Probabilmente La Vera Erede Della Grandi Voci Nere Del Passato! Shemekia Copeland – Uncivil War

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Shemekia Copeland – Uncivil War – Alligator Records/Ird

Ormai Shemekia Copeland è entrata di diritto tra le voci più interessanti delle ultime generazioni blues (e non solo), con una serie di album, questo è il decimo, che spesso e volentieri sono stati candidati ai Grammy e hanno vinto molto premi di settore, l’ultimo come Female Artist Of The Year 2020 per Living Blues. Tutti di qualità elevata, con punte di eccellenza appunto nel precedente America’s Child, dove tra ospiti e collaboratori apparivano John Prine, Rhiannon Giddens, Mary Gauthier, Emmylou Harris, Steve Cropper, Gretchen Peters, Tommy Womack e svariati altri https://discoclub.myblog.it/2018/09/04/alle-radici-della-musica-americana-con-classe-e-forza-interpretativa-shemekia-copeland-americas-child/ . Disco che accentuava, come in precedenti album, ma in modo più marcato, la presenza di elementi rock, soul, country e “Americana” sound, quindi tutta la musica delle radici. Per questo nuovo Uncivil War la formula viene ripetuta: stesso produttore, l’ottimo Will Kimbrough, stessi studi di Nashville, massiccia presenza di ospiti di pregio e la scelta di un repertorio molto variegato, cercato con molta cura tra alcuni classici del passato e il nuovo materiale scritto principalmente dai due produttori John Hahn e Will Kimbrough.

Poi il resto lo fanno la bellissima voce di Shemekia e le sue sublimi capacità interpretative: Clotilda’s On Fire, è una storia vera, dalla penna di Kimbrough, che anche negli Orphan Brigade è un eccellente narratore, e racconta le vicende dell’ultima nave di schiavi che arrivò n America (a Mobile Bay, Alabama nel 1859, 50 anni dopo che il traffico di schiavi era stato ufficialmente bandito). La nave fu incendiata e distrutta dal capitano per nascondere l’evidenza dei fatti, e (ri)scoperta solo nel 2019: uno slow blues di grandissima intensità, cantato con passione dalla Copeland e con Jason Isbell superbo alla chitarra solista, mentre Kimbrough e la ritmica di Lex Price, basso e Pete Abbott, batteria, lavorano di fino, come in tutto l’album, grande canzone. E la successiva Walk Until I Ride non è da meno, come ospite troviamo Jerry Douglas ad una sinuosa lap steel, e la canzone, chiaramente ispirata da quelle degli Staple Singers, anche per l’uso di elementi gospel nei cori e il gran finale emozionante , tratta l’argomento dei diritti civili, sempre di attualità anche nell’America di oggi, e che voce, Mavis sono sicuro che approverà.

Ottima pure la title track Uncivil War, sulla attuale situazione di incertezza e paura che attanaglia il mondo: uno splendido country-folk-blugrass con Douglas che passa al dobro, con Sam Bush al mandolino, Steve Conn all’organo e gli Orphan Brigade alle armonie vocali, sempre cantata con impeto da Shemekia, basterebbero queste tre canzoni per celebrarne l’eccellenza, ma anche il resto del disco, per usare un eufemismo, non è male. Money Makes You Ugly ci introduce agli straordinari talenti del suo giovane compagno di etichetta, il bravissimo chitarrista Christone “Kingfish” Ingram https://discoclub.myblog.it/2019/06/24/lultima-scoperta-della-alligator-un-grosso-chitarrista-e-cantante-in-tutti-i-sensi-christone-kingfish-ingram-kingfish/ , che ci regala una incandescente serie di assoli di chitarra in questo travolgente rock-blues, mentre la Copeland dirige le operazioni con la sua voce potente; Dirty Saint è una commossa dedica a Dr. John, un amico che non c’è più, un brano di tipico New Orleans sound, con Phil Madeira all’organo, Will Kimbrough alla chitarra e slide e un terzetto di vocalist ad alzare la temperatura.

