Le Sue Annate Migliori Come Solista. Doug Sahm – Texas Radio & The Big Beat Live

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Doug Sahm – Texas Radio & The Big Beat – 2 CD Floating World/Ird

Douglas Wayne Sahm, in arte Doug Sahm, ma anche Wayne Douglas o Doug Saldana, a seconda di come si svegliava la mattina, nativo di San Antonio, è scomparso nel 1999 per un attacco di cuore, a 58 anni appena compiuti, ma prima aveva avuto una carriera lunghissima, durata quasi cinquanta anni, visto che aveva esordito in radio a  5 anni: a 11 anni nel 1952 era già sul palco per l’ultimo concerto di Hank Williams, quello originale, e dalla sua città se ne è andato tra gli anni ’60 e ’70 a San Francisco con il Sir Douglas Quintet, poi anche con i Texas Tornados e i Los Super Seven, di cui è stato il leader. Nel 1972, tornato ad Austin,  era stato messo contratto dalla Warner, per un disco solista a nome Doug Sahm And Band, uscito ad inizio 1973, un gruppo che per l’album omonimo, nelle sue fila, oltre al fido Augie Meyers, vedeva una sfilza di ospiti, da Bob Dylan a Dr. John, passando per Flaco Jimenez, David “Fathead” Newman e David Bromberg, per un disco che conteneva Wallflower, scritta da Dylan, ma da sempre uno dei suoi inni immortali, come pure Is Anybody Goin’ To San Antonio, il tutto in un frullato di generi che andava dal country al blues, al rock, qualche accenno di Tex Mex, Honk Tonk e molte altre influenze, visto che Doug Sahm nella sua carriera ha suonato proprio di tutto, se vogliamo escludere punk e new wave.

Nemmeno dopo un mese dall’uscita del disco, il 21 febbraio 1973, è sul palco del Bijou Café di Philadelphia per un broadcast live (già immortalato nel CD Outlaws And Inlaws uscito nel 2013), mandato però in onda dal Texas, e destinato a promuovere l’album, accompagnato da una band dove suonano sicuramente Augie Meyes, all’organo e seconda voce, David “Fathead Newman al sax e George Rains alla batteria, gli altri non è dato sapere. Il concerto pesca anche nel repertorio del Sir Douglas Quintet e trai classici del blues, del R&R e del country. Come usava all’epoca, e anche oggi, ci sono solo due brani estratti dal disco appena uscito, ma Sahm e soci divertono subito il pubblico presente con una gagliarda Oh Pretty Woman, che tutti ricordiamo nella versione di Roy Orbison, qui ripresa tra blues e R&B fiatistico, con la solista pungente di Doug in bella evidenza, per poi passare alla romantica e sentita I’m Glad for Your Sake (But I’m Sorry for Mine), canzone che era tra i cavalli di battaglia di Ray Charles, altro pezzo di chiara derivazione R&B, assolo di sax annesso. La registrazione è ottima, la musica pure, e si prosegue con la divertente She’s About A Mover del Sir Douglas Quintet, a riprova della varietà del repertorio proposto, con l’organo Farfisa di Meyers e la chitarra di Sahm ad imperversare, subito seguita da un altro classico del SDQ come Are Inlaws Really Outlaws, altro funky soul con fiati sincopati, molto alla James Brown.

Talk To Me è sorta di ballatona romantica alla Sam Cooke, brano che il nostro poi avrebbe inciso in un CD intitolato Juke Box Music, che ben inquadra lo stile musicale universale del nostro, in un attimo poi si passa al super classico (Is Anybody Going To) San Antone, tra country e pop raffinato, con Doug al violino e Augie all’organetto; anche Wolverton Mountain e Jambalaya sono country songs divertenti e di pura marca Doug Sahm, sempre con violino indiavolato al seguito. Right Or Wrong, molto swingata e con uso fiati, rimarrà nel repertorio anche dei Texas Tornados, prima di tuffarsi nel blues con una sapida Stormy Monday e di nuovo nel garage rock targato Sir Douglas Quintet di The Rains Came e di Mendocino, inframmezzate dalla lunga Papa Ain’t Salty, l’altro brano tratto dal disco del 1973, un  blues tiratissimo di T-Bone Walker. Nel secondo CD c’è un concerto più breve, 8 brani per 33 minuti, inciso nell’agosto del 1974 alla Liberty Hall di Houston, sempre di buona qualità, con cinque tracce Texas Tornado, Rain Rain, At The Crossroads (un brano splendido che suonavano anche i Mott The Hoople), Georgia On My Mind e Wasted Days And Wasted Nights non presenti nel concerto dell’anno prima e Doug Sahm e il suo gruppo, questa volta la Tex Mex Band, sempre in gran forma. Visto che il doppio CD costa come un singolo e il musicista texano era in uno dei suoi periodi migliori direi che va consigliato caldamente sia ai neofiti che ai fans, con l’avvertenza citata all’inizio, considerando che pure le informazioni in copertina non aiutano molto.

