Pronti…Via, Eccolo Di Nuovo, Sempre Ottima Musica! Peter Karp – Alabama Town

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Peter Karp  – Alabama Town – Rose Cottage Records

Avevamo parlato di lui proprio recentemente, in occasione della pubblicazione del disco dal vivo The Arson’s Match, che vedeva la partecipazione di Mick Taylor, un disco uscito circa un anno prima e contenente registrazioni effettuate al Bottom Line di New York nel lontano 2004, ma pubblicate solo di recente a scopo benefico per raccogliere fondi per la ricerca sul cancro alle ovaie, malattia di cui è morta la moglie di Karp nel 2009 http://discoclub.myblog.it/2016/12/22/lui-e-bravo-ma-la-differenza-la-fa-lospite-peter-karp-with-mick-taylor-the-arsons-match-live-in-nyc/ . Quindi non è una sorpresa se Peter Karp arriva con un nuovo album, questo Alabama Town, il suo ottavo disco di studio, in una carriera musicale ripresa alla fine degli anni ’90 dopo una lunga parentesi lavorativa nell’industria cinematografica. Karp è un ottimo musicista e cantante, come testimoniano, tra i tanti, anche i due CD registrati con Sue Foley, e ama circondarsi nei suoi album di musicisti di qualità: anche in questo occasione c’è l’immancabile Mick Taylor, ma pure Garth Hudson della Band a tastiere e fisa, Paul Carbonara, chitarrista con i Blondie nell’ultima parte di carriera, Todd Wolfe sempre alla chitarra, John Zarra al mandolino, e un altro frequente collaboratore come Dennis Gruenling all’armonica, oltre al figlio di Peter, James Otis Karp, sempre alla chitarra. Lo stesso Peter è un eccellente chitarrista slide con l’inseparabile chitarra con il corpo d’acciaio e se la cava anche al piano.

Il risultato è un album che spazia in tutti gli stili di quella che si è soliti definire “Americana”, a cui Mick Taylor, aggiunge un blues, accomunando l’amico Peter a Bob Dylan e James Taylor, con un “pizzico” di esagerazione. Karp, un nativo del New Jersey, ha vissuto a lungo a NY, ma ora risiede tra Tennessee ed Alabama, e quindi la musica inevitabilmente risente delle influenze sudiste acquisite: basta ascoltare la traccia iniziale, quella che dà il titolo all’album Alabama Town appunto, un eccellente brano Southern-rock dove la voce ispirata di Peter si appoggia su un tappeto di chitarre, soprattutto, ma anche organo e mandolino per trasportarci in un languido viaggio attraverso le pieghe della migliore musica americana, con la solista di Todd Wolfe in bella evidenza. ‘Til You Get Home, è un pezzo rock che accelera i ritmi, a tempo di boogie and roll, con il piano come strumento guida, e un’altra bella interpretazione vocale di Karp; That’s How I Like It è il primo pezzo blues, classico, cadenzato e con Gruenling all’armonica a dettare il tema delle 12 battute, ribadito di nuovo nel successivo shuffle swingante Blues In Mind, forse fin troppo scolastico, l’unico del disco Mentre I’m Not Giving Up è una delle classiche ballate dagli accenti soul uscite dalla penna di Karp, già apparsa nel Live e anche nel vecchio The Turning Point, ma si ascolta sempre con piacere, grazie alla presenza di un ispirato Mick Taylor che lavora di fino alla solista.

