Nel Periodo Dell’Isolamento Hanno Fatto Questo Breve E Piacevole Dischetto. Sammy Hagar & The Circle – Lockdown 2020

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Sammy Hagar & The Circle – Lockdown 2020 – F.W.O. Inc/Mailboat Records

Si moltiplicano i dischi registrati dai musicisti che se lo sono potuti permettere durante il periodo di isolamento: l’ultimo della lista, per ora, è Sammy Hagar, che insieme ai componenti della sua ultima band The Circle, ha realizzato questo nuovo album, significativamente intitolato Lockdown 2020, con ognuno che ha registrato la sua parte da remoto nella propria abitazione, poi grazie alla tecnica digitale il tutto è stato assemblato per creare un disco fatto e finito. Il gruppo, che nel 2019 aveva pubblicato l’album di debutto Space Between, arrivato fino al 4° delle classifiche, ed è comunque in attività dal 2014, è formato oltre che da Hagar dal bassista dei Van Halen Michael Anthony, dal batterista Jason Bonham, figlio di… e dal chitarrista Vic Johnson, già collaboratore di Sammy nei Waboritas. Ovviamente stiamo parlando di un album di hard’n’heavy, costituito però tutto da cover, meno un brano nuovo Funky Feng Shui, che è quello che ha dato il “la” al progetto (un po’ come aveva fatto nel 1985 il predecessore di Hagar nei Van Halen, David Lee Roth con il mini album Crazy From The Heat).

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Il nostro amico Sammy aveva esordito nel lontano 1973 nei Montrose, una delle band migliori di classic rock americano, autori di quattro dischi negli anni ‘70, guidati appunto da Ronnie Montrose, che in precedenza aveva suonato anche con il Van Morrison californiano nel 1971/’72, quindi non il primo pirla che passava per strada. E rock molto robusto troviamo anche nel nuovo CD (curiosamente distribuito dalla Mailboat, l’etichetta di Jimmy Buffett): lasciando perdere il dibattito se sia meglio lui o David Lee Roth (secondo me nessuno dei due, ma è un parere personale), Hagar, conosciuto come The Red Rocker, non ha più l’ugola di un tempo a 73 anni suonati, ma se la cava ancora, e il contenuto del disco, a chi piace il genere, è in ogni caso godibile e ben suonato. Funky Feng Shui come da titolo è un breve divertissement a tempo di funky https://www.youtube.com/watch?v=gzflDi1NH4Y , poi partono le cover, Won’t Get Fooled Again degli Who è solo un breve intramuscolo di due minuti (non il pezzo completo), come peraltro tutti i brani che faticano a superare i 3 minuti, assai simile all’originale, ma finisce quasi prima di iniziare, anche se il classico riff non manca https://www.youtube.com/watch?v=OyMAJ8JGxkU , Good Enough era su 5150, il primo disco dei Van Halen con Hagar, niente assoli devastanti ma un po’ di tapping di Johnson tipo quello che faceva Eddie.

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A seguire un tuffo nel repertorio di Bob Marley con Three Little Birds, un pezzo che era su Exodus, reggae music, ma sempre piuttosto robusta, nello stile dei Circle, seguita da uno dei classici assoluti dell’hard e degli AC/DC Whole Lotta Rosie, un vero festival del riff, con un Sammy Hagar che in tutte le sessions si dimostra in ottima forma vocale. In effetti per il disco sono stati realizzati una serie di video su YouTube, uno per ogni canzone. Si scava ancora di più nel passato per la classica For What It’s Worth dei Buffalo Springfield  con citazione di Walk On The Wild Side https://www.youtube.com/watch?v=QdY460-XBpY , e ancora più indietro per una scatenata Keep A-Knockin’ di Little Richard, dove nell’incipit Jason Bonham ruba al babbo una drum intro di quelle tipiche degli Zeppelin https://www.youtube.com/watch?v=vnRqIkwK_2w ; a seguire troviamo un altro terzetto di brani dei Van Halen, Right Now che era su For Unlawful Carnal Knowledge, ovvero F.U.C.K, uno dei rari brani dal testo social-politico del gruppo, seguito da Don’t Tell Me What Love Can Do da Balance del 1995, più duro e tirato, e infine Sympathy For The Human riportata come nel repertorio dei Van Halen, ma che era nell’album dei Waboritas del 1999. In chiusura troviamo una versione tirata e gagliarda di Heroes (dedicata agli eroi della pandemia) di David Bowie, con la band che ci dà dentro di gusto https://www.youtube.com/watch?v=CBAvI9IVF8Q ,come peraltro in tutto l’album, per una mezz’oretta piacevole e disimpegnata.

