Probabilmente La Vera Erede Della Grandi Voci Nere Del Passato! Shemekia Copeland – Uncivil War

shemekia copeland uncivil war

Shemekia Copeland – Uncivil War – Alligator Records/Ird

Ormai Shemekia Copeland è entrata di diritto tra le voci più interessanti delle ultime generazioni blues (e non solo), con una serie di album, questo è il decimo, che spesso e volentieri sono stati candidati ai Grammy e hanno vinto molto premi di settore, l’ultimo come Female Artist Of The Year 2020 per Living Blues. Tutti di qualità elevata, con punte di eccellenza appunto nel precedente America’s Child, dove tra ospiti e collaboratori apparivano John Prine, Rhiannon Giddens, Mary Gauthier, Emmylou Harris, Steve Cropper, Gretchen Peters, Tommy Womack e svariati altri https://discoclub.myblog.it/2018/09/04/alle-radici-della-musica-americana-con-classe-e-forza-interpretativa-shemekia-copeland-americas-child/ . Disco che accentuava, come in precedenti album, ma in modo più marcato, la presenza di elementi rock, soul, country e “Americana” sound, quindi tutta la musica delle radici. Per questo nuovo Uncivil War la formula viene ripetuta: stesso produttore, l’ottimo Will Kimbrough, stessi studi di Nashville, massiccia presenza di ospiti di pregio e la scelta di un repertorio molto variegato, cercato con molta cura tra alcuni classici del passato e il nuovo materiale scritto principalmente dai due produttori John Hahn e Will Kimbrough.

Poi il resto lo fanno la bellissima voce di Shemekia e le sue sublimi capacità interpretative: Clotilda’s On Fire, è una storia vera, dalla penna di Kimbrough, che anche negli Orphan Brigade è un eccellente narratore, e racconta le vicende dell’ultima nave di schiavi che arrivò n America (a Mobile Bay, Alabama nel 1859, 50 anni dopo che il traffico di schiavi era stato ufficialmente bandito). La nave fu incendiata e distrutta dal capitano per nascondere l’evidenza dei fatti, e (ri)scoperta solo nel 2019: uno slow blues di grandissima intensità, cantato con passione dalla Copeland e con Jason Isbell superbo alla chitarra solista, mentre Kimbrough e la ritmica di Lex Price, basso e Pete Abbott, batteria, lavorano di fino, come in tutto l’album, grande canzone. E la successiva Walk Until I Ride non è da meno, come ospite troviamo Jerry Douglas ad una sinuosa lap steel, e la canzone, chiaramente ispirata da quelle degli Staple Singers, anche per l’uso di elementi gospel nei cori e il gran finale emozionante , tratta l’argomento dei diritti civili, sempre di attualità anche nell’America di oggi, e che voce, Mavis sono sicuro che approverà.

Ottima pure la title track Uncivil War, sulla attuale situazione di incertezza e paura che attanaglia il mondo: uno splendido country-folk-blugrass con Douglas che passa al dobro, con Sam Bush al mandolino, Steve Conn all’organo e gli Orphan Brigade alle armonie vocali, sempre cantata con impeto da Shemekia, basterebbero queste tre canzoni per celebrarne l’eccellenza, ma anche il resto del disco, per usare un eufemismo, non è male. Money Makes You Ugly ci introduce agli straordinari talenti del suo giovane compagno di etichetta, il bravissimo chitarrista Christone “Kingfish” Ingram https://discoclub.myblog.it/2019/06/24/lultima-scoperta-della-alligator-un-grosso-chitarrista-e-cantante-in-tutti-i-sensi-christone-kingfish-ingram-kingfish/ , che ci regala una incandescente serie di assoli di chitarra in questo travolgente rock-blues, mentre la Copeland dirige le operazioni con la sua voce potente; Dirty Saint è una commossa dedica a Dr. John, un amico che non c’è più, un brano di tipico New Orleans sound, con Phil Madeira all’organo, Will Kimbrough alla chitarra e slide e un terzetto di vocalist ad alzare la temperatura.

La prima cover è una raffinata ripresa di Under My Thumb degli Stones, rallentata e trasformata quasi in un R&B intimo e notturno, mentre Apple Pie And A .45, sulla proliferazione delle armi negli USA, è una poderosa rock song con Will Kimbrough che imperversa di nuovo a slide e solista a tutto riff, con un suono cattivo il giusto. Give God The Blues del terzetto Shawn Mullins, Phil Madeira e Chuck Cannon è una sorta di preghiera laica alle 12 battute, con Kimbrough e Madeira che si dividono le parti di chitarra, mentre la Copeland declama questo carnale rock-blues cadenzato, seguito dalla divertente e tirata ode al vecchio R&R, She Don’t Wear Pink firmata da Webb Wilder che incrocia anche la chitarra con il re del twang Duane Eddy, mentre No Heart At All vede aggiungersi alla coppia di autori Kimbrough e Hahn, anche il noto produttore/batterista Tom Hambridge, con Jerry Douglas di nuovo alla lap steel in un assolo da urlo e un suono sanguigno quasi alla Ry Cooder dei tempi d’oro del blues elettrico. Per chiudere un paio di altri blues d’annata, di Don Robey una sospesa e sognante In The Dark, con Steve Cropper a duettare con Kimbrough, mentre Shemekia emoziona con una interpretazione da brividi, prima di rendere omaggio al babbo Johnny Clyde Copeland con una deliziosa blues ballad come Love Song, dove Kimbrough ci mette ancora del suo alla chitarra. Il tutto cantato e suonato come Dio comanda.