Her And My Blues, nonostante il titolo, è un’altra bella canzone che si impadronisce di caldi accenti sudisti e li sviscera in un lungo brano elettroacustico dove la slide, credo ancora di Taylor, si gusta in uno splendido intervento lungo tutto il brano. Nel country-blues The Prophet alla chitarra il figlio James Otis, per una canzone dagli accenti rurali, nuovamente con l’armonica in evidenza, con la successiva Kiss The Bride, cantata in duetto insieme a Leanne Westower, che grazie alla presenza insinuante del mandolino di Zarra inserisce piacevoli accenti country-folk. Nobody Really Knows è un altro brano dall’impianto blues, sotto forma di una bella ballata avvolgente e malinconica, con piano e chitarra sugli scudi e Lost Highway, ancora con il piano a guidare le operazioni, lentamente si trasforma in un bel brano ritmato, influenzato dal sound di New Orleans e assai godibile nella sua calda musicalità. Y’all Be Lookin’ è un altro cadenzato shuffle dove si apprezza la chitarra di Carbonara che non tradisce il suo passato con i Blondie, rivelandosi efficace bluesman; a conferma di un album dallo stile ampio e variegato è poi il turno di I Walk Alone un’altra bellissima canzone, una pura melodia folk dove l’acustica di Karp e la fisarmonica di Garth Hudson sono gli unici strumenti presenti, ma bastano e avanzano. In chiusura Beautiful Girl, un altro pezzo acustico, di nuovo un country-blues dove Peter Karp duetta in solitaria con l’armonica di Dennis Gruenling per un brano intenso e di sostanza che racconta di un amore perduto e che conclude in bellezza un ottimo album che cresce ascolto dopo ascolto, che ha il solo difetto di non essere facile da reperire e piuttosto costoso, come il precedente. Comunque consigliato.

Bruno Conti

Lui E’ Bravo Ma La Differenza La Fa L”Ospite”! Peter Karp With Mick Taylor – The Arson’s Match Live In NYC

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Peter Karp with Mick Taylor – The Arson’s Match Live In NYC – Karpfoley Music

Se avete letto l’intestazione della recensione, o avete visto la copertina del CD, immagino che non vi sarà sfuggito il nome di Mick Taylor, che è forse il motivo di principale interesse di questa uscita. Ma anche il titolare dell’album, Peter Karp, non è nuovo su queste pagine virtuali, mi sono già imbattuto in lui in altre occasioni, soprattutto per la pubblicazione di un paio di album registrati in coppia con Sue Foley e usciti per la Blind Pig, la stessa etichetta che ha rilasciato l’ultimo lavoro solista di Karp Beyond The Crossroads, edito nel 2012 http://discoclub.myblog.it/2012/08/12/un-altra-bella-accoppiata-peter-karp-sue-foley-beyond-the-cr/ . Mi pareva di ricordare (comunque ho verificato) che in entrambi i dischi registrati in duo, il buon Peter non fosse solo un onesto comprimario, ma un protagonista alla pari con la rossa canadese/texana Foley, buon autore, bella voce, solista interessante, soprattutto impegnato alla chitarra con il corpo di acciaio in modalità bottleneck, ma anche in versione classica.

Oltre a tutto il nostro amico ha un passato, se non glorioso, quanto meno interessante, e questo The Arson’s Match Live In NYC in effetti sbuca dalle nebbie del passato. Registrato al Bottom Line, leggendario locale della Grande Mela, nel 2004 (proprio l’anno della sua chiusura) il concerto, mandato in onda da una radio locale, era destinato a promuovere un album in studio, sempre di quell’anno, The Turning Point, dove alla chitarra solista appariva Mick Taylor, poi rimasto in formazione anche per il tour con la band di Karp: gruppo dove si segnala anche un ottimo armonicista come Dennis Gruenling e due validi tastieristi Jim Ehinger e Dave Keyes ( in seguito, per parecchi anni con Popa Chubby), oltre ad una sezione ritmica pimpante formata da Daniel Pagdon al basso e Paul “Hernandez” Upsworth alla batteria. Diciamo pure che il disco non è di facile reperibilità (per usare un eufemismo), è uscito già da parecchi mesi, costa abbastanza caro, ma, oltre ad essere piuttosto bello, ha anche un fine nobile, in quanto il 100% dei proventi delle vendite vanno alla Ovarian Cancer Research.