La prima cover è una raffinata ripresa di Under My Thumb degli Stones, rallentata e trasformata quasi in un R&B intimo e notturno, mentre Apple Pie And A .45, sulla proliferazione delle armi negli USA, è una poderosa rock song con Will Kimbrough che imperversa di nuovo a slide e solista a tutto riff, con un suono cattivo il giusto. Give God The Blues del terzetto Shawn Mullins, Phil Madeira e Chuck Cannon è una sorta di preghiera laica alle 12 battute, con Kimbrough e Madeira che si dividono le parti di chitarra, mentre la Copeland declama questo carnale rock-blues cadenzato, seguito dalla divertente e tirata ode al vecchio R&R, She Don’t Wear Pink firmata da Webb Wilder che incrocia anche la chitarra con il re del twang Duane Eddy, mentre No Heart At All vede aggiungersi alla coppia di autori Kimbrough e Hahn, anche il noto produttore/batterista Tom Hambridge, con Jerry Douglas di nuovo alla lap steel in un assolo da urlo e un suono sanguigno quasi alla Ry Cooder dei tempi d’oro del blues elettrico. Per chiudere un paio di altri blues d’annata, di Don Robey una sospesa e sognante In The Dark, con Steve Cropper a duettare con Kimbrough, mentre Shemekia emoziona con una interpretazione da brividi, prima di rendere omaggio al babbo Johnny Clyde Copeland con una deliziosa blues ballad come Love Song, dove Kimbrough ci mette ancora del suo alla chitarra. Il tutto cantato e suonato come Dio comanda.

Bruno Conti

L’Ultima Scoperta Della Alligator: Un “Grosso” Chitarrista E Cantante, In Tutti I Sensi. Christone “Kingfish” Ingram – Kingfish

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Christone “Kingfish” Ingram – Kingfish – Alligator Records

Venti anni ancora da compiere, viene da Clarksdale, Mississippi, una delle culle del blues, a pochi minuti di strada dal famoso incrocio dell’incontro tra Belzebù e Robert Johnson, e pare essere un predestinato: a 15 anni viene “scoperto” da Tony Coleman, il bassista di BB King, Bob Margolin, con cui ha suonato dal vivo, lo ha presentato come una forza della natura, altri hanno detto che è il futuro delle 12 battute, ma  anche il salvatore del blues. Per questo suo album di debutto Kingfish, la Alligator (che continua nella sua striscia immacolata, senza sbagliare un album da lunga pezza) lo ha affidato ad un produttore importante come Tom Hambridge, che, reduce dai successi con Buddy Guy, ha chiamato in studio come ospite lo stesso Buddy, e ha affiancato a questo “Christone”, una band della Madonna (scusate ma non ho resistito). In effetti il nostro giovane amico, come si evince dalla foto di copertina, con Stratocaster d’ordinanza, è un ragazzone dalle dimensioni extralarge, la tipica “personcina”, ma è anche un vocalist e un chitarrista di quelli tosti: nel disco con lui suonano Rob McNelley alla seconda chitarra, Tommy McDonald al basso, ovviamente Hambridge alla batteria, che firma quasi tutte le canzoni del CD, alcune anche con Ingram.

Non bastasse, in sei pezzi c’è pure Keb’ Mo’ alla chitarra, normale e con Resonator, oltre a Marty Sammon al piano e all’organo, e come ospiti Billy Branch all’armonica in If You Love Me e soprattutto l’appena citato Buddy Guy, che canta e suona da par suo in Fresh Out, la seconda traccia del dischetto, uno di quei blues lenti e lancinanti in cui eccelle il musicista della Louisiana, ma Christone risponde colpo su colpo, e i due se le “suonano” di santa ragione (in senso buono ovviamente) per la gioia degli ascoltatori. Facendo un breve passo indietro, la canzone che apre le operazioni, Outside Of This Town, è una delle rare tracce in cui prevale un tipo di suono muscolare e vorticoso, con agganci al rock-blues, chessò, un nome a caso, di Stevie Ray Vaughan (ma potete sostituire con altri nomi a piacere), la chitarra spara fendenti a destra e manca e il trio alle sue spalle lo attizza alla grande e lui canta con voce sicura e potente, come un veterano di mille battaglie delle 12 battute.  It Ain’t Right è uno shuffle di quelli gagliardi, puro Chicago blues elettrico ed elettrizzante, con la solista che continua ad impazzare senza freni, Been Here Before con Keb’ Mo’ all’acustica, ha una atmosfera più intima e rilassata, con Sammon aggiunto al piano, per un pezzo che profuma di tradizione e ha radici nel folk, mentre If You Love Me, è il brano con Billy Branch all’armonica, Keb’ Mo’ e McNelley alle chitarre di supporto, qualche tocco di wah-wah che lascia sempre quell’impronta di modernità, ma un suono che sembra provenire anche dai locali della Chicago anni ’50-’60, quell’incrocio tra modernità e tradizione indicato da Margolin come prerogativa del giovane Ingram, che continua a lavorare di fino alla sua chitarra, immagino con profusione di faccine mentre gli assoli si susseguono.

