Una Delle Più Belle Voci In Circolazione In Uno Splendido Omaggio Ad Uno Dei Grandi Della Musica Rock! Janiva Magness – Sings John Fogerty Change In The Weather

janiva magness sings john fogerty

Janiva Magness – Sings John Fogerty/Change In The Weather – Blue Elan

Il germoglio per la nascita di questo album era stato piantato nel 2016, quando Janiva Magness, all’interno di un album fatto tutto di brani originali, Love Wins Agains (detto per inciso il suo unico ad essere candidato ad un Grammy come miglior album di blues contemporaneo dell’anno https://discoclub.myblog.it/2016/05/11/piu-che-lamore-la-voce-che-vince-volta-janiva-magness-love-wins-again/ ), aveva inciso una splendida cover tra soul e gospel di Long As I Can See tTe Light dei Creedence, una delle tantissime perle uscite dal songbook di John Fogerty. Janiva poi quel Grammy purtroppo non lo ha vinto, ma per fortuna detiene almeno sette Blues Music Awards, in quanto si tratta, a mio parer,e di una delle più belle voci espresse dalla musica americana nell’ultimo trentennio. La cantante di Detroit, che con questo Change In The Weather giunge al suo disco n° 15, non ne ha mai sbagliato uno, ogni uscita almeno pari alla precedente, in questo aiutata dal suo fido collaboratore storico Dave Darling, che ancora una volta si occupa della produzione, al solito molto curata, ma anche molto essenziale nella sua linearità, con l’impiego della nuova touring band della Magness,  il batterista Steve Wilson, il bassista Gary Davenport e il chitarrista Zachary Ross, anche al dobro, ai quali si affianca lo stesso Darling alla chitarra e l’ottimo tastierista Arlan Oscar, oltre ad un paio di ospiti che vediamo subito.

L’approccio nell’affrontare queste dodici canzoni (7 dei Creedence e 5 non notissime del Fogerty solista) è un po’ quello dei grandi cantanti jazz e dei crooner del passato nelle interpretazioni dei songbook della canzone americana d’autore: quindi non rigorosamente simili all’originale, ma mediati dalla sensibilità di questa interprete sopraffina. C’è del blues, del soul, del gospel, ma anche uno spirito fortemente rock, tutti amalgamati alla perfezione: prendiamo l’iniziale title track Change In The Weather, che viene da Eye Of The Zombie, su un insistito battito di mani e un serrato ritmo di chitarra, basso e batteria, si innesta un drive incalzante tra boogie e blues-rock, con le chitarre cattive e sporche e la voce roca, calda ed espressiva di Janiva che scalda subito i motori. Lodi era uno dei capolavori “country” dei CCR, un brano bellissimo, che qui viene rivisitato sotto forma di duetto insieme alll’eccellente cantautore outlaw country di LA Sam Morrow, in un perfetto equilibrio tra la voce alla carta vetrata di Morrow e quella vellutata di Janiva, diventa un urgente blues-rock tirato e chitarriistico, non privo di elementi Memphis soul, grazie ad un organo scivolante e al call and response dei due cantanti, una meraviglia; Someday Never Comes, un brano tratto da un album minore dei Creedence come Mardi Gras, è uno di quelli che addirittura superano l’originale, su un ritmo ondeggiante tra accelerazioni rock e tempo da ballata, la nostra amica ci regala una prestazione vocale sontuosa https://www.youtube.com/watch?v=nf0W6N05_yE .

A proposito di ballate, la prima del lotto è Wrote A Song For Everyone, che non casualmente era il titolo dell’album del 2013 dove Fogerty riprendeva i suoi vecchi brani https://discoclub.myblog.it/2013/06/06/sempre-le-stesse-canzoni-ma-che-belle-john-fogerty-wrote-a-s/  (e anche Someday Never Comes ne usciva rivitalizzata), ma anche uno dei brani più belli di Green River e dell’opera omnia dei Creedence, partendo da una capolavoro la Magness e Darling hanno pensato di dargli una veste deep soul come quella che avevano le grandi versioni degli artisti Stax quando attingevano dal repertorio rock, cantata sempre in modo incantevole  . Altro duetto delizioso è quello con il decano Taj Mahal nella non notissima Don’t You Wish It Was True, un pezzo tratto da Revival del 2007, che diventa un agile Delta Blues con il banjo di Taj a doppiare il dobro di Ross, e il vocione di Mahal ad accarezzare la voce quasi mielosa ed ammiccante di Janiva, e un divertente finale ad libitum, mentre Have You Ever Seen The Rain una delle canzoni più politiche dei Creedence (ma anche tra le più belle ed indimenticabili) viene rallentata ad arte per adattarla all’attuale pesante clima sociale americano, e diventa una soffusa e sofferta soul ballad, con organo d’ordinanza, armonie vocali avvolgenti e un’altra interpretazione da sballo della Magness, ma quanto canta bene?