Lo stile dell’album è fin dall’inizio esemplificato dalla title track The Arson’s Match posta in apertura: un solido blues alla Elmore James, dove la slide di Karp e l’armonica di Gruenling si dividono gli spazi con un ispirato Taylor, con l’inconfondibile suono della sua Gibson che inizia subito ad inanellare eccellenti assoli, anche in modalità wah-wah, la band tira alla grande, il buon Peter ha una ottima voce, (buon autore, ripeto, i brani sono tutti suoi) ed è un virtuoso del bottleneck e il pubblico pare divertirsi. Gee Chee Gee Chee Waves, al di là del titolo strano, è un solido blues-rock con elementi soul, un tocco quasi alla Van Morrison nell’andatura mossa, le tastiere che aggiungono profondità al suono e Mick Taylor che quando inizia a lavorare con la sua chitarra ha quel tocco in più e la finezza del fuoriclasse, siamo a New York ma sembra di essere a Memphis. In Y’All Be Lookin’, un gagliardo shuffle, ancorato da un solido groove di basso, Peter Karp (o e Taylor?) inchioda un assolo di slide di grande feeling; The Turning Point parte come una ballata acustica e diventa, in un delizioso crescendo, una splendida rock ballad dove lo spirito degli Stones “americani” è chiaramente palpabile, uno degli highlights del concerto, con una lirica solista (grandissimo Mick) e organo che sfiorano la perfezione nel loro interscambio.

The Nietzsche Lounge accelera il ritmo, si va di boogie, con un tocco country, pianino honky-tonk e il leader sempre eccellente con il suo cantato incisivo, che lascia spazio a brevi e continui interventi mai banali della chitarra di Taylor, gusto e feeling come sempre le sue armi; ancora doppia tastiera anche nella languida, latineggiante Your Prettyness, con assolo swing di piano di Keyes e accelerazione micidiale blues con grande intervento di Gruenling all’armonica, che è nuovamente protagonista anche nella potente Rolling On A Log, un ottimo pezzo rock-blues con elementi “sudisti”, dove ancora Karp si conferma vocalist di valore e il consueto gran finale della solista di Mick Taylor. Un’altra bella ballata come I’m Not Giving Up non guasta nell’atmosfera festaiola del concerto, l’organo “scivolante” di Ehringer fa da apripista per il consueto assolo magistrale dell’ex Stones, in serata di grazia, mentre la band poi si lancia in un vorticoso boogie blues intitolato Treat Me Right, ritmo e grinta non mancano mai in questa bella serata newyorkese che si conclude con Train O’Mine, un altro brano eccellente dove i vari solisti si superano, prima Gruenling all’armonica e poi un super riff di Karp e Taylor che sfocia in una bella jam chitarristica a chiudere i giochi. “It’s Only Rock’n’Roll But We Like It”: scusate ma ci stava!

Bruno Conti    

Un’Altra Bella Accoppiata! Peter Karp Sue Foley – Beyond The Crossroads

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Peter Karp & Sue Foley – Beyond The Crossroads – Blind Pig Records

Questo disco è uscito da alcuni mesi (circa metà aprile di quest’anno), ma come diceva il Maestro Manzi “Non E’ Mai Troppo Tardi” per parlarne. Si tratta di uno dei CD che stanziavano sul mio tavolo, nella pigna di fianco al computer, in attesa che un’anima pia (il sottoscritto), si occupasse di loro. Per la verità, sul Blog, avevo già dato spazio al precedente album pubblicato dalla coppia un paio di anni fa, uomini-e-donne-peter-karp-sue-foley.html e lì potete trovare riferimenti e informazioni su questi due musicisti, ma il nuovo Beyond The Crossroads, sentito con maggior attenzione, mi sembra meriti anche lui un meritato approfondimento. Il disco si può collocare tra quei piccoli gioiellini usciti in questa annata, come Hiss Golden Messenger e Jeb Loy Nichols, opere di “culto” ma ricche di buone vibrazioni. Musica che non ti fa saltare dalla sedia ma ti acchiappa lentamente, ascolto dopo ascolto. Si potrebbe definire Blues Got Soul Got Country, in un intrecciarsi di generi a quel crossroads del blues dove i musicisti, come dicono nel titolo, cercano di andare oltre. Non lo fanno con spirito di innovazione straordinaria ma con gusto e misura e i risultati ottenuti sono più che soddisfacenti. Per dirla con il Buscadero, musica sorridente e spensierata in grado di mettere buonumore anche nelle anime più tristi e angosciate. O come dice la Chicago Blues Guide, “Reminescente di un qualcosa che avrebbe potuto facilmente essere registrato da Delbert McClinton e/o Bonnie Raitt, la scrittura in questo CD è assolutamente spettacolare, così come la produzione e l’esecuzione vocale e strumentale”. Per concludere ” Questa deliziosa registrazione ottiene alla grande, ad ora, il mio voto come CD dell’anno. Raccomando fortemente a chiunque di uscire e prendere possesso di una copia”. E chi siamo noi per andare contro l’opinione della Chicago Blues Guide?

