Il Ritorno Del “Fuorilegge” Con Una Banda Di Rinnegati. Ray Wylie Hubbard – Co-Starring

ray wylie hubbard co-starrng

Ray Wylie Hubbard – Co-Starring – Big Machine Records – CD – LP

Torna, a tre anni dal suo ultimo disco Tell The Devil I’m Gettin’ There As Fast As I Can, Ray Wylie Hubbard, uno dei migliori “texani” in assoluto (regolarmente recensito su queste pagine https://discoclub.myblog.it/2017/08/23/il-diavolo-secondo-ray-wylie-hubbard-tell-the-devil-im-gettin-there-as-fast-as-i-can/ ), con una carriera iniziata nel lontano ’76, prima come autore, poi come cantante di derivazione “country”, e proseguita come “rocker” a tutto tondo con influenze “blues”. Per questo ultimo progetto Co-Starring il “fuorilegge” Hubbard si avvale di un nutrito gruppo di “rinnegati”, comprimari di lusso a partire dai veterani Ringo Starr, Joe Walsh, Don Was, Ronnie Dunn, Peter Rowan, Chris Robinson (Black Crowes), novelle Calamity Jane quali le brave ma discontinue Larkin Poe, l’emergente Ashley McBryde, Pam Tillis, Elizabeth Cook, Paula Nelson (figlia del noto Willie) e giovani cacciatori di taglie come Aaron Lee Tasjan e Cadillac Three, per una decina di brani tra rock e blues, country e honky-tonky, un “cocktail” che risulta come sempre affascinante.

La cavalcata musicale si apre con Bad Trick, nel quale la band di Hubbard integrata da Ringo Starr, Don Was, Joe Walsh e Chris Robinson (una combinazione piuttosto strana), macina uno “swamp-rock” contagioso, segue Rock Gods (dedicata a Tom Petty) una ballata tagliente con la chitarra di Aaron Lee Tasjan in evidenza, cantata con trasporto da Ray Wylie, mentre il ritmo aumenta con la tosta Fast Left Hand (merito dei Cadillac Three, ovvero Jaren Johnston, Kelby Ray e Neil Mason), una rock-song trascinante con parti di chitarra che ricordano il grande Steve Vai. Dopo una breve sosta si riparte con una brano dedicato al bluesman e armonicista Mississippi John Hurt, cantata in duetto con Pam Tillis, mentre la seguente Drink Till I See Double è un bel brano “trash-country” con le voci d’accompagnamento di Paula Nelson e Elizabeth Cook, ad inseguire la tipica andatura cadenzata di Hubbard, per poi cambiare ancora ritmo con una sincopata R.O.C.K. che è valorizzata dalla emergente rock band di Nashville Tyler Bryant e i suoi Shakedown, e trovare il suo “alter ego” al femminile nella voce irresistibile di Ashley McBryde, in una meravigliosa Outlaw Blood dove si manifesta la bravura al mandolino di Jeff Plankenhorn.

La parte finale vede Hubbard esplorare il blues più scuro con Rattlesnake Shakin’ Woman, con l’intrigante apporto delle sorelle Larkin Poe, commuovere con una sontuosa ballata elettroacustica Hummingbird, eseguita con il musicista e compositore “bluegrass” americano Peter Rowan, suonata dal “duo” in punta di dita, e andare a chiudere conThe Messenger, in collaborazione con il cantautore “country” Ronnie Dunn e la poliedrica Pam Tillis, che nel testo e nell’arrangiamento riporta alla mente Mr. Bojangles di Jerry Jeff Walker. Questo signore viaggia ormai verso le 74 primavere e i quarant’anni di attività, con un “bottino” di 18 album (compreso questo), camminando sulla propria strada incurante di regole e convenzioni, un “outlaw” che si è ritagliato un mondo con la propria musica, raccontando storie di eroi buoni e cattivi, che lottano e si dibattono tra il bene e il male, un personaggio che starebbe a pennello in uno dei western di Sergio Leone, (il ruolo decidetelo voi dopo aver guardato la cover del CD), ovviamente con in sottofondo le musiche del compianto Ennio Morricone.

Credetemi bisogna chiamarsi Ray Wylie Hubbard per mantenere disco dopo disco una qualità delle canzoni sempre ad alto livello, e il contributo della gente che suona nel disco, che non molti riescono ad avere, ci fa sperare che con questo Co-Starring magariarrivi un tardivo riconoscimento. Consigliato!

