Bellissimo Album D’Esordio (Con 50 Anni Di Ritardo) Per Queste Quattro Arzille “Carampane”! Ace Of Cups – Ace Of Cups

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Ace Of Cups – Ace Of Cups – High Moon 2CD

Questo disco in realtà è uscito a Novembre 2018, ma, un po’ per colpa mia che l’ho scoperto in ritardo, un po’ per il fatto che ho rimandato la recensione, ne parlo soltanto oggi, anche perché merita davvero e non mi sembrava giusto bypassarlo. La storia delle Ace Of Cups, gruppo tutto al femminile originario di San Francisco, è più simile ad una favola a lieto fine. Formatesi nel 1967, quindi in piena Summer Of Love, le AOC avevano subito fatto parlare di loro un po’ per il fatto che all’epoca non si vedeva tutti i giorni una band formata solo da ragazze, ma soprattutto per la loro bravura on stage, al punto che un certo Jimi Hendrix le notò e le volle come opening act per aprire un suo concerto al Golden Gate Park. Il quintetto (Denise Kaufman, chitarra ritmica, Mary Gannon, basso, Marla Hunt, organo, Diane Vitalich, batteria, Mary Simpson, chitarra solista, e tutte e cinque al canto) venne poi preso in consegna da Ron Polte, ex manager tra gli altri dei Quicksilver Messenger Service, che iniziò a guardarsi intorno per cercare loro un contratto discografico, ma ricevette solo offerte a suo giudizio non adeguate. Nel frattempo gli anni passavano, e le nostre si limitavano a tenere dei concerti e ad incidere qualche demo di canzoni scritte da loro, ma nel frattempo si erano sposate ed avevano fatto figli.

Il periodo del Flower Power passò, ed un disco delle Ace Of Cups diventava sempre meno probabile, anche perché pubblicare un album significava dover andare in tour, e ciò non era possibile per cinque madri di famiglia. Così la band si sciolse e divenne una sorta di leggenda metropolitana, ma le ragazze (che uscirono dal mondo della musica) si tennero in contatto fino ai giorni nostri: la svolta avvenne quando il boss della label indipendente High Noon le vide esibirsi nel 2011 al concerto per i 75 anni di Wavy Gravy, e ne fu così colpito che le mise sotto contratto per registrare finalmente quel disco di debutto che avrebbero dovuto fare negli anni sessanta (nel 2003 la Ace aveva fatto uscire It’s Bad For You But Buy It!, una collezione di demo e brani dal vivo delle AOC incisi in gioventù, un disco che passò quasi inosservato). Il resto è storia recente: nel 2016 le ormai non più ragazze (ridotte a quartetto, la Hunt ha preferito non partecipare alla reunion) si sono ritrovate in studio con circa cento canzoni, tra brani scritti nei sixties, pezzi abbozzati e da finire sul momento e brani nuovi, e hanno registrato non uno ma ben due album doppi (il secondo dovrebbe uscire nel corso del 2019) sotto la guida del produttore Dan Shea, uno con un curriculum a mio parere non proprio immacolato (Mariah Carey, Jennifer Lopez, Celine Dion), ma che qui ha fatto un lavoro egregio.

Ed Ace Of Cups si rivela essere un disco splendido, sorprendente e per nulla nostalgico: le quattro amiche non sono ex musiciste stanche che vogliono rivivere il bel tempo che fu, ma quattro tostissime rockers che hanno ancora una grinta ed una voglia di spaccare il mondo invidiabile. Non è facile trovare un doppio album bello dalla prima all’ultima canzone, ma devo dire che questo lavoro omonimo delle AOC è la classica eccezione: canzoni belle, intense, cantate con voci giovanili e suonate con grande forza; è chiaro che c’è più di un accenno agli anni sessanta (la maggior parte dei brani risale a quell’epoca), ma il disco non è affatto monotematico in quanto offre una stimolante miscela di rock, folk, country, blues ed anche un tocco di psichedelia e garage rock. Dulcis in fundo, abbiamo una serie impressionante di ospiti di altissimo livello, che elevano ancora di più un disco già bello di suo. La divisione degli strumenti è quella del gruppo originale, con la differenza che la Gannon qui si limita a cantare e battere le mani, ed il basso lo suona la Kaufman. Se pensate a quattro tranquille signore vi basti ascoltare l’iniziale Feel Good, una rock song potente ed elettrica, dal drumming secco e un riff di chitarra bello tosto, ma con una melodia decisamente accattivante ed un ritornello di presa immediata: abbiamo anche i primi ospiti, nientemeno che Jack Casady (ex Jefferson Airplane e Hot Tuna) al basso ed il grande organista Pete Sears.

