Ma Non Si Erano Sciolti? Tornano In Studio Per il 40° Anniversario. Radiators – Welcome To The Monkey House

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Radiators – Welcome To The Monkey House – Radz Records

Si pensava che la carriera dei Radiators (o meglio The Radiators From New Orleans, visto che esistono anche i Radiators australiani e gli irlandesi Radiators From Space) fosse arrivata al capolinea nel 2010, quando la band in un comunicato annunciava che dopo un tour d’addio, che prevedeva  una esibizione al celebre Jazz And Heritage Festival, e dei concerti al Tipitina, il famoso locale di New Orleans, la loro città, si sarebbe sciolta. E nel 2012 è uscito il triplo dal vivo The Last Watusi, che conteneva il meglio delle tre serate al Tipitina. Ma poi ogni anno a maggio la band si riunisce per partecipare alla JazzFest, di cui sono usciti nel corso degli anni  innumerevoli  CD https://discoclub.myblog.it/2010/07/28/live-at-new-orleans-jazz-heritage-festival-the-radiators-pre/ , e nel 2015 hanno suonato per altre serate al famoso locale di Nola. Ma quest’anno si festeggiano i 40 anni di carriera per il gruppo  e quindi i 5 componenti storici della band, Ed Volker, alle tastiere e voce, Dave Malone, chitarre e voce (fratello dell’altrettanto bravo Tommy, dei Subdudes https://discoclub.myblog.it/2014/05/31/delle-glorie-della-big-easy-tommy-malone-poor-boy/ ), con il valido supporto del secondo chitarrista Camille Baudoin, del bassista Reggie Scanlan e del batterista Frank Bua, hanno deciso di fare le cose per tempo, riunendosi  in studio a New Orleans per registrare un nuovo album di studio, il primo dal lontano 2006, in cui uscì l’ottimo Dreaming Out Loud (i loro dischi sono tutti piuttosto belli, se ne trovate qualcuno del primo periodo sarebbe l’ideale, ma la scelta è ampia, difficile sbagliare).

Sono stati definiti la Band di New Orleans, e ci può stare, ma come mi è capitato di dire in passato, io li vedo più come dei Little Feat della Louisiana: doppia chitarra, doppia voce, un tastierista fantastico, una sezione ritmica solida ed inventiva che sottolinea le evoluzioni dei vari solisti e un repertorio che attinge dal rock, dal blues, dal funky, dal Gumbo di New Orleans, qualche pennellata di jazz, di swamp rock, di southern e anche una propensione alla jam, soprattutto nei concerti dal vivo, per quanto anche nei dischi di studio gli strumenti siano liberi di improvvisare all’impronta. E anche in questo Welcome To The Monkey House lo fanno nei 16 brani, inediti nei dischi di studio, ma rodati da varie apparizioni nei concerti della band. Ecco quindi scorrere il boogie-blues-rock alla Little Feat dell’iniziale title track, con continui rimandi delle due soliste che si intrecciano e si sfidano con grande classe, mentre l’impassibile Ed Volker (Zeke per gli amici) volteggia sul suo pianoforte con libidine. Per poi riprodurre in una deliziosa Nightbird il sound ispirato di un Dr. John o di un Allen Toussaint, nei loro momenti più romantici, oppure scatenarsi  nella vorticosa Fishead Man, dedicata ai propri fans, con un piano boogie woogie che si incrocia con il rock annerito del resto del gruppo.

Che è sempre ispirato e variegato anche nella mossa The Fountains Of Neptune, dove Volker aggiunge pure l’organo al sound d’assieme, sempre gioioso e complesso, con il classico suono del  rock americano, quello delle migliori band degli anni ’70, un paio le abbiamo citate, ma anche Amazing Rhythm Aces, Meters, Neville Brothers o Allman Brothers rientrano tra le influenze dei Radiators, come evidenzia l’ottima slide, doppiata dall’altra solista, che percorre la bluesata One Monkey. Comunque tutti i brani sono di livello notevole, dal funky-rock di Ride Ride She Cried, ancora con slide d’ordinanza, al quasi barrelhouse/R&R della spensierata e “acida” Doubled Up In A Knot. Tra i loro “seguaci” possiamo segnalare i Subdudes, più raffinati https://discoclub.myblog.it/2017/03/16/il-ritorno-della-band-di-new-orleans-sempre-in-forma-smagliante-subdudes-4-on-the-floor/ , la Honey Island Swamp Band https://discoclub.myblog.it/2016/06/12/altro-gruppo-new-orleans-bayou-americana-gradire-honey-island-swamp-band-demolition-day/ o i Wood Brothers https://discoclub.myblog.it/2015/12/27/recuperi-sorprese-fine-anno-2-peccato-conoscerli-the-wood-brothers-paradise/ . In First Snow ci si avventura anche in territori più complessi, tipo i Los Lobos di Kiko, grazie ad un vibrafono e ad una andatura sinuosa, ma è subito rock and roll di nuovo con l’avvolgente suono solare di Time To Rise And Shine o della caraibica Back To Loveland, che fa molto Jimmy Buffett o il puro New Orleans sound della splendida King Earl, con le twin guitars in piena azione.  Insomma, senza ricordarle tutte, ma una citazione per la giubilante (anche per il titolo) Bring Me The Head Of Isaac Newton mi scappa, questo è un album da avere per i fans, però anche tutti gli altri amanti della buona musica rock ci possono fare un pensierino.

