Un Disco Diverso…Figlio Del Lockdown E Delle Sue Dolorose Conseguenze! Todd Snider – First Agnostic Church Of Hope And Wonder

todd snider first agnostic church

Todd Snider – First Agnostic Church Of Hope And Wonder – Aimless Records

Tutti gli appassionati conoscono Todd Snider come uno dei migliori cantautori del genere Americana emersi negli ormai lontani anni novanta. Nato a Portland, Oregon, girovagò in giovane età tra Houston, Texas, e Santa Rosa, California, di nuovo nel Lone Star State ad Austin, dove assistendo ad un concerto di Jerry Jeff Walker decise che avrebbe fatto quel tipo di carriera, e infine a Memphis, Tennessee, dove fu notato da Keith Sykes, cantautore e produttore che lo presentò all’amico Jimmy Buffett, grazie al quale ottenne il primo contratto discografico con la major MCA. Esordio fulminante nel ’94 con l’ottimo Songs For The Daily Planet, seguito a breve dagli altrettanto positivi Step Right Up e Viva Satellite, in cui oltre alla brillante combinazione di folk, rock e alternative country mise subito in mostra notevoli doti di paroliere, con uno stile ironico e sferzante che non risparmia nessun aspetto dell’establishment a stelle e strisce. Altro incontro determinante fu quello con John Prine, con cui Todd maturò una solida e fruttuosa amicizia, incidendo nella prima decade dei duemila un’altra bella serie di album per l’etichetta personale di Prine, la Oh Boy Records.

Altri ne seguirono, tutti più o meno apprezzati dalla critica specializzata e dal suo fedele zoccolo duro di fans, presente anche in Europa, fino ai giorni nostri ed al fatidico 2020, l’annus horribilis del Covid e del lockdown. Nel giro di poco tempo, Snider perde tre dei suoi migliori amici, mentori e collaboratori, Jerry Jeff Walker (a cui aveva dedicato un ottimo tribute album nel 2012, Time As We Know It), John Prine e Neal Casal, con cui nell’ultimo decennio aveva fondato una band chiamata Hard Working Americans con due dischi all’attivo. Queste gravi perdite devono averlo segnato parecchio e potrebbero essere una chiave di lettura per comprendere la strana svolta stilistica del nuovo lavoro, il cui titolo è già tutto un programma, First Agnostic Church Of Hope And Wonder. Significativa mi sembra questa sua recente dichiarazione: …Dopo il mio precedente album Agnostic Hymns mi sentivo a corto di idee e non sapevo quale direzione prendere …sono arrivato a questo disco sperando di avere qualcosa di nuovo da dire…volevo fare quello che chiamano funk…avevo ascoltato molto i Parliament e James Brown e molta musica reggae…E’ imbarazzante ammetterlo ma ho cercato di pensare a questo suono per tutta la vita!…

E i primi ad essere imbarazzati siamo noi, non appena partono le prime note del brano di apertura, Turn Me Loose (I’ll Never Be The Same), un insistito groove ritmico su cui si sovrappongono la chitarra acustica e l’armonica in un climax funky-blues che rimanda a Sly Stone. La successiva The Get Together è ancora più straniante, sembra il risultato di una session ad alto tasso alcolico, con i pochi strumenti che sembrano andare per conto loro e la voce allucinata del protagonista che pare reduce da un incubo. Non andiamo meglio né con la monotona ed incolore Never Let A Day Go Bye e neppure con l’urticante funky di That Great Pacific Garbage Patch. Date pure un’occhiata anche ai video che accompagnano questa uscita, in cui si non si può fare a meno di notare lo stato dimesso e sofferente del nostro protagonista nella stanza semi buia dello studio di registrazione di Nashville dove queste canzoni sono state incise. Per fortuna tracce della vecchia ispirazione riemergono nel delicato ricordo di John Prine eseguito con piano ed armonica nella malinconica Handsome John e ancor più nell’altra ballad Sail On, My Friend, dedicata alla memoria di un altro amico, Jeff Austin, leader della formazione bluegrass Yonder Mountain String Band, deceduto prematuramente nel 2019.