 

Sentendo l’album è difficile non essere d’accordo: a partire dall’irresistibile duetto dell’iniziale We’re Gonna make It, con la voce indolente e felina di Sue Foley che si appoggia al vocione rauco e baritonale di Peter Karp che qualche ricordo di McClinton o dei soulmen della Stax lo provoca, con i fiati dei Swingadelic a dare pepe agli arrangiamenti, la Alumisonic eletric guitar (?!?) della stessa Foley a duettare con la Gibson e il piano elettrico di Karp, la musica è godibilissima. In Analyze’n Blues dove canta la Foley, Karp si dà da fare con una slide ficcante ed incisiva, colorando il suono anche con l’apporto alle tastiere e delle armonie vocali, per un risultato più che sodddisfacente, senza dimenticare che spesso anche l’altra chitarra si insinua tra le pieghe del suono. Beyond The Crossroads, un altro duetto memorabile, ma guidato da Karp, ricorda anche quel sound tra country, soul, New Orleans music e revue che caratterizza la migliore musica del Delbert McClinton più arrapato, slide, solista e fiati ruggiscono da par loro per un risultato notevole. Fine Love è anche meglio, sembra un brano perduto di Delaney & Bonnie dei tempi più gloriosi, ritmo incalzante, chitarre ovunque, armonie vocali gospel delle background singers, semplicemente grande musica.

 

Una qualità così elevata è difficile da mantenere, in caso contrario saremmo di fronte ad un capolavoro assoluto (quasi ci siamo), ma anche il puro New Orleans sound di At The Same Time a guida Karp o il pigro country-blues cantato dalla Foley di Take Your Time hanno i loro meriti. More Than I Bargained For ci riporta ancora nei territori del puro deep soul miscelato al rock e al country per non parlare del Blues dei migliori Delaney & Bonnie o per rimanere ai giorni nostri della coppia Susan Tedeschi e Derek Trucks. Blowin’ potrebbe essere una traccia ritrovata dei primi Dire Straits, con la sua andatura incalzante e le chitarre in spolvero. I dischi di Sue Foley mi sono sempre piaciuti per quello spirito sbarazzino che li caratterizzava, una canadese trasferita a Austin, Texas la brava Foley ha sempre saputo catturare le varie sfumature del blues e in questo Resistance, ancora con voci femminili, organo e fiati a colorare le procedure, mi rinfresca la memoria. La leggera e jazzata Chance Of rain nulla aggiunge mentre i ritmi vorticosi dello strumentale country Plank Spank ricordano i migliori episodi dell’Albert Lee più scatenato (anche lui frequentava il country misto al rock negli anni gloriosi degli Heads, Hands & Feet e poi nella Hot Band di Emmylou Harris e pure nella band di Clapton). Non manca il rockabilly-boogie poderoso della conclusiva You’ve Got A problem per concludere un album piacevole e sorprendente che potrebbe deliziare questa vostra estate ma anche il resto dell’anno se lo scoprirete dopo. Approvato, e scusate il ritardo!

La ricerca continua.