Bruno Conti

Joe Bonamassa – L’Erede Di Eric Clapton O “Solo” Un Grande Chitarrista? Parte I

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Gli Esordi 1991-1996

Quando nel 1991 il nostro amico, alla ricerca di un contratto, viene “gentilmente” rifiutato da varie etichette discografiche, ha solo 15 anni, ma una forte passione per la musica, allora decide di provare con un gruppo e astutamente chiama con lui alcuni “figli di”: c’è Waylon Krieger, il cui babbo Robby militava nei Doors, Berry Oakley Jr. negli Allman Brothers, alla batteria Erin Davis, il figlio di Miles, l’unico senza pedigree personale è “Smokin’ Joe” Bonamassa (giuro!), figlio di Len, che non era famoso, ma aveva un negozio di chitarre, e quindi il destino di Joseph Leonard era già segnato.

joe-bonamassa-age-16-jams-with-robben-fordNato a New Hatford, un sobborgo di Utica, nello stato di New York, nel 1977, Joe fin dalla più tenera età era stato cresciuto a pane e musica, il padre gli faceva sentire i dischi di Eric Clapton e Jeff Beck, che qualche influenza devono pur averla lasciata, come trainer alla chitarra a 11 anni gli fu affiancato Danny Gatton, a 12 apriva per i concerti di B.B. King, quindi stesso palco ma non insieme presumo, ma non c’ero.

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Nel 1994 i Bloodline pubblicano il primo omonimo album per la Emi/Capitol ***, me lo sono andato a (ri)sentire per scrivere questo articolo e devo ammettere che non era poi un brutto disco, Berry Oakley, che aveva sostituito il primo cantante, oltre a suonare il basso, aveva una bella voce e Joe, con l’aiuto di Krieger junior, alla chitarra già si sapeva fare, andatevi a sentire (se trovate il CD nell’usato) il rimarchevole lavoro al wah-wah in Dixie Peach, o il lavoro delle due soliste all’unisono nello strumentale sudista The Storm, alla produzione doveva esserci Phil Ramone, poi fu chiamato Joe Hardy (Tommy Keene, Georgia Satellites, Green On Red), loro amavano il blues(rock) ma l’etichetta gli chiedeva hard rock, comunque il lungo lentone Since You’re Gone ha qualche elemento alla Lynyrd Skynyrd, che li usarono come band di supporto nel 1995 https://www.youtube.com/watch?v=TuW_6YApSGg .

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La Carriera Solista, Prima Parte 2000-2009

Nel 2000 la Okeh, una succursale della Epic/Columbia gli propone un contratto, grazie alla reputazione che si era fatto nell’ambiente, e lo stesso anno arriva il primo album

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A New Day Yesterday – 2000 Okeh/Epic ***1/2

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A New Day Now 20th Anniversary – 2020 JR Adventures/Mascot Provogue ***1/2