Battle Hymn Of The Album potrebbe essere un moderno canto destinato ai detenuti nei campi di lavoro forzato, col suo botta e risposta tra voce solista e coro, mentre di Stoner Yodel Number One salverei solo il contenuto sarcastico del testo. Imbarazzante pure Agnostic Preacher’s Lament, che parte come una finta prova di orchestra e si sviluppa sul solito riff iponotico di percussioni e la voce recitante del protagonista. Finalmente nel pezzo conclusivo, The Resignation vs.The Comeback Special, quantomeno si apprezza un discreto lavoro strumentale dei due collaboratori di Todd, il percussionista Robbie Crowell e il polistrumentista Tchad Blake. Può darsi che qualche critico a la page d’oltre oceano decida di tessere le lodi di questa svolta tra Beck e i Funkadelic che Todd Snider ha deciso di intraprendere, io però preferisco aspettare che la grande depressione passi senza fare altri danni e che ce lo restituisca con lavori degni del suo meritevole passato.

Marco Frosi

Dal Sud Degli Stati Uniti Ancora Ottima Musica Da Un Artista Di Culto. Randall Bramblett – Pine Needle Fire

randall bramblett pine needle fire

Randall Bramblett – Pine Needle Fire – New West

Ogni tanto leggendo Wikipedia si apprendono notizie “interessanti”: per esempio che il nostro amico Randall Bramblett ha una carriera che ha attraversato tre decadi, ma considerando che è in attività dai primi anni 70, direi che sono sette decadi, in più si apprende che il suo genere musicale sta tra folk (?!?), pop/rock, acoustic, adult alternative, mentre leggendo sul suo sito, in quanto si presume che almeno lui sappia che tipo di musica faccia, leggiamo di Americana, Blues, Funk, R&B/Soul e Rock (magari southern, visto che è stato in passato un componente dei Sea Level). Dato a Cesare quel che è di Cesare, e a Randall quel che è di Bramblett, ancora una volta il musicista di Jesup, Georgia, ci regala un altro bel disco, dopo Juke Joint At The End Of The World del 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/09/05/un-sudista-anomalo-randall-bramblett-juke-joint-at-the-edge-of-the-world/, ecco l’ottavo CD per la New West negli anni 2000.

Randall-Bramblett 1

Tastierista e cantante, oltre che sassofonista, Bramblett ha una bella voce, rauca e vissuta e si scrive le proprie canzoni, 12 in questo caso, facendosi aiutare dagli stessi musicisti del precedente CD: Nick Johnson alla chitarra elettrica, Michael C. Steele al basso, Seth Hendershot alla batteria e Gerry Hansen alle percussioni, in più come ospite alla chitarra David Causey, con lui sin dai tempi dei Sea Level, Tommy Talton dei Cowboy, che suona la vecchia Gibson SG di Duane Allman in modalità slide nel brano I’ve Got Faith In You, una piccola sezioni fiati e nella title track gli archi, oltre a Betsy Franck alle armonie vocali. Some Poor Soul, chitarra trattata, basso “grasso”, piano elettrico e fiati in evidenza, percussioni e batteria in spolvero, nonché le armonie vocali corpose dei componenti la band e della Franck, ricorda il suono del suo vecchio amico Stevie Winwood https://www.youtube.com/watch?v=WYwbosqIfH0 , con il quale ha collaborato in passato; Rocket To Nowhere, loop di batteria e synth non fastidiosi in apertura, poi diventa un altro funky-jazz-southern rock che ricorda i vecchi Sea Level, con sax e tromba, oltre alle tastiere di Randall, a menare le danze https://www.youtube.com/watch?v=Ops3SUa7fh0 .

