) Sittin’ In The Dark

9)I Waited All Night

10) Crying

11)Under One Banner

12) When Love Is Right

13)Amsterdam

14)Somebody Like Me

15)Signal For Help

16) Easy Love

17)Do You Believe I Love You

18)Laurielle

Reperibiltà, boh? Al limite si può acquistare qui sales.asp?PID=PX00ZR7OPW&pp=1

Nei prossimi giorni, visto che l’estate è arrivata e purtoppo ce ne siamo accorti e le ferie si avvicinano, pure quelle, per molti e per fortuna, qualche altro Post sull’argomento non mancherà!

Buoni ascolti.

Bruno Conti

Servizi Di Pubblica Utilità. Prince – 20 Ten

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Prince – 20 Ten

Se vi stavate chiedendo come mai non riuscite a trovare in giro il nuovo album di Prince evidentemente non abitate in Inghilterra, Irlanda o Belgio.

Lo potete trovare acquistando il Daily Mirror o il Daily Record in Gran Bretagna e Irlanda oppure l’Het Niewsblad o il De Gentenaar in Belgio, è allegato a quei giornali.

Oppure, se lo non trovate, potreste fare come hanno detto quei cattivelli del New Musical Express: “don’t bother”, Non vi preoccupate e gli hanno assegnato un bel voto: 4/10!

Riportando anche la recensione del Daily Mirror stesso (!?!) che lo ha definito il suo migliore disco da 23 anni a questa parte (non ho controllato che disco era uscito nel 1987!).

E non è la prima volta che lo fa! (uscire allegato a una rivista). Gli consiglierei di venire ad abitare in Italia, qui è diventata un’arte!

Bruno Conti