Il “Pronipote” Torna A Breve Distanza Dal Disco Precedente, Con Un Lavoro Ancora Migliore. Charley Crockett – Welcome To Hard Times

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Charley Crockett – Welcome To Hard Times – Son Of Davy/Thirty Tigers CD

A distanza di meno di un anno dall’ottimo The Valley torna con un disco nuovo di zecca Charley Crockett, countryman texano e diretto discendente di Davy Crockett https://discoclub.myblog.it/2019/10/12/un-countryman-di-talento-con-nobili-discendenze-charley-crockett-the-valley/ . E dire che dopo l’operazione a cuore aperto che gli aveva salvato la vita nel gennaio 2019 Charley aveva deciso di prendere le cose con più calma, ma evidentemente questo per lui è un periodo di grande ispirazione ed i risultati lo confermano. Crockett fa musica country dura e pura come si usava fare cinquanta/sessanta anni fa, un genere che prende spunto direttamente da Hank Williams e da altri pionieri del genere per spingersi al massimo ai primi album per la Columbia di Johnny Cash ed a George Jones per quanto riguarda le ballate in stile honky-tonk. Ma Charley non si limita a ripetere pedissequamente certe sonorità: intanto è dotato di una penna eccellente, e poi riesce ad infondere in ogni canzone una particolare attitudine fiera e quasi sfrontata, come se sotto sotto covasse un’anima irrequieta da rocker.

Welcome To Hard Times, titolo più che mai attuale, è il lavoro di un artista in costante crescita in quanto è ancora meglio del già notevole The Valley (che contava anche parecchie cover, mentre qui i brani autografi sono quasi la totalità), più convinto e con una miscela ancora più intrigante di country, musica western e honky-tonk songs: l’album è prodotto da Mark Neill e vede contributi in fase di scrittura di alcune canzoni da parte di Dan Auerbach e Pat McLaughlin oltre alla presenza di sessionmen tanto validi quanto sconosciuti che rispondono ai nomi di Kullen Fox, Colin Colby, Alexis Sanchez, Nathan Fleming, Mario Valdez e Billy Horton. Che il disco sia di quelli giusti lo si capisce fin dalla title track posta in apertura, un delizioso honky-tonk con gran lavoro di pianoforte ed un’atmosfera western che si sposa benissimo con la melodia d’altri tempi (e la voce è perfetta). Run Horse Run è una polverosa country & western song dal ritmo alla Cash ed un ottimo assolo di steel: non la vedrei male in un film di Quentin Tarantino.

Don’t Cry è limpida, tersa e decisamente orecchiabile, con richiami agli anni sessanta ed uno script solido, ed è ancora meglio Tennessee Special, altra honky-tonk song splendida e cantata con piglio da consumato countryman, con la solita steel a ricamare sullo sfondo, mentre Fool Somebody Else è una sorta di brano dalla scrittura pop ma dal suono country, un contrasto piacevole e riuscito. La cadenzata Lilly My Dear, guidata dal banjo, è una grande canzone western che sembra uscita dal songbook di Johnny Horton o Merle Travis, sentire per credere; Wreck Me è un lento romantico sempre dal sapore sixties con un coro femminile ed uno stile che piacerebbe ai Mavericks, in contrasto (ma non troppo) con Heads You Win che è una country song pura e semplice, un genere che oggi fanno in pochi. Rainin’ In My Heart (non è quella di Buddy Holly) è più moderna, un coinvolgente pezzo di stampo rock con la steel a stemperare appena, ritmo sostenuto e bell’assolo di chitarra elettrica, Paint It Blue è di nuovo perfetta per uno spaghetti western e precede la splendida Blackjack County Chain, ottima cover di un brano scritto nel 1967 da Red Lane ma portata al successo da Willie Nelson (che la incise sia da solo che con Waylon), una western ballad coi fiocchi eseguita dal nostro con grande rispetto per l’originale.