Randall-Bramblett 3

La lunga e soave title track ha delle sonorità sognanti e futuribili, con il Fender Rhodes di Bramblett e chitarre backwards e synth atmosferici a punteggiare la melodia di questa ballata, che nel corso del brano si anima e vede nel finale anche l’ingresso degli archi https://www.youtube.com/watch?v=6OinUsBKNQY . In Lazy (And I Know It), sempre su queste coordinate sonore, ritmi più serrati, Randall va anche di falsetto, sostenuto dalla brava Betsy Franck, Even The Sunlight con un bel drive della batteria, è più mossa e con doppia chitarra, e qualche rimando al suono degli Steely Dan, contemporanei dei Sea Level, grazie agli arrangiamenti intricati e a un acido assolo della chitarra solista https://www.youtube.com/watch?v=NvYtLk0UMKM , I’ve Got Faith In You è il brano nel quale Talton suona la chitarra di Duane, un sincero esempio del vecchio southern rock dei 70’s, con un testo presentato come una risposta a Forever Young di Dylan, molto suggestiva grazie all’insinuante lavoro della slide di Talton e alla seconda voce della Franck https://www.youtube.com/watch?v=huPU4TTrWMw .

Randall-Bramblett 2

Another Shining Moment, con Causey aggiunto che va di slide, quasi alla George Harrison. è un pezzo dai retrogusti sudisti, di nuovo con falsetti gospel sullo sfondo e una calda interpretazione vocale di Bramblett e e Co https://www.youtube.com/watch?v=u_gwhzem9x4 ., molto piacevole anche la funky Manningtown che spinge sul groove, con chitarrine insinuanti anche wah-wah e piano elettrico e organo a dettare i tempi https://www.youtube.com/watch?v=DLzzyPqZUyU , insieme ai fiati, Built To Last decisamente più sul versante rock corale dimostra una volta di più la versatilità e la classe di questo musicista, ancora con Causey in aiuto con la sua solista insinuante, prima di tornare al funky/R&B con la mossa e fiatistica Don’t Get Me Started sempre vicina agli stilemi di Donald Fagen. In chiusura prima Never Be Another Day che coniuga rootsy rock e deep soul in modo brillante, grazie ancora alla Franck https://www.youtube.com/watch?v=nbMsbyuiwF0 , e l’ultimo brano con la presenza di Causey My Lucky Day insiste con questa riuscita miscela di generi che è la carta vincente di questo ennesimo ottimo album di Randall Bramblett. In attesa di nuovi dischi di Winwood e Fagen “accontentiamoci”.

Bruno Conti

L’Ottima Side Band Di Page McConnell Dei Phish. Vida Blue – Crossing Lines

vida blue crossing lines

Vida Blue – Crossing Lines – Ato Records

Sono passati 16 anni dal disco precedente dei Vida Blue The Illustrated Band, pubblicato dalla Sanctuary nel 2003. Già, ma molti di voi giustamente si chiederanno, chi diavolo sono questi Vida Blue? In effetti il gruppo, che prende il nome da un famoso giocatore di Baseball degli anni ’70 e ’80, tecnicamente andrebbero definiti una jam band, con spunti jazz, funk, elettronica diciamo “benevola”, e anche una piccola quota rock, se poi diciamo anche che sono la side band di Page MCConnell, il tastierista dei Phish, e aggiungiamo che al basso troviamo l’ex Allman Brothers Oteil Burbridge e alla batteria l’ottimo Russell Battiste Jr. da New Orleans, nonché componente dei  Funky Meters, li inquadriamo ancora meglio. Per questo nuovo album Crossing Lines il trio originale si è ampliato per inglobare il chitarrista Adam Zimmon, che è più bravo di quanto possa far supporre il suo curriculum di collaboratore di Shakira e Ziggy Marley. Diciamo che lo stile della band a tratti si potrebbe avvicinare a quello dei Rock Candy Funk Party (la band jazz-rock di Bonamassa), anche se nei Vida Blue quasi tutte le canzoni sono cantate, e questo non deve stupire visto che l’autore dei suddetti brani Page McConnell è anche uno dei cantanti dei Phish.