Bruno Conti

Uomini E Donne: Peter Karp & Sue Foley

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Peter Karp & Sue Foley – He Said She Said – Blind Pig Records 2010

In effetti ho barato nel titolo del post, ma appena appena, a ben vedere sono “un” Uomo e “una” Donna, ma mi faceva comodo per il titolo per cui mi sono allargato un attimo: per curiosità, vuoi vedere che usando queste due magiche parole mi ritrovo dei visitatori nel Blog che credevano di leggere le ultime avventure degli eroi della mitica Maria? Se siete capitati per caso benvenuti, comunque, nel caso, i nomi di cui si trattava erano ben specificati e non essendo dei “concorrenti” internazionali mi sa che sono dei musicisti.

Per tutti gli altri in risposta al classico, chi sono costoro?, vediamo di esplicare.

Sue Foley è una rossa chitarrista ( e suona ragazzi x98t77_blues-sue-foley-same-thing_music) e cantante canadese, con una lunga militanza in Texas, fa dell’ottimo blues e ha già registrato dieci album più uno in trio con Deborah Coleman e Roxanne Potvin. Peter Karp è un personaggio più enigmatico: una prima di parte di carriera sul limitare della discografia ufficiale, poi un ritiro di dieci anni per crearsi una famiglia, un ritorno agli inizi degli anni 2000, un paio di album pubblicati a livello indipendente e un CD Shadows and Cracks per la Blind Pig nel 2007, anche lui ama il blues ma a livello più rootsy e cantautorale. Quindi come si incontrano?

Come direbbe Maria, da uno scambio di mail e lettere per una collaborazione nel nuovo Cd di lui, nasce una relazione musicale più profonda, un brano tira l’altro e decidono di registrare insieme questo He said She Said. Ma si vogliono bene? Chissà!?!

Lei ha quella voce tipica della blueswoman texana (ma è canadese, già detto attenti!), indolente e birichina, lui ha il vocione del folksinger trasformato in bluesman ed una maggiore propensione per la composizione (nove dei quattordici brani sono suoi, gli altri cinque della Foley); comunque si integrano molto bene anche se ognuno, musicalmente parlando, sta un po’ sulle sue, non è che i duetti si sprechino, ma ci sono.

Si parte a trazione fortemente blues con l’iniziale Treat me right, firmata da Karp e cantata in coppia dal duo, la solista della Foley e la slide di Karp duellano con gusto, mentre le voci si intrecciano con misura anche se la Foley si fa preferire ( o sarà che la conosco di più ed ho sempre avuto una particolare predilezione per i suoi dischi). So far so fast è una di quelle canzoni gustose, vagamente retrò e deliziose che costellano la discografia della Foley, ritmi moderati e voce piaciona. Wait è un grande brano di Karp che lo canta con un piccolo aiuto di Sue Foley nelle armonie vocali: molto Dylaniano, con un organo che caratterizza il suono e la chitarra della Foley che punteggia con una bella serie di interventi il tessuto sonoro della canzone, gran bella musica. Rules of engagement è un altro brano molto bluesato con le chitarre, sempre misurate, sugli scudi, canta ancora la Foley, Karp alla slide e seconda voce accompagna. A questo punto il disco si ammoscia un tantinello, Hold on baby, impianto sonoro prevalentemente acustico e armonica d’ordinanza non decolla, Mm Hmm scritto da Karp ma interpretato da entrambi, già dal titolo non brilla per originalità, nonostante l’intervento di una sezione di fiati con tanto di trombone rimane incompiuto. Danger Lurks è un brano acustico firmato dalla Foley, francamente noioso nonostante gli arpeggi della chitarra. Ready for your love è la controparte di Karp del brano precedente, un po’ meglio ma non entusiasmante. Il disco si rianima con il blues jazzato di Scared cantato con passione dalla Foley e con Valentine’s Day, un duetto tra i due più animato delle canzoni precedenti, anche se… Dear Girl, è una bella country song cantata da Peter Karp con le solite armonie vocali della Sue mentre Baby Don’t Go è semplicemente una bella canzone dal vago andamento di valzer con la voce e la chitarra della Foley ben focalizzate. Si conclude in tono minore con la malinconica Regret e la dolce Lost in you, entrambe molto piacevoli. Dimenticato qualcosa? Direi di no!

Bruno Conti