Love Ain’t My Favorite Word è il classico lento dove Christone riesce a fondere con gusto sopraffino gli stili di BB King e Buddy Guy, tecnica e feeling a tonnellate vanno a braccetto, Listen è un duetto con Keb’ Mo’, che oltre a prodursi all’acustica è anche la seconda voce in un pezzo più leggero e sognante, con l’organo di Sammon ad ingentilire le atmosfere di questo delizioso southern mid-tempo che ci trasporta con il suo call and response a colpi di deep soul verso il sound di Memphis, seguito dalla minacciosa Before I’m Old, con tre chitarre e organo in azione, e quel suono che Hambridge ha perfezionato per gli ultimi dischi di Buddy Guy, con la solista sempre in azione senza remora alcuna, si può sostituire l’uno con l’altro e stranamente il risultato non cambia. Believe These Blues, con chitarrina e leggero ritmo funky, è un altro piccolo gioiellino di assoluta raffinatezza, suonato in scioltezza da cotanta band, prima di darsi ai ritmi più rotondi della gioiosa (nonostante il titolo) Trouble, e poi tornare ancora una volta alle radici del blues del Mississippi, accompagnato dal solo Keb’ Mo’ alla Resonator Guitar per una intensa Hard Times, prima del congedo affidato alla splendida ballata That’s Fine By Me, cantata in souplesse da Ingram che si conferma anche cantante di vaglia e poi, con il supporto efficace di Sammon al piano, disegna altre linee soliste di classe pura, per chiudere in gloria un album che ci potrebbe consegnare uno dei grandi bluesmen del futuro, già perfettamente formato.

Ottimo ed abbondante, prendere nota.

Bruno Conti

Anticipazione Nuovo Album: Il 24 Febbraio Esce Eric Gales – Middle Of The Road

eric gales middle of the road

Eric Gales – Middle Of The Road – Mascot/Provogue

Eric Gales è stato uno dei primi “ragazzi prodigio” della chitarra, agli inizi degli anni ’90: prima di Bonamassa, Jonny Lang, Kenny Wayne Shepherd e tutti quelli che sono venuti dopo, venne Eric Gales. Con il fratello Eugene, nel 1991 pubblicò per la Elektra il primo disco Eric Gales Band, quando aveva compiuto da poco 16 anni: la stella di famiglia sembrava agli inizi il fratello maggiore Emanuel Lynn Gates, in arte Little Jimmy King, un nome che rendeva omaggio a Jimi Hendrix e ai grandi King della storia del blues, e forse il mancino di Memphis, scomparso prematuramente nel 2002, a soli 27 anni (quindi anche lui colpito dalla “maledizione” del club”), era il vero talento della famiglia. Ma per onestà bisogna riconoscere che pure Eric Gales è un chitarrista dalla tecnica prodigiosa: anche lui cresciuto a pane, Hendrix e blues, viene portato in palmo di mano dai suoi colleghi che ne hanno cantato spesso le lodi. Sempre da prendere con le molle le loro dichiarazioni, che sono molto da cartella stampa, ma Joe Bonamassa lo ha definito “Uno dei migliori, se non il miglior chitarrista del mondo”, anche Santana e altri lo hanno definito “incredibile”, però la sua carriera ha sempre vissuto di alti e bassi, per questo suo dualismo tra l’amore per il rock e il blues e il desiderio, legittimo, di una carriera nella musica mainstream, quella più commerciale, tra pop, R&B “moderno”, anche capatine nell’hard rock e nel lite metal, con i soci “virtuosisti” Pinnick & Pridgen http://discoclub.myblog.it/2014/09/12/fenomeni-nuovo-capitolo-pinnick-gales-pridgen-pgp-2/ .