Mettiamo insieme le due edizioni del primo disco di Joe Bonamassa, che secondo me più o meno si equivalgono come valore: quella del 2000, registrata ai Pyramid Recording Studios di New York, si avvale della produzione di Tom Dowd, uno dei grandissimi che ha “creato” alcuni dei più bei dischi della storia del rock, tra i quali parecchi proprio di Eric Clapton, del quale Bonamassa per molti è una sorta di erede (se mai si vorrà ritirare, per ora Slowhand annuncia ma poi per fortuna ci ripensa): anche se per altri, pochi ma tignosi, Joe è solo un “casinaro”, benché il sottoscritto appartiene assolutamente, come la maggioranza degli ascoltatori del buon rock, del blues e di tutti i generi che suona il nostro amico, ai suoi estimatori. Chiarito questo concetto continuiamo, anzi iniziamo ad esaminare la sua copiosa discografia. Tornando a A New Day Yesterday, tra i fattori negativi c’è la presenza di una band che lo accompagna non proprio di prima fascia, onesti musicisti, ma Creamo Liss al basso e Tony Cintron alla batteria, per quanto bravi, alzi la mano chi a parte questo disco li hai mai sentiti nominare (Cintron, ho controllato, suona comunque in parecchi dischi di fusion e jazz); tra i lati positivi la presenza come ospiti di Rick Derringer a chitarra e voce in Nuthin’ I Wouldn’t Do (For a Woman Like You), un ottimo brano di Al Kooper, in If Heartaches Were Nickels uno splendida canzone di Warren Haynes, ci sono Gregg Allman a voce e organo e Leslie West alla seconda chitarra  https://www.youtube.com/watch?v=yRem6f0bmIE (che misteriosamente scompaiono nella versione del ventennale di A New Day Now), in un brano, ma è marginale, c’è anche il babbo di Joe, Len alla chitarra.

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Tra i plus della versione 2020 c’è l’ottimo lavoro di masterizzazione e mixaggio di Kevin Shirley che ha attualizzato il sound (per quanto la versione di Dowd suonava ottimamente) e inserito le nuove parti vocali di Bonamassa che le ha volute reinciderle con la sua voce attuale, più matura, calda e sicura, rispetto al giovane Joe del 2000, non disprezzabile comunque già all’epoca. Tra le bonus della nuova edizione ci sono tre brani del 1997, scritti con Steven Van Zandt e prodotti dallo stesso, francamente non memorabili, tra cui una irriconoscibile I Want You di Dylan, veramente bruttarella. Molto bello in entrambe le versioni il trittico di canzoni iniziali, Cradle Rock di Rory Gallagher https://www.youtube.com/watch?v=hVyhZ6rEbkI , Walk In My Shadow dei Free e A New Day Yesterday dei Jethro Tull https://www.youtube.com/watch?v=h1TAQa-IP8I , oltre alla cover conclusiva di Don’t Burn Down That Bridge di Albert King, che indicano che la stoffa del fuoriclasse è già presente.

Nel 2001 nel corso del tour americano di 60 date viene registrato il suo primo album dal vivo

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A New Day Yesterday Live – 2002 Premier Artists ***1/2 nel 2004 anche DVD con tre tracce aggiunte. La formazione che accompagna Bonamassa è il classico power trio, con Eric Czar al basso e Kenny Kramme alla batteria. La data è il dicembre 2001 a Fort Wayne, Indiana: il repertorio verte soprattutto su materiale tratto dal disco di studio, prima di Cradle Rock c’è una breve jam dove Joe va di slide, mentre la band sembra rocciosa anziché no, come testimoniano versione gagliarde dei pezzi di Gallagher, Free, un medley strumentale strepitoso di Steppin’ Out, lato Clapton e Rice Pudding di Jeff Beck https://www.youtube.com/watch?v=KntOQU-Sqkg , mentre c’è una lunga I Know Where I Belong, uno dei brani migliori scritti da Bonamassa per il disco di studio, anche A New Day Yesterday dei Jethro Tull è preceduta da un lungo assolo del nostro al wah-wah, a dimostrazione che il musicista newyorchese era già un axeman fantastico e dal vivo un grande perfomer, come confermano potenti versioni di Walk In My Shadow https://www.youtube.com/watch?v=dv6vmWF8ZRE  e dell’intenso slow blues If Heartaches Were Nickels. Negli extra del DVD, che sarebbe il formato da avere, ci sono una improvvisazione per chitarra che precede Are You Experienced di Jimi Hendrix e Had To Cry Today dei Blind Faith di Clapton, che poi darà il titolo al 4° album di studio del 2004  https://www.youtube.com/watch?v=xjQvapPsfa8. Già allora Bonamassa comincia a sviluppare la sua bulimia discografica, con almeno un disco di studio all’anno, oltre a Live a go-go e progetti collaterali con altre band nel futuro.