E quindi le parti strumentale e il groove della formidabile sezione ritmica sono notevoli, forse meno le parti cantate. L’iniziale Analog Delay, con il sound caratterizzato da un ritmo insistito della batteria e da strati di tastiere elettroniche, potrebbe ricordare quello di Tomorrow Never Knows dei Beatles, ma nella versione degli 801 di Brian Eno e Phil Manzanera, con la melodia che si insinua nelle evoluzioni delle tastiere di McConnell e nel lavoro intricato della solista di Zimmon, mentre Checking Out è decisamente più funky, con Burbridge e Battiste impegnatissimi a creare complessi groove, e synth e chitarra più orientati verso i lavori dei citati Rock Candy Funk Party o del jazz-rock fusion degli Headhunters di Herbie Hancock, anche per l’impiego del basso slappato di Burbridge quasi in modalità solista, lasciando al wah-wah di Zimmon funzioni ritmiche https://www.youtube.com/watch?v=POx0d04kpJE . Where Dit It Go amplia l’uso dell’armamentario di percussioni di Battiste, ma la parte cantata è fin troppo leggerina e ripetitiva, e la parte strumentale col piano elettrico e le tastiere in evidenza non risolleva del tutto l’insieme. Anche Phaidon, una ballata soffusa, non riesce ad avvicinare del tutto l’efficacia di quelle della band del Vermont (leggi Phish), anche se un lirico solo in crescendo della chitarra di Zimmon ci prova; il tutto è comunque sempre suonato in modo impeccabile.

 

Come certifica Weepa, uno strumentale che ricorda le complesse scansioni ritmiche, tra reggae e vibrazioni caraibiche, di Medeski, Martin & Wood, forse fin troppo insistite e ripetute, anche se nel finale il breve intervento dei fiati degli Spam Allstars cerca di dare più brio al brano. Maybe è un’altra ballata, decisamente più riuscita di Phaidon, grazie alla animata ed eccellente parte strumentale, dove il piano elettrico e soprattutto la chitarra sofisticata e pungente di Zimmon, alle prese con un lungo e sinuoso assolo, non fa rimpiangere quella di Anastasio, Real Underground Soul Sound, l’unico brano scritto da Russell Battiste, è uno strumentale che oscilla tra il lavoro squisito dell’organo di McConnell e i ritmi funky di New Orleans, mutuati da quelli dei vecchi (e nuovi) Meters. In conclusione troviamo la lunghissima If I Told You, già presente in Party Time, contenuto nella edizione Deluxe di Joy dei Phish: forse il brano migliore dell’album, una bella melodia che si scatena subito in un ritmo da Mardi Gras, con la sezione fiati e percussioni degli Spam Allstars a dare man forte a dei Vida Blue decisamente più ingrifati, anche grazie ad un ispiratissimo McConnell con il suo armamentario di tastiere in azione.

Bruno Conti

Da New Orleans Con Ritmo “Galattico”, Per Allen Toussaint. Stanton Moore – With You In Mind

stanto moore with you in mind

Stanton Moore – With You In Mind: The Songs Of Allen Toussaint – Mascot/Provogue

Stanton Moore, chi è costui? Direi che il quesito manzoniano ci è sempre utile, e quindi rispondiamo. Trattasi di batterista, nello specifico dei Galactic, noto combo di New Orleans, specializzato in jazz, funky, rock, blues, anche heavy metal (con i Corrosion Of Confomity): parliamo ovviamente solo di lui, Stanton, bianco, 45 anni quando uscirà questo With You In MInd il 21  luglio, eclettico pare di capire, ma per l’occasione impegnato in un disco (già il settimo nella sua carriera solista, più una decina con i Galactic, e svariate altre collaborazioni e progetti alternativi) il cui sottotitolo The Songs Of Allen Toussaint, aiuta a capire a cosa ci troviamo di fronte. L’album, in origine, doveva essere una prova in trio, con James Singleton al basso e il “grande” David “Tork” Torkanowsky alle tastiere, tre luminari della musica della Crescent City, in quello che avrebbe dovuto essere un album strumentale di jazz. Ma poi mentre stavano per entrare in studio di registrazione li ha raggiunti la notizia della morte improvvisa in Spagna di Allen Toussaint, e quindi hanno deciso di intraprendere la strada di un tributo al grande musicista di NOLA, coinvolgendo anche un nutrito gruppo di altri musicisti, compresi pure diversi cantanti. E il risultato è ottimo. D’altronde non poteva essere diversamente, il materiale di base, ossia le canzoni di Toussaint, di per sé è già stupendo, se poi nel disco suonano e cantano, in ordine sparso, Nicholas Payton e Donald Harrison Jr., Trombone Shorty, Cyril Neville, Wendell Pierce, Maceo Parker, una cantante poco nota ma bravissima di New Orleans (che lo stesso Moore confessa di non avere conosciuto, prima della registrazione di questo album) Jolynda Kiki Chapman, il risultato è un eccitante “gumbo” di suoni che non esiteremmo a catalogare nella categoria “altri suoni”, anche se il funky/soul e il jazz classico sono i principali elementi.