Bruno Conti

Toh, Chi Si Rivede: Un Altro Disco Che (Quasi) Non C’è! Jeff Black – A Walk In The Sun

jeff black a walk in the sun

Jeff Black – A Walk In The Sun – Lotos Nile Music – Download + Streaming

Torna, dopo sei anni di assenza  https://discoclub.myblog.it/2014/04/28/cantastorie-la-chitarra-altro-jeff-black-folklore/ uno dei miei cantautori preferiti Jeff Black, un tipo che è sempre rimasto ai margini del panorama musicale, e che ora torna con un lavoro intimo e profondo, degno della sua lunga carriera iniziata con l’album d’esordio Birmingham Road (98) che vi consiglio vivamente, se non ne siete in possesso e si trovasse, di recuperare. Per questo ritorno il buon Jeff ha fatto le cose in grande, convocando in vari studi di Nashville, sotto la sua produzione, un manipolo di “players” di alto livello a cominciare da Sam Bush al violino e mandolino, Jerry Douglas alla lap steel, Jerry Roe alla batteria e percussioni, il fratello Dave Roe al basso, e il bravo Kenny Vaughan (Lucinda Williams, di cui a fine Aprile uscirà il nuovo disco Good Souls Better Angels), alla chitarra acustica e elettrica, per una decina di brani e una quarantina di minuti, come al solito di ottima musica cantautorale.

Il “cammino sotto i raggi del sole” inizia subito alla grande con Needed The Rain, un tipico brano dotato di una bella melodia di fondo (merito di Sam Bush e Jerry Douglas), a cui fanno seguito una Stumbling che sembra rubata dai CD del non dimenticato Bruce Hornsby, con il piano e la sezione ritmica che dettano il ritmo, e una “ballad” acustica, pianistica e notturna come la sognante Until I Learn How To Fly. Il “cammino” prosegue con Machine dove emerge la parte più rock di Black, con un arrangiamento potente con le chitarre e la batteria in spolvero, per poi tornare subito alla pianistica e rilassata Satisfied, forse il brano migliore del lavoro, una ballata sontuosa dove anima e cuore vanno a braccetto, mentre la successiva Calliope Song inizia sulle note del mandolino di Sam Bush, poi nel percorso entrano il violino e la lap-steel di Jerry Douglas, e diventa una musica che mischia il “country” e la canzone d’autore, per poi proseguire con una How To Save The World, un’altra ballata che durerà a lungo nel vostro cuore, musica potente, la solita voce solida, cantata alla grandissima. Il cammino volge alla fine con la lenta e introspettiva The End, basata in particolar modo sul suono degli strumenti a corda, che ci consegna un Jeff Black più cantautore e meno rocker, con il sottile “fingerpicking” alla Bruce Cockburn di un’elegante The Best I Cant Do, e finire in crescendo con un’altra “rock-song” malinconica e pulsante come Always On My Way Back Home, che chiude degnamente un disco splendido, merce molto rara di questi tempi.

Dopo i fasti dei dischi iniziali (direi fino all’ottimo Tin Lily (05), Jeff Black è diventato uno di quegli artisti “fantasma”, come era successo con i dischi di Willy T.Massey, Doc Lawrence, Michael McDermott (che però negli ultimi anni è tornato alla grandissima), ora invece con l’uscita di A Walk In The Sun e anche del precedente Folkore (14) Black ha rimesso le cose a posto, dando nuovamente prova del suo talento e della sua personalità, continuando ad essere sé stesso nello sviluppare la sua musica. Devo ammettere che ero disposto a prescindere dal parlare bene di questo nuovo lavoro, ma solo per il piacere di farlo, in quanto comunque speravo di sentire un disco con le coordinate e i riferimenti del periodo iniziale, e così è stato, in quanto A Walk In The Sun emoziona ed affascina, dovete prenderlo con dolcezza, adagiarlo nel lettore (se trovate il CD) e lasciare che vi conquisti.

*NDT: Come al solito però purtroppo il CD è autodistribuito, costoso, e di difficile reperibilità, venduto solo sul sito http://www.jeffblack.com/ , ma con spese di spedizione esorbitanti (10 dollari il dischetto e altri 20 per l’invio dagli USA, almeno per noi italiani).

Tino Montanari

Torna Il Vecchio Folksinger, E Fa Quasi Un Capolavoro! Tom Rush – Voices

tom rush voices

Tom Rush – Voices – Appleseed CD

Tom Rush a 77 anni suonati non ha ancora perso la voglia di fare musica, anzi, è stato più attivo negli ultimi dieci anni che nei precedenti trenta. Grande cantautore, protagonista dell’età d’oro del folk revival degli anni sessanta e poi del folk-rock, ha attraversato quella decade in prima linea con una serie di dischi e canzoni che risultano belli ancora oggi (la sua No Regrets è giustamente considerata un classico https://www.youtube.com/watch?v=XKU0S5K5aYE ), anche se i suoi album erano spesso suddivisi tra brani suoi e di altri. Dalla metà degli anni settanta fino al nuovo millennio Tom sembrava quasi essersi ritirato: pochi dischi e profilo bassissimo, fino al suo ritorno sulle scene nel 2009 con l’ottimo What I Know, seguito a distanza di quattro anni dal bellissimo live celebrativo 50 Years Of Music. Ora Tom torna tra noi con Voices, prodotto come What I Know dall’esperto Jim Rooney (80 anni, un altro giovanotto), ed il risultato è ancora meglio che nel lavoro di nove anni fa. Rush per la prima volta scrive tutte le canzoni di suo pugno, tranne un paio di traditionals che ha inserito “per non compromettere la mia reputazione di folksinger” (come ha scherzosamente scritto nelle liner notes del CD), e sono canzoni una più bella dell’altra, nel suo tipico stile tra folk e country, che rendono Voices il suo disco più bello dagli anni settanta ad oggi.

