A Proposito Di Coppie Inossidabili! Smokin’ Joe Kubek & Bnois King – Fat Man’s Shine Parlor

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Smokin’ Joe Kubek & Bnois King – Fat Man’s Shine Parlor – Blind Pig Records

“Attenti a quei due” è il titolo di una vecchia serie televisiva (allora si chiamavano così) con Roger Moore e Tony Curtis, che andò in onda per una sola stagione agli inizi degli anni ’70, ma poi venne replicata centinaia di volte, tanto da sembrare più lunga della sua effettiva durata (anche quella era un’usanza dei tempi, e forse oggi ancor di più): in originale si chiamava “The Persuaders” e i nostri due amici Smokin’ Joe Kubek e Bnois King, in qualità di coppia, cercano di persuaderci ancora una volta ad amare il blues con questo Fat Man’s Shine Parlor, il disco che segna il loro ritorno con la Blind Pig, dopo due titoli con la Delta Groove e due con la Alligator (era anche il titolo del primo post sul Blog dedicato alla coppia http://discoclub.myblog.it/2010/04/28/attenti-a-quei-due-dal-texas-smokin-joe-kubek-bnois-king-hav/). Non aspettatevi particolari sconquassi sonori, la formula è risaputa: del sano blues, molto arricchito con iniezioni rock, una robusta dose di boogie e un filo di country per una manciata di canzoni firmate dai due marpioni che pescano idee, riff e temi musicali dalla tradizione e li rivedono nella loro ottica delle 12 battute, quella di un ottimo chitarrista come Kubek e di un gagliardo cantante (e chitarrista) come King: e la formula, ovviamente, per quanto risaputa, funziona da oltre 30 anni. Non dobbiamo aspettarci il capolavoro, ma non corriamo neppure il rischio di delusioni, in fondo, per fare sfoggio di cultura spicciola, come dicevano i latini, “in medio stat virtus” e quindi accontentiamoci, perché questo ci aspettiamo da loro.

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Con impeto filosofico i due ci dicono che il Fat Man’s Shine Parlor (che era il negozio dove si lucidavano le scarpe) era una metafora per qualcosa di più oscuro, poiché all’interno di questi spazi si svolgevano anche altri traffici più loschi, dal gioco d’azzardo alla prostituzione, innaffiati da abbondanti quantità di alcol, ma nel caso di questo disco, ci consigliano di spalancare la porta perché all’interno, in modalità molto più positiva, troveremo molte delizie musicali, più di quelle che vengono propagandate dall’insegna. Ovvero dodici sani esempi di come si suona il blues anche nel 21° secolo, cioè come una volta: che sia il blues ipnotico e ripetitivo dell’iniziale Got My Heart Broken, che miscela il classico mood basico di John Lee Hooker con lo spirito boogie di ZZ Top e Thorogood, grazie alla voce vissuta ma sempre potente di King e alla chitarra tagliente di Kubek, in questo brano potenziata da quella dell’ospite Kim LaFleur e, come detto, la formula funziona sempre https://www.youtube.com/watch?v=hivX0H689QM . La successiva Cornbread reitera questo spirito boogie, con le tre chitarre che si scambiano riff di gusto a destra e a manca, mentre la nuova sezione ritmica di Shiela Klinefelter (non è un errore di battitura, si chiama proprio così), al basso e Eric Smith, alla batteria dimostra di conoscere il mestiere alla perfezione https://www.youtube.com/watch?v=MkKBnhvzNFs . I nostri dimostrano di conoscere a menadito anche l’arte della ballata blues, e Diamond Eyes ne è un ottimo esempio, così come in Crash And Burn ritornano alle radici del vecchio R&R, come gli stessi Creedence o i Blasters meglio non saprebbero fare. River Of Whiskey, di nuovo con la presenza di LaFleur alla terza chitarra, “ruba” il classico riff di Crossroads nell’etere, dove galleggia sempre, e lo adatta per questa altra lezione di blues semplice ma efficace, con Joe Kubek alla slide e gli altri pronti a replicare, niente di memorabile ma piacevole https://www.youtube.com/watch?v=xrIsNFU77cU .