Bruno Conti

“Solo” Un Altro Gruppo Da New Orleans: Bayou Americana, Per Gradire! Honey Island Swamp Band – Demolition Day

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Honey Island Swamp Band – Demolition Day – Ruf Records

L’ultima uscita della Ruf, il CD di Andy Frasco & The U.N., non mi aveva entusiasmato http://discoclub.myblog.it/2016/04/16/mi-aspettavo-piu-andy-frasco-and-the-u-n-happy-bastards/ . Ma l’etichetta tedesca si riprende subito con questa ottima proposta di un’altra band americana, anzi di New Orleans per la precisione. La Honey Island Swamp Band, gruppo della Louisiana che aveva raccolto positive recensioni anche sul Blog per il precedente Cane Sugar http://discoclub.myblog.it/2013/09/20/good-news-from-louisiana-honey-island-swamp-band-cane-sugar/ . Ma il quartetto (ora ampliato a quintetto) ha già una decina di anni di attività sulle spalle, con tre album di studio e un EP pubblicati, oltre ad un paio di titoli dal vivo della serie Live At Jazz Fest. Lo stile della band è una riuscita fusione di rock, soul, funky, blues, swamp music, con spruzzate anche di country e folk, che loro stessi, con felice espressione, hanno definito “Bayou Americana” https://www.youtube.com/watch?v=6rZ35Dy8RwY . Quindi a grandi linee siamo dalle parti di altre grandi band della Crescent City tipo Subdudes e Radiators, oltre agli inevitabili paragoni con Little Feat e Band, ma diciamo che le componenti “nere” sono meno accentuate che negli altri gruppi citati. Nella formazione i due leader sono il cantante, chitarrista, mandolinista, all’occorrenza anche armonicista Aaron Wilkinson, che è puree l’autore principale delle canzoni, e il chitarrista, virtuoso della slide, Chris Mulé, anche lui autore prolifico https://www.youtube.com/watch?v=IXeV90lcop0 . L’ottima sezione ritmica è composta da Sam Price al basso e Garland Paul alla batteria: con tutti e quattro i musicisti che apportano le loro eccellenti armonie vocali al suono complessivo del gruppo. Che aggiunge l’ultimo arrivato, il tastierista Trevor Brooks, a completare un sound già ricco,

Il disco precedente era stato prodotto dallo specialista di New Orleans John Porter con ottimi risultati, questa volta in città, al Parlor Studio, si è calato Luther Dickinson. Se l’anno scorso vi era piaciuto, come al sottoscritto, molto,  il disco dei Wood Brothers, qui troverete un altro dischetto più che soddisfacente http://discoclub.myblog.it/2015/12/27/recuperi-sorprese-fine-anno-2-peccato-conoscerli-the-wood-brothers-paradise/ . L’apertura è affidata a How Do You Feel, un pezzo che sembra provenire da una riuscita fusione degli Stones americani a tutto riff e degli intrecci vocali di gruppi come la Band e i Little Feat, con Mulé, l’autore del brano, che intreccia la sua slide con le fluide cascate di note del piano di Brooks, che ricorda molto il tocco del vecchio Nicky Hopkins, con tanto di gran finale di sax che ci ricorda appunto i Rolling di Sticky Fingers. grande inizio. Head High Water Blues, racconta i fatti conseguenti all’uragano Katrina, un evento che ha segnato tutti i musicisti della band, costretti a emigrare a San Francisco per un periodo di tempo, e lo fa a tempo di funky-blues, con la consueta slide tagliente di Mulé, ma anche interventi di Wilkinson con la seconda solista, tastiere “scure” e molto Gumbo nel suo dipanarsi, la voce caratteristica di Wilkinson, ottimo vocalist, qui autore del brano; No Easy Way parte lenta e solenne, quasi funerea, poi innesta un ritmo in crescendo, sulle ali della agile sezione ritmica, interventi mirati dei fiati, e quella slide incombente sullo sfondo del tessuto sonoro del pezzo, che sottolinea l’ottima performance vocale di Wilkinson, mentre un organo vintage dà il tocco in più, per un effetto che a tratti ricorda anche i Neville Brothers, con le percussioni ad aggiungere un feel quasi latino. Medicated, dell’accoppiata Wilkinson/Mulé, ha un’aria più spigliata e sbarazzina, quasi sixties, mi ricorda certe cose della prima J.Geils Band,  anche nell’approccio vocale, ritmo ed energia per un pezzo coinvolgente.

Watch And Chain, con un bel piano elettrico, poi ricorrente, ad aprire le procedure, si avvicina a quel sound Subdudes/Radiators di cui si diceva, sempre il bottleneck di Mulé che incombe sul tutto e ritmi spezzati tra blues e rock di sostanza, con i fiati che sottolineano la voce di Aaron, con improvvisi stacchi funky https://www.youtube.com/watch?v=7Kvml9a5Mok . Katie scritta da Mulé, è una canzone quasi folk, solo chitarra acustica, armonica ed una ritmica discreta, deliziosa nella sua semplicità, il tocco di organo è geniale https://www.youtube.com/watch?v=d8LBRTgxrE0 , mentre Ain’t No Fun è un southern-blues-rock, con la slide potente di Mulé di nuovo in azione, e quel groove che ricorda i vecchi Little Feat ma anche le twin guitars degli Allman Brothers, grande brano, con il basso di Sam Price che è una vera potenza. She Goes Crazy, di nuovo di Mulé, ha  un groove elettroacustico che tanto ricorda i vecchi Subdudes, ma è meno efficace di altri brani; Through Another Day è uno dei brani più potenti della raccolta, introdotto dal suono dell’armonica, poi si sviluppa su intricate atmosfere southern che ricordano il sound dei primi Widespread Panic, con eccellenti intrecci chitarristici. Say It Isn’t True è una bellissima ballata con armonica, piano e una delicata chitarra wah-wah ad incorniciare una splendida performance vocale di Aaron Wilkinson. Il mandolino e l’acustica slide che aprono la conclusiva Devil’s Den, scritta insieme a John Mooney, potrebbero far pensare ad un brano tranquillo, ma poi il pezzo si sviluppa in un notevole crescendo e diventa quasi epico, pur rimanendo nei suoi tratti di “Bayou Americana”. Consigliato di cuore!

Bruno Conti

Una Delle “Glorie” Della Big Easy! Tommy Malone – Poor Boy

 

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Tommy Malone – Poor Boy – M.C. Records/Ird

New Orleans, alla rinfusa, è stata la culla del jazz, del Dixieland, del ragtime, di Louis Armstrong e di King Oliver, di Jerry Roll Morton e Sidney Bechet: la Big Easy ci ha dato, nel dopoguerra, anche i primi barlumi del R&B e del R&R con Fats Domino e Dave Bartholomew, passando per Professor Longhair, Huey Piano Smith, giù giù fino ad arrivare a Dr. John, Allen Toussaint, Meters e Neville Brothers, che si possono considerare gli inventori del funky di New Orleans. Ma nella City Of New Orleans, NOLA, c’è anche una forte componente di bianchi, circa un terzo della popolazione, e quindi ci sono alcuni “cani sciolti” che ibridano, meticciano molti di questi stili con il rock americano classico, la british invasion, il blues, i Little Feat. Due di loro, i fratelli Dave e Tommy Malone, si sono inventati dei gruppi straordinari come i Radiators (From New Orleans) e i Subdudes.