Visto che la produzione è immane (circa una cinquantina di dischi e DVD in venti anni) per evitare di trasformare l’articolo in un romanzo cercherò di concentrare i contenuti, ma dubito di farcela. Sempre nel 2002 esce

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So It’s Like That – 2002 Medalist **1/2 prodotto da Cliff Magness, noto per il suo lavoro con Avril Lavigne (?!?): un disco di transizione, dove Bonamassa scrive tutti i brani insieme ad altri, il lavoro della chitarra è spesso fantastico come nella iniziale My Mistake, ma molte delle canzoni virano verso un hard rock di maniera, per quanto Czar e Kramme siano una buona sezione ritmica, Joe all’epoca non era ancora un grande autore, e non si vive di soli assoli, per quanto nello shuffle blues della title track e nella lunga e tirata Mountain Time ci dia dentro alla grande. Ma già l’anno dopo realizza un disco quasi completamente dedicato alle 12 battute, sin dal titolo, uno dei suoi migliori in assoluto

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Blues DeLuxe – 2003 Medalist Records **** Anche ottimo il produttore Bob Held, pure lui con un passato “metallurgico” qui però dimenticato, il repertorio è impeccabile, Jon Paris di winteriana memoria viene aggiunto all’armonica e Benny Harrison all’organo: You Upset Me di B.B,.King, con un approccio non dissimile da quello di Gary Moore, il boogie Burning Hell di John Lee Hooker dove sembra di ascoltare gli ZZ Top, i Canned Heat o Johnny Winter https://www.youtube.com/watch?v=zDoJPKR7Xz4 , una formidabile versione appunto del super lento Blues DeLuxe di Jeff Beck, con un assolo soffertissimo https://www.youtube.com/watch?v=7hQPDQidI2c , e ancora la funky Man Of Many Words di Buddy Guy, l’acustica Woke Up Dreamng scritta dallo stesso Joe, che firma anche l’ottima blues ballad I Don’t Live Anywhere, degna dei Bluesbreakers di Mayall, prima di andare di bottleneck in una fremente Wild About You Baby di Elmore James, e lavorare di fino in Long Distance Blues di T-Bone Walker, prima di scatenare la potenza della band in Pack It Up di Freddie King e nello strumentale Left Overs di Albert Collins, e il rigore blues di Walking Blues di Robert Johnson. Insomma Bonamassa mette a frutto gli anni di ascolto sui dischi del babbo, mentre l’anno dopo esce il primo disco per la Provogue con il ritorno al rock-blues, ma variegato e raffinato di

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Had To Cry Today – 2004 Mascot Provogue ***1/2 Bob Held è di nuovo il produttore, i musicisti (che ho rivalutato, ascoltando i dischi, dopo anni che non li sentivo) sono gli stessi del precedente CD: un misto di cover e brani originali di Bonamassa, che migliora come autore, con delle punte di eccellenza in Never Make Your Move To Soon dal repertorio di B.B. King, bonamassizzata (se si può dire) per l’occasione, una vorticosa Travelin’ South di Albert Collins a tutta slide, l’intenso lento Reconsider Baby di Lowell Fulson, fatto anche da Clapton e Gregg Allman, molto buona anche l’elettrocustica Around The Bend, dai retrogusti country, firmata dal nostro amico, che poi rende omaggio prima a Danny Gatton nella twangy Revenge Of The 10 Gallon Hat, alla faccia di chi dice che non abbia una grande tecnica, e anche all’amato Eric nella cover di Had To Cry Today, il bellissimo pezzo di Steve Winwood per i Blind Faith , dove gli assoli di Bonamassa rivaleggiano con quelli di Manolenta https://www.youtube.com/watch?v=XPYpPwGm5GY , eccellente anche lo strumentale acustico Faux Martini con influenze flamenco. A questo punto il nostro rovina un po’ la media delle uscite perché nel 2005 non esce nulla, ma l’anno dopo ecco arrivare

