Come Si Può Dargli Torto? Mike Zito – Make Blues Not War

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Mike Zito  – Make Blues Not War – Ruf Records

Mike Zito nel corso del suo tragitto musicale, partito da St. Louis una ventina di anni fa, ha incrociato i suoi percorsi con Anders Osborne, Reese Wynans, Sonny Landreth, Delbert McClinton, tutta gente che ha suonato nei suoi dischi, è andato a vivere in Texas, come testimoniato da uno dei suoi dischi migliori (Gone To Texas), è passato anche da New Orleans per condividere il suo percorso con Cyril Neville, e insieme a Devon Allman, hanno virato verso derive sudiste nei Royal Southern Btotherhood, ma dopo due dischi in studio e uno dal vivo, la band  che è rimasta a Neville, ha inserito nuovi elementi. Nel frattempo ha pubblicato due eccellenti album con i Wheel, quello citato e un superbo Songs From The Road, registrato dal vivo, dove il sound aveva anche elementi soul, R&B, country e inevitabilmente southern rock di matrice texana, il tutto proposto con una voce forte e potente, eclettica, tra le migliori nel panorama della musica del Sud degli States. Ed ecco che ora l’irrequieto Zito decide che è meglio Make Blues Not War, e su questo’assunto non si può dire nulla.

Se poi per portarlo a termine ti rivolgi a uno come Tom Hambridge che è stato definito “The White Willie Dixon”, grazie ai suoi lavori con Buddy Guy, Joe Louis Walker, George Thorogood, James Cotton, ecc.,  è quasi inevitabile che il risultato, oltre ad essere ottimo, e lo è, sarà un disco di blues, al di là del titolo profetico. Hambridge, come al solito nei suoi studi di Nashville, ha realizzato un disco che oscilla tra le varie forme di blues: rock-blues tirato e potente, a tratti quasi con derive hard-rock, classico Chicago blues elettrico e un suono southern rock retaggio del passato di Zito. Lo stesso Tom Hambridge è il batterista nle disco, questa volta optando per un approccio di potenza devastante, Tommy MacDonald è il bassista, Rob McNelley è la seconda chitarra solista, in più Kevin McKendree aggiunge le sue tastiere ove occorra, cioè quasi sempre, e ci sono anche un paio di ospiti di prestigio, che andiamo subito a vedere. Le canzoni portano quasi tutte la firma dello stesso Hambridge, cinque insieme a Mike, altre con diversi co-autori e confermano la validità della sua penna, che gli è valsa l’appellativo meritato ricordato poc’anzi. Si parte sparatissimi con una granitica Highway Mama, dove all’accoppiata di chitarre McNelley/Zito (che in tutto il disco è formidabile, soprattutto il buon Mike, che si conferma uno dei solisti più validi in circolazione), si aggiunge anche Walter Trout per un vero festival della sei corde, Zito per l’occasione alla slide, tra riff infuocati, R&R cattivissimo, difficile oggi trovare del blues-rock fatto così bene.

Wasted Time è un gagliardo shuffle ad alta gradazione, pimpante e coinvolgente, con Zito indemoniato alla solista, e la sua band fantastica che lo segue come un sol uomo. Redbird, il brano più lungo del disco, introduce elementi di classico rock-blues anni ’70, tra Free, Zeppelin e piccoli tocchi di rock progressivo, ma non mancano le influenze di Hendrix e SRV per l’uso marcato del wah-wah e per un finale quasi psych, mentre Crazy Legs è una delle canzoni co-firmate da Zito, un boogie-blues vorticoso che ricorda le cose migliori degli ZZ Top o di Thorogood, con la sezione ritmica veramente inarrestabile e il nostro amico che inchioda un assolo micidiale. Make Blues Not War, che nel testo cita Robert Johnson e Muddy Waters è uno slow blues classico, con l’altro ospite Jason Ricci, veemente all’armonica, ad affiancare un ispirato Mike Zito, di nuovo alla slide, difficile fare meglio. On The Road si avvale di un inconsueto clavinet suonato da McKendree, per un robusto funky-blues, dove brillano, al solito, la voce vissuta e la solista fluida del nostro.