 

Nel passato di Tommy ci sono stati anche  Dustwoofie, Continental Drifters e Cartoons (se volete investigare, ma è roba più difficile da trovare del tesoro del Pirata Barbanera). I Subdudes sono in stand-by, ma possono risorgere da un momento all’altro https://www.youtube.com/watch?v=p1qckEX7Axw , e quindi Tommy Malone può regalarci un nuovo disco da solista, questo Poor Boy,a meno di un anno di distanza dall’ottimo Natural Born Days https://www.youtube.com/watch?v=K_zl1wAmZSM , di cui vi avevo parlato molto positivamente proprio lo scorso anno http://discoclub.myblog.it/2013/07/01/da-new-orleans-tommy-malone-natural-born-days/ . Quel disco, grazie anche alla produzione di John Porter, forse era superiore a questo, co-prodotto dallo stesso Malone con il vecchio pard nei Continental Drifters, Ray Ganucheau e con la fattiva collaborazione, come autore, di Jim Scheurich, compagno d’avventura nei Dustwoofie, che già aveva contribuito a parecchi brani del penultimo disco. Pur nella diversità degli stili, e con una produzione decisamente più spartana e cruda, la qualità delle canzoni è comunque sempre decisamente buona. Come ricorda lo stesso Dave, e come si percepisce ascoltando i brani del CD, sono riaffiorati quei vecchi ricordi di una serata del 1964, quando i tre fratelli Malone, nel tinello della loro casa, come milioni di altri americani, vedevano e sentivano per la prima volta i Beatles all’Ed Sullivan Show. E’ passato qualche annetto, ora il nostro amico di anni ne ha 57, ma evidentemente quella impronta è rimasta.

 

E quindi questa volta, tra le mille influenze del musicista di New Orleans, si affacciano pure Beatles, Big Star, Costello e Nick Lowe, il power pop e i Kinks. Prendete il brano d’apertura, You May Laugh, che se nel timbro vocale può ricordare Ray Davies, ma anche Costello,  nel ritornello cita volutamente il titolo di un brano dei Fab Four, e la musica è puro pop anni ’60 https://www.youtube.com/watch?v=VDeDuv3pk-U , rivisto con l’occhio di un artista che non si limita a copiare pedissequamente, ma, nel suo DNA, ha l’imprinting del musicista di gran qualità, quelli che sanno scrivere belle canzoni, e poi confezionarle in un tripudio di chitarre e armonie vocali, tamburelli e organo sullo sfondo. Ma Malone sa comporre anche brani come Pretty Pearls, che sembra un brano di Dylan (bellissimo lo stacco di armonica e gli interventi del piano) cantato da un giovane Roy Orbison meno melodrammatico (benché grandissimo), la doppia voce di Ganucheau è sempre deliziosa e il suono minimale ha comunque un fascino senza tempo. Mineral Girl è forse quella che più riprende le tematiche del suono blues, ma assai raccolto, dei Subdudes più roots. All Dressed Up, definita dallo stesso Malone “a party song for geriatrics” https://www.youtube.com/watch?v=FJu17-QI-bI , ha quell’aria rock’n’ roll mista a blues (sempre per via dell’armonica) dei Subdudes più tirati, con la slide di Tommy Malone che si divide gli spazi con l’organo di Sam Brady. We Both Lose ha un giro armonico beatlesiano innestato su un groove alla Rockpile o Big Star, ma sempre con quel tocco personale inconfondibile da artigiano del pop, chitarre acustiche ed elettriche a iosa.

 

Bumblebee, il pezzo firmato con l’amico Pat McLaughlin (grande cantautore!), potrebbe venire dal lato “giusto” di Nashville, pensate ad un brano di Nick Lowe scritto per i vecchi Brinsley Schwarz, con quella miscela di rock e country che tanti anni dopo si sarebbe chiamata Americana; peccato, come dicevo all’inizio, per il suono un po’ pasticciato della produzione che non sempre permette di godere appieno le delizie di questi piccoli piatti da gourmet del pop. Spesso sembra che la batteria sia suonata su qualche pezzo di cartone capitato per caso in studio e l’effetto di primitivo R&R alla Buddy Holly via George o Paul, come in Time To Move On, sia del tutto casuale (o forse è voluto e mi sbaglio io, può essere). Once In A Blue Moon è una ballatona acustica come potrebbe farla il miglior Lyle Lovett, se fosse stato anche lui davanti alla TV in quella lontana serata. Crazy Little John ha ancora quello spirito country-folk delizioso e nel finale Malone tira fuori il suo miglior accento soul di New Orleans https://www.youtube.com/watch?v=8xux3N6np7c , prima con una intensa Talk To Me, cantata alla grande e poi con una cover inattesa di Stevie Wonder, Big Brother, che si trovava su quel capolavoro chiamato Talking Book; per la prima volta in vita sua Dave usa una batteria elettronica, a lui piace, io mi devo abituare, comunque il risultato è molto piacevole e la voce si gusta appieno. Bello, ma forse da lui ci si aspetta qualcosa di più!

Bruno Conti

Da New Orleans Tommy Malone – Natural Born Days

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Tommy Malone – Natural Born Days – M.C. Records/Ird

Questo Natural Born Days, tanto per mettere subito le cose in chiaro, è uno dei migliori dischi dell’anno in quel genere che potremmo definire “Country Got Soul”?, “Soul Got Blues”,?, fate voi, qualsiasi buona musica che sia “Got qualcosa”!. Sia rock, blues, country, R&B, funky, ballate, musica di New Orleans, prendetela e miscelatela ed otterete questo ibrido, questo Gumbo sonoro, che può provenire solo dalla Crescent City. Se i fratelli principali della città della Louisiana sono indubbiamente i Neville Brothers, anche la famiglia Malone ha dato un importante contributo alla reputazione di New Orleans. La storia dei fratelli Malone prende il suo abbrivio ad inizio anni ’70 con una band chiamata Dustwoofie, di cui ammetto di non avere mai ascoltato nulla, poi la carriera di Tommy Malone prosegue con agli altrettanti “oscuri” Cartoons, una band di R&B dove militava anche l’ottima vocalist Becky Kury (mi fido di quello che dicono le note del CD) e si incrocia anche con quella dei Continental Drifters, che da lì a poco (metà anni ’80) si sarebbero trasformati nei grandi Subdudes, che a fine decade avrebbero pubblicato il loro omonimo e ottimo disco d’esordio, proseguendo poi per altre due decadi (in due fasi, anni ’90 e reunion anni 2000) a deliziare gli amanti della buona musica, con una consistente serie di dischi, culminata con la pubblicazione di Flower Petals nel 2009 e la partecipazione alla colonna sonora di Treme e spero proseguirà anche dopo la pubblicazione del secondo disco da solista di Malone.