Pretty Boy ha elementi pop, quasi beat (ma il suono è indubbiamente attuale), un brano diretto che paga tributo alle band inglesi, dai Beatles in giù; l’intro di organo di Fantasy 1&4 è decisamente sixties, ed il pezzo stesso è una deliziosa e fresca pop song che non dimostra affatto 50 anni, mentre Circles è puro rock’n’roll, ritmato, coinvolgente e cantato con grinta, che aggiunge anche un assolo torcibudella da parte di Barry Melton, ex Country Joe & The Fish (anzi, The Fish era proprio lui). We Can’t Go Back Again è una suadente ballata sostenuta da un bellissimo refrain e da un suono molto classico, da vera rock band, ed un bel assolo di organo da parte di Sears, preludio a uno degli highlights del doppio, cioè The Well, una canzone scritta dalle quattro ragazze insieme ma affidata alla voce solista di Bob Weir (che suona anche le chitarre), ed il pezzo è un coinvolgente brano di pura Americana con tanto di banjo e strumentazione roots (e qui all’organo c’è il leggendario Melvin Seals, quindi due ex compagni di Jerry Garcia in un colpo solo). Taste Of One è uno scintillante folk-rock con splendido assolo di slide della Simpson ed ancora reminiscenze pop (tipo la prima Marianne Faithfull), mentre Mama’s Love è a sorpresa un blues tosto, grintoso e perfettamente credibile, impreziosito da due mostri sacri come Charlie Musselwhite all’armonica e Jorma Kaukonen alla lead guitar. Ritroviamo Jorma anche nella classica rock ballad Simplicity (con un inizio un po’ alla Stairway To Heaven), che parte lenta ma dal secondo minuto in poi aumenta di ritmo, fino ad uno strepitoso duello chitarristico tra Kaukonen e la Simpson; il primo CD si chiude con la sognante Feel It In The Air, altro slow di stampo rock con un motivo di prima scelta.

Il secondo dischetto parte con Stones, un sanguigno e gagliardo rock’n’roll che dimostra ancora che nonostante l’età le “ragazze” hanno grinta da vendere, al punto da sembrare una garage band under 30. Life In Your Hands vede alla voce solista addirittura Taj Mahal, per un blues lento di stampo rurale, eseguito quasi a cappella (c’è solo un basso e qualche percussione) e con le voci delle AOC a dare il tocco gospel. Il medley Macushla/Thielina è una suggestiva folk song dal sapore irlandese, con tanto di uilleann pipes e whistle (ed anche un coro di bambini di cui avrei fatto a meno), As The Rain è scritta e cantata dall’attore Peter Coyote, che mostra di avere una voce perfetta per il brano, una splendida ballata tra folk, country ed Irlanda, tra le migliori del CD. Dopo un breve interludio per voci e banjo intitolato Daydreamin’ e cantato ancora da Mahal, abbiamo On The Road, strepitosa country song cantata a più voci e dalla melodia coinvolgente, l’ottimo rock-blues elettrico Pepper In The Pot, con la voce principale di Buffy Sainte-Marie e la chitarra solista di Steve Kimock, e la lenta e distesa Indian Summer, ancora con strumentazione roots ed una leggera orchestrazione alle spalle. Chiusura con Grandma’s Hands, altro godibile e ritmato pezzo tra blues e gospel, il medley The Hermit/The Flame Still Burns/Gold & Green/Living In The Country, suggestivo esempio di vintage rock di gran classe, con una deliziosa atmosfera sixties ed un intermezzo di musica indiana (e in The Hermit c’è anche la voce di David Freiberg, ex Quicksilver e Jefferson Starship), per finire con la breve e corale Music, eseguita a cappella.

Mi dispiace non poter tornare indietro nel tempo e poter riscrivere le classifiche del 2018, dato che questo “esordio” delle Ace Of Cups avrebbe occupato posizioni molto alte: sarà per il secondo volume, che spero arrivi a breve.

