Non “Solo” Una Ristampa, Un Piccolo Tesoro Ritrovato E Potenziato. Roy Buchanan – Live At Town Hall

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Roy Buchanan – Live At Town Hall – 2 CD Real Gone Music

Come chi legge questo blog avrà sicuramente notato, leggendo i vari Post dedicati ad alcuni album, più o meno ufficiali, pubblicati negli ultimi anni, https://discoclub.myblog.it/2016/01/02/dal-vivo-raro-formidabile-roy-buchanan-lonely-nights-my-fathers-place-1977/ e https://discoclub.myblog.it/2017/04/02/sempre-piu-raro-formidabile-e-sconosciuto-anche-a-quasi-30-anni-dalla-morte-roy-buchanan-telemaster-live-in-75/, il sottoscritto considera Roy Buchanan uno dei più grandi chitarristi che abbiano mai graziato l’orbe terracqueo e i suoi palchi e studi di registrazione, sin dalla nascita del R&R (infatti le sue prime registrazioni risalgono addirittura al 1957), meritandosi gli appellativi, entrambi meritati per diversi ragioni, di “Master Of The Telecaster” e di essere “il più grande chitarrista sconosciuto del mondo”. Se volete approfondire andate a rileggervi le varie recensioni che gli ho dedicato e quindi entriamo direttamente nei contenuti di questo splendido Live A Town Hall, non prima comunque di una breve premessa. La carriera solista di Buchanan, dopo una lunghissima carriera di sideman, tracciata, almeno negli anni iniziali in https://discoclub.myblog.it/2016/08/24/completare-la-storia-roy-buchanan-the-genius-of-the-guitar-his-early-recordings/ e da varie frequentazioni, anche con Jimi Hendrix, che condurranno ad inizio anni ’70 ad un contratto con la Polydor ed a essere tra i papabili ad entrare negli Stones a sostituire Mick Taylor: i primi quattro album di studio, soprattutto il secondo e il terzo, entrambi pubblicati nel 1973, cementano la sua reputazione e molti colleghi lo citano come un influenza, Jeff Beck, Gary Moore, Danny Gatton, Arlen Roth, Jerry Garcia e svariati altri, ed è proprio con l’album che doveva concludere il suo contratto con la Polydor, Live Stock, che Roy Buchanan realizza il suo miglior disco e anche quello di maggior successo.

Registrato nel novembre del 1974 alla Town Hall e pubblicato l’anno dopo, il disco avrebbe dovuto essere un doppio dal vivo, ma l’etichetta preferì pubblicare un singolo album, comunque formidabile, con soli sei brani tratti da quella serata, più uno registrato all’Amazingrace Coffeehouse, di  Evanston (IL), invece dei due set completi che contavano su ben 21 brani. A distanza di oltre 40 anni da quell’evento la Real Gone Music ha affidato la produzione di questa ristampa a Bill Levenson, uno dei maggiori specialisti nel lavoro di recupero e rimasterizzazione di album classici (tra gli artisti che hanno usufruito del suo lavoro Cream, Eric Clapton, Allman Brothers, B.B. King, giusto per citarne alcuni) che ha fatto un lavoro splendido nel restaurare le due differenti esibizioni di quel fatidico 27 novembre del 1974 a New York. Nella ottima band che accompagna Buchanan, oltre a Malcolm Lukens alle tastiere, John Harrison al basso e Ronnie “Byrd” Foster alla batteria, spicca un giovane Billy Price ala voce solista, di cui di recente vi ho magnificato l’ultimo album in studiohttps://discoclub.myblog.it/2018/07/24/cantanti-cosi-non-ne-fanno-piu-billy-price-reckoning/ .

Il primo CD si apre con un poderoso R&R firmato dallo stesso Roy, una scintillante Done Your Daddy Dirty, un brano strumentale dove Buchanan comincia a scaldare la sua Telecaster a furia di riff e brevi assoli, con quello stile unico e impossibile da imitare con la chitarra che inizia a seguire quelle sue traiettorie sonore ai limiti dell’umano, segue Reelin’& Rockin, swingata e brillante, cantata in modo brillante da Price, un altro strumentale delizioso come la sinuosa Hot Cha, tra rock e soul, e poi ancora la sua versione eccellente di Further On Up The Road, un classico di Clapton, ma sentite come la fa il nostro amico. A questo punto del  concerto arriva uno dei suoi cavalli di battaglia assoluti Roy’s Bluz, che come i tre precedenti era nel Live Stock originale, nella stessa sequenza, un blues lento eccezionale, preceduto da un breve cantato di Buchanan, che, diciamolo, era un cantante francamente scarso, ma sentite come suona la sua solista, quasi posseduto da un’altra entità, con scale musicali impossibili, sonorità lancinanti, miagolii, strepiti e fragori chitarristici che fanno rizzare i peli sulla nuca (degli altri colleghi) e un crescendo sonoro fenomenale, otto minuti di pura magia, sentire per credere. E anche la successiva Can I Change My Mind, per usare un eufemismo, non è niente male, un glorioso R&B cantato splendidamente da Price, prima di arrivare alla sua versione di Hey Joe di Jimi Hendrix, che non era nell’album originale, una rilettura colossale, Buchanan è stato uno dei pochissimi, forse l’unico che poteva suonare i brani di Jimi. (quasi) meglio dell’originale, anche perché era arrivato alle stesse soluzione sonore, in particolare l’uso forsennato del wah-wah, quasi contemporaneamente al mancino di Seattle, che peraltro ammirava e rispettava.