Di recente qualche disco per la Cleopatra, tra cui un buon doppio Live e quattro anni fa un CD+DVD dal vivo per la Blues Bureau/Shrapnel http://discoclub.myblog.it/2012/10/10/tra-mancini-ci-si-intende-eric-gales-live/ , ed ora il ritorno alla Mascot/Provogue, con cui aveva già pubblicato quattro album, per questo Middle Of The Road, che non è un album di canzoncine pop leggere (come potrebbe far presumere il titolo, per quanto…), ma, come dice lo stesso Eric nella presentazione del disco, vuole essere una sorta di viaggio al centro della strada, che è il posto ideale per concentrarsi e dare il meglio di sé. Dopo questo sfoggio parafilosofico il buon Gales si è scelto come produttore Fabrizio Grossi dei Supersonic Blues Machine e come musicisti compagni di viaggio, Aaron Haggerty, il batterista che si divide tra la band di Eric e quelle di Chris Duarte e Stoney Curtis, Dylan Wiggins all’organo Hammond B3 e la moglie LaDonna Gales, armonie vocali in tutto il disco, oltre a Maxwell ‘Wizard’ Drummey al mellotron in Repetition, con lo stesso Eric Gales, voce solista, chitarra e basso. E alcuni ospiti che vedremo nei rispettivi brani: Good Times è costruita su un ripetuto riff di chitarra e batteria, un brano funky semplice e breve, ma anche abbastanza irrisolto, la solista non viene mai scatenata. Change In Me (The Rebirth) viceversa è un classico brano alla Gales, influenzato da Hendrix, tra rock e blues, con la chitarra in bella evidenza, e qui il “tocco” di classe non manca; Carry Yourself, scritta insieme a Raphael Saadiq, è una via di mezzo tra il “nu soul” del co-autore e le derive rock del nostro, impegnato in questo caso al wah-wah, come succede spesso, buono ma non entusiasmante, la Band Of Gypsys di Hendrix era un’altra più storia, quasi 50 anni fa, ma molto più innovativa.

Altro discorso per la cover di Boogie Man, una rilettura del brano di Freddie King dove Eric duetta con Gary Clark Jr., pezzo fluido, anche “moderno” nella sua realizzazione, ma le chitarre comunque si godono. Been So Long, scritta con Lauryn Hill, è un reggae-soul-pop che cerca per l’ennesima volta di insinuarsi nel circuito mainstream, a chi piace, l’assolo è comunque godibile! Mentre in Help Yourself Gales ci introduce ai talenti di tale Christone ‘Kingsfish’ Ingram, nuovo fenomeno della chitarra 16enne, che viene da Clarksdale, Mississippi, e come era stato per Eric ad inizio carriera, in questo brano, firmato con Lance Lopez, il blues cerca di tornare a farsi sentire, anche se l’idea di “filtrare” la voce nella parte iniziale è trita e ritrita, poi quando parlano le chitarre molto meglio, anche se c’è sempre questo “modernismo” a tutti i costi nel sound, fattore che spesso risulta fastidioso nei suoi dischi, almeno per il sottoscritto.

Di nuovo voce filtrata per I’ve Been Deceived, suono molto carico per un funky-rock pseudo-futuribile, che neppure la chitarra fiammeggiante riesce a salvare del tutto. Repetition, scritta con il fratello bassista Manuel Gales, vecchio mentore ad inizio carriera, è uno strano esperimento semi-futuribile e ricercato, ma non mi entusiasma,anche se al solito la chitarra viaggia. Se vi mancava un brano scritto con un “music therapist” lo trovate in questo CD: una ballata gentile per chitarra acustica e tastiere, si chiama Help Me Let Go. Per I Don’t Know nel commento mi adeguerei al titolo, non l’ho capita molto, solito funky-rock-soul; per fortuna come ultimo brano Eric Gales inserisce uno strumentale Swamp, un pezzo rock bello carico e potente, con batteria e chitarra a manetta. Per il resto del disco direi anch’io un bel “I Dont Know”,  quindi in definitiva il talento c’è, l’album ha i suoi momenti, ma per il risultato finale un bel “mah, non saprei” mi pare d’obbligo!

Bruno Conti