Blues Elettrico O Altro? Bravi Comunque! David Shelley And Bluestone – Trick Bag

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David Shelley & Bluestone – Trick Bag – Pink Buffalo Records

Blues è una parola un po’ forte per descrivere il genere di questo dischetto e della band fronteggiata da David Shelley. Certo, nel suffisso del nome, il termine appare, ma nella musica le tracce sono abbastanza annacquate, anche se non del tutto assenti.  Lo stile della band potrebbe essere definito un hard-rock energico, un po’ di maniera ma efficace, con un cantante in possesso di una voce “importante”  e un chitarrista notevole, nella persona di Dave Scott, a cui si aggiunge una sezione ritmica dal tocco pesante ma capace anche di raffinatezze e tastieristi vari che si alternano nello sgabello del ruolo. Certo, scorrendo il CV dei due leaders non c’è di che sbalordirsi e quindi nel passato di David Shelley (tra l’altro complimenti a chi ha creato la grafica della copertina, ci ho messo quasi tre quarti d’ora a capire il nome del gruppo e senza l’aiuto del libretto non so se ci sarei riuscito) ci sono, collaborazioni con “importanti” nomi del rock e del blues americano (lo dice lui, peraltro, o il suo biografo), ma anche apparizioni, come figurante, nel remake di E Dio Creò La Donna di Roger Vadim, quello con Rebecca De Mornay e come autore di canzoni per Sentieri e General Hospital, nientemeno, e persino con Cher e Richard Marx.

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E non è che il suo amico Dave Scott sia messo meglio, ha suonato con i Non-Toxic, i Saigon Kick e con il batterista dei Marilyn Manson, ciumbia! Però da alcuni anni hanno iniziato un processo di redenzione, con la frequentazione di Coco Montoya, Warren Hayes e bluesrockers vari, e negli anni più recenti Shelley aveva fatto parte del giro del “native rock” di gente come John Trudell, Jesse Ed Davis e altri musicisti di origine pellerossa. Descritta sul loro sito come “una eclettica fusione di blues, rock e ritmi dal mondo”, il mio parere sulla musica del gruppo l’ho detto appena sopra, ma per aggiungere, potrei dire che ci si avvicina, e di molto, a gruppi come Foghat, Bad Company, Savoy Brown seconda fase, Chicken Shack, ma anche, per parlare di gente attuale, alla Blindside Blues Band, Walter Trout o il Bonamassa dei Black Country Communion. La voce potente di Shelley richiama quella di gente come Stan Webb, Paul Rodgers o l’ottimo Jimmy Barnes dei Cold Chisel e le canzoni, in genere, si ascoltano più che volentieri, dure e tirate, ma ben cantate e suonate, sound un poco anacronistico e vintage, molto rock anni ’70, consistenti dosi del southern rock più duro, ma che piacerà agli amanti del rock chitarristico; già That’s My Train un paio di anni fa era stato un buon album http://www.youtube.com/watch?v=9CIojggXcb8 , ma questo Trick Bag pare anche migliore.

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Ora residenti in Florida, con cappelloni e capelloni d’ordinanza, le undici canzoni del CD, tutte firmate da Shelley, da solo o in compagnia, passano dal “singolo” d’apertura When I was your superstar, dal riff accattivante e con la chitarra fluida di Scott subito in evidenza http://www.youtube.com/watch?v=grcQnYkStIk , molto seventies, qui il suono ha anche qualche tocco, sarà l’organo, dell’AOR meno bieco, poi una Trick Bag, con qualche spolverata di armonica e una atmosfera sospesa subito trasformata in grinta, con la doppia chitarra (anche David Shelley è un chitarrista non disprezzabile) e un bell’assolo, e-bow e wah-wah inclusi, non si fanno mancare nulla, mentre Blackwater River, con una bella slide a tagliarla in due, ha degli elementi southern di buona qualità http://www.youtube.com/watch?v=We92PR0cCcQ . You Got A Heart Of Stone ha una cadenza decisamente più bluesata, sempre hard ma ancora con una bella slide in evidenza.