Tom ha ancora una bella voce, solo leggermente arrochita dagli anni, ed è ancora in grado di scrivere canzoni belle, profonde ed intense, basate principalmente sul suono della sua chitarra: un disco di cantautorato classico, come si usava fare una volta. Per impreziosire ulteriormente il tutto, Rooney ha messo a disposizione del nostro una superband, con nomi che solo a leggerli c’è da leccarsi i baffi: Al Perkins al dobro, Sam Bush al mandolino, Dave Pomeroy al basso, Richard Bennett alle chitarre, il meno conosciuto (ma bravissimo) Matt Nakoa al piano ed organo, e le backing vocals di Kathy Mattea e Suzy Ragsdale. Il disco inizia con un traditional, Elder Green (che poi è la nota Alabama Bound con parole diverse), una sorta di folk-grass vivace e dal ritmo sostenuto, con un ottimo intreccio strumentale tra dobro, banjo e mandolino. Come See About Me è una deliziosa folk ballad, cantata in maniera calda e suonata in punta di dita, con il dobro di Perkins grande protagonista, doppiato abilmente dal pianoforte di Nakoa; molto bella My Best Girl (canzone d’amore dedicata alla sua…chitarra!), pimpante, tersa e contraddistinta da una melodia squisita e parti strumentali strepitose, puro pickin’ di gran classe, mentre Life Is Fine è cadenzata e decisamente orecchiabile, con qualcosa che rimanda allo stile di John Prine (che viene anche citato nel testo), ed un’aria scanzonata e solare: un avvio che conferma che Tom è in forma smagliante, e che non siamo davanti ad una stanca prova da parte di una vecchia gloria.

Cold River, country song limpida, è nuovamente azzeccata dal punto di vista melodico, specie nel refrain, mentre Far Away è splendida, una toccante ballata dal motivo perfetto, semplice ma di grande effetto, ed il solito lussuoso accompagnamento da parte della band: sembra di tornare indietro di cinquant’anni, grande canzone. Heaven Knows (But It Ain’t Tellin’) è un irresistibile ed ironico bluegrass, in cui Tom un po’ parla un po’ canta, mostrando di divertirsi non poco, Corina, Corina è il famoso traditional che hanno fatto in mille, ed il nostro rispetta la sua origine country-blues sfoderando la consueta classe, mentre la breve If I Never Get Back To Hackensack è un altro strepitoso e coinvolgente pezzo in bilico tra folk e country, di impatto immediato come tutti i brani di questo CD (davvero, non ce n’è uno sottotono). Purtroppo il disco volge al termine, ma c’è tempo ancora per la vibrante Going Down To Nashville, fulgido esempio di cantautorato doc e suonata in modo splendido, la sorprendente How Can She Dance Like That?, il pezzo più elettrico, quasi un rock’n’roll, davvero trascinante (grande pianoforte, e spunta pure un sax), e la conclusiva Voices, uno slow di grande intensità e cristallina bellezza, pura poesia musicale. Non ho idea se Voices sarà l’ultimo lavoro per Tom Rush, ma quello che è certo è che si tratta di un grande disco, senza dubbio alcuno.

Marco Verdi

Chiamatelo Pure “Mississippi John Oates”! John Oates – Arkansas

john oates arkansas

John Oates With The Good Road Band – Arkansas – PS/Thirty Tigers CD

Non avrei mai pensato che nella mia umile carriera di critico e recensore avrei un giorno parlato di un album di John Oates, che insieme a Daryl Hall andava a formare Hall & Oates, un duo tra i più di successo di tutti i tempi, che negli anni settanta ed ottanta ha venduto vagonate di dischi all’insegna di un “Philly Sound” decisamente annacquato, una miscela all’acqua di rose di soul, errebi e pop molto commerciale e lontano anni luce dai gusti del sottoscritto. Ma gli americani hanno sempre in serbo delle sorprese, e così come un attore conosciuto per i suoi ruoli comici anche al limite dell’idiota al primo ruolo drammatico sfodera una prestazione da Oscar (il riferimento è al Jim Carrey di The Truman Show, secondo me uno dei più bei film di sempre, ma la storia di Hollywood è piena di esempi in tal senso), allo stesso modo un artista che ha passato la vita a fare musica per vendere a palate, arriva ad un certo punto in cui decide di pubblicare album di ben altro spessore artistico. Oates ha iniziato a fare dischi da solista solo nel nuovo millennio (il suo sodalizio con Hall parrebbe giunto al capolinea), avvicinandosi sempre di più al suono Americana, influenzato dalle canzoni che fanno parte del songbook dei suoi avi, ma è con il nuovissimo Arkansas che ha fatto bingo, trovando un disco che mi ha lasciato a bocca aperta, quasi un capolavoro che assolutamente non pensavo fosse nelle sue corde.