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Don’t Want To Be Alone illustra lo spirito più soul della coppia, la chitarra lirica di Kubek punteggia una ottima prestazione vocale di Bnois King, deep blues soul. Brown Bomba Mojo è una divertente variazione sul menu abituale, le due chitarre all’unisono e la ritmica costruiscono un bel groove che rende tutta la grinta del brano https://www.youtube.com/watch?v=05_kwLGKsIs , How Much viceversa, ha di nuovo quello spirito old style, tra R&R e R&B vecchia scuola, con piccoli break di batteria che agitano la costruzione lineare della canzone https://www.youtube.com/watch?v=OHsF_udSLhc . One Girl By My Side, ha quel piccolo flavor country-southern cui si accennava in apertura, elemento comunque sempre presente nella discografia di Kubek & King https://www.youtube.com/watch?v=_CCQdw9Ktz0  e non può mancare un classico shuffle come Lone Star Lap Dance, uno strumentale che permette ai due di mettere in evidenza un brillante solismo. E ancora più ovviamente (ma non ci lamentiamo) non può mancare neppure il classico lentone intenso e carico di pathos, funzione svolta dall’ottima Done Got Caught Blues, con entrambi i protagonisti al meglio delle rispettive possibilità, soprattutto Kubek che ci regala un assolo di grande tecnica e feeling https://www.youtube.com/watch?v=OxmU9-AEqZA . Per concludere si torna con Headed For Ruin al rock-blues grintoso e chitarristico di marca texana (in fondo vengono da Dallas) che è un poco il loro marchio di fabbrica.

Bruno Conti

Quelle Brave (E Anche Belle) Non Bastano Mai! Sena Ehrardt – Live My Life

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Sena Ehrardt – Live My Life – Blind Pig

Sena Ehrardt fa parte delle nuove generazioni del blues, quelle che hanno probabilmente assorbito le loro influenze tramite la famiglia, non per nulla nei due dischi precedenti il chitarrista della band e co-autore di parecchi brani era il babbo Edward, gran chitarrista https://www.youtube.com/watch?v=2FZV7lFdE90 . Lo stesso che nella sua infanzia ed adolescenza l’aveva portata a vedere i concerti di musicisti come BB King, Koko Taylor, i Fabulous Thunderbirds, tutti di passaggio nella sua nativa Minneapolis. Anche se poi, secondo le sue stesse parole, a scatenare la decisione di diventare una musicista è stato un concerto di Luther Allison (uno che dal vivo è sempre stato considerato una sorta di controparte nera di Springsteen, per l’incredibile intensità e durata dei suoi concerti). Ma a cementare questa decisione sono apparsi anche personaggi come Susan Tedeschi o Jonny Lang. Diciamo che sin dall’esordio nel 2011, con Leave The Light On, Sena si è rivelata vocalist di pregio e buona autrice, anche se non suona nessuno strumento, è in possesso di una voce agile e coinvolgente, diciamo della categoria delle Beth Hart o Dana Fuchs, pur non avendo quella potenza vocale. La sua casa discografica le ha affiancato, prima Jim Gaines, per il secondo album All In, ed ora David Z, per questo Live My Life. Come ho scritto molte volte si tratta di due produttori, al di là della fama e dei musicisti con cui hanno lavorato, soprattutto il secondo, che non mi hanno mai fatto impazzire per il tipo di suono che realizzano nei loro dischi.

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Anche in questo caso David Z, in parecchi brani, impone questa patina radiofonica, ma per una volta, in lunghi tratti, il suo lavoro non mi dispiace https://www.youtube.com/watch?v=uyxJhwm63Rg . Affiancata da un gruppo dove spicca il suo collaboratore, chitarrista, fidanzato e spalla musicale, non necessariamente nell’ordine, Cole Allen, la Ehrardt ci propone un disco di rock, blues, pop e soul, con una netta preponderanza del primo, ma con abbondanti razioni anche degli altri tre e qualche occasionale caduta di stile. Il suono all’inizio è vivo, pimpante ed elettrico, come dimostra subito Stakes Have Gone Up, firmata dal tastierista Bruce McCabe, un buon esempio di contemporary blues (che non è una parolaccia), con un sound che può ricordare certe cose di Robert Cray o del primo Jonny Lang, ma anche delle sue citate controparti femminili Tedeschi, Fuchs e Hart, bella voce, la chitarra di Allen subito tagliente, ritmica sul pezzo, tastiere non invadenti, tutto ben miscelato.Things You Shouldn’t Need To Know è anche meglio, ancora più bluesata, scritta in coppia dalla Ehrardt (un nome che è uno scioglilingua) e da Allen, con un sostanzioso contributo dalla slide di Smokin’ Joe Kubek che inchioda un assolo fumante https://www.youtube.com/watch?v=Z5XdkR2p7f4 . Slow Down è proprio il vecchio classico di Larry Williams, un brano che è stato cantato anche dai Beatles, una via di mezzo tra R&R e blues, qui modernizzato su tempi rock’n’soul, sia pure leggermente snaturato e reso quasi irriconoscibile, con risultati finali comunque non malvagi, grazie a Cole Allen, che è chitarrista di pregio e sostanza e alla buona vocalità di Sena https://www.youtube.com/watch?v=-exNr2mapm0 .