Lungo il suo percorso musicale ha collaborato, come Malone Brothers (ma non hanno inciso nulla a parte un live della serie Live At Jazzfest), con il fratello Dave Malone, co-leader dei formidabili Radiators (From New Orleans), che nel corso degli anni hanno inciso una dozzina di album più una miriade di dischi dal vivo, culminati con l’uscita del fantastico triplo The last Watusi, che riporta la registrazione del loro ultimo concerto al Tipitinas di New Orleans, a chiudere 33 anni di onorata carriera. Fine della digressione. Torniamo a Tommy Malone, che sino ad ora aveva pubblicato un unico album solo in precedenza, dodici anni fa, l’ottimo Soul Heavy, che peraltro, vista la difficile reperibilità, per usare un eufemismo, della etichetta locale Louisiana Red Hot, pochi avevano visto e meno ancora sentito. Il nostro amico Tommy è un ottimo chitarrista ma soprattutto è dotato di una voce espressiva, ricca di soul, che mette in evidenza le sue capacità compositive e la varietà di stili impiegati in questo Natural Born Days. Disco che segna il suo ritorno alla città nativa, dopo cinque anni di “esilio” in quel di Nashville, Tennesse, a seguito dell’uragano Katrina. Per l’occasione Malone ha anche riallacciato i rapporti con Jim Scheurich, musicista che faceva parte, una quarantina di anni fa, di quei Dustwoofie citati ad inizio articolo. I due hanno composto insieme ben sei brani, tra cui la struggente, a livello di testo, Home, ma la musica del brano d’apertura è un southern rock con uso di slide, degno dei migliori Allman, con il pianino di Jon Cleary (magico alle tastiere in tutto il disco) in grande spolvero e la voce di supporto di Susan Cowsill, che può ricordare quella di Susan Tedeschi. 

Grande partenza, ma è tutto il disco che soddisfa, anche grazie alla produzione di John Porter, mitico bassista inglese dei primi Roxy Music, ma da moltissimi anni uno dei migliori produttori in quel di New Orleans, l’ideale per chi vuole fare dei dischi ricchi di blues, soul e musica nera in generale, ma contaminati dal miglior rock. E così possiamo ascoltare l’intenso blues acustico di Hope Diner o l’accorata e bellissima deep soul ballad God Knows (I Just Ain’t Talkin’), con le tastiere solo per l’occasione affidate a Nigel Hall, degna dei migliori Delbert McClinton o John Hiatt, una piccola meraviglia. O ancora il funky carnale e vagamente reggato di Wake Up Time, scritto propria con il pard di McClinton, Gary Nicholson, alla pari coi migliori Neville o con i Radiators del fratello Dave Malone, con una chitarrina choppata e insinuante che si fa strada tra organo e sezione ritmica, per poi rilasciare un solo à la Radiators, quindi dalle parti di Lowell George. Distance è un’altra ballata, come le migliori scritte nel corso degli anni con i Subdudes, sempre con la seconda voce della Cowsill in evidenza e un alto tasso di soul nei contenuti. Mississippi Bootlegger, dedicata al padre, è uno swamp rock assatanato, dalle parti delle paludi della Louisana, ma che ricorda anche i migliori Creedence.

Didn’t wanna hear it è un altro brano lento, molto “atmosferico” e lavorato nei suoni e ci permette di gustare ancora una volta la voce molto espressiva di Tommy Malone, cantante ricco di pathos e tecnica vocale sopraffina. Natural Born Days scritta con Johnny Allen e il fratello Dave, è un bel country-funk o se preferite country got soul, degno ancora, nei suoi retrogusti gospel, del miglior Fogerty, o degli ultimi Subdudes che in Flower Petals avevano virato verso un sound più country, ma anche il sound classico della Band non si può dimenticare, molto bello. Altrettanto belle le melodie solari della dolce No Reason, con Malone che sfodera le sue capacità melodiche più accattivanti per un’altra chicca sonora, che chissà perché mi ha ricordato il miglior Costello, forse per la costruzione sonora, semplice ma raffinata al tempo stesso. Non manca neppure il country puro Nashville della caramellosa (ma di quelle buone) Important To Me, con John Porter al mandolino e Malone ad una twangy guitar. Life Goes On con slide acustiche ed elettriche che si incrociano, sta a cavallo tra Subdudes, Radiators e Little Feat, che non è un brutto andare, Susan Cowsill sostiene, non Pereira, ma l’ottimo Malone e Jon Cleary titilla ancora una volta il suo pianino magico. “Magica” anche la ballata Word In The Street che conclude in gloria le operazioni di un dischetto sorprendente che mi sento di consigliare a chi ama la buona musica che viene dal profondo del cuore e dell’anima!

Bruno Conti

Novità Di Novembre (E Altro) Parte III. Allan Taylor, Radiators, Southside Johnny, Scott Walker, Judy Collins, Great Big Sea, Devotchka, Kirsty McGee, Shelby Lynne, Alicia Keys, Mumford and Sons, Elvis Costello, Rage Against The Machine, Eccetera

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Pensavo di avere esaurito la disamina di tutto il materiale in uscita nel mese di novembre (e qualcosa che come sempre era sfuggito) e invece mi sono accorto che c’era ancora moltissimo che bolliva in pentola a livello discografico, per cui passiamo alle uscite del 27 novembre (e altro).