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You And Me – 2006 Mascot Provogue – ***1/2 il primo album con il produttore Kevin Shirley, che d’ora in avanti sarà alla guida di tutti i suoi dischi. Solita formula, rock con venature blues o viceversa, ma nuova band, Carmine Rojas al basso, che rimarrà con Joe fino a metà della successiva decade, Jason Bonham alla batteria, solo in questo album (ma poi presenza costante nei Black Country Communion), forse scelto anche perché nel disco c’è una cover di Tea For One dei Led Zeppelin, dove per la prima volta Shirley inizia ad usare gli archi in un disco di Bonamassa, che rilascia un assolo da sballo, grande versione comunque https://www.youtube.com/watch?v=mkpIsv7XHLE , cantata splendidamente da Doug Henthorn, che poi apparirà spesso come vocalist aggiunto negli anni a venire, Rick Melick è alle tastiere. Molto buone anche l’iniziale High Water Everywhere una cover di Charley Patton, molto rock 70’s, Bridge To Better Days tra Free, Bad Company e Foghat con Pat Thrall alla seconda chitarra, Asking Around For You una blues ballad con archi, So Many Roads di Otis Rush, ma la faceva anche Peter Green con John Mayall e Gary Moore. E che dire di una inconsueta e swingata I Don’t Believe di Bobby Bland, o del tradizionale con slide acustica Tamp Em Up Solid che faceva pure Ry Cooder, alla faccia di nuovo di chi dice che Bonamassa non sia eclettico e capace di suonare tutti gli stili, come dimostrano l’epica Django o il blues puro di Your Funeral My Trial di Sonny Boy Williamson tramutato in un rock violento, con il giovanissimovirtuoso dell’armonica L.D. Miller, all’epoca 12 anni, non si sa poi che fine abbia fatto, ma forse non era disponibile John Popper. L’anno successivo in estate esce il settimo album di studio

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Sloe Gin – 2007 Mascot Provogue ***1/2 il primo disco ad entrare nelle classifiche americane, ben al 184° posto, per quanto in alcuni paesi europei la fama di Bonamassa cominci a diffondersi. Quasi in equilibrio brani originali e cover, 6 a 5, e un altro nuovo ingresso nella formazione con l’arrivo di Anton Fig alla batteria, da allora sempre presente sullo sgabello in tutti gli album, una garanzia con la sua classe mista a forza esplosiva, a seconda di quello che serve. Ball Peen Hammer, un intenso brano in bilico tra acustico ed elettrico di Chris Whitley apre l’album, con il solito uso degli archi di Shirley, a seguire One Of These Days uno dei classici rock-blues originali dei Ten Years After, con Joe alla slide  , Seagull, una morbida ballata dei Bad Company di Paul Rodgers, Sloe Gin è una robusta cover orchestrale di un pezzo di Tim Curry, il vecchio protagonista del Rocky Horror Picture Show, non manca il blues-rock di Another Kind Of Love, un brano non molto conosciuto di John Mayall, Bonamassa poi si confronta con il blues lento e tirato di Black Night, un brano di Charles Brown e a sorpresa con una intricata cover di Jelly Roll, un pezzo acustico di John Martyn, e infine uno strumentale orientaleggiante come India. Un altro bel disco, che viene bissato sul finire dell’anno dal secondo album live