Bad News Is Coming è un omaggio all’arte di uno degli ultimi grandi del blues moderno, quel Luther Allison che ci ha lasciato nel 1997, un blues lento intenso e lancinante, con McKendree all’organo e una atmosfera che può ricordare quella di brani simili di Zeppelin e ZZ Top, con la chitarra che viaggia sul filo del rasoio, con un assolo veramente torrenziale; One More Train è il secondo brano che vede la presenza dell’armonica del bravissimo Jason Ricci, uno dei migliori “soffiatori” delle ultime generazioni, con Zito di nuovo alla slide e McKendree al piano, per un pezzo che ricorda il sound degli Stones dell’epoca di Mick Taylor, con Girl Back Home, ancora incentrata sull’intenso lavoro del bottleneck di Mike. Chip Off The Block ci introduce ai talenti di una futura stella della chitarra, o così si spera, tale Zach Zito, figlio d’arte, per un pezzo che cita sia nel testo come nel contenuto il Texas Blues di Stevie Ray Vaughan, il ragazzo sembra promettente. Ma il babbo è una “belva”, come conferma in un ennesimo lancinante slow come Road Dog o nel frenetico boogie R&R di un “vecchio classico” come Route 90, dove Zito e McKelley si scambiano riff a velocità supersonica, per un finale splendido, come d’altronde tutto il disco.

Bruno Conti

E Questi Invece Li “Manda” Sempre Johnny Winter: Bravi Ma Non Indispensabili. Jay Willie Blues Band – Hell On Wheels

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Jay Willie Blues Band – Hell On Wheels – Zoho Music

Questo è il quarto album consecutivo (ce ne sarebbe un quinto uscito per la Musis Boulevard in Europa) pubblicato dalla Zoho Music per la band del Connecticut, guidata da Jay Willie, ma che vede nelle propria fila, come membro onorario, anche l’armonicista Jason Ricci, e dallo scorso album http://discoclub.myblog.it/2015/11/26/tornano-gli-amici-johnny-winter-jay-willie-blues-band-johnnys-juke-joint/ pure la poderosa vocalist del New England Malorie Leogrande. Il nome di peso è quello di Bobby T Torello, il vecchio batterista di Johnny Winter, mentre a completare la formazione ci sono il bassista Steve Clarke https://www.youtube.com/watch?v=Rd_SupH4UKs  e il sassofonista Teddy Yakush, impegnato anche alle tastiere., o all’armonica quando non c’è Ricci. Il repertorio pesca sempre principalmente dal passato, e se nel disco precedente c’erano covers di Wooly Bully, You Got Me Dizzy, Barefootin’, People Get Ready, oltre all’inevitabile tributo al maestro Winter con una versione di I Love Everybody, oltre a pezzi blues di Robert Johnson, James Cotton, Buddy Guy & Junior Wells che permettevano di gustare le evoluzioni all’armonica di Jason Ricci, anche in questo album, a fianco di quattro brani originali della band, troviamo alcune canzoni molto conosciute.

Da una torrida Willie And The Jand Jive di Johnny Otis, che si trovava su 461 Ocean Boulevard di Eric Clapton, che troviamo in una versione a cavallo tra un drive alla Bo Diddley e il classico blues elettrico, con l’armonica di Ricci protagonista assoluta, passando per The Horse, dove all’armonica si aggiunge la pimpante voce della Leogrande, veramente una cantante di classe, per un sano tuffo nel rock-blues più veemente, poi ripreso a fine disco anche in una versione strumentale dove è la chitarra di Jay Willie ad avere un maggiore spazio. Anche la title-track Hell On The Wheels profuma di sano blues-rock, sempre con l’armonica (e la batteria) protagoniste, mentre la voce del leader non rimarrà negli annali dei grandi cantanti (o è Bob Callahan, l’altro chitarrista e cantante che non avevamo citato?), viceversa il lavoro alla slide si apprezza. Non tutto è memorabile nel disco, You Left The Water Runnibg, la versione di un classico Stax scritto da Dan Penn e noto per le versioni di Redding e Pickett, tramutato in un blues, pur con discrete prestazioni della Leogrande e della slide di Willie, non brilla; molto meglio Alive Again, un gagliardo pezzo dove rivive lo spirito del Johnny Winter più sanguigno, con Jay Willie veramente micidiale nell’occasione, e assai piacevole pure la cover di un vecchio classico Motown delle Marvelettes The Hunter Captured By The Gane, con la voce sexy della brava Malorie Malone ben coadiuvata ancora una volta dall’armonica di Ricci.

Peccato per un classico assoluto come Take Me To The River, il pezzo di Al Green trasformato in un anonimo funky-rock, mentre funzionano, grazie alla Leogrande, le due cover dei brani, in sequenza, di Barbara Lynn, This Is The Thanks I Get, con sax aggiunto e la bellissima ballata soul You’ll Loose A Good Thing. Everybody è un anonimo R&R vagamente alla J.Geils Band, qui neppure il buon solo di slide può fare molto; non male, anzi molto bella, ancora una volta grazie al contributo della brava Malorie, la delicata versione, solo voce e il basso elettrico di Clarke, di uno splendido brano anni ’50 di Little Sylvia, A Million Tears. Prima della ripresa di The Horse, una discreta 21, dai ritmi funky blues e con la voce ricca di echi e riverberi della Leogrande, conclude il disco. Sempre piacevole ma non indispensabile.