Il CD si chiude con The Man That Time Forgot, ennesimo scintillante honky-tonk che più classico non si può, e con la fulgida cowboy song The Poplar Tree; c’è però spazio anche per due ghost tracks: la vivace e trascinante Oh Jeremiah, tra folk e bluegrass (molto bella), e la lenta e languida When Will My Troubles End. Charley Crockett si conferma un vero talento e valido esponente della country music più pura, e Welcome To Hard Times è la prova tangibile della sua crescita esponenziale.

Marco Verdi

Un Countryman Di Talento Con Nobili Discendenze! Charley Crockett – The Valley

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Charley Crockett – The Valley – Son Of Davy/Thirty Tigers CD

Charley Crockett (che, ci crediate o no, è un discendente del leggendario Davy Crockett) è un musicista di stampo country-folk-Americana che, nonostante abbia esordito solo nel 2015, ha un passato piuttosto impegnativo. Nato e cresciuto in Texas, Charley ha vissuto a lungo anche a New Orleans e New York e perfino in Francia e Marocco, dove ha occasionalmente intrapreso la carriera di busker esibendosi per le strade. Ha avuto anche problemi con la giustizia, essendo stato arrestato una volta per possesso di cannabis ed una seconda addirittura con l’accusa di frode assicurativa (ma poi è stato giudicato in buona fede, mentre invece il fratello si è beccato sette anni); a metà della corrente decade Crockett ha finalmente deciso di venire a patti con la sua vita e ha iniziato a pubblicare dischi, tre a suo nome e due come Lil G.L. (una sorta di alter ego, come Luke The Drifter lo era per Hank Williams, due album di cover di brani perlopiù blues).

A Gennaio di quest’anno, tanto per non farsi mancare niente, Charley ha sostenuto un intervento chirurgico a cuore aperto (con esiti fortunatamente positivi), ma solo pochi giorni prima aveva fatto in tempo ad ultimare le registrazioni di The Valley, il suo nuovo lavoro in uscita in questi giorni, un album di vero country d’autore, con testi spesso autobiografici e musiche che si ispirano ai grandi del genere. Crockett è bravo, ha talento e sa metterlo al servizio della sua musica: The Valley è egregiamente bilanciato tra antico e moderno, è ben suonato (ho in mano un CD promo senza i nomi dei musicisti) ed è completato da una serie di cover rivelatrici del fatto che il nostro ha le influenze giuste. Puro country quindi, godibile e diretto, che non strizza l’occhio al sound nashvilliano ma rimane autentico dalla prima all’ultima canzone. Borrowed Time apre il CD, ed è una limpida country song che sembra presa pari pari da un vecchio padellone degli anni cinquanta, melodia diretta e strumentazione vintage, un avvio intrigante. Con la title track non ci spostiamo molto in avanti, per un languido brano che ha il sapore degli esordi di Merle Haggard, con una bella steel ed un chitarrone twang; la frenetica 5 More Miles è più moderna ed elettrica pur restando in ambito country.

Big Gold Mine è invece un gustoso western swing di quelli che si suonavano una volta nelle feste texane di paese, mentre 10.000 Acres è un godibilissimo honky-tonk che più classico non si può. Decisamente riuscita anche The Way I’m Livin’, puro country con sentori di Bakersfield Sound, brano che precede If Not The Fool, un lentaccio anni sessanta di quelli che piacciono tanto a Raul Malo. Maybelle è di nuovo swingata e dal sapore antico, River Of Sorrow ha la struttura di un country-gospel alla Will The Circle Be Unbroken ed un pregevole intervento di sax, mentre Change Yo’ Mind è ancora honky-tonk al 100%. Abbiamo detto delle cover: 7 Come 11 è l’unica contemporanea (una canzone del countryman Vincent Neil Emerson) ma fatica ad emergere, la bella Excuse Me di Buck Owens è decisamente rispettosa dell’originale, It’s Nothing To Me (Leon Payne) diventa una ballatona country & western, la celeberrima 9 Pound Hammer (portata al successo da Merle Travis) per sola voce e banjo ha il sapore di una autentica folk song dell’anteguerra, e Motel Time Again, di Bobby Bare, è rifatta in maniera molto aderente alla versione di Johnny Paycheck. 

C’è ancora spazio in America per chi fa del vero country, e The Valley lo dimostra in maniera chiara e netta.

Marco Verdi