Marco Verdi

Nuove E Vecchie Medicine Proposte Dalla D.ssa “Buffy”. Buffy Sainte-Marie – Medicine Songs

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Buffy Sainte-Marie – Medicine Songs – True North Records/Ird – Deluxe Edition

A distanza di due anni dal precedente Power In The Blood (premiato con il riconoscimento del prestigioso Polaris Music Pride) http://discoclub.myblog.it/2015/06/08/delle-grandi-della-musica-folk-americana-lultima-pellerossa-buffy-sainte-marie-power-the-blood/ , torna questa arzilla “nativa americana” con questo nuovo lavoro Medicine Songs, una raccolta di canzoni recuperate dal suo vecchio e notevole “songbook”, dove il saccheggio più ampio viene dal bellissimo Coincidence And Likely Stories (5 brani), ma anche dal suo album d’esordio It’s My Way con tre brani storici, altre tre canzoni da Running For The Drum, due dal “seminale” Little Wheel Spin And Spin, senza dimenticareil giusto spazio, con un brano a testa, ad album dimenticati ma di grande importanza quali She Used To Wanna Be A Ballerina, Buffy, Sweet America e il recente Power In The Blood, con la meritoria aggiunta di due canzoni inedite. Per questa sorta di retrospettiva “rivisitata” Buffy Sainte-Marie si è affidata alla abituale produzione di Chris Birkett, valente polistrumentista, chitarre acustiche e elettriche, batteria, percussioni e tastiere, e di Jon Levine al basso, batteria e tastiere, che portano negli studi di registrazione 2 Mounties Media di Toronto e ai Buffy’s Home Studios di Kapaa, HL, musicisti di provata bravura come Justin Abedin alle chitarre, Michel Bruyere alla batteria e percussioni, Anthony King al basso, con il contributo alle armonie vocali della collega Tanya Tagaq (anche lei vincitrice del premio Polaris), per una ventina di brani (sette in versione digitale, ma scaricabili con un codice gratuito contenuto all’interno del CD), con intriganti sonorità antiche che confluiscono in un folk “moderno”.

Le Medicine Songs partono con le due canzoni inedite, una You Got To Run (Spirit Of The Wind) basata su un ritmo tribale e cantata in duetto con la brava Tanya Tagaq, e The War Racket, una poesia musicata che Buffy aveva letto nel lontano 2008 al Native American Museum di Washington, per poi passare al trascinante canto di battaglia Starwalker (lo trovate su Sweet America), seguito da un brano senza tempo come la commovente My Country ‘Tis Of Thy People You’re Dying. Si prosegue con la “patriottica” America The Beautiful, a cui fanno seguito una tambureggiante versione della recente Carry It On, e classici di protesta storici come Little Wheel Spin And Spin e una poderosa No No Keshagesh, che viene rivoltata come un calzino. Con Soldier Blue, forse la sua canzone più celebre, Buffy inizia un percorso a ritroso nei vecchi album, con gemme dimenticate come la bellissima The Priests Of The Golden Bull, la potente forza di denuncia contenuta in una straordinaria Bury My Heart At Wounded Knee (entrambe le trovate su Coincidence And Likely Stories), l’inno pacifista della altrettanto famosa Universal Soldier tratta dal film Soldato Blu (un western revisionista con la presenza abbagliante di Candice Bergen), e la moderna, elettrica (quasi tecno) Power In The Blood. E’ interessante notare che con il materiale bonus, la Sainte-Marie rivisita brani poco noti e celebrati come Disinformation e Fallen Angels, recupera una straordinaria Now That The Buffalo’s Gone (cercatela su It’s My Way), una sempre trascinante Generation, il moderno canto tribale di Working For The Government, per poi passare ad una ballata ariosa come The Big Ones Get Away, e chiudere il cerchio con la versione unplugged di The War Racket (il brano più politico dell’album).

Oggi come ieri Buffy Sainte-Marie (nata in una riserva di nativi americani Cree), nonostante i suoi 76 anni, per molti rimane l’icona e la testimone della dignità dei suddetti popoli, con canzoni e testi che negli anni sono diventati dei veri e propri “inni” del folk americano, con tematiche su guerre, repressione e razzismo, temi purtroppo ancora attuali nella società attuale. Se personalmente, ma sono parziale, devo trovare una piccola pecca a questa ottima retrospettiva, è il mancato inserimento della bellissima e commovente Song Of The French Partisan (cercatela su She Used To Wanna Be A Ballerina https://www.youtube.com/watch?v=ms2oSvejYMQ ), un brano adattato e reso famoso da Leonard Cohen con il titolo The Partisan (cantata anche da Joan Baez e dai bravi ma poco conosciuti Sixteen Horsepower). Augh e lunga vita a Beverly Sainte-Marie detta Buffy.

Tino Montanari