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Birth Of The Blues con una acustica con bottleneck che duetta con la solista ha un bel piglio sonoro, ancora tra southern e blues, come da titolo http://www.youtube.com/watch?v=-DLTh0wJRxE . High Alert sfocia in un funky-rock piacevole ancorché innocuo, decisamente più interessante War party, sempre funky, quasi alla James Brown, con interventi di cori nativi pellerossa e doppio assolo di chitarra per entrambi i solisti http://www.youtube.com/watch?v=yMioeFVbCUA , Shelley & Scott, nel classico call and response del buon hard rock vecchia scuola. Carolina Bound, già dal titolo, ma anche per la presenza di una pedal steel, suonata da Jerry Tillman, ondeggia tra rockin’ country e midtempo ballad, con la bella voce di David che qui ricorda il Jimmy Barnes già citato. Nothin’ To Lose ancora con la presenza dell’armonica, potrebbe essere Wang Dang Doodle o On The Road Again part 2. Non male anche la lirica Fallen Rain dal ritornello accattivante, ma il white reggae della conclusiva City Of Angels potevano risparmiarcelo. Nell’insieme del piacevole rock(blues), ops mi è scappato. Reperibilità non facile, per essere professionali fino in fondo. Proseguiamo con la ricerca di nomi inconsueti!

Bruno Conti  

“Sparisce” La Paura E Riappaiono le Disappear Fear, con Broken Film!

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Disappear Fear – Broken Film – Disappear Records

Bisogna risalire a 25 anni fa, quando le “sorelle di sangue” Sonia Rutstein e Cindy Frank, native di Baltimora (attiviste del movimento femminista e non solo) formano il gruppo Disappear Fear, con brani che rimandano ad artisti del calibro di Joni Mitchell, Bob Dylan, con armonie vocali che ricordano le Indigo Girls. I primi tre album, Echo My Call (88), Deep Soul Diver (90) e l’omonimo Disappear Fear (94) hanno ottenuto una certa risonanza negli anni del rinnovamento del folk femminile http://www.youtube.com/watch?v=Q3kum-SUZCs . Dopo un album dal vivo Live At The Bottom Live (94) e un altro lavoro in studio Seed In The Sahara (96), Sonia, lesbica dichiarata, ha intrapreso una discreta carriera solista composta da quattro dischi (di cui segnalo Almost Chocolate (98), per poi scomparire per quasi un decennio e riformare il gruppo nel 2005 a nome Sonia & Disappear Fear, rilasciando alcuni album fra cui Tango (07) e Splash (09).

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Oggi riappare con la ragione sociale originale, Disappear Fear e con questo Broken Film,il 17° disco della sua carriera, registrato in quel di Nashville con l’ingegnere del suono Mike Poole, con una nuova line-up composta dal fidato chitarrista Don Conoscenti, il bravo batterista di Emmylou Harris, Brian Owings, la percussionista Katie Marie e Laran Snyder alle armonie vocali, per undici canzoni intimiste dal taglio folk-pop. Rimanendo fedele all’immagine del passato, il film parte con le delicata melodia di Start e il roots-folk di American Artist (con l’armonica in evidenza), la ballata intimista Farmland And The Sky,  il pop di Love Out Loud  http://www.youtube.com/watch?v=xGbhsTQKVN0 e della title track Broken Film. Dopo il consueto intervallo il secondo tempo si apre con una ritmata L Kol L Vavcha, l’innocua pop song Be Like You, l’intrigante incedere di The Banker http://www.youtube.com/watch?v=XtB2tnsuMnA , i delicati arpeggi di chitarra nella dolce Princess And The Honey Bee http://www.youtube.com/watch?v=f1oYdiyDn2g , l’arrangiamento stile swing di Perfect Shade (Blue), per poi chiudere con i titoli di coda del film, con le ritmiche reggae di Ari Ari.

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Con questo Broken Film (CD non facile da reperire, già uscito da alcuni mesi) Sonia Rutstein, festeggia degnamente venticinque anni di carriera, che la portano a riavvolgere il film della sua vita (rigorosamente coerente nelle scelte), una tipa che riesce sempre a far convivere personale e sociale, testi che parlano dei soldati in Afghanistan e della crisi bancaria, con canzoni folk e pop, mantenendo sempre in primo piano l’impegno civile.