Ad aprire le danze è Here Come The Girls un vecchio funky del 1970, inciso in origine da Ernie K. Doe, qui cantato da Neville e Trombone Shorty, in una orgia danzereccia di fiati sincopati ma anche solisti, voci femminili di supporto e ritmi scatenati (*NDB quelle dei video qui sopra non sono ovviamente le versioni dal disco di Stanton Moore, ma in rete non c’è; per cui “accontentatevi”). Life è un altro dei brani più noti di “Tousan” (come era affettuosamente chiamato il nostro), cantata di nuovo da Cyril, e con il ritmo mutato in un intricato 7/8, con il sassofonista Skerik e Payton a dividersi il proscenio nella jazzata parte centrale, poi è il turno delle coriste, mentre Stanton Moore imperversa con la sua maestria percussiva; in Java uno dei primi cavalli di battaglia di Toussaint, uno strumentale del 1958 si gusta la classe del trio Harrison, Payton e Trombone Shorty, in un brano che mischia gli stili e si trovava in un disco intitolato The Wild Sounds Of New Orleans, inutile dire che i solisti e tutta la band sono meravigliosi. All These Things è cantata da Kiki Chapman, una ballata notturna di struggente bellezza, cantata con grande pathos e voce spiegata da questa cantante che mi era ignota prima d’ora, ma è veramente bravissima, nell’originale cantava Art Neville, ma che voce anche lei ragazzi e Torkanowsky illumina la canzone con il suo pianoforte, che anche nei brani precedenti è comunque spesso al proscenio; per Night People arriva uno dei “concorrenti” principali nel funky americano, quel Maceo Parker che per anni ha suonato con James Brown, ma di certo non si tira indietro anche se c’è da soffiare nel suo sax sui ritmi tipici del funk made in New Orleans, con Neville di nuovo voce solista e  il gruppo di musicisti ancora a tutto groove.

E anche The Beat, fin dal titolo, è tutto un programma, ancora Cyril alla voce solista, che doveva cantare un solo brano, ma poi è rimasto coinvolto, alla grande, in quattro brani, nello specifico si tratta di un poemetto inedito di Allen Toussaint, su cui Neville declama i versi, mentre il liquido piano elettrico di Tork si muove sullo sfondo; Riverboat vira di nuovo verso notturni lidi jazzistici, uno strumentale raffinato che gira attorno agli assolo di Nicholas Payton e Donald Harrison jr., mentre Moore, Singleton e Moore lavorano di fino ai rispettivi strumenti. Everything I Do Gonh Be Funky (From Now On), di nuovo un titolo, un programma, era cantata in origine da uno dei preferiti di Toussaint, quel Lee Dorsey che non sempre viene ricordato tra i grandi del soul e del R&B (ma lo è), per l’occasione i musicisti, che si sono molto divertiti a registrare il disco, hanno cambiato il tempo del pezzo in un più complesso 5/4, assolo ancora di Maceo Parker; With You In My Mind è un’altra splendida ballata dove si apprezzano ancora il tocco vellutato del piano di David Torkanowsky e del basso di Singleton. A chiudere Southern Nights, un brano che fu un insospettato n°1 nelle classifiche per Glen Campbell, qui con Payton alla tromba e Tork all’organo e l’attore Wendell Pierce a recitarne i versi, strana ma “magica”, come tutto il disco. Esce oggi.

Bruno Conti