Bruno Conti

Carina, Brava E Con Le Amicizie Giuste! Whitney Rose – Rule 62

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Whitney Rose  – Rule 62 – Six Shooter/Thirty Tigers CD

Sono passati sono pochi mesi dall’ottimo EP South Texas Suite http://discoclub.myblog.it/2017/03/02/texana-no-canadese-whitney-rose-south-texas-suite/ , ma la giovane Whitney Rose (artista canadese di nascita ma americana d’adozione) è già tornata tra noi, questa volta con un full length intitolato Rule 62. La carriera della brava (e bella) artista è legata a doppio filo con la figura di Raul Malo, che ha prodotto l’EP del 2017 ed anche il precedente album di Whitney (e secondo in assoluto) Heartbreaker Of The Year, e la scintilla è scattata quando la Rose ha aperto nel 2013 i concerti dei Mavericks: Malo si è innamorato, professionalmente si intende, della country singer canadese e l’ha guidata passo dopo passo, fino a questo nuovo album che già dal primo ascolto si candida come il migliore dei tre pubblicati dalla ragazza (ed alla produzione oltre a Raul c’è anche un’altra nostra vecchia conoscenza: Niko Bolas, vecchio braccio destro di Neil Young).

Il matrimonio musicale tra la Rose e Malo funziona alla grande, in quanto lo stile di Whitney si ispira direttamente al country più classico, quello di Patsy Cline e Hank Williams (anche se la grinta da rocker alla giovane non manca di certo), e le atmosfere un po’ retro predilette da Raul si sposano alla perfezione con certe sonorità. Se aggiungiamo che la Rose ha anche buone capacità di scrittura e che al disco partecipa una bella serie di musicisti di valore (tra cui il batterista dei Mavericks, Paul Deakin, il bassista Jay Weaver, anch’egli ultimamente con la band di Raul, il fiddler Aaron Till, già con gli Asleep At The Wheel, il chitarrista Kenny Vaughn e l’ottima pianista Jen Gunderman), non è difficile capire perché questo Rule 62 è un lavoro da tenere in considerazione. L’avvio è splendido: I Don’t Want Half (I Just Want Out) è country puro e cristallino, un honky-tonk del genere che Malo e soci facevano ad inizio carriera, cantata da Whitney con la voce giusta e dal suono scintillante. La mossa Arizona ha il ritmo tipico di certe cose del Sir Douglas Quintet (e quindi profuma di Texas), e l’uso del sax dona ancora più colore al sound, Better To My Baby è molto anni sessanta, con un tipo di arrangiamento in cui Malo è un maestro (c’è anche un bel chitarrone twang), ma Whitney non vive di luce riflessa, è brava e ha le idee chiare.

E poi le canzoni se le scrive da sola. La languida You Never Cross My Mind dimostra che la Rose non è solo grinta, ma ha un lato dolce che non è da meno (e qui Raul presta anche la sua voce, in sottofondo ma riconoscibilissima), You Don’t Scare Me ha di nuovo un sapore d’altri tempi, un tipo di suono nel quale anche Chris Isaak ci sguazza, ed il ritornello è decisamente accattivante, mentre la fiatistica Can’t Stop Shakin’ cambia registro, in quanto è un autentico e classico errebi suonato con il giusto piglio (e c’è anche un bell’assolo chitarristico), anche se forse qui ci voleva una voce più potente. Una fisarmonica fa capolino nella bella Tied To The Wheel (cover di un brano di Bill Kirchen), una country ballad tersa e luminosa, anch’essa suonata in maniera perfetta, la spedita Trucker’s Funeral ha un mood anni settanta, un misto di Dolly Parton e Jessi Colter, anch’essa di ottimo livello; Wake Me In Wyoming è ancora honky-tonk deluxe che più classico non si può, You’re A Mess ha il sapore delle produzioni dell’età d’oro della nostra musica (anche qui lo zampino di Malo si sente), mentre Time To Cry è puro country’n’roll, diretto e trascinante, e chiude in maniera energica un dischetto davvero piacevole, riuscito e da non sottovalutare.