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Help Me Through The Day è un vecchio brano di Leon Russell, una ballata di buon spessore dove David Z comincia ad inserire qualche tastierina non ancora troppo fastidiosa, ma la solita chitarra porta a casa il risultato. Fin qui tutto bene, ma Live My Life vira verso un funky rock più commerciale e di maniera, molto radiofonico, sembra un brano anni ’80 di Pat Benatar, fin nell’assolo di Allen che replica quelli di Neil Giraldo; anche Chilled To The Bone è un rock-poppettino teleguidato da David Z (però nella versione unplugged https://www.youtube.com/watch?v=eF_FFXCjdss, ormai il blues è un lontano ricordo e puree Too Late To Ask cantata a due voci con Cole Allen, rimane da quelle parti, ricordando molto le ultime cose di Jonny Lang, non proprio le più esaltanti. Everybody Is You è funky allo stato puro, molto seventies, anche se non memorabile, assolo escluso, ma quando tutto sembra prendere questa brutta china sbuca dal nulla una cover di If Trouble Was Money di Albert Collins che è un grande slow blues, dove sia la Ehrardt che Cole Allen, e anche Bruce McCabe alle tastiere, dimostrano tutto il loro valore, discreto il rocker Did You Ever Love Me At All, un altro duetto dei due piccioncini e non male anche la conclusiva Come Closer, con qualche elemento country. La stoffa e la voce ci sono, la ragazza ha anche dalla sua una notevole avvenenza, bionda, occhi azzurri, ma musicalmente non sempre tutto è di mio gradimento,  però come sempre trattasi di parere personale.

Bruno Conti

Due “Vecchi Marpioni” Del Blues Tornano All’Elettrico. Smokin’ Joe Kubek & Bnois King – Road Dog’s Life

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Smokin’ Joe Kubek & Bnois King – Road Dog’s Life – Delta Groove

Dopo l’Unplugged Close To The Bone, uscito lo scorso anno per la Delta Groove, l’accoppiata Smokin’ Joe Kubek & Bnois King (una delle più collaudate ed affidabili del blues moderno) per questo secondo disco con l’etichetta di Van Nuys, California, torna alla formula classica del blues elettrico ( vedi smokin%27+joe+kubek Have Blues Will Travel) e per farlo si affida ad alcuni personaggi che gravitano intorno alla casa discografica: il Boss Randy Chortkoff è il produttore dell’album, ma si alterna anche con Kim Wilson, all’armonica in alcuni brani, Kid Andersen, il chitarrista di Little Charlie & The Nightcats si divide gli spazi della solista con Kubek e King, in una gagliarda That Look On Your Face, dove le chitarre ci danno dentro alla grande. E la sezione ritmica Willie J. Campbell, Jimi Bott è quella degli ottimi Mannish Boys. Sempre perché i musicisti, checché quello che pensano alcuni, sono importanti. E qui siamo ben coperti.

Anche le canzoni ovviamente rivestono la loro importanza e Kubek e King, per l’occasione ne hanno scritte alcune veramente gustose. Ma partiamo dalle cover: per una giusta ecumenicità ce n’è una degli Stones, Play With Fire e una dei Beatles, scritta da George Harrison, Don’t Bother Me. Più classicamente blues-rock la prima, interessante la versione rallentata della seconda, una delle canzoni meno note di George, che prende vita in questa bella e raffinata versione con un paio do lirici assolo di entrambi a nobilitarla nella parte centrale e finale.

Per il resto è business as usual per i due compari che, nonostante la vita da cani sulla strada, se la ridacchiano sulla copertina del disco e ci deliziano con una ulteriore dose di ottimo blues and roll Texas style:dalle atmosfere sudiste di Big Money Sonny passando per il suono rootsy di Come On In per arrivare al blues puro di Nobody But You affidato alle voci e alle armoniche di Kim Wilson e di Chortkoff, con le chitarre taglienti sempre all’erta.