Un attimo per riprenderci con la leggera Too Many Drivers e poi si riprende alla grande con un’altra rilettura quasi criminale e illegale nella sua bellezza, Down By The River di Neil Young, un fiume di note in un crescendo inarrestabile e dolcissimo che probabilmente, forse, supera pure  l’originale del canadese, anche per il cantato veramente ispirato di Price, altri nove minuti memorabili. E che dire di I’m A Ram, presente nel Live Stock originale, altro blues-rock lancinante dal repertorio di Al Green, la suadente In the Beginning, un altro strumentale, quasi alla Santo & Johnny, quasi, e per concludere il primo dischetto un altro lentone veramente splendido e raffinato come Driftin’ & Driftin’, sempre costruito intorno ai crescendo strumentali quasi preternaturali della sua chitarra. Il secondo concerto si apre con un altro blues di quelli folgoranti come I’m Evil, altro brano dove la sua Telecaster viene strapazzata e portata ancora una volta ai limiti delle capacità tecniche del 99% dei chitarristi viventi e vissuti. Poi troviamo altre differenti, ma sempre ottime,  versioni di Too Many Drivers, Done Your Daddy Dirty, Roy’s Bluz, ancora più indemoniata del precedente set, Furthre On Up The Road, Hey Joe, Can I Change My Mind, In The Beginning e per concludere in gloria il tutto, in omaggio a B.B. King, una sontuosa All Over Again (I’ve Got A Mind to Give Up Living), un altro lunghissimo  slow blues di nuovo cantato con passione da Billy Price e con Roy Buchanan che inchioda un’altra performance da sballo alla solista, fluida, ricca di inventiva, dal timbro unico, e con una tecnica e un misto di  feeling e finezza veramente sopraffini, per quello che è stato, devo ribadirlo, uno dei più grandi chitarristi della storia del rock, conosciuti e sconosciuti, qui ai suoi vertici assoluti. Mi tocca, ma ci sta: ristampa imperdibile!

Bruno Conti

Cantanti Così Non Ne Fanno Più Molti! Billy Price – Reckoning

billy price reckoning

Billy Price – Reckoning – VizzTone Label

Negli ultimi anni Billy Price sta portando all’incasso tutti I crediti che ha maturato nel corso di una lunga carriera che lo ha portato dal nativo New Jersey, in cui è nato quasi 70 anni fa, registrato all’anagrafe come William Pollak, prima come cantante nella band di Roy Buchanan, nei tre anni in cui ha registrato alcuni dei migliori dischi del grande chitarrista di Ozark, incluso il formidabile Live Stock, proprio di recente ristampato come doppio con il titolo Live At Town Hall, ed in cui la presenza di Price è fondamentale, poi con una serie di album con la propria Keystone Rhythm Band (che urlano con forza “ristampami, ristampami”) ed infine con alcune decadi, diciamo discontinue, in cui il nostro amico ha avuto anche problemi con la giustizia e i suoi dischi sono diventati veramente difficili da trovare. Poi negli anni 2000, prima grazie all’incontro con il chitarrista Fred Chapellier, e poi soprattutto in virtù del disco registrato in coppia con il grande soul man Otis Clay This Time For Real, che ha vinto il Blues Music Award nel 2016, e al bellissimo disco Alive And Strange, pubblicato lo scorso anno, Billy Price si è riappropriato della reputazione di essere uno dei migliori artisti bianchi di soul e blues sull’orbo terracqueo, nonché una delle voci più belle nel genere, con uno splendido timbro tra tenore e baritono.