Marco Verdi

Sempre A Proposito Di “Giovanotti”, Un Promettente Texano! Augie Meyers – When You Used To Be Mine

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Augie Meyers – When You Used To Be Mine – El Sendero CD

Augie Meyers in Texas è una vera è propria leggenda, avendo militato per anni prima nel Sir Douglas Quintet e poi, sempre a fianco di Doug Sahm, negli splendidi Texas Tornados. Ma Meyers è soprattutto un formidabile pianista ed organista, e ha suonato come sessionman con una lunghissima serie di grandi musicisti, tra i quali vale la pena ricordare Bob Dylan, Tom Waits, John Hammond, Willie Nelson e Tom Jones. Ma Augie negli anni ha portato avanti una carriera parallela come solista, fatta di dischi tutti di buona fattura ispirati dalla country music più classica, carriera che negli ultimi anni (cioè da quando, a seguito della morte di Sahm e Freddy Fender, i Tornados si sono sciolti) è stata abbastanza prolifica, con praticamente un’uscita all’anno da almeno un lustro a questa parte. When You Used To Be Mine è il titolo del nuovissimo CD di Augie, ennesimo bel disco di puro country texano, molto classico e stranamente senza le contaminazioni tex-mex per le quali il nostro è famoso; con ottimi musicisti in session (tra cui John Carroll alla chitarra solista, Tommy Detamore, maestro della steel guitar, e Bobby Flores al violino), When You Used To Be Mine presenta il consueto mix di brani originali scritti da Meyers (sei) e cinque covers scelte con cura, il tutto cantato da Augie con attitudine da consumato performer e, non dimentichiamolo, suonato al meglio dal ristretto gruppo di amici, nel quale certo non manca il pianoforte del leader. Non è un capolavoro, forse nessuno dei suoi album lo è mai stato, ma potete stare sicuri che se gli darete fiducia vi farà trascorrere una mezz’oretta davvero piacevole.

La title track, posta in apertura del CD, è un delizioso swing d’altri tempi, raffinato e cantato da Augie con tono confidenziale, ed un’ottima prestazione del violino; Belize è un godibilissimo country-rock texano, dal ritmo alto e vicino a certe cose di Jerry Jeff Walker, una bella steel ed un accenno caraibico nel finale, mentre The Blues Come Around è un pezzo tra i meno noti di Hank Williams, ripreso con assoluta aderenza al suono del grande Hank: Meyers ha la voce giusta, e classe ed esperienza non gli mancano di certo. Con I Used To Pull Your Pigtails siamo ancora in pieno Texas, un trascinante country-rock proposto con il solito stile scanzonato, Image Of Me (una vecchia hit per Conway Twitty) è un honky-tonk lento, che più classico non si può, I Wanna Fall In Love Again è puro country, limpido, orecchiabile ed al quale il carisma di Augie dona il tocco in più. The Fool (scritta da Lee Hazlewood) è un pezzo che nelle mani sbagliate potrebbe risultare addirittura banale, ma che il nostro nobilita con classe e nonchalance; la spedita I Get Off When You Turn It On è country-grass, godibile e divertente, così come la cover dell’arcinota Maybellene, con in più quel tocco country che l’originale di Chuck Berry non aveva. Il CD si chiude con la tersa e leggermente più roccata Sunny Side Of My Life (un successo in passato per Merle Haggard e Roger Miller) e con la squisita Walking In The Footsteps Of The Lord, un country-gospel dal ritmo sostenuto e con un bellissimo assolo di pianoforte, tra le più riuscite del dischetto.