E poi di nuovo con il piede sull’acceleratore per la title-track che conferma le ottime attitudini rock-blues del boogie del trio, ma anche in grado di prodursi in un classico slow cadenzato come K9 Blues o nelle derive vagamente latineggianti di That Look On Your Life sempre con le due chitarre impegnate a deliziare l’ascoltatore. Face to Face è più normale, ma in Ain’t Greasin’, di nuovo con Kim Wilson di supporto, il sound ricorda molto quello dei gloriosi T-Birds. Talkin’ Bout Bad Luck è il classico bluesazzo urbano alla Muddy Waters, bello tosto e “minaccioso” mentre la conclusiva That Don’t Work No More, vagamente R&R, è piacevole ma nulla più. Delle due cover si è detto, direi una cinquantina di minuti di buona musica, non solo per bluesofili incalliti.

Bruno Conti

Attenti A Quei Due! Dal Texas Smokin’ Joe Kubek & Bnois King – Have Blues Will Travel

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Smokin’ Joe Kubek and Bnois King – Have Blues Will Travel – Alligator Records/Ird

Sono in pista dagli inizi degli anni ’90, ma ad ogni disco migliorano, come il buon vino: questo dovrebbe essere il dodicesimo disco della coppia, il secondo per la Alligator e Kubek e King, un texano e un californiano trapiantato in Texas, continuano a regalarci dischi di blues sempre più freschi e pimpanti. Se dovessi consigliarvi un disco di blues per questo mese, non avrei dubbi, questo Have Blues Will Travel vale ogni euro che ci vorrete investire: oltre a tutto per le stranezze del mercato discografico in Italia è gia disponibile in tutti i negozi mentre in America uscirà solo il 25 maggio. Come avrebbe detto Ruggeri prima di sparire dalla trasmissione di Italia Uno: Mistero!

Non ci sono misteri nella musica delle due personcine che vedete effigiate qua sopra: Joe Kubek è il bianco, chitarrista di grande classe e varieta, sia flat che slide, un omone dalla tecnica raffinatissima (qualche affinità anche con il conterraneo Stevie Ray Vaughn), Bnois (che razza di nome) King è il nero con la voce da bianco (è raro ma succede), nonché ottimo chitarrista ritmico e solista all’occorrenza.

E questa è la particolarità abbastanza inconsueta: è raro trovare nel blues, più o meno canonico, un gruppo con due chitarre soliste, ammesso che esista, ma non ricordo (nel rock viceversa non dico che sia una consuetudine ma accade abbastanza spesso). Aggiungete una sezione ritmica dal drive chiaramente rock et voilà i giochi son fatti. Più facile a dirsi che a farsi ma in questo caso funziona alla perfezione.

Bnois King, oltre che cantare, scrive anche i testi dei brani, la musica è affidata a Kubek, la produzione è nelle capaci mani del boss della Alligator, Bruce Iglauer e i risultati si vedono o meglio si sentono.

La partenza è addirittura fulminante: la canzone che da il titolo a questo disco, Have Blues Will Travel, è uno straordinario brano a trazione sudista, tipo ZZTop epoca Lagrange o il Johnny Winter più pimpante del periodo Johnny Winter And, boogie blues con assoli di solista e slide di Kubek che si alternano a quelli di King senza soluzione di continuità, con una fluidità incredibile e ti coinvolgono alla grande. Got You Out Of My Blood è un sanguigno funky-blues con il King Bnois che omaggia il King Albert del periodo Stax e Joe Kubek non sta a guardare. La varietà di stili e ritmi è uno dei punti vincenti del disco, Out Of Body Out Of Mind , sempre con la voce “strana” di Bnois King, da bianco si diceva, una voce alla Willie Nelson se fosse nato in Texas (ma questo è successo) in un corpo da nero, quindi grinta ma anche gran classe e poi quelle due chitarre che si rincorrono e duellano daii canali del vostro stereo. Ru4 Real? è il classico slow blues che un altro King, Freddie detto “The Texas Cannonball” avrebbe inserito con piacere nel proprio repertorio. Piccola curiosità, Joe Kubek ha iniziato la sua carriera, a metà anni ’70, proprio nel gruppo di Freddie King, che sarebbe morto di lì a poco. Payday in America, con un basso molto funky e la slide di Kubek in evidenza è un altro brano notevole, quasi alla Thorogood mentre Shadows in The Dark con le sue atmosfere ariose si avvicina a sonorità più rock, quasi Claptoniane e My Space or Yours è uno shuffle ancora molto vicino alle sonorità di Freddie King e questo non è certo un difetto. Senza stare a citarveli tutti, nei dodici brani dodici che compongono questo CD non ci sono cedimenti: per chi vuole il suo Blues, bluesato ma con la giusta dose di rock non andate a cercare troppo lontano, questo è il disco che fa per voi!

Giusto per avere una idea di cosa aspettarvi.

Bruno Conti