Questo Reckoning quindi “rischia” veramente di essere la ennesima resa dei conti, ma anche un riconoscimento per questo grande artista: prodotto dal bravissimo chitarrista Kid Andersen, nei suoi studi di Greaseland a San Jose in California, il sedicesimo album del cantante americano potrebbe essere forse il suo migliore in assoluto. Il musicista svedese si è portato con sé il connazionale Alex Pettersen alla batteria (anche lui attualmente in forza a Rick Estrin and The Nighcats), al basso hanno aggiunto Jerry Jemmott (una vera leggenda, uno che ha lavorato con King Curtis, Aretha Franklin e Ray Charles, ma negli anni d’oro, non quei CV un po’ farlocchi” in cui si legge che ha diviso i palchi con… ma dall’altra parte) e ancora Jim Pugh alle tastiere, che ha passato lunghi anni con Robert Cray. E una piccola, ma efficace sezione fiati non la vogliamo aggiungere? Certo e quindi ecco Johnny Bones, sax, e Konstantins Jemeljanovs, tromba, e se servono dei vocalist di supporto Andersen ha in casa la moglie Lisa che si porta dietro Courtney Knott. Qualche altro ospite da Rusty Zinn a Dwayne Morgan e a questo punto rimangono solo da scegliere i brani: qualche pezzo originale e alcune cover scelte con amore e competenza.

39 Steps, firmata dall’attuale tastierista della Billy Price Band, Jimmy Britton, apre le operazioni alla grande, un ciondolante blues’n’soul con organo “scivolante”, sezione ritmica in palla e voci di supporto a puntino, mentre il piano di Pugh e la chitarra di Kid completano l’opera, lui manco a dirla canta alla grande; Dreamer, la prima cover, è un vecchio brano di Bobby “Blue” Bland, un R&B atmosferico di quelli tesi e gagliardi, con voci femminili goduriose e assolo di chitarra tagliente alla Duane Allman, Reckoning è un brano di William Troiani, bassista della band in cui suonava Pettersen, un “funkaccio” sincopato con uso fiati e wah-wah stile blaxploitation, mentre No Time, mossa e brillante, tirata a grande andatura dalla band e con potente assolo di sax, stranamente è una cover di JJ Cale. I Love You More Than Words Can Say scritta da Eddie Floyd e Booker T. Jones è una splendida ed intensa deep soul ballad dal repertorio di Otis Redding, cantata in modo magistrale da Price, e pure I Keep Holding On di Low Rawls in quanto ad intensità vocale del nostro amico non scherza, più mossa e scanzonata si gode comunque alla grande con il call and response con fiati e coriste.

One And One è di Price e Britton, una soul song più melliflua e rilassata, sempre di gran classe, con Billy che se la gode, metaforicamente parlando, con le due ragazze e la band, prima di scatenare il gruppo e la sua voce in una poderosa Get Your Lie Straight, un brano di Denise La Salle, di nuovo tutto fiati, voci e ritmo incalzante, sentire Jemmott al basso e Andersen alla chitarra per credere, per non dire di Pugh all’organo. Never Be Fooled Again, questa volta di Price e Chapellier, profuma di rilassato e vellutato seventies soul, Isley Brothers o Hi records per intenderci, deliziosa, mentre in Expert Witness, del trio Price/Chapellier/Britton Nancy Wright si produce in un ottimo assolo di sax, con Jemmott che impazza nuovamente con il suo funky bass, seguito da tutto la band in grande spolvero. Love Ballad, dice tutto il titolo, è un brano di George Benson del 1979, un lentone di quelli doc, con Andersen alla chitarra-sitar, e non manca neppure un omaggio a Jerry Williams a.k.a Swamp Dogg, altro momento funky-swamp molto sudista e di nuovo cantato e suonato come se gli anni ’70 fossero ancora dietro l’angolo, che bravi tutti i musicisti, che infine si congedano con Your Love Stays With Me, altra ballata cantata magnificamente da Billy Price. Cantanti così non ne fanno più, non fatevelo scappare, uno dei dischi soul dell’anno.

Bruno Conti

Dal Vivo, Raro E Formidabile! Roy Buchanan – Lonely Nights My Father’s Place 1977