La ricerca continua…

Tino Montanari

A Proposito Di Grandi Bluesmen. Uno Che Non C’è Più, Se Ne E’ Andato Uno Dei Più Bravi In Italia, Roberto Ciotti

Fabio & Roberto

Mi permetto di utilizzare quello che ha scritto Fabio Treves, un altro che di blues se ne intende, per ricordare la scomparsa di Roberto Ciotti, che ci ha lasciati il 31 dicembre:

” E’ con tristezza e dolore infiniti che vi comunico la scomparsa del mio bluesbrother romano Roberto Ciotti..Se n’è andato dopo mesi di lotta contro un tumore bastardo. Abbiamo condiviso la nostra passione per il blues per tanti anni, per primi abbiamo tracciato una via italiana al blues.. La scorsa estate al Trasimeno Blues ci siamo incontrati ed abbiamo suonato ancora una volta insieme..
Ciao Robbè.. Mi mancheranno le nostre lunghe telefonate, la tua gioia di vivere, la tua chitarra  e la tua musica.. Ciao Robbè.. il tuo per sempre bluesbrother Fabio”
ciotti

Torna “The Beast From Brazil”! Nuno Mindelis (Featuring The Duke Robillard Band) Angels & Clowns

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Nuno Mindelis (Featuring The Duke Robillard Band) Angels & Clowns – Blue Duchess

Avevo perso un po’ per strada le tracce di Nuno Mindelis, chitarrista brasiliano ma di origine angolana, noto anche come “The Beast From Brazil”. Negli anni ’90, quando parte la sua carriera discografica (un po’ tardivamente essendo Nuno del 1957, ma nel Blues quasi un giovinetto), dopo un paio di album interlocutori, di cui uno con la partecipazione di Larry McCray, inizia la sua collaborazione con la sezione ritmica dei Double Trouble, con i quali registrerà un paio di dischi, uno nel 1995, Texas Bound, che avrà un certo successo in Europa e in particolare in Belgio, dove entra addirittura in classifica, e l’altro nel 1999, Blues On The Outside. E’ in questo periodo d’oro che mi è capitato di recensirlo per il Busca, poi, come dicevo all’inizio, non ho più seguito la sua carriera, anche se il nostro amico ha continuato a fare dischi, di cui uno anche in brasiliano, nel 2006. Perché forse avevo dimenticato di dirlo ma, ovviamente, Mindelis canta in inglese.

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Ora con questo Angels & Clowns approda per la prima volta sul mercato statunitense http://www.youtube.com/watch?v=EAHUpyZ9Hrc , con un disco che, come riporta il titolo, lo vede suonare con la Duke Robillard Band, sulla sua nuova etichetta, Blue Duchess, e con lo stesso Duke che si occupa della produzione dell’album. Nel passato, di volta in volta, descritto come un novello Jimmy Page (da Guitar Player), adepto di Jimi Hendrix e quindi, per proprietà transitiva, anche di Stevie Ray Vaughan (e l’uso della stessa sezione ritmica non è casuale http://www.youtube.com/watch?v=okDV87NBG_U ), vicino a Clapton, ma anche ai grandi del blues come B.B. King, Robert Cray e Buddy Guy, con cui ha condiviso i palcoscenici in giro per il mondo, Mindelis, se fosse anche un grande cantante, oltre che un chitarrista dalla tecnica notevole, sarebbe una specie di iradiddio, ma comunque si difende, con una voce che ricorda proprio il suo attuale datore di lavoro, il buon Robillard o, vagamente, anche JJ Cale.

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Che per l’occasione gli presta, oltre al gruppo, anche la sua protetta Sunny Crownover, con cui Nuno mette in piedi un duetto travolgente, It’s All About Love, quasi sette minuti di grande musica, un blues(rock) poderoso http://www.youtube.com/watch?v=pyBds_ThNtE , che apre alla grande questo Angels & Clowns: se tutto il disco fosse a questi livelli sarebbe da prendere a prescindere, ma in questo brano, molto Claptoniano, la chitarra di Mindelis scorre molto fluida e mai sopra le righe, a conferma di un notevole talento all’opera. Anche It’s only a dream mantiene questo approccio vicino al rock più mainstream, con un sound che può ricordare tanto i Dire Straits quanto JJ Cale, oltre al più volte citato Manolenta, comunque bello. Il brano che dà il titolo all’album è un tributo all’Hendrix autore di grande ballate, pensate a Little Wing o Angel, beh calate un po’, non esageriamo, però siamo da quelle parti, la voce, molto gentile, ricorda vagamente quella di Donovan, ma è comunque adeguata e la chitarra, come dire, viaggia, specie quando viene innestato il wah-wah, peccato finisca presto.