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Shepherds Bush Empire – 2007 Mascot Provogue **** Solo 5 brani, ma non è un mini CD, spiccano i 15 minuti clamorosi di Just Got Paid, il famoso pezzo degli ZZ Top, da sempre uno dei cavalli di battaglia dei suoi show, quando usa la famosa Gibson a freccia e parte per la stratosfera del rock, in un medley che include anche una fantastica Dazed And Confused dei Led Zeppelin, eccellenti anche le cover di Walk In My Shadow e Blues DeLuxe https://www.youtube.com/watch?v=x-EhuaZN-XE . Dal vivo non delude mai, tanto che a breve distanza esce un altro CD dal vivo, il doppio

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Live From Nowhere In Particular – 2008 Mascot Provogue ***1/2 registrato durante il tour di Sloe Gin, dal quale vengono estratti cinque brani, ma anche gli altri dischi sono ben rappresentati: ottime Bridge To Better Days, So Many Roads, il medley esotico di India/Mountain Time e quello di Just Got Paid questa volta accoppiata con Django, l’intermezzo acustico con If Heartaches Were Nickels e Woke Up Dreaming, oltre alla conclusiva A New Day Yesterday con lunga citazione finale di Starship Troopers degli Yes https://www.youtube.com/watch?v=ptMM2DKDH5Y . L’anno successivo esce

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The Ballad Of Joe Henry – 2009 Mascot Provogue ****, uno dei suoi migliori dischi di studio, che ottiene un buon successo di vendite in giro per il mondo, soprattutto in Inghilterra e Olanda dove entra nella Top 30. La title track adattata da un brano di Mississippi John Hurt, vive su un equilibrio sonoro tra sfuriate zeppeliniane e inserti orchestrali ricercati, Stop è una bella ballata della cantante pop britannica Sam Brown, Last Call è un furioso rock-blues scritto dallo stesso Joe, che ben si adatta all’uso della doppia batteria (Bogie Bowles) e della chitarra ritmica di Blondie Chaplin. Nell’album per la prima volta a tratti cominciano ad apparire i fiati e lo spettro musicale si allarga, come nella cover di Jockey Full Of Bourbon di Tom Waits, o in quella di Funkier Than A Mosquito’s Tweeter, un brano scoppiettante con uso di fiati di Ike And Tina Turner https://www.youtube.com/watch?v=cqV9XkgIsZM , oppure nel duro swamp-rock di As The Crow Flies di Tony Joe White https://www.youtube.com/watch?v=tZvHPaIoR4Y . Sulla scia del successo Bonamassa arriva anche a registrare un doppio CD e DVD dal vivo

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Live from the Royal Albert Hall2009 2CD/2DVD **** il quarto della decade e uno dei migliori in assoluto della sua carriera, grazie alla location fantastica, al repertorio, alla presenza di un paio di ospiti, uno in particolare, di cui tra un attimo. Magari non ve ne frega niente, ma in quel periodo ho assistito anch’io ad un suo concerto a Milano e sono rimasto molto soddisfatto di quanto visto e sentito. Ormai la doppia batteria è un fatto acquisito, come la presenza dei fiati: vi consiglierei la versione in DVD, perché la parte visiva, specie per uno show alla RAH ha una sua importanza. Quasi due ore e mezza di spettacolo, 19 brani dove esplora tutto il proprio repertorio, con un suono “maestoso”: Django e The Ballad Of Joe Henry illustrano il suo lato più progressive e 70’s rock, So It’s Like That quello blues, con l’intermezzo rock citazionista di Last Kiss, poi c’è la lunga sequenza sulle 12 battute, So Many Roads, Stop!, prima di chiamare sul palco il suo idolo e mentore Eric “Slowhand” Clapton per un duetto/duello nella splendida Further On Up The Road, presenza che realizza un sogno, con i fiati che punteggiano il suono spesso durante il concerto https://www.youtube.com/watch?v=iz41Ea4Kfvk . Intermezzo acustico con la lunga Woke Up Dreaming e la scandita High Water Everywhere con doppia batteria. Di nuovo rock con Sloe Gin e Lonesome Road Blues, poi nella seconda parte di nuovo blues, prima con Paul Jones che sale sul palco con la sua armonica per Your Funeral My Trial, seguita da una strepitosa Blues DeLuxe fiatistica dove Bonamassa distilla il meglio dalla sua chitarra. E gran finale con il trittico finale, Just Got Paid degli ZZ Top con la sua Flying V, brano ricco di citazioni degli Zeppelin https://www.youtube.com/watch?v=0ThfM81Y0ng , la sontuosa e suggestiva Mountain Time https://www.youtube.com/watch?v=xiMqvPYPvQ0  e la deliziosa blues ballad Asking Around For You che conclude un concerto strepitoso.