roy buchanan lonely nights

Roy Buchanan – Lonely Nights – My Father’s Place 1977 – Silver Dollar

C’è in giro un bootleg il cui titolo (preso da un documentario del 1971) riassume piuttosto bene la figura di Roy Buchanan: “The World’s Greatest Unknown Guitarist”! E non è vero neppure del tutto, perché comunque Buchanan a 28 anni dal suo suicidio, fu trovato appeso con la propria camicia al collo nel 1988, in una cella di una prigione a Fairfax, Virginia dove era stato rinchiuso per una disputa domestica, dicevo che non è vero, perché Buchanan è stato classificato al n°57 nella classifica di Rolling Stone e al n°46 in quella di Guitar Player, tra i più grandi chitarristi di tutti i tempi, ed è stato, ai tempi, in predicato di sostituire sia Brian Jones che Mick Taylor negli Stones. E non è tutto, tra i suoi discepoli ci sono (o ci sono stati) Gary Moore, Danny Gatton e Jeff Beck, con quest’ultimo che lo considera il più grande in assoluto e gli ha dedicato il brano Cause We’ve Ended As Lovers su Blow By Blow. Tecnicamente e come toni è considerato uno dei migliori (credo che ci sia ancora oggi gente che è rimasta legata alle corde della propria chitarra cercando di riprodurre qualche assolo di Buchanan), un misto di finger e flatpicking, spesso in contemporanea, pedali a profusione (uno dei primi a usare l’Echoplex), al wah-wah tra i pochissimi in grado di replicare, o meglio rivisitare, i soli di Jimi Hendrix, in alcune versione leggendarie di brani del mancino di Seattle https://www.youtube.com/watch?v=FMcjPZgK9GM .

Nella sua discografia, che conta anche due dischi d’oro, a parziale smentita della sua scarsa fama, ci sono parecchi album dal vivo, molti postumi, ma Livestock del 1975 e Live In Japan del 1977 (che Roy considerava il suo migliore di sempre https://www.youtube.com/watch?v=OzJc3gxomec ) sono formidabili, come pure quelli a Austin, Texas https://www.youtube.com/watch?v=DDOIL5OqvYs  e al Rockpalast, ma agli appassionati (e io mi reputo tale, uno dei chitarristi che prediligo in assoluto) fa sempre piacere ascoltare qualche concerto inedito di Buchanan. Il My Father’s Place di Roslyn, New York è sempre stato un locale dove il nostro tornava periodicamente: lo scorso anno la Rockbeat ha pubblicato l’eccellente Shredding The Blues con materiale registrato nel 1978 e nel 1984, ora la Silver Dollar (?!?) pubblica questo broadcast radiofonico registrato il 27 settembre del 1977, informazioni e note zero, solo i titoli dei brani, però qualità sonora eccellente. La formazione dovrebbe essere quella di Loading Zone, il secondo disco della Atlantic, album dove peraltro c’erano anche molti ospiti illustri (Stanley Clarke, Steve Cropper, Narada Michael Walden, Donald “Duck” Dunn, Jan Hammer), ma la sua band live comprendeva Byrd Foster, alla batteria e voce, John Harrison al basso e Malcom Lukens alle tastiere, gli stessi di Live In Japan, con cui questo Lonely Lights ha però in comune solo due brani e tre con Shredding The Blues, quindi s’ha da avere assolutamente, come pure un altro radiofonico del 1973, sempre Live At My Father’s Place https://www.youtube.com/watch?v=tq8MXk4uGd8  (entrambi non di facile reperibilità e relativamente costosi).

roy buchanan live my father's place 1973

Se amate le improvvisazioni alla chitarra elettrica ai limiti dell’impossibile, in questo concerto (e in quasi tutti i dischi di Buchanan) troverete degli esempi scintillanti e quasi al limite delle possibilità tecniche: certo Roy non era una grande cantante (per usare un eufemismo), spesso parlava più che cantare, e comunque Foster, e prima di lui più ancora, Billy Price, erano stati più che adeguati alla bisogna, ma tra i dieci brani di questo album troverete versioni stellari di I’m A Ram, con la chitarra che si arrampica subito verso tonalità impossibili, una inconsueta Honky Tonk che illustra il lato R&R del nostro, con il blues la sua grande passione, ben esemplificato da uno slow micidiale come Since You’ve Been Gone, grande tecnica e feeling allo stato puro (non so dirvi chi suona l’armonica), Further On Up The Road è una delle migliori versioni di questo classico che mai vi capiterà di ascoltare e in Delta Road Buchanan rilascia una serie di soli come non si sentivano dai tempi di Hendrix quando suonava il blues. Altro tuffo nel R&R con una versione ferocissima di Slow Down di Larry Williams (sì, quella che facevano anche i Beatles, non tra le loro cose più memorabili, come rimarca giustamente Ian MacDonald sul suo libro imperdibile dedicato ai quattro di Liverpool),seguita da I’m Evil uno dei suoi capolavori assoluti, improvvisazione chitarristica allo stato puro, mentre Lonely Nights è la sua particolare versione del country, dolce ma irto di spine nelle svisate della solista. E non è finita, c’è pure una versione di Green Onions, che è più bella di quella di Booker T & Mg’s, forse la migliore in assoluto di sempre e per concludere, The Messiah Will Come Again, il brano che ha esercitato l’influenza più profonda su Jeff Beck, un capolavoro di volumi e toni, da manuale della chitarra elettrica https://www.youtube.com/watch?v=deeBQZ8Aklc . Come tutto questo concerto!

Bruno Conti