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Miss Louise è un altro di quei rock-blues scorrevoli, con l’organo di Bruce Bears, che oltre ad accompagnare con discrezione, come nei brani precedenti, sale anche al proscenio per l’occasione, per duettare con la chitarra. Duke Robillard che si era limitato al ruolo di accompagnatore (di lusso) nei primi due brani, si ritaglia il suo spazio come seconda chitarra solista in una funky Hellhound (uno dei tre brani che non porta la firma di Mindelis), ricca di grinta e con tutta la band che gira a pieno regime, i due solisti si scambiano riffs con grande gusto prima di rilasciare i loro assolo sui due canali dello stereo, sembra quasi un pezzo, di quelli belli, di Robben Ford. 27th Day ha una costruzione sonora inconsueta, inizio basato solo su un lavoro di fino alla chitarra e poi il resto della band che entra per un bel crescendo fino all’assolo liberatorio, brano ricco anche di melodia.

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Perfect Blues è il brano che più ricorda il Texas Blues di SRV, con quei riff inconfondibili. Tom Plaisir è una traccia strumentale che ci permette di gustare ancora la notevole tecnica chitarristica di Mindelis, con qualche rimando al Duke e all’Earl (Ronnie),  mentre (How) To Make Love Stay ha di nuovo quell’approccio laidback, gentile, quasi pop di alcuni dei brani precedenti e Blues In My Cabin è un bluesaccio di quelli tosti, le dodici battute rivisitate in uno stile che ancora una volta rimanda al miglior Clapton. Lucky Boy, con un sound molto Delaney & Bonnie, avrebbe un altro effetto se ci fosse anche una bella voce a cantarla e Happy Guy sterza momentaneamente anche in territori R&B con il pianino di Bears a dare il giusto supporto. Per concludere una breve jam strumentale Jazz Breakfast at Lakewest, tanto per fare capire che “sappiamo” suonare anche il jazz. Ottimo chitarrista e discreto cantante http://www.youtube.com/watch?v=lW2kvd_PpVo , però nell’insieme un bel disco, uscito l’estate scorsa ma non di facile reperibilità, per chi ama un blues variegato.    

Bruno Conti

Happy New Year! Ecco Le High Hopes di Bruce Springsteen!

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Bruce Springsteen – High Hopes – Columbia CD – CD/DVD

Ormai Springsteen, negli ultimi dieci anni, ha assunto una cadenza quasi annuale di uscite, forse biennale per essere onesti, niente a che vedere con le lunghe attese di un tempo, quando tra un album e l’altro passavano tre, quattro, anche cinque anni e oltre, intervallati dalle uscite “sotterranee” di moltissimi bootleg (spesso incisi col culo, ma molte volte anche di ottima qualità), dove potevi crogiolarti nelle decine di inediti che Bruce scartava, spesso con infelice scelta, dai suoi albums ufficiali. Anche il sottoscritto ne possiede qualche decina, croce e delizia del fan, poi allettato da operazioni tipo Tracks, il cofanetto quadruplo di inediti, ristampato proprio nel 2013 in versione economica e ridotta nel formato. Gli inglesi hanno un termine per questo tipo di operazioni: Odds And Ends, che tradotto in italiano suona come “Cianfrusaglie” o “Paccottiglia”, o anche, come più nobilmente chiamarono un loro album di scarti, inediti e versioni alternative, gli Who, Odds And Sods, “Avanzi”!

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Qualche critico ha detto che spesso questi tipi dischi sono più interessanti dell’80% della produzione rock in circolazione e, anche se High Hopes non rientra completamente in questa categoria, in quanto è composto in parte da materiale vecchio, riciclato e re-inciso, e da alcune cover, ma ci sono anche parecchi brani “nuovi”, come dare torto ai suddetti critici http://www.youtube.com/watch?v=rOPDhoZH91g ! Non siamo di fronte ad un capolavoro, questo è certo, ma i fans del Boss avranno di che gioire, soprattutto se acquisteranno la versione limited del disco, quella che contiene la registrazione completa della esibizione Live di Born In The Usa, registrata al Queen Elizabeth Olympic Park di Londra il 30 giugno 2013 nel Wrecking Ball Tour. In fondo, se vogliamo, anche Bruce è entrato in una sorta di Never Ending Tour e quindi i concerti non sono più il mezzo per promuovere un nuovo album (o non del tutto) quanto la spinta per ricercare vecchio e nuovo materiale (che a Springsteen certo non manca) da presentare in questi interminabili tour. Infatti a gennaio dal Sudafrica parte la nuova tournée. Ma torniamo al disco che, come certo saprete o avrete visto e letto, se no ve lo dico adesso, ha avuto una sorta di anteprima, “involontaria” o voluta, quando Amazon ha, per alcune ore, reso disponibile lo streaming a pagamento degli MP3 del disco, poi subito chiuso (forse si chiama Marketing o forse no, chi può dirlo).