Tino Montanari

Un Disco Che Conferma Che La Ragazza E’ Una “A Posto”. Ashley McBryde – Never Will

ashley mcbride never will

Ashley McBryde – Never Will – Warner Nashville CD

Quando due anni fa mi sono occupato dell’esordio “adulto” di Ashley McBryde Girl Going Nowhere (i primi due lavori autodistribuiti sono introvabili da tempo), avevo esternato i dubbi che avevo avuto prima dell’ascolto riguardo alla bontà della proposta, in quanto il fatto che la ragazza incidesse da subito per una major come la Warner e si fosse affidata alla produzione di Jay Joyce, uno che non è mai andato tanto per il sottile, mi aveva fatto sospettare che la sua musica fosse equiparabile al pop becero che a Nashville spacciano per country https://discoclub.myblog.it/2018/06/06/la-ragazza-sa-benissimo-dove-andare-ashley-mcbryde-girl-going-nowhere/ . Niente di più lontano dalla realtà, in quanto dopo poche note avevo constatato che Ashley era una country girl coi fiocchi, autrice di una musica elettrica, roccata e coinvolgente basata sulle chitarre e con un notevole senso del ritmo, e che anche nelle ballate non cedeva mai alla melassa, il tutto suonato con una band ristretta ma che sapeva il fatto suo.

Ora la ragazza originaria dell’Arkansas concede il bis con Never Will, presentandosi sempre con Joyce in cabina di regia: anche questa volta avevo qualche dubbio pure se di natura diversa, e cioè se il buon successo di critica e pubblico ottenuto da Girl Going Nowhere non avesse fatto girare la testa alla McBryde facendola passare al “lato oscuro della Forza”. Ma fortunatamente Ashley conferma di essere una che sta dalla parte giusta di Nashville, e con Never Will ci regala altri quaranta minuti di country music vigorosa e direttamente imparentata con il rock, grazie ad una serie di canzoni scritte all’80% da lei seppur in collaborazione con altri (tra i quali la brava Brandy Clark) e ad un suono solo leggermente più “rotondo” di quello dell’album precedente: Joyce ha comunque lavorato bene anche questa volta, suonando anche gran parte degli strumenti e facendosi aiutare ancora da un gruppo non molto ampio di musicisti tra i quali spiccano Chris Sancho e Quinn Hill alla sezione ritmica, Chris Harris alla chitarra acustica e mandolino e Matt Helmkamp alla chitarra elettrica (strumento con il quale si esibisce anche la stessa McBryde, altro punto a suo favore).

I miei dubbi residui sono stati fugati fin dalla prima canzone Hang In There Girl, che ha un attacco chitarristico degno dei Rolling Stones ed un organo hammond a dare calore al suono: un brano diretto ed orecchiabile che dimostra che la ragazza non è l’erede di Reba McEntire ma una che sa roccare come si deve. One Night Standards è una country ballad dal ritmo pulsante sostenuta da una melodia evocativa ed una strumentazione elettrica e molto ariosa che si arricchisce man mano che il brano procede; Shut Up Sheila è un lento d’atmosfera dalle sonorità moderne ma comunque sotto controllo, che dopo un paio di minuti rivela un’anima rock potente che porta ad un crescendo dominato dalle chitarre, mentre First Thing I Reach For è un pimpante e delizioso esempio di puro country-rock d’autore (anzi, d’autrice), ritmo spedito e motivo incantevole, tra i più accattivanti del CD.

L’elettroacustica Voodoo Doll è una rock ballad cadenzata di sicuro impatto, nuovamente con le chitarre in primo piano e la sezione ritmica che non si tira certo indietro, a differenza della delicata Sparrow, un lento più nashvilliano ma senza eccessi di zucchero, bensì con un arrangiamento diretto e sempre con un retrogusto rock. Martha Divine è introdotta da un drumming ossessivo ed è un ottimo e solido country’n’roll dall’incedere trascinante, la corale Velvet Red è bucolica e con una splendida atmosfera sospesa tra folk e country d’altri tempi, Stone è una toccante oasi melodica e deliziosamente malinconica. Il CD termina con la ruspante title track, in cui viene ancora fuori lo spirito da rocker di Ashley (brano in cui riscontro ben presente l’influenza di Stevie Nicks), e con la bizzarra Styrofoam, unico momento da pollice verso del disco, in cui la nostra parla e canta su una base strumentale troppo pop e con un synth fastidioso, una canzone che faccio finta di non aver sentito e che comunque non va ad inficiare il risultato finale di Never Will, altro validissimo lavoro che conferma il talento di Ashley McBryde.