Bruno Conti

Una Breve E Gustosa Storia Del Blues (Rock) Su Due Dischi. Nick Moss Band – From The Root To The Fruit

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Nick Moss Band – From The Root To The Fruit – 2 CD Blue Bella Records                                                                     

Di questo corpulento signore avevo recensito nel 2011 l’ottimo Here I Am http://discoclub.myblog.it/2011/12/06/un-grosso-chitarrista-nick-moss-here-i-am/ , un album che aveva delle note di copertina firmate da Jimmy Thackery che tesseva le lodi di questo non più giovane musicista di Chicago (quest’anno sono 46), fautore di uno stile che partendo dal blues puro, con il passare del tempo, ha aggiunto elementi rock, funky, soul, southern, omaggi a Hendrix e altri rivoli di musica delle radici, creando un melting pot sonoro vario e stimolante. Da allora Nick Moss ha pubblicato altri tre album, arrivando a quota dodici (tutti pubblicati sulla propria etichetta Blue Bella): Time Ain’t Free del 2014, un recente Live And Luscious, che come lascia intuire il titolo è dal vivo e presenta anche versioni di brani che poi sono stati inseriti in questo From The Root To The Fruit. Il nuovo album è una sorta di concept album sulla storia del blues (e del rock), dalle origini (il primo disco) ai giorni nostri (il secondo CD), con deviazioni lungo il percorso anche verso sixties soul, garage e rock classico. Ovviamente a grandi linee e attraverso una serie di brani composti per l’occasione, con solo due cover e un traditional a rimpolpare il menu. Il nostro amico ha anche una eccellente band che lo accompagna, Michael Ledbetter alla chitarra ritmica e grande voce solista in molti dei brani, il tastierista Taylor Streiff e la sezione ritmica con Nick Fane al basso e Patrick Seals alla batteria. Più alcuni ospiti di pregio: Sax Gordon, ai fiati in tre brani. Jason Ricci all’armonica e David Hidalgo dei Los Lobos.

Il risultato, ancora una volta, è un disco fresco e pimpante, poderoso e rock a tratti, più rigoroso e vicino alla tradizione in altri, comunque sempre decisamente sopra la media per questo tipo di dischi, confermando Moss come uno dei migliori chitarristi attualmente in circolazione. Ci sono ben 27 brani nei due CD e quindi non ve li ricorderò tutti (o forse sì), ma vi segnalo l’uno-due iniziale, in puro Chicago style old school di Before The Night Is Through e Make Way For Me (più R&B, e con fiati aggiunti), con la bellissima voce di Ledbetter in evidenza e un sound che ricorda molto la Blues Jam at Chess dei Fleetwod Mac di Peter Green. Dead Man’s Hand, nella curva temporale del racconto, vira verso il R&R, Moss è anche voce solista (meno valido di Ledbetter) e comincia a scaldare la solista, ben coadiuvato dal piano di Streiff e dal sax di Gordon. La title-track è un blues duro e puro, con Moss che si districa con classe anche all’armonica, Haymarket Hop è uno strumentale in stile jump, divertente e scanzonato, mentre Symone è uno slow blues ben strutturato, seguita dalla latineggiante Love Me, un vecchio brano di Junior Wells. che segue il percorso temporale della narrazione, mentre Lost And Found è uno slow blues carnale ed intenso dove Moss e Ledbetter mettono in mostra il dualismo voce e chitarra, tipico di questi brani. Eccellenti anche I Dig e lo strumentale Rump Rush (sempre lato classico, siamo dalle parti di Freddie King, Magic Sam, Jimmy Dawkins); Long Tall Woman è la cover di un pezzo di Elmore James, seguita da The Woman I Love, dove si apprezza l’armonica di Jason Ricci e Walk Away, dove la chitarra con wah-wah di Moss ricorda certe sonorità alla Buddy Guy, mentre la breve traccia strumentale Cold Store conclude il primo disco e comincia ad introdurci al suono più blues-rock del secondo.

Che si apre sulle derive quasi psichedeliche di Catch Me I’m Falling e sul funky-rock sudista dell’ottima Jupiter Florida, entrambe cantate con piglio superbo da Ledbetter. Breakdown comincia ad alzare l’asticella rock e la band inizia a tirare di brutto, come ribadito nelle improvvisazioni della lunga Serves Me Right (Space Jam), grande brano dove si gustano appieno le evoluzioni della solista di Nick Moss, ma anche nello strumentale santaneggiante Ta Ta For Tay Tay e nella splendida rock’n’soul ballad Breathe Easy, dove sembra di sentire la Tedeschi Trucks Band, con tanto di voci femminili aggiunte. E quando David Hidalgo aggiunge la sua solista in Free Will si affacciano i Los Lobos più blues-rock. Grateful è un pezzo rock quasi stonesiano e in Shade Tree, di nuovo con derive soul, la voce di Ledbetter assume un timbro quasi alla Steve Winwood. Stuck ha quel’impeto garage ricordato in apertura e Stand By è un blues-rock gagliardo, quasi hendrixiano. Concludono questa fatica della Nick Moss Band il funky-rock meticciato di Speak Up e il sognante strumentale Heavy Water, dove Moss strapazza ancora una volta la sua chitarra. Bel disco, veramente variegato e ben suonato, con una nota di merito anche per la voce di Michael Ledbetter https://www.youtube.com/watch?v=g3QHVd9dH0I !