Ci sono dodici canzoni in questo High Hopes: tre cover, di cui quella della title-track, un brano degli Havalinas, High Hopes, già incisa per l’EP, collegato alla VHS Blood Brothers, uscito a fine 1996, due nuove versioni di brani che Bruce aveva già registrato in album precedenti e sette “nuovi” brani (meglio dire inediti in studio), tra i quali due che dovrebbero provenire dalle sessions per The Rising, una, forse, da Working On A Dream, due (o tre) dall’album gospel che era stato registrato tra i 2011 e il 2012 e poi, come ha detto lo stesso Springsteen in alcune interviste, “rottamato” in favore di Wrecking Ball. Quindi rimarrebbero due canzoni, che però potrebbero provenire sempre da Wrecking Ball. In otto di questi brani appare Tom Morello, la “musa ispiratrice” (ne ho viste di più belle) di questa nuova opera, sempre nelle parole del Boss. E quindi?

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High Hopes, nella nuova versione, ha un piglio da inno, ma è anche radiofonica e “moderna” nelle sonorità, con ampio spazio per la chitarra di Morello, ma anche per la sezione fiati che poi nel resto del disco non si sente molto. Evidentemente Bruce non vuole perdere i contatti con le nuove generazioni che vengono a vederlo nei concerti e allo stesso tempo non scontentare i vecchi fans. Risultato? Un brano discreto, anche buono e molto radiofonico appunto. Harry’s Place era già stata incisa per The Rising ed aggiunge un nuovo personaggio alla galleria di quelli creati nel corso degli anni. L’aggiunta della chitarra di Morello gli dà un’aria vagamente punk-rock ma non manca il tocco tipico della E Street Band (forse quattro chitarristi che girano per l’album non saranno un po’ troppi? Roy Bittan praticamente non si sente quasi più). I synth e la voce filtrata di Bruce ogni tanto rompono un po’ le palle ma il sax del vecchio Clarence fa una breve apparizione a risollevare le sorti della canzone. Quella di American Skin (41 Shots) è una bella versione, mi piace, meglio dell’originale e di quelle fatte varie volte dal vivo, più centrata, con il giusto mix di moderno e Springsteen classico, la batteria programmata e le tastiere sono entrate anche in passato, da Born In USA in avanti, nella musica del nostro, e in qualche caso, come questo, i risultati sono soddisfacenti, questa volta il muro di chitarre nella parte centrale è pertinente e l’incalzare della canzone risalta in tutta la sua drammaticità con il giusto nitore sonoro, il sax questa volta dovrebbe essere dell’altro Clemons della famiglia, Jake.

Just Like Fire Would è un’altra delle cover presenti, dei grandi Saints, una delle migliori band australiane, che naturalmente Springsteen, amante della buona musica, vecchia e nuova, non può non conoscere http://www.youtube.com/watch?v=UBkBSSWQunQ . E questa volta un pezzo all’origine di un gruppo punk (ma la canzone, scritta da Chris Bailey, era così all’origine, viene dalla seconda fase della band) è fatto in puro stile E Street Band, con l’organo (Federici o Giordano?) che guida le danze, mentre una tromba squillante si insinua sottopelle e tutta la band segue. Un brano che dal vivo farà un figurone, un instant classic che il gruppo aveva eseguito proprio durante la parte del tour che li aveva portati in Australia, a riprova di quella teoria che i concerti servono anche per testare nuovo materiale. Anche Down In The Hole viene dal post 11 settembre di The Rising, un brano che si apre con la voce di Patti Scialfa, un banjo, il “rumore” di percussioni programmate e non (sembra un po’ il sound dell’inizio di I’m On fire o di Streets of Philadelphia)  e tastiere elettroniche varie, impreziosite dal violino di Soozie Tyrell. Heaven’s wall è uno dei pezzi di impostazione gospel-rock che doveva far parte del disco poi scartato, niente di memorabile, l’attacco a tempo di samba fa un po’ a botte con il tema religioso del brano, poi le chitarre inacidite di Bruce e Tom Morello fanno il resto, cioè non molto, anche se il brano non è cosi orribile come qualcuno lo ha dipinto (ho visto che il disco è stato recensito persino su Sorrisi, che fa delle ironie su alcuni brani ma non riesce neppure a scrivere giusto il nome degli Havalinas). Magari anche questa sarà meglio dal vivo.