Anche se in tarda età (quest’anno sono 77), Augie Meyers si è messo a fare musica con una continuità mai avuta prima, e questo non può che farci piacere.

Marco Verdi

E Questi Da Dove Sono Sbucati? Doug Sahm – Kevin Kosub …And Friends

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Doug Sahm – Kevin Kosub  …And Friends – Kevin Kat Records

Questo è uno dei classici casi in cui la proprietà commutativa dell’addizione non si applica, ovvero, cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia. Infatti il nome di Doug Sahm posto in testa all’intestazione di questo CD è quanto meno fuorviante: il nostro amico risulta essere morto nel 1999, ma questo lo si rileva solo, en passant, dalle note interne del libretto. Guardando l’album dal di fuori sembra una super session tra Doug Sahm, Kevin Kosub (amico e complice di Doug in quel di San Antonio, dove è stato il creatore e curatore di un Museo dedicato a quest’ultimo, in una piccola stanza della sua abitazione, e questo già indica che non è un personaggio “comune”), ma se poi aggiungiamo, e lo si evince dalla foto (spartana) di copertina del disco, che gestisce anche una piccola etichetta, la Kevin Kat Records, composta da altri personaggi, diciamo bizzarri, come lui, le cose si complicano ulteriormente.

E per completare la disamina dei contenuti, ma ci torniamo tra un attimo, in effetti la presenza di Doug Sahm è limitata ai quattro brani conclusivi, incisi non si sa quando, con chi, dove e perché. Il primo è anche interessante, ma gli altri tre probabilmente incisi, si deduce dalla qualità (scarsa) delle registrazioni, quando Sahm era un giovane di belle speranze agli albori della sua carriera, meno. Quindi confermo che se poniamo “l’addendo” Doug Sahm in coda all’addizione il risultato cambia, e non di poco. Poi, se proprio vogliamo, e torniamo al contenuto del CD, il disco non è neppure brutto, soprattutto per gli appassionati della musica texana, ma anche del rock, del blues, del R&R, del country, della musica kitsch, nell’album si trova di tutto.

Se volete fare una prova prima di eventualmente acquistare il manufatto potete andare su youtube.com, cliccate Kevin Kosub And Friends e trovate parecchi video di questo album, dove potete capire chi sia questo personaggio, taglio di capelli alla George Jones, abbigliamenti vari ed inconsueti, circondato da una band mentre interpreta i tre brani a lui attribuiti, presumo in una baracca nel giardino della sua abitazione multiuso, accompagnato dai “friends” del titolo, che sono pure bravi tra l’altro, fuori di testa come lui, Marco Villareal al basso, Urban Urbano (?!?) alla batteria, Paul Kandera alla chitarra, ma anche Johnny Cockerell, altro chitarrista, leggenda locale della San Antonio Blues Society, così viene detto e. l’unico che conosco, ammetto la mia ignoranza su tutti gli altri, Augie Meyers, alle tastiere in alcuni brani.

Sembrano tutti abbastanza fuori di testa, Kevin Kosub in testa, che canta con una voce rauca e sguaiata alla Jim Dandy dei Black Oak Arkansas (ma molto peggio) canzoni dal testo delirante che parlano di mettere sotto impeachment Obama o sui veterani del Vietnam, a tempo di rock, dal ritmo tirato e gagliardo comunque, con chitarre niente male, nei primi tre brani. Poi c’è Kandera che fa dell’ottimo blues, Mark Stewart, ancora del texas blues swingante con fiati, Dan Marcuse dell’outlaw country alla Waylon & Willie, del R&R e del blues anche lui, suonato mica male, confermo. Poi ci sono gli United, attivi dal 1968, che sono l’anello mancante tra il garage rock e il Sir Douglas Quintet, e pure un poco di Tex-mex con fisa a cura di Johnny Cockerell, ma anche del blues fuori di testa (più del resto). Poi c’è il settore kitsch music a cura dei Karloz e di una tipa, tale Roxanne Ramsey, che sembra Trump con la parrucca  (ops, è già così? Trump con i capelli lunghi biondi!), e propone canzoni improbabili tra cui Don’t Take Christ (Out Of Christmas). E infine le quattro canzoni di Doug Sahm, tra cui quella valida è la versione tex-mex di un brano celeberrimo di Carole King che diventa Will You Still Love Me Manana, in ispano americano, le altre due R&R primevo, con l’esclusione di un eccellente tuffo nel blues, una Yonder Walls di Elmore James che sembra fatta dagli Yardbirds (e incisa forse anche in quegli anni).