Marco Verdi

La Ragazza Sa Benissimo Dove Andare! Ashley McBryde – Girl Going Nowhere

ashley mcbryde girl going nowhere

Ashley McBryde – Girl Going Nowhere – Atlantic/Warner Music Nashville CD

Quando mi imbatto in una newcomer in ambito country che al suo esordio incide subito per una major e con un produttore affermato, mi insospettisco all’istante. E’ quello che ho fatto anche quando ho avuto tra le mani questo Girl Going Nowhere, disco d’esordio di Ashley McBryde, giovane musicista dell’Arkansas (avrebbe due album autogestiti alle spalle, ma sono introvabili), che vede alla produzione il noto Jay Joyce, uno abituato a passare dall’oro allo stagno, avendo nel curriculum gente di livello come John Hiatt, Emmylou Harris e Wallflowers ed altra molto meno interessante, come Keith Urban, Cage The Elephant e Carrie Underwood. Ma questa volta i miei sospetti erano, con mio grande piacere, infondati: Girl Going Nowhere è davvero un dischetto pienamente riuscito, da parte di un’artista che sa il fatto suo, scrive molto bene, canta anche meglio e passa con disinvoltura dalla ballata più toccante al brano rock più trascinante, uscendo spesso anche dall’ambito del country di Nashville (dove risiede attualmente).

Ed il disco non contiene il solito fiume di musicisti che timbrano il cartellino, né vede la presenza di strumenti che poco hanno a che vedere con la vera musica (come synth e drum machines), ma presenta una ristretta e solidissima band di appena quattro elementi (cinque compresa Ashley), coordinati da Joyce con mano sicura ed esperta: due chitarristi (Andrew Sovine e Chris Harris), un bassista (Jasen Martin) ed un batterista (Quinn Hill). Non ci sono neppure le tastiere. Ed il disco ha pertanto un suono solido, vigoroso ed unitario, perfetto per accompagnare le ottime canzoni scritte dalla McBryde: in poche parole, un album da gustare dal primo all’ultimo brano. La title track non fa iniziare il disco col botto, bensì con una dolce ed intensa ballata acustica https://www.youtube.com/watch?v=9s830jmiqnw , molto cantautorale, sullo stile di Rosanne Cash: dopo due minuti entra il resto della band in maniera discreta, ed il pezzo acquista ulteriore pathos. Per contro Radioland ha un bel riff chitarristico ed un ritmo decisamente sostenuto, un rockin’ country pulito e trascinante al tempo stesso: Ashley ha voce e grinta, ed in questi due brani dimostra anche una certa versatilità; molto bella anche American Scandal, una ballata fluida, potente e di sicuro impatto, con un refrain di pima qualità ed un arrangiamento elettrico che la veste alla perfezione.

Southern Babylon è notturna ed intrigante, cantata con voce quasi sensuale, The Jacket è invece solare, orecchiabile, dallo spirito californiano e similitudini con certe cose dei Fleetwood Mac, uno di quei pezzi che si canticchiano dopo appena un ascolto; Livin’ Next To Leroy ha marcati elementi sudisti, con un motivo che ricorda, forse volutamente, Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd, ed è manco a dirlo tra le più riuscite. La McBryde si dimostra una gradita sorpresa, è brava, ha personalità e sa scrivere belle canzoni, come A Little Dive Bar In Dahlonega, una notevole ballad dalla melodia distesa (neanche tanto country), o Andy (I Can’t Live Without You), altro momento acustico e pacato, ma dal feeling ben presente. El Dorado è roccata ed energica, con una ritmica a stantuffo e la solita grinta, Tired Of Being Happy è uno straordinario slow dal sapore southern country (con un tocco soul), perfetto sotto tutti i punti di vista, un brano splendido e suonato alla grande che non fatico ad eleggere come il migliore del CD. Chiude l’intensa ed emozionante Home Sweet Highway, ancora molto soul nel suono: Girl Going Nowhere è dunque un disco, come ho già detto, sorprendente, ed Ashley McBryde una musicista di cui spero sentiremo parlare ancora.

Marco Verdi