Quel cofanettino che vedete effigiato qui sopra è l’ultima opera di Allan Taylor (che peraltro ha anche registrato per l’occasione un nuovo album che uscirà nel 2013). Il titolo del doppio CD è Down The Years I Travelled e prende il titolo dall’unico brano nuovo contenuto in questa antologia rimasterizzata, tratta dal materiale registrato negli anni ’80 e ’90 e che non ha mai avuto una grande distribuzione. La Stockfish Records provvede a renderlo di nuovo disponibile. Non è forse il meglio in assoluto della produzione del grande cantautore folk britannico che risiede nei suoi dischi usciti in origine per la United Artists e ristampati in CD dalla BGO, ma se volete scoprire una delle voci più interessanti e poco conosciute della scena inglese si può iniziare anche con questo album. Tra i musicisti coinvolti ci sono anche Chris Leslie e Martin Allcock dei Fairport Convention, Rick Kemp degli Steeleye Span e altri altrettanto validi anche se meno conosciuti. Oltre al meglio della produzione di quel ventennio ci sono anche un paio di cover di qualità come Don’t Think Twice di Dylan e Across The Borderline della coppia Hiatt-Cooder. Il disco sarebbe uscito da oltre un mesetto ma il problema sta proprio nella reperibilità e nel prezzo sostenuto, in virtù di una bella confezione con libretto di 60 pagine. Oltre una 30ina di euro per 21 canzoni in effetti non è poco. 

I Radiators (From New Orleans) sono da sempre una delle mie formazioni preferite del sottobosco (di classe) della musica americana: degni “confratelli”, con gli Amazing Rhythm Aces, del filone che ha dato vita a formazioni come i Little Feat e la Band, il gruppo è sempre stato tra i protagonisti principali dell’annuale New Orleans Jazz and Heritage Festival che si svolge nella città della Louisiana. Parrebbe che questo The Last Watusi sia il loro canto del cigno dopo 33 anni di onorata carriera: registrato al Tipitina nel corso di 3 serate il 9 10 e 11 giugno del 2011, questo triplo CD raccoglie il meglio della loro produzione e un paio di cover ben scelte, come You Aint Goin’ Nowhere di Bob Dylan e Brand New Tennesse Waltz di Jesse Winchester. Grande band e grande concerti, dopo la vendita sul loro sito sarà disponibile anche attraverso i soliti canali di vendita nei prossimi giorni su etichetta Radz Records.

Credo che l’ultimo disco non dico orecchiabile ma ascoltabile di Scott Walker sia stato The Climate Of Hunter del 1984, che si potrebbe paragonare (spannometricamente) a un disco “complicato” di David Sylvian, però suonato con Mark Knopfler, Mark Isham, Peter Van Hooke, il batterista di Van Morrison, ma anche il noto sassofonista e improvvisatore free jazz Evan Parker e Billy Ocean, quello del tema del film Il gioiello del Nilo. Quindi sacro e profano per uno che ha iniziato negli anni ’60 in un gruppo, i Walker Brothers, dove nessuno si chiamava Walker di cognome e non erano neppure fratelli, però facevano della musica pop eccellente come The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore. Poi una prima carriera solista più sofisticata e dedicata alla divulgazione diretta e indiretta in lingua inglese dell’opera di Jacques Brel, ma non solo ovviamente. Una reunion “laboriosa” dei Walker Brothers. Che dopo Climate Of Hunter ha portato, una decina di anni dopo ad un disco come Tilt con citazioni di Pasolini e la musica di alcuni brani (va bene, uno) che veniva paragonata al frinire delle zampette di un insetto (giuro). Quella categoria di musica che rimanda (per avere un’idea di cosa aspettarvi) al Peter Hammill più criptico con i Van Der Graaf o al Captain Beefheart di Trout Mask Replica, insomma dischi che non si ascoltano proprio tutti i giorni ( e neppure tutti gli anni). Questo nuovo Bish Bosh (titolo che nella interpretazione dello stesso Walker ha tre significati diversi, uno dei quali coinvolge il pittore fiammingo ma potrebbe essere anche “lavoro fatto) non scherza neppure lui con brani intitolati Epizootics, Corps de Blah e la epica (oltre 20 minuti) SDSS1416+138 (Zercon A Flagpole Sitter) che coinvolge le coordinate di piccole stelle lontane e il buffone di corte di Attila, per riassumere molto. Ma anche un brano come The Day “The Conducator” Died (An XMas Song) che racconta la storia della morte di Ceausescu avvenuta il giorno di Natale del 1989. A parte questo brano che ha qualcosa dell’epica natalizia di certe musiche hollywoodiane, il resto (per quello che ho potuto sentire velocemente) coinvolge le atmosfere musicali sopraccitate e molto altro, musica colta e complessa. Insomma non è musica facile che uno non sempre riesce a sentire, bisogna entrare nello stato d’animo giusto, quelle due volte l’anno (anche se la trovo affascinante, come pure il personaggio). Il tutto uscirà il 4 Dicembre per la 4AD in CD o vinile.

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Il primo titolo di questo trittico è uscito da qualche tempo, gli altri due sono in uscita in settimana.

Quel Southside Johnny & The Asbury Jukes Men Without Women Live 7-2-11 Asbury Park NJ, in teoria è uscito già da tempo (la scorsa estate, a giugno)), però è disponibile per la vendita solo sul loro sito oppure per il download digitale su Leroy Records. Si tratta. come vedete, della registrazione di un concerto tenuto lo scorso anno a casa loro, quando in una serata hanno eseguito interamente l’album di Little Steven Men Without Women più tre brani del loro repertorio a conclusione dello show. Strana scelta, ma questo è. Inutile dire che la reperibilità non è massima, ma era giusto segnalarlo per i fan.

Il Live At The Metropolitan Museum of Art di Judy Collins esce in questi giorni per la propria etichetta, la Wildflower Records, sia in CD che DVD. Una performance ripresa dalla TV americana per ricordare i 50 anni di carriera anche della grande “Judy Blue Eyes” con molti classici, tra cui Both Sides Now, Diamonds And Rust, Helplessy Hoping, Mr. Tambourine Man, Moon Is Harsh Mistress, Send In The Clowns, Pastures Of Plenty e la partecipazione di Shawn Colvin, Ani DiFranco, Kenny White e Jimmy Webb.