Arkansas è un chiaro omaggio di Oates prima di tutto al suono di Mississippi John Hurt, una leggenda del folk-blues acustico che da sempre è uno dei suoi preferiti (anche se negli anni settanta non si sarebbe detto), fino al punto di aver voluto acquistare ad un’asta la chitarra che Hurt usò durante il Festival di Newport del 1964 (anche se l’acquisto è avvenuto a disco terminato, e quindi non ha fatto in tempo ad usarla). Ma John allarga il raggio, e con questo lavoro omaggia canzoni che hanno anche più di un secolo sulle spalle, alcune molto note altre decisamente oscure, e completa il tutto con due pezzi nuovi di zecca ma scritti nello stesso mood. Come ciliegina, John (che suona la chitarra acustica e canta con una voce arrochita e non molto familiare, anche perché quello del duo che cantava era Hall) si è fatto accompagnare da un gruppo formidabile, The Good Road Band, un combo di fuoriclasse del calibro di Sam Bush (mandolino), Guthrie Trapp (chitarra elettrica), Russ Pahl (steel), Steve Mackey (basso), Josh Day (batteria), Nathaniel Smith (cello), che si occupano anche di saltuari backing vocals quando si tratta di dare un tono gospel ai brani. Un grande disco dunque, una miscela vincente di folk, country, rock, blues ed old time music, suonata con una classe sopraffina e con l’attitudine da veri pickers: 34 minuti scarsi di musica, ma tutta ad altissimo livello.

Splendido l’inizio: Anytime, un brano del quasi dimenticato Emmett Miller (un musicista da circo degli anni venti), è un pickin’ country decisamente d’altri tempi, suonato con uno stile alla Bill Monroe e con deliziosi interventi di mandolino e chitarra elettrica, e con la voce roca di John che si integra alla perfezione. Arkansas è il primo dei due pezzi scritti dal nostro, una folk ballad elettrificata decisamente vibrante e con accenni gospel: il songwriting è moderno ma l’accompagnamento no, anche se c’è una bella slide che porta il suono ai confini del rock. Splendida My Creole Belle, un brano attribuito a Mississippi John Hurt (una volta si usava prendere dei brani dalla tradizione, cambiare qualche parola e spacciarli per autografi), uno scintillante folk-blues con il solito cocktail vincente di strumenti a corda ed un coinvolgente botta e risposta voce-coro; Pallet Soft And Low, un traditional, è parecchio bluesata, sa di polvere e fango e sembra provenire dal delta del Mississippi, con uno splendido lavoro all’elettrica di Trapp, per sei minuti tutti da godere (è la più lunga). Non poteva mancare Jimmie Rodgers: Miss The Mississippi And You, pur non essendo stata scritta da lui, è uno dei brani simbolo del “singing brakeman”, e John ne offre una rilettura molto old-fashioned, lenta e decisamente raffinata, tutta suonata in punta di dita; il famoso traditional Stack O Lee, ripreso negli anni da un sacco di gente, ha qui un trattamento regale, tra country e folk, con il solito pickin’ d’alta classe ed una sezione ritmica discreta ma spedita.

That’ll Never Happen No More è un’oscura canzone dell’ancora più oscuro Blind Blake, riproposta da Oates e compagni con un delizioso sapore dixieland pur in assenza di strumenti a fiato, mentre Dig Back Deep è il secondo pezzo originale, uno splendido e trascinante brano elettrico tra boogie e gospel, intriso a fondo di atmosfere sudiste. Il CD si chiude con Lord Send Me, altra bellissima canzone tradizionale che mischia alla grande folk, gospel e bluegrass, suonata anch’essa in maniera strepitosa, e con Spike Driver Blues, altro pezzo del repertorio di John Hurt, pura e limpida come l’acqua di montagna, solo John e due chitarre acustiche. Un disco splendido e sorprendente, tra i più belli di questi primi due mesi dell’anno, che probabilmente ritroveremo nelle liste di Dicembre.

Marco Verdi

Novità Di Giugno, Terza Decade. Neil Young, Jerry Garcia, Rich Robinson, Felice Brothers, Royal Southern Brotherhood, Eggs Over Easy, Yardbirds, Sam Bush

neil young earth

Ecco le uscite più interessanti della terza decade del mese, previste per venerdì 24 giugno. Partiamo con il nuovo doppio CD dal vivo (o triplo LP, o download tramite Pono) di Neil Young con i Promise Of The Real: come è noto da tempo l’album si intitola Earth, etichetta Reprise e all’inizio di ogni brano il vecchio Neil ha inserito, diciamo, degli inserti ecologici, rumori della terra, uccellini vari, insetti, cani, rane, pure clacson di automobili e altro, ma anche, e soprattutto tredici brani Live molto interessanti, tra cui una poderosa Love And Only Love di oltre 28 minuti.