Anche Bad Moon Rising era una dichiarazione di intenti del vecchio Fogerty, trasformata in un trasognato blues a tutta slide, molto Cooderiano, che però a tratti non dimentica l’urgenza dell’originale, e come si potrebbe? https://www.youtube.com/watch?v=K9AEbz0hY1g  Anche Blueboy, presa da Blue Moon Swamp, non è un brano celeberrimo, ma è l’occasione per un tuffo nel classico suono swamp dell’originale, ancora con dobro ed elettrica in azione, e non mancano neppure i classici coretti. Fortunate Son cantata da un punto di vista femminile è inconsueta, ma il riff non manca, la grinta rock neppure, questa canzone si può fare solo così, magari rallentarla appena, ma mantenendo la forza dirompente del brano, caratterizzato da un bel assolo di piano di Oscar, e anche Déjà Vu (All Over Again), dopo un inizio attendista sprigiona la consueta potenza delle canzoni di Fogerty, magari più raffinata e meno sparata a tutta forza, diciamo un ottimo mid-tempo. A Hundred And Ten In The Shade, ancora da Blue Moon Swamp, profuma nuovamente di blues usciti da paludi misteriose e profonde, lasciando la conclusione ad un incantevole tuffo nel country/bluegrass di una vivacissima e ruspante Looking Out My Back Door, con il dobro di Rusty Young, le acustiche di Darling e Jesse Dayton e il violino di Aubrey Richmond. Idea complessiva brillante e personale, esecuzione anche migliore, trai i dischi più belli di quest’anno.

Bruno Conti

Un Vero Sudista…Californiano! Sam Morrow – Concrete And Mud

sam morrow concrete and mud

Sam Morrow – Concrete And Mud – Forty Below CD

Sam Morrow è un countryman atipico: intanto è di Los Angeles, non proprio una delle patrie del country (anche se Bakersfield non è lontanissima dalla metropoli californiana), ed in più il suo suono coinvolge anche elementi differenti. Di base Sam si ispira al country texano di ispirazione Outlaw, Waylon Jennings è uno dei suoi eroi musicali, ma spesso vira verso una musica di stampo southern con marcati elementi funky, un genere in cui gruppi come i Little Feat erano maestri. Se a questo aggiungiamo una serie di canzoni ben scritte ed un approccio grintoso e vigoroso, ne viene fuori che Concrete And Mud, il terzo album di Morrow (a tre anni di distanza dal precedente, There Is No Map), è un lavoro riuscito, piacevole, forse derivativo in certi momenti ma che di sicuro non mancherà di soddisfare gli estimatori del vero country-rock. Prodotto da Eric Corne, il disco si avvale della collaborazione di un solido gruppo di strumentisti, del quale i più conosciuti sono senz’altro lo steel guitarist Jay Dee Maness (ex membro di International Submarine Band e Desert Rose Band, ma suonò anche nel leggendario Sweetheart Of The Rodeo dei Byrds) ed il bassista Ted Russell Kamp, già nella band di Shooter Jennings.

Il brano d’apertura, Heartbreak Man, di country ha poco, ricorda di più i già citati Little Feat, ha il ritmo ed il passo delle canzoni dell’ex band di Lowell George, un sapore a metà tra Sud e funky, una bella slide ed un suono “grasso”. Con Paid By The Mile ci spostiamo invece in Texas, ritmo sostenuto e suono maschio, con l’influenza di Waylon ben presente, per un brano che si ascolta tutto d’un fiato (e le parti chitarristiche sono ottime), mentre San Fernando Sunshine è lenta e cadenzata, una country ballad ancora in puro stile Outlaw, ci vedo qualcosa anche di Willie Nelson, anche se Sam è meno raffinato di Willie (e, ma non c’è bisogno di dirlo, abita un centinaio di piani sotto nella Tower Of Song, per dirla con Leonard Cohen). Quick Fix, ha di nuovo un mood funky, ritmo spezzettato ed una melodia diretta e godibile, sul genere di classici come Dixie Chicken (facendo ovviamente le debite proporzioni).

Good Ole Days è invece un irresistibile honky-tonk di nuovo alla maniera texana (qualcuno ha detto Billy Joe Shaver? Bravo), spedito e coinvolgente. Weight of A Stone è più attendista e non assomiglia a nulla di quanto sentito finora, essendo una languida ballata che potrebbe essere stata scritta da uno come Raul Malo, Skinny Elvis è un velocissimo rockabilly con chitarre e sezione ritmica in evidenza, tra le più immediate, mentre Coming Home è puro country classico, con un feeling anni settanta e la splendida steel di Maness a ricamare sullo sfondo. L’album termina con Cigarettes, ancora cadenzata ma stavolta con tracce di swamp rock alla Tony Joe White, e con Mississippi River, intenso slow acustico (ma full band), che chiude positivamente un disco fresco, solido e riuscito.

Marco Verdi