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Frankie Fell In Love è una di quelle tipiche canzoni springsteeniane sull’amicizia, divertita e divertente, con un sound vagamente country, potrebbe provenire da Working On A Highway che aveva in certi brani un’atmosfera divertente e coinvolgente. This Is Your Sword è un’altra canzone di quelle di impronta religiosa, con un attacco irlandese e un suono d’insieme corale,non mi sembra così brutta da dover essere scartata e forse Bruce ha fatto bene a recuperarla, magari proprio per l’attività concertistica. Il tipo di brano “celtico” che una volta non ti aspettavi da Springsteen, ma dopo le Seeger Sessions tutto è possibile. Hunter Of Invisible Game è un valzerone mistico, dal forte impianto orchestrale, a tratti vagamente dylaniano o morrisoniano, si lascia ascoltare con piacere. Insomma, una bella canzone!

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E veniamo a uno dei brani più controversi del disco: The Ghost Of Tom Joad, in questa nuova versione elettrica aveva già fatto la sua apparizione durante l’esibizione per i 25 anni della Rock And Roll Hall Of Fame, proprio con Tom Morello alla solista http://www.youtube.com/watch?v=mzRbeHyIomk . E durante il tour dell’emisfero australiano quando il chitarrista dei Rage Against The Machine aveva sostituito Little Steven, la canzone era diventata una dei punti di forza dei concerti e quindi Bruce & Co. hanno deciso di inciderla. Apriti cielo! Già il fatto che un brano acustico da uno dei dischi più intimisti di Springsteen sia diventato una ballata rock dai crescendo chitarristici torrenziali ha creato “furore” tra alcuni dei fans più tradizionalisti del Boss, ma addirittura inciderla in una nuova versione è stata quasi vista come una offesa. Perché, why? Anche Atlantic City ha subito un tipo di trattamento quasi simile con ottimi risultati, ok, dal vivo, forse l’unico appunto che si può fare è quello che il brano si poteva concludere verso i cinque minuti e mezzo, senza gli “esagerati” virtuosismi di Morello nella parte finale, che dal vivo avevano un senso ma qui sono troppo sopra le righe, anche se non dobbiamo dimenticare che anche ai tempi d’oro degli anni ’70 questi tour de force chitarristici tra Springsteen e Little Steven erano all’ordine del giorno, basta non esagerare, e comunque anche le altre chitarre presenti nel pezzo non suonano come suonate da signorine! Vogliamo l’edit radiofonico.

The Wall, non una cover del brano dei Pink Floyd, è un sentito omaggio, una sorta di elegia per Walter Cichon, il leader dei Misfits, un band locale del New Jersey, molto importante per la formazione musicale del Boss, “missing in action” in Vietnam nel 1968 e che è l’occasione anche per un ricordo del “muro” dove si trovano tutti gli altri nomi al Vietnam Veterans Memorial di Washington. Una ballata sobria e sentita, dove si sente perfino il piano di Bittan che unito al classico sound dell’organo e da un assolo di tromba ben piazzato ben piazzato nell’economia della canzone che avrebbe fatto la sua bella figura anche in Wrecking Ball (e in qualsiasi altro album). Conclude un altro brano che dal titolo potrebbe ricordare certe cose di Roy Orbison, Dream baby dream e invece, come tutti sanno, è un brano dei Suicide http://www.youtube.com/watch?v=eaZRSQfFo8Y : ebbene questa versione ricorda proprio quel tipo di suono à la Orbison, un po’ melodrammatico e un po’ classico, poi la canzone è molto bella di suo e Springsteen l’ha sempre amata molto e ce la propone in una versione che mescola suoni vintage a sonorità moderne con ottimi risultati. Bel finale. Purtroppo dischi belli come quelli di un tempo questo signore di 64 anni forse non ne farà più (ma non è detto, vedasi Dylan): per lenire le ferite Jon Landau ha annunciato, o fatto capire, che probabilmente nel corso dell’anno uscirà una versione espansa Deluxe di The River, l’ultimo dei capolavori rock (perché i dischi acustici in solitaria sono un’altra parrocchia) e il preferito di chi scrive, ebbene sì, anche più di Darkness e Born To Run. Vedremo, per il momento restiamo in attesa di questo disco che uscirà il 14 gennaio e, come detto all’inizio, resta meglio dell’80, ma anche 90% di quello che esce al giorno d’oggi, quindi non meniamocela troppo. Ok è Springsteen, e quindi!

Bruno Conti