XX dei Great Big Sea ovviamente non è un film hardcore ma ricorda i 20 anni della loro carriera in una doppia antologia tratta dal meglio dei loro 10 dischi e 2 DVD. Pubblicato dalla loro etichetta e dalla Warner Music Canada da qualche settimana, ha questo contenuto:

Disc 1 – Pop

Track listing

  1. “Born to Believe”  – 3:45 (Previously Unreleased)
  2. “What Are You At”  – 3:10 (From Great Big Sea)
  3. Run Runaway”  – 2:50 (From Up)
  4. “Goin’ Up”  – 3:11 (From Up)
  5. When I’m Up (I Can’t Get Down)”  – 3:23 (From Play)
  6. Ordinary Day”  – 3:09 (From Play)
  7. “How Did We Get From Saying”  – 3:47 (From Play)
  8. Consequence Free”  – 3:14 (From Turn)
  9. “Feel It Turn”  – 3:47 (From Turn)
  10. “Boston and St. John’s”  – 3:47 (From Turn)
  11. “Sea of No Cares”  – 3:41 (From Sea of No Cares)
  12. “Clearest Indication”  – 4:12 (From Sea of No Cares)
  13. “When I Am King”  – 2:31 (From Something Beautiful*)
  14. “Something Beautiful”  – 3:47 (From Something Beautiful*)
  15. “Love Me Tonight”  – 4:12 (From Fortune’s Favour)
  16. “Walk On The Moon”  – 3:35 (From Fortune’s Favour)
  17. “Live This Life”  – 4:39 (Previously Unreleased)
  18. “Nothing But A Song”  – 3:02 (From Safe Upon The Shore)
  19. “Long Life (Where Did You Go)”  – 3:11 (From Safe Upon The Shore)
  20. “Let My Love Open The Door”  – 4:16 (Previously Unreleased)

Disc 2 – Folk

Track listing

  1. “Heart of Hearts”  – 4:09 (Previously Unreleased)
  2. “Great Big Sea / Gone By The Board”  – 3:36 (From Great Big Sea)
  3. “Donkey Riding”  – 2:22 (From Play)
  4. “A Boat Like Gideon Brown”  – 2:54 (From Sea of No Cares)
  5. “Dancing With Mrs. White”  – 2:06 (From Up)
  6. “General Taylor”  – 2:55 (From Play)
  7. “Come And I Will Sing You”  – 3:43 (From The Hard and the Easy)
  8. “Ferryland Sealer”  – 3:17 (From Turn)
  9. Lukey”  – 3:23 (With The Chieftains. From Fire in the Kitchen)
  10. “Captain Wedderburn”  – 3:37 (From Turn)
  11. “Captain Kidd”  – 2:50 (From The Hard and the Easy)
  12. “Le Bon Vin”  – 3:08 (Previously Unreleased)
  13. “England (Live)”  – 4:45 (From Courage & Patience & Grit)
  14. “Old Black Rum”  – 2:29 (From Up)
  15. “The Night Pat Murphy Died”  – 3:00 (From Play)
  16. “River Driver”  – 3:03 (From The Hard and the Easy)
  17. “Mary Mac”  – 2:33 (From Up)
  18. “Excursion Around The Bay”  – 2:28 (From Great Big Sea)
  19. “Josephine The Baker”  – 4:35 (Previously Unreleased)
  20. “Good People”  – 2:34 (From Safe Upon The Shore

 

Volendo, ne esisteva anche una versione in cofanetto quadrupla prenotabile sul loro sito, che è andata esaurita, che conteneva anche un terzo CD con altri 20 brani e un DVD con documentario sulla loro carriera, più libro e memorabilia vari.

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Altro terzetto di materiale non di facilissima reperibilità.

Il Live With The Colorado Symphony dei Devotchka è stato registrato il 18 febbraio del 2012 alla Boettcher Concert Hall di Denver con la partecipazione della Colorado Synphony Orchestra ed è “uscito” per la Cicero Recordings il 13 novembre scorso. Questi i brani contenuti:

Tracks
1. The Alley
2. The Clockwise Witness
3. Along the Way
4. The Common Good
5. You Love Me
6. All the Sand in All the Sea
7. Firetrucks on the Broadwalk
8. Comrade Z
9. Undone
10. Queen of the Surface Streets
11. We’re Leaving
12. Contrabanda
13. The Enemy Guns
14. How it Ends  

Kirsty McGee è una cantautrice inglese sconosciuta ai più, ma molto brava, che ha già pubblicato, per varie etichette, 6 album, tra cui un Live, e vari singoli ed EP, dal 2000 ad oggi. Questo nuovo Contraband esce per la Hobopop Recordings dopo un periodo difficile durante il quale, a causa di una depressione, aveva pensato di abbandonare la musica. Folk gentile e musica raffinata, una bella voce e tante belle canzoni per una cantrautrice che si colloca in quella nicchia dove opera anche gente come Boo Hewerdine, Eddi Reader, Karine Polwart e altri nomi “minori” del panorama elettroacustico inglese. Una di quelle brave “beautiful losers” che tanto piacciono a chi scrive su questo Blog.

Altra “grande” voce (di quelle che ti mandano i brividi lungo la schiena), questa volta americana, è quella di Shelby Lynne: con la sorella minore, Allison Moorer spesso citata e recensita su quest pagine virtuali, la Lynne, da qualche tempo, i dischi se li pubblica in proprio sulla etichetta Everso Records (e spesso se li suona anche da sola). Revelation Road, dello scorso anno era un piccolo gioiellino dominato dalla sua bellissima voce, come il precedente Tears, Lies And Alibis e anche il disco natalizio, Merry Christmas, non era male (per non parlare del tributo alle canzoni di Dusty Springfield, Just A Little Lovin’, del 2008, che mi era piaciuto moltissimo). Ora esce questo CD+DVD che riporta due diverse registrazioni dal vivo effettuale nel 2012, in solitaria. Shelby Lynne Live contiene nel CD il Live At McCabe’s, registrato a maggio di quest’anno e già disponibile per il download e il DVD del Live At The Union Chapel del 25 febbraio scorso. Proprio per i maniaci ci sarebbe anche una versione Deluxe di Desolation Road, che vedete qui sotto…

shelby lynne revelation road deluxe.jpg

 

 

 

 

 

 

 

che oltre ai due dischetti contiene anche una versione ampliata del disco dello scorso anno con 5 bonus tracks e un secondo DVD con un documentario con il Making of dell’album. Dovrebbe costare una cinquantina di euro e non essere molto facile da trovare. Mentre la versione doppia esce anche in questi giorni in Europa distribuita dalla benemerita Proper Records (che annuncia in questi giorni, la prossima uscita, a metà febbraio, credo il 13, del nuovo album di Richard Thompson Electric, attesissimo da chi vi scrive)! Non c’entra niente ma volevo segnalarvelo.

alicia keys girl on fire.jpgelvis costello in motion pictures.jpgchristmas rules.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Tre “piaceri proibiti”.