Questa è la tracklist completa:

[CD1]
1. Mother Earth
2. Seed Justice
3. My Country Home
4. The Monsanto Years
5. Western Hero
6. Vampire Blues
7. Hippie Dream
8. After the Gold Rush
9. Human Highway

[CD2]
1. Big Box
2. People Want to Hear About Love
3. Wolf Moon
4. Love and Only Love

Recensione completa nei prossimi giorni.

jerry garcia garcialive volume six

Tra una uscita e l’altra dei Grateful Dead esce anche il sesto capitolo della serie GarciaLive, triplo CD pubblicato dalla ATO Records, di nuovo con il tastierista e cantante Merl Saunders, il concerto è stato registrato al Lion’s Share di San Anselmo, CA, (un locale con una capienza di 200 posti, dove la band suonava spesso, quindi potremmo aspettarci altri capitoli della saga), e siamo al 5 luglio 1973, quindi più o meno all’epoca del Live At Keystone, ma il repertorio è differente. Nel secondo set c’è anche un trombettista aggiunto di cui è ignota l’identità, mentre la sezione ritmica è formato dai soliti John Kahn al basso e Bill Vitt alla batteria. C’è un medley di She’s Got Charisma That’s Alright Mama che dura più di 31 minuti e una versione di My Funny Valentine che ne dura quasi 20, comunque ecco la lista completa dei contenuti.

[CD1]
1. After Midnight
2. Someday Baby
3. She’s Got Charisma ->
4. That’s Alright, Mama

[CD2]
1. The System
2. The Night They Drove Old Dixie Down
3. I Second That Emotion
4. My Funny Valentine
5. Finders Keepers

[CD3]
1. Money Honey
2. Like A Road
3. Merl’s Tune ->
4. Lion’s Share Jam
5. How Sweet It Is (To Be Loved By You)

rich robinson flux

Primo album di materiale nuovo per Rich Robinson, dopo una serie di ristampe di album ed EP vari pubblicati nel 2016. Si intitola Flux, esce per la Edel il 24 giugno e contiene 13 brani scritti per l’occasione da Rich:

1. The Upstairs Land
2. Shipwreck
3. Music That Will Lift Me
4. Everything’s Alright
5. Eclipse The Night
6. Life
7. Ides Of Nowhere
8. Time To Leave
9. Astral
10. For To Give
11. Which Way Your Wind Blows
12. Surrender
13. Sleepwalker

Nel disco, registrato aglii Applehead Studios di Saugerties, NY, nella zona di Woostock, dove sono stati registrati altri album di Robinson, suonano Matt Slocum (tastiere), Marco Benevento (tastiere), Danny Mitchell (tastiere) Zak Gabbard (basso), Joe Magistro (batteria / percussioni), e John Hogg e Danielia Cotton alle armonie vocali. A fine luglio, il 29, è prevista anche l’uscita del disco del fratello Chris, come Chris Robinson Brotherhood Anyway You Love, We Know How You Feel

felice brothers life in the dark

Sempre a proposito di fratelli, in questo fine settimana è prevista l’uscita anche del nuovo album dei Felice Brothers Life In The Dark, etichetta Yep Rock. Come certo saprete Simone Felice, che chi scrive considera il fratello più bravo della famiglia, non fa più parte in modo stabile della band, salvo saltuarie partecipazioni, preferendo concentrarsi sulla sua carriera solista e sui dischi dei The Duke And The King, di cui attendiamo con ansia nuove prove. Comunque anche gli altri fratelli Ian James Felice sono bravi (come i fratelli Robinson) e continuano a fare buona musica per cui sentiremo con fiducia il nuovo album.

1. Aerosol Ball
2. Jack At The Asylum
3. Life In The Dark
4. Triumph ’73
5. Plunder
6. Sally!
7. Diamond Bell
8. Dancing On The Wing
9. Sell The House

Un paio di ristampe…

Eggs Over Easy Good 'N' Cheap The Story

Gli Eggs Over Easy, pur essendo americani, anzi californiani, per la precisione venivano da Berkeley, sono stati una delle punte di diamante del cosiddetto filone del pub rock inglese, quello da cui sono venuti in seguito anche Ducks Deluxe, Bees Make Honey e Dr. Feelgood, e più o meno in contemporanea anche i grandi Brisnley Schwarz di Nick Lowe e soci. Grande band che fu “scoperta” da Chas Chandler, l’ex Animals, manager orfano di Jimi Hendrix, che li portò nel 1971 agli Olympic Studios di Londra per incidere quello che avrebbe dovuto essere il loro album di esordio grazie ad un contratto con una grande major dell’epoca. Quando il contratto non si materializzò più, le registrazioni vennero accantonate, e nel 1972 il gruppo, questa volta negli Stati Uniti, registrò il proprio debutto Good’N’Cheap, pubblicato dalla A&M e con la produzione di Link Wray. Gli Eggs Over Easy avevano tre grandi songwriters nelle loro fila :Jack O’Hara, Austin de Lone e Brien Hopkins, soprattutto il secondo e proponevano un sound che miscelava country-rock, blues, rock classico, grandi armonie vocali alla CSN&Y, e appunto pub rock, ma non ebbero, purtroppo, nessun successo, pubblicando un secondo album, Fear Of Frying, uscito nel 1980 e passato nel dimenticatoio e poi ancora qualche singolo e delle compilations postume.

Ora la Yep Rock fa uscire questo doppio CD splendido (ma assai costoso, circa 30 euro per 2 CD, anche con un libretto di 24 pagine, mi sembrano eccessivi): il titolo dice tutto: Good ‘N’ Cheap: The Eggs Over Easy Story e raccoglie l’album di esordio, il secondo disco. le sessions del 1971 a Londra e due canzoni uscite su un singolo. Comunque questa è la lista completa dei contenuti del doppio.