Un disco “strano” a dir poco, ma se avete del denaro da investire si potrebbe fare pure un tentativo, non è così malvagio, forse.

Bruno Conti

Country? No, Texas Music! Augie Meyers – Loves Lost And Found

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Augie Meyers – Loves Lost And Found – El Sendero CD

Augie Meyers, leggendario cult artist texano nonché apprezzato e richiestissimo sessionman (ha suonato, tra i tanti, su dischi di Bob Dylan, Tom Waits, John Hammond Jr., Raul Malo, Tom Russell), è rimasto, ormai da quasi quindici anni orfano, del suo partner musicale di una vita, il grande Doug Sahm, che lo aveva praticamente sempre voluto al suo fianco nei suoi numerosi progetti.

Sin dagli anni sessanta, il suono dell’organo farfisa di Meyers ha caratterizzato i successi di Sahm, con o senza il Sir Douglas Quintet, contribuendo all’invenzione del tex-mex sound: morto Doug, sono andati in soffitta anche i Texas Tornados (nel frattempo, è passato a miglior vita anche Freddy Fender, omaggiato nel 2010 dall’ultimo disco dei Tornados, Esta Bueno!, con Augie, Flaco Jimenez e Shawn Sahm, figlio di Doug), e quindi il nostro ha negli ultimi anni ripreso ad incidere album solisti con buona regolarità.

Augie è tornato al suo antico amore: la musica country (sempre presente comunque nel suo dna), un country molto texano, denso di ritmo e swing ma anche di melodie influenzate dalla vicinanza del Messico, ed il suo nuovo lavoro, Loves Lost And Found, ci regala un’altra mezz’oretta di buon Texas country. Dei dieci brani presenti sul disco, sette sono a firma di Augie e tre sono covers di classici, ed il nostro lascia per un attimo da parte l’organo e si accompagna alla fisarmonica (non è Flaco, ma se la cava), assistito da una manciata di ottimi compagni di viaggio, tra cui spiccano i noti Tommy Detamore e Bobby Flores, rispettivamente alla steel guitar e violino. Loves Lost And Found non è un capolavoro, ma è in grado di regalare mezz’ora di piacere e divertimento agli appassionati: Augie si rivela anche un buon vocalist (con Sahm e nei Tornados la sua voce si sentiva poco), con una timbrica forse non particolarmente carismatica ma corretta.

Apre l’album la swingata e pimpante But Not Now, decisamente texana (ben presente l’influenza di Bob Wills), con ottimi intervanti solisti di steel, violino e pianoforte. I Found Love è un’eccellente ballata di confine, che se fosse uscita su un disco dei Tornados sarebbe stata cantata sicuramente da Fender: la melodia è di quelle che toccano nel profondo, semplice ma non banale. Con Deed To Texas siamo in pieno honky-tonk mood, un brano che anche il George Jones meno legato alle briglie di Nashville (non dimentichiamo che anche Jones era texano) avrebbe gradito.

A Love You A Thousand Ways, di Lefty Frizzell, è rifatta con lo spirito dell’originale, un tuffo indietro (anche nel sound) di sessant’anni, mentre la trascinante Side Effect ha un mood quasi cajun: una delle più immediate e riuscite del disco, anche se Sahm l’avrebbe cantata con più carisma. Be Real è proprio un pezzo del vecchio Doug, e, come si suol dire, class is not water: grande brano, ad Augie basta riproporla con rispetto ed il gioco è fatto. La languida Where Were You When I Needed You è una ballata abbastanza canonica, mentre Pick Me Up On Your Way Down (di Harlan Howard) è puro country d’altri tempi, suonato con freschezza e perizia. Chiudono l’album lo swing lento The Sun Is Shining Down On Me In Texas (titoli corti mai) e la pianistica Prosperity Street, country tune con uan punta di jazz, vicino a certe cose di Willie Nelson.

Non fanno più texani come Augie Meyers.

Marco Verdi