Fine della prima parte.

Bruno Conti

Avevano Detto Che Non Sarebbe Mai Successo, E Invece Sono Tornati E “Picchiano” Sempre Come Dei Fabbri! Black Country Communion – BCCIV

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Black Country Communion – BCC IV – Mascot Provogue

Con una certa dose di autoironia, il banner che annuncia l’uscita del nuovo album dei Black Country Communion recita, lo riporto in inglese perché fa più scena: “They Said It Would Never Happen!”. E invece è successo, dopo la brusca separazione del 2012, dovuta  a quelle che erano state appunto definite inconciliabili divergenze tra Joe Bonamassa e Glenn Hughes, torna il quartetto anglo-americano (Hughes e Bonham sono inglesi) con un quarto album che, forse in omaggio ad una delle loro fonti di ispirazioni sonore, si intitola BCC IV. Del disco, al momento in cui scrivo, non si ancora tutto, dovrebbe uscire il 22 settembre, è sempre prodotto Kevin Shirley, sono dieci brani nuovi e, questo posso confermarlo, avendolo sentito bene, picchiano sempre come dei fabbri, anzi forse ancor di più che nei dischi precedenti, oltre ai tre di studio anche un Live. Con un gioco di parole, scontato ma efficace, potremmo definirli ancora una volta i Deep Zeppelin o i Led Purple, vista la presenza nei loro ranghi di un ex Deep Purple, come Glenn Hughes e del figlio del batterista degli Zeppelin, ovvero Jason Bonham, ma anche perché il genere è quell’hard’n’heavy anni ’70, che ha ancora una folta schiera di estimatori e moltissimi epigoni nel nuovo millennio.

Bonamassa, dopo una serie di album che hanno esplorato il blues, le radici acustiche del suo sound, il jazz-rock, e altre mille diverse nuances sonore che lo hanno reso uno dei musicisti più apprezzati (ma anche discussi) del rock attuale, sicuramente uno dei chitarristi migliori delle ultime generazioni, forse “il migliore” (come ha dichiarato di recente anche l’amico Walter Trout): Joe ha detto che, appianate le divergenze con Hughes, voleva tornare “divertirsi” a suonare un rock duro e selvaggio che è comunque sempre stato presente nel suo DNA di musicista. E bisogna dire che i quattro (c’è anche Derek Sherinian, l’ex Dream Theater, alle tastiere) ci sono riusciti. Intendiamoci, l’album non è forse interessante come altre cose recenti di Bonamassa, ma i quattro sono comunque sempre una potenza della natura, tra riff assassini, scariche di rullate travolgenti di Bonham, la voce ancora gagliarda e potente di Hughes, e il lavoro di raccordo delle tastiere, il disco si lascia ascoltare, ovviamente se amate il genere. Sintomatico in questo senso il brano di apertura, una Collide che sembra uscire dai solchi di Led Zeppelin IV o di Physical Graffiti, una via di mezzo tra Black Dog e Kashmir, con Bonham che picchia come un indemoniato sulla sua batteria, mentre Bonamassa inchioda un assolo del tutto degno del miglior Jimmy Page, mentre Hughes urla e strepita come se avesse ancora vent’anni e anche Sherinian fa il suo alle tastiere.

Over My Head sembra un pezzo dei Deep Purple Mark III, quelli con leggere influenze del sound rock mainstream americano, quando Hughes si alternava a Coverdale come voce solista, quindi più FM anche questo pezzo dei BCC, con Bonamassa che si sdoppia a due soliste, pur se il sound