Alicia Keys in teoria non c’entra nulla con i contenuti di questo Blog, ma visto che il vostro solerte recensore spera sempre che la diva del “nu soul” prima o poi si redima (come è successo per il recente bellissimo disco di Joss Stone, un’altra con una gran voce) vi segnalo l’uscita del nuovo disco per la Sony Bmg, si chiama Girl On Fire e non si è redenta come testimoniano i duetti con Nicky Minaj e Jamie degli XX. Però c’è anche un duetto con Maxwell e alcune belle ballate pianistiche non troppo tamarre che ne segnalano il talento (mi ricordo sempre una sua esibizione live, credo al live Earth del 2007, dove cantava una fantastica versione di Gimme Shelter degli Stones “disintegrando” Mister Nicole Kidman, Keith Urban)! Comunque il suo primo disco e l’MTV Unplugged non sono dei brutti dischi. Essendosi sposata tale Swiss Beatz i nostri gusti musicali direi che non coincidono.

Per la serie i dischi inutili esce una compilation per la Universal, curata dallo stesso Elvis Costello, che si intitola In Motion Pictures e contiene brani, tutti editi, tratti da colonne sonore varie. Mah! Questo è piacere proibito, perché bisogna essere proprio masochisti per comprarlo (però molte delle canzoni sono bellissime, poche balle!).

Infine, per chi ama i dischi di canzoni natalizie, ne viene pubblicato uno Christmas Rules, già uscito come Holidays Rules per il mercato americano da qualche settimana, ed ora disponibile anche da noi per la Hear Music/Universal (in origine su Starbucks), che, detto fra noi, non è per niente male, sia per i brani, 17, tutti nuovi, che per molti dei musicisti impegnati:

01 fun.: “Sleigh Ride”
02 The Shins: “Wonderful Christmastime”
03 Rufus Wainwright with Sharon Van Etten: “Baby, It’s Cold Outside”
04 Paul McCartney: “The Christmas Song (Chestnuts Roasting on an Open Fire)”
05 Black Prairie: “(Everybody’s Waitin’ for) The Man With the Bag” [ft. Sallie Ford]
06 The Civil Wars: “I Heard the Bells on Christmas Day”
07 Calexico: “Green Grows the Holly”
08 AgesandAges: “We Need a Little Christmas”
09 Holly Golightly: “That’s What I Want For Christmas”
10 Irma Thomas with the Preservation Hall Jazz Band: “May Everyday Be Christmas”
11 Heartless Bastards: “Blue Christmas”
12 Eleanor Friedberger: “Santa Bring My Baby Back to Me”
13 Fruit Bats: “It’s Beginning to Look a Lot Like Christmas”
14 Y La Bamba: “Señor Santa”
15 The Punch Brothers: “O Come, O Come, Emmanuel”
16 The Head & the Heart: “What Are You Doing New Year’s Eve”
17 Andrew Bird: “Auld Lang Syne

Sulla carta non è male, e anche a sentirlo non fa schifo, tirate fuori le renne!

mumford and sons the road to red rocks.jpgmumford babel gentlemen of the road edition.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Della serie come comprarsi sempre la stesse cose, ma in diverse versioni, e inc…rsi come l’automobilista di Gioele Dix, escono questi due manufatti. Il primo, in DVD o Blu-Ray, sempre dei Mumford and Sons (quindi non è per la qualità dei contenuti musicali, anzi) si chiama The Road To Red Rocks (Live In Concert), Universal Music, e testimonia il concerto dal vivo tenuto nel famoso anfiteatro del Colorado e gli annessi e i connessi della serata, 81 minuti in tutto, esce il 27 novembre, cioè domani. Ma il 4 dicembre esce Babel (Gentlemen Of The Road Edition) che oltre all’ultimo disco della band inglese, nella versione DEluxe con 15 brani, contiene anche il DVD The Road To Red Rocks e pure la versione audio in CD, quindi un bel triplo per i vostri regali natalizi. Nel senso che lo regalate o ve lo fate regalare.

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Sempre a proposito di cofanetti, domani ne escono altri tre interessanti.

Il primo è lo stesso disco, ma in due versioni differenti, sempre per il ventennale dall’uscita originale: si tratta del disco d’esordio omonimo dei Rage Against The Machine che ora si chiama XX (sempre inteso come numero e non come genere). La versione “normale” è tripla e contiene nel primo CD il disco originale rimasterizzato con tre tracce dal vivo bonus, il secondo contiene i demos, incisi nel 1991, che fruttarono alla band il contratto con la Epic, dodici canzoni in tutto, mentre il terzo dischetto, un DVD, riporta il concerto tenuto il 6 giugno del 2010 al Finsbury Park di Londra, più tutti i video del gruppo più altri brani registrati dal vivo. La versione Deluxe che supererà o si aggirerà intorno al classico ed immancabile centone (forse un po’ meno questa volta) di queste edizioni, oltre ai dischi menzionati conterrà anche un secondo DVD dal vivo con il primo concerto in assoluto del gruppo e altre live clips di brani registrati tra il 1991 e il 1994, oltre al vinile rimasterizzato, libretto e poster gigante.

Invece per la serie un cofanetto non si nega a nessuno (per fortuna) la Freud Records, ?!?, distribuisce la “definitive edition” di un disco cult dell’epoca “punk e precursori”, ovvero L.A.M.F. (Like a Motherfucker) degli Heartbreakers o meglio Johnny Thunders and The Heartbreakers (da non confondere con quelli di Tom Petty). Ben 4 CD, libretto di 44 pagine e tutto questo “Bendidio” per una band il cui motto era “Born To Lose”:

Disc 1: ‘L.A.M.F. – the lost ’77 mixes’ Recompiled in 1994, as Johnny Thunders and the Heartbreakers.
Born To Lose, Baby Talk, All By Myself, I Wanna Be Loved, It’s Not Enough, Chinese Rocks, Get Off The Phone, Pirate Love, One Track Mind, I Love You, Goin’ Steady, Let Go, Can’t Keep My Eyes On You, Do You Love Me.