 [CD1]
1. Party Party
2. Arkansas
3. Henry Morgan
4. The Factory
5. Face Down in the Meadow
6. Home to You
7. Song is Born of Riff and Tongue
8. Don’t Let Nobody
9. Runnin’ Down to Memphis
10. Pistol on a Shelf
11. Night Flight
12. I’m Gonna Put a Bar in the Back of My Car (& Drive Myself to Drink)
13. Horny Old Lady
14. Fire
15. Scene of the Crime
16. Forget About It
17. Louise
18. Lizard Love
19. You Lied
20. Driftin’
21. She Love Me
22. Action
23. Mover’s Lament
24. Nonnie Nookie No

[CD2]
1. Goin’ To Canada
2. I Can Call You
3. Right On Roger
4. Country Waltz
5. Give Me What’s Mine
6. Across From Me
7. Waiting for My Ship
8. January
9. Give and Take
10. Funky But Clean
11. I’m Still the Same
12. 111 Avenue C

Questa è proprio la classica band di culto, da conoscere assolutamente, anche se il prezzo del doppio dischetto che esce, come detto, per la Yep Rock, ripeto, mi pare eccessivo.

yardbirds live at the bbc

In attesa del nuovo CD di quel signore che vedete in primo piano nella foto qui sopra (esatto, Jeff Beck, del quale è in uscita appunto un nuovo album di studio il 15 luglio, e di cui leggerete prossimamente, prima sul Buscadero e poi sul blog, per ora mi limito ad un Uhm, chi vuol capire…). esce questa ennesima doppia compilation della Repertoire intitolata Live At The BBC e dedicata al gruppo in cui hanno militato anche Eric Clapton Jimmy Page, ovvero gli Yardbirds. Se volete il mio parere mi sembra una mezza fregatura: la stessa Repertoire aveva già pubblicato in passato, nel 2000 (ma si trova tuttora), un The BBC Sessions 1965-1968, singolo, ma con 33 pezzi, che raccoglieva le registrazioni di quel periodo glorioso. Ora, la nuova versione di brani ne riporta 40, ma otto sono interviste o interventi parlati, quindi vedete vobis. Vi inserisco la lista dei brani e poi decidete se vale la pena di (ri)comprare per l’ennesima volta questo materiale, considerando che anche nelle riedizioni dei vari album c’erano spesso delle bonus tracks e pure altre etichette hanno pubblicato in passato questi brani (On Air della Band Of Joy e BBC Sessions della Warner Archive)

CD1]
1. I Ain’t Got You
2. Interview: Keith Relf talks about the band’s background
3. For Your Love
4. I’m Not Talking (Tracks 1 – 4: Top Gear, Recorded 22nd March, 1965, Broadcast 10th April, 1965)
5. I Wish You Would
6. Interview: Paul Samwell – Smith talks about the recordingand the USA tour
7. Heart Full Of Soul (Tracks 5 – 7: Saturday Club, Recorded 1st June 1965, Broadcast 5th June, 1965)
8. I Ain’t Done Wrong
9. Heart Full Of Soul (Alternate version) (Tracks 8 – 9: Saturday Club, Recorded 21st June, 1965, Broadcast 26th June, 1965)
10. Too Much Monkey Business
11. Love Me Like I Love You
12. I’m A Man (Tracks 10 – 12: You Really Got Me (Kinksize Live Pop Package with The Kinks & other guests), Recorded 6th August, 1965, Broadcast 30th August, 1965)
13. Evil Hearted You
14. Interview: Paul Samwell – Smith talks about the ‘Still I’m Sad’ single
15. Still I’m Sad
16. Hang On Sloopy (Tracks 13 – 16: Saturday Club, Recorded 27th September, 1965, Broadcast 2nd October, 1965)
17. Smokestack Lightning
18. Interview: The Yardbirds give their New Year’s resolutions
19. You’re A Better Man Than I
20. The Train Kept A-Rollin’
21. Smokestack Lightning (Edited version) (Tracks 17 – 21: This Must Be The Place, (with The Hollies, The Ivy League & other guests), Recorded 18th November, 1965, Broadcast 27th December, 1965)

[CD2]
1. Shapes Of Things
2. Dust My Broom
3. You’re A Better Man Than I (Tracks 1 – 3: Saturday Club, Recorded 28th February, 1966, Broadcast 5th March, 1966)
4. Baby, Scratch My Back
5. Interview: Keith Relf talks about his solo single
6. Over, Under, Sideways, Down
7. The Sun Is Shining (Edited version)
8. Interview: Keith Relf talks about their USA tour
9. Shapes Of Things (Alternate version)
10. The Sun Is Shining (Tracks 4 – 10: Saturday Swings, Recorded 6th May, 1966.Broadcast 21st May, 1966)
11. Over, Under, Sideways, Down (Original TV version)
12. Comment: Jeff Beck’s guitar playing (Tracks 11 – 12: BBC1 ‘A Whole Scene Going’, Broadcast 18th June,1966)
13. Most Likely You Go Your Way (And I’ll Go Mine)
14. Little Games
15. Drinking Muddy Water (Tracks 13 – 15: Saturday Club, Recorded 4th April, 1967, Broadcast 15th April, 1967)
16. Think About It
17. Interview: Jimmy Page talks about touring
18. Goodnight Sweet Josephine
19. My Baby (Tracks 16 – 19: Saturday Club, Recorded 15th March, 1968, Broadcast 16th March, 1968)

Se non avete nulla ovviamente il disco è indispensabile, una delle più grandi ed innovative band inglesi degli anni ’60, con tre grandissimi chitarristi, soprattutto Beck all’epoca.

royal southern brotherhood - royal gospel

Tornando a fratelli e “fratellanze” vi segnalo anche l’uscita del nuovo album dei Royal Southern Brotherhood The Royal Gospel, sempre su etichetta Ruf come i precedenti quattro (tre in studio e uno dal vivo). Questo è il secondo per la formazione Mark II (e pure di questo, penso, troverete la recensione sul Buscadero del mese prossimo, un po’ di pubblicità, e poi anche sul Blog). Mi limito da anticiparvi che il disco mi pare buono e contiene i seguenti pezzi.

1. Where There’s Smoke There’s Fire
2. I’ve Seen Enough To Know
3. Blood Is Thicker Than Water
4. I Wonder Why
5. I’m Comin’ Home
6. Everybody Pays Some Dues
7. Face Of Love
8. Land Of Broken Hearts
9. Spirit Man
10. Hooked On The Plastic
11. Can’t Waste Time
12. Stand Up

E sopra una piccola anticipazione sui contenuti.

sam bush storyman

E per finire, il nuovo album di Sam Bush Storyman, presentato dallo stesso musicista americano come il suo primo disco da “cantautore”, l’album , pubblicato dalla Sugar Hill, distribuita dal gruppo Universal, contiene 11 brani nuovi, firmati da Bush in coppia con grandi autori della scena roots, Emmylou Harris, Jon Randall Stewart, Jeff Black e altri, oltre ad uno scritto con Guy Clark, Carcinoma Blues, dove i due musicisti esorcizzavano i problemi avuti di entrambi con i tumori e che poi, recentemente, si sono portati via il cantante texano.

Ecco i brani:

1. Play By Your Own Rules
2. Everything Is Possible
3. Transcendental Meditation Blues
4. Greenbrier
5. Lefty’s Song
6. Carcinoma Blues
7. Bowling Green
8. Handmics Killed Country Music
9. Where’s My Love
10. It’s Not What You Think
11. I Just Wanna Feel Something

Il mandolinista e violinista è accompagnato dalla sua band e nel CD si trova anche un brano strumentale, It’s Not What You Think, firmato da tutta la band  Il disco è stato registrato tra la Florida e Nashville nell’arco degli ultimi quattro anni ed è il seguito dell’ottimo Circles Around Me pubblicato nel lontano 2009.

Alla prossima.

Bruno Conti

Una Nuova” Promettente” Artista Di Talento! Loretta Lynn – Full Circle

loretta lynn full circle

Loretta Lynn – Full Circle – Sony Legacy CD

Il titolo del post è volutamente ironico, in quanto ci troviamo di fronte ad una vera e propria leggenda vivente della country music (e non solo): Loretta Lynn (nata Webb), 84 anni il mese prossimo, è sulla breccia da più di cinquant’anni, e la sua serie di successi e di premi meriterebbe un post a parte (basti sapere che è, dati alla mano, l’artista donna più di successo in ambito country di tutti i tempi). Sono già passati dodici anni da quel Van Lear Rose, che ci aveva mostrato un po’ a sorpresa un’artista ancora in grandissima forma, perfettamente a suo agio anche con una produzione non proprio tradizionale, come quella dell’eclettico Jack White: ma la strana coppia aveva funzionato, e l’album era stato uno dei migliori del 2004 in ambito country. Ora Loretta ci riprova, e con Full Circle centra nuovamente il bersaglio: ben bilanciato tra brani originali (alcuni rivisitati), cover e pezzi tratti dalla tradizione, il disco ci mostra una cantante che non ha la minima intenzione di appendere il microfono al chiodo, ed anzi è ancora in possesso di una voce formidabile, pura, limpida e cristallina, di certo non tipica di un’ottuagenaria.

La produzione è più canonica rispetto a Van Lear Rose, ed è nelle mani comunque esperte di John Carter Cash (figlio di Johnny e June), che ha cucito attorno all’ugola di Loretta un suono molto classico, con piano, steel, violini e chitarre acustiche sempre in primo piano: la lunga lista di musicisti presenti comprende alcuni veri e propri luminari come Sam Bush (mandolino), Shawn Camp (chitarra, di recente stretto collaboratore di Guy Clark), Paul Franklin (steel), Ronny McCoury (figlio di Del, al mandolino), Randy Scruggs (chitarra), oltre allo splendido pianoforte di Tony Harrell (già con Don Henley, Johnny Cash, Vince Gill, Sheryl Crow e nel bellissimo Django And Jimmie di Willie Nelson e Merle Haggard). Tredici canzoni, non una nota da buttare, con alcune vere e proprie perle ed un paio di sorprese finali che vedremo.

Con i primi due brani, due lentoni intitolati rispettivamente Whispering Sea e Secret Love, Loretta sembra quasi scaldare la sua ugola ed il gruppo i muscoli, ma già con la seconda delle due la nostra dimostra di essere nel suo elemento naturale, e la voce sembra di una con trent’anni di meno. Who’s Gonna Miss Me? ha una melodia diretta ed il gruppo offre una performance cristallina, grande classe e grande canzone, ma le cose vanno ancora meglio con la splendida Blackjack David, un famoso traditional attribuito alla Carter Family, rilasciato con un arrangiamento da pura mountain music, una versione imperdibile; e che dire di Everybody Wants To Go To Heaven, ritmo spedito, grande assolo di piano, chitarrina elettrica, melodia dalla struttura gospel e Loretta che canta con la grinta di una ventenne.

Always On My Mind è una delle grandi canzoni del songbook americano (ricordo le versioni più famose, ad opera di Elvis Presley e Willie Nelson) e l’arrangiamento pianistico è più vicino a quello di Willie che a quello un po’ pomposo del King: comunque sempre un grande brano, con la Lynn che canta con un’intensità da pelle d’oca. Anche Wine Into Water è una gradevolissima country ballad, suonata alla grande (ma tutto il disco è a questi livelli: è forse brutta la rilettura del traditional In The Pines?); Band Of Gold è un honky-tonk perfetto, che sembra provenire direttamente dalla golden age di questo tipo di musica, così come la mossa Fist City (un vecchio successo rifatto), fulgido esempio di come si possa fare del vero country tradizionale nel 2016.

I Never Will Marry (ancora Carter Family, qui John Carter deve aver detto la sua) precede Everything It Takes, uno scintillante honky-tonk che Loretta ha scritto con Todd Snider, suonato e cantato con la consueta classe, con la partecipazione straordinaria (e riconoscibilissima) di Elvis Costello alle armonie vocali. Chiude il CD la tenue Lay Me Down, un vero e proprio duetto vocale con Willie Nelson (poteva mancare?), due voci superbe, una chitarra, un mandolino, un violino e feeling a palate.

Full Circle è il titolo più appropriato per questo album, in quanto ci riporta una Loretta Lynn in forma Champions (per dirla in termini calcistici), e su territori che conosce a menadito e che ormai le appartengono di diritto.

Ed è ancora la numero uno.

Marco Verdi

Un Cantautore Dai Molti Fans Di “Lusso”, E Parecchi Sono Nel Disco! Jeff Black – Plow Through The Mystic

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Jeff Black – Plow Through The Mystic – Lotos Nile Music 2011

Atteso ritorno del cantautore-pianista (merce rara al giorno d’oggi) Jeff Black, nativo del Missouri, giunto al quinto disco in oltre 13 anni di carriera. Jeff ha iniziato a lavorare in quel di Nashville facendo il “turnista” nelle band di vari “countrymen”, tra cui Iris DeMent, quindi ha cominciato a scrivere canzoni per altri artisti Waylon Jennings (The Carnival Song), Jo-El Sonnier (Never Did Say Goodbye), The Blackhawk (That’s Just About Right), riscuotendo un discreto successo che lo ha portato in seguito ad essere ben considerato anche da celebrate “star” come Alison Krauss, Dierks Bentley oltre al mandolinista Sam Bush che troviamo puntualmente anche in questo lavoro. Il nostro amico ha esordito nel 1998 con Birmingham Road, poi ha dovuto attendere diversi anni per ritrovare un contratto discografico, giunto nel 2003 con la meritevole Blue Rose che ha pubblicato “l’elettrico” Honey and Salt, seguito nello stesso anno da una compilation B-Sides and Confessions Vol.1, inciso con una scarna strumentazione, ma composto da grandi canzoni, per arrivare allo splendido Tin Lily del 2005.

Plow Through The Mystic si avvale di musicisti del calibro di Jerry Douglas alle chitarre e lap steel, Sam Bush ovviamente al mandolino, Kenny Wright alla batteria, Matraca Berg e le più famose Kim Richey e Gretchen Peters (interprete di un bellissimo disco con Tom Russell) ai cori, e lo stesso Black che suona di tutto, dal pianoforte, al banjo e alle tastiere, il tutto per circa un’ora di musica dove Jeff con la sua voce, un piano che segna le melodie, chitarre per lo più acustiche, ogni tanto la sezione ritmica, sa scrivere canzoni profonde, in cui passione e cuore sono in perfetta simbiosi.

L’iniziale Walking Home mischia la canzone d’autore Americana con una melodia lenta tipica di Black, mentre la seguente Sorry cattura subito, impreziosita dal controcanto delle tre “Ladies”. Immigrant Song è un brano recitativo con la chitarra acustica che dialoga con la voce di Jeff,  nella seguente Cure entra in scena il mandolino di Sam Bush per l’unico brano in forma strumentale. Sam è ancora protagonista in una accorata Virgil’s Blues, mentre Wounded Heart è più “normale” e si ascolta con piacere, ma non va oltre. Il livello si alza con il brano che dà il titolo al CD, una Plow Through the Mystic lenta ed introspettiva, che ci consegna il cantautore nella sua versione più intima. Anche la seguente New Love Song è sulla stessa linea con il piano protagonista, mentre il mandolino di Sam ritorna in Making The Day, ballata acustica e leggiadra. Waiting è un brano dotato di una bella melodia, in un ambito prettamente cantautorale, e anche What I Would Not Do è una canzone ben cantata, notturna e pianistica. Il piano è ancora protagonista in Run e Ravanna, le due composizioni che chiudono degnamente un disco onesto, dai sapori antichi.

Jeff Black è un songwriter da preservare come i “panda”, scrive canzoni che richiamano alla mente Greg Brown, Bill Morrissey e il compianto Townes Van Zandt, e i suoi testi sono tra i più belli in circolazione. Plow Through The Mystic è un disco che emoziona e affascina, e Black conferma di essere un autore vero, per chi lo conosce sapete già cosa fare, per i “neofiti” dovete prendere il CD con dolcezza, adagiarlo nel lettore e lasciare che vi conquisti.

Tino Montanari

P.S. *E se cogliete anche degli echi del Tom Waits giovane non state sognando!

*NDB