Bruno Conti

Tornano Gli “Amici” Di Johnny Winter. Jay Willie Blues Band – Johnny’s Juke Joint

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Jay Willie Blues Band – Johnny’s Juke Joint – Zoho Music 

Tornano Jay Willie e soci per una nuova cavalcata nei territori musicali che furono cari al grande Johnny Winter. Come ricorderete nella band milita anche Bobby T Torello, il vecchio batterista di Winter http://discoclub.myblog.it/2014/11/28/discepoli-winteriani-jay-willie-blues-band-rumblin-and-slidin/ , e come ricordano loro stessi nelle note avevano pensato di fare un album dedicato alla memoria del musicista texano, ma poi rendendosi conto che in fondo i loro dischi sono sempre stati degli omaggi al sound del vecchio Johnny, solo il titolo del CD e il brano I Love Everybody, che appariva su Second Winter del 1969, lo omaggiano direttamente. Il nucleo della band, oltre a Willie e Torello, comprende anche Bob Callahan, l’altro chitarrista e cantante, Steve Clarke al basso e Teddy Yakush al sax, ma anche l’armonicista Jason Ricci, che ormai è un membro onorario, come pure l’ottima vocalist Malorie Leogrande, una nuova cantante dalla voce pimpante ed espressiva che si gusta sin dall’iniziale piacevolissima rilettura del super classico di Sam The Sham & The Pharaohs Wooly Bully, in una versione molto bluesata dove si apprezza subito il talento di Ricci, un vero virtuoso dello strumento che, come ho ricordato in altre occasioni, ha un suono potente ed elettrico che ricorda quello di John Popper dei Blues Traveler.

You Got Me Dizzy una cover di Jimmy Reed, sempre con Leogrande e Ricci sugli scudi è blues classico https://www.youtube.com/watch?v=sRvAEZmVVXU , come pure One More Mile, un vecchio brano di James Cotton, ma scritto da Muddy Waters, che riceve un trattamento funky e gode nuovamente dell’eccellente lavoro all’armonica di Ricci https://www.youtube.com/watch?v=OD2HvP5EsDg , mentre Upside On The Ground è uno dei pezzi originali a firma Jay Willie, uno slow blues di grande intensità, cantato ancora con passione da Malorie che divide i meriti del brano con la solista del leader. Barefootin’ è proprio il vecchio classico R&B di Robert Parker, famoso anche nella versione di Wilson Pickett, esecuzione nella norma, senza infamia e senza lode, per quanto energica. Molto buono Hold To Watcha Got, un originale di Willie con uso di slide e wah-wah che ricorda assai lo stile winteriano e onesta la rilettura di un altro classico del soul, quella People Get Ready di Curtis Mayfield, che comunque lo giri rimane sempre un gran brano (di recente era anche nell’ultimo Leslie West).

Eccellente il pezzo di Winter ricordato prima, una I Love Everybody dove Malorie Leogrande fornisce la sua migliore prova vocale e il lavoro della slide di Jay Willie è degno del Maestro, grinta ed energia ben dosate. Non male anche I Got A Stomach Ache, una canzone di Buddy Guy & Junior Wells, cantata da Bobby Torello che la eseguì dal vivo con il duo al Checkerboard Lounge di Chicago, ancora una volta molto Winteriana, come è giusto che sia, visti i trascorsi del nostro, che lavora anche di fino alla batteria https://www.youtube.com/watch?v=uDfD7AtTneE . Nobdoy But You era un oscuro pezzo di Lil’ Bob and The Lollipops, un divertente funky soul con fiati anni ’60, cantato con brio dalla brava Malorie Leogrande e Succotash, altro brano minore dei tempi che furono era spesso l’occasione per una jam che apriva i concerti del trio Winter-Paris-Torello e qui il blues, venato di R&R, è il vero protagonista di questo strumentale dal forte impatto sonoro https://www.youtube.com/watch?v=2Un17FljDBo , Johnny Winter era un’altra cosa ma i nostri amici fanno di tutto per non farlo rimpiangere e il disco è molto buono nel complesso. Si chiude con un classico assoluto come Me And The Devil di Robert Johnson, solo Jay Willie, voce e chitarra, discreto e Jason Ricci, vero protagonista all’armonica.

Bruno Conti