Disc 2: ‘L.A.M.F.’ The original Track Records LP restored.
Restored at last! The ‘muddy’ version without the mud – how they wanted it to sound! Replica sleeve wallet.
Born To Lose, Baby Talk, All By Myself, I Wanna Be Loved, It’s Not Enough, Chinese Rocks, Get Off The Phone, Pirate Love, One Track Mind, I Love You, Goin’ Steady, Let Go.

Disc 3: ‘L.A.M.F. – the demo sessions’ Three sessions in ‘76 and ‘77, including tracks with Richard Hell.
I Wanna Be Loved (mix 2), Pirate Love, Goin’ Steady, Flight, Born To Lose, Can’t Keep My Eyes On You, It’s Not Enough, I Love You, Take A Chance, Do You Love Me, Let Go, Chinese Rocks, Born To Lose.

Disc 4: ‘L.A.M.F. – the alternative mixes’ 21 mixes from the epic sessions at five top London studios
Born To Lose, Born To Lose, Baby Talk, Baby Talk, All By Myself, All By Myself, It’s Not Enough, It’s Not Enough, Chinese Rocks, Get Off The Phone, Pirate Love, Pirate Love, One Track Mind, One Track Mind, I Love You, Goin’ Steady, Goin’ Steady, Let Go, Let Go, Can’t Keep My Eyes On You, Do You Love Me.

Anche per oggi, piatto ricco, o se preferite la faccio corta, perché poi mi scappano delle mini-recensioni in virtù del fatto che non sono sicuro di riuscire a ritornarci (spesso non è detto) ma abbiamo concluso.

Bruno Conti

Live At New Orleans Jazz & Heritage Festival. The Radiators – Pre-war Blues

new orleans jazz fest.jpgRadiators_band_cropped.jpg

 

 

 

 

 

 

The Radiators – Pre-war Blues – Live At The 2010 New Orleans Jazz & Heritage Festival (Jazz Fest Live)

Allora, tanto per cominciare la copertina non c’entra niente con quella del CD dei Radiators e in generale con quelle dell’edizione 2010 ma era per dare un’idea degli album che vengono prodotti ogni anno relativamente a questo incredibile Festival che si tiene ogni anno in quel di New Orleans lungo l’arco di due week-end tra la fine di aprile e i primi di maggio. Su 11 diversi palcoscenici anche quest’anno hanno suonato qualche centinaio di gruppi e solisti delle più disparate provenienze: qui potete andare a curiosare se vi interessa http://www.nojazzfest.com/, in ogni caso gli headliners erano i Pearl Jam, ma c’erano, tra gli altri, anche Aretha Franklin e Van Morrison per certificare l’ecletticità del cast.

I nostri amici ogni anno registrano decine di concerti che poi vengono venduti sul loro sito, ma, da qualche tempo, un po’ di titoli vengono importati anche in Italia dall’Ird. Tra gli ultimi arrivi, oltre ad un ottimo doppio Allman Brothers Band registrato nella serata del 25 aprile vi voglio segnalare anche quello dei Radiators, sempre stesso giorno ma altro palco per spendere due parole per questa gloriosa formazione.

La “ragione sociale” completa sarebbe The Radiators From New Orleans, ma visto che quest’anno hanno messo in piedi uno show che attinge al repertorio del Blues di prima della guerra si presentavano con quel nome particolare ma sempre loro erano.

Ed Volker, il tastierista e cantante nonché leader del gruppo, i due chitarristi Dave Malone e Camille Baudoin, più Frank Bua alla batteria e Reggie Scanlan al basso. Sono in attività dal 1978 ma non hanno una discografia immane, una dozzina di album in studio e molti CD dal vivo, perlopiù di produzione propria e di non facile reperibiltà. Direi che se riuscite a mettere le mani sui dischi in concerto in generale non vi sbagliate mai, quest’ultimo compreso. Si tratta di una delle formazioni più formidabili in circolazione, una sorta di “nuovi” Little Feat, se quelli “vecchi” non fossero ancora vivi e vegeti, ma il termine di paragone principale è sicuramente quello.

Ritmi molto funky, grandi dosi di blues e rock, fantastici assoli di chitarra incrociati, un tastierista incredibile che si destreggia tra piano, piano elettrico, marimba e organo, in possesso di una voce che sta a metà tra il Lowell George dei giorni migliori e i grandi cantanti della tradizione di New Orleans, da Dr. John ai  Neville Brothers e mille altri e che come pianista oltre al già citato “Dottore” due o tre ideuzze se le gioca con Allen Toussaint, Fats Domino, Professor Longhair o i mitici Bill Payne dei Feat e Garth Hudson della Band per l’incredibile varietà delle sonorità delle sue tastiere.

In Italia non sono conosciutissimi ed è un peccato: per chi li conosce e li ama questo è un ennesimo album dal vivo di qualità eccellente con un repertorio che spazia da Sittin’ On Top Of The World a Goodnight Irene di Leadbelly, passando per una Jack Of Diamonds introdotta da un assolo incredibile di marimba e che finisce con una coda chitarristica (ma un po’ tutto il brano) che avrebbe reso orgogliosi i migliori Grateful Dead. Notevole anche la lunga Go Down Hanna e le riletture elettriche di Delia’s Gone e Corrinna.

Anche chi non li conosce ma ama la buona musica rock, quella ricca di improvvisazione ma sempre in un ambito che pesca anche a grandi mani dalla tradizione della Crescent City come nella saltellante Last Fair Deal Gone Down, che potrebbe essere un brano del repertorio di Fats Domino o Dr. John, anche costoro potrebbero, dovrebbero, trovare pane per i loro denti, un’oretta abbondante di sano rock-blues-errebi-swamp-un filo di jazz e molto funky il tutto abilmente miscelato, a New Orleans lo chiamano Gumbo, noi la chiamiamo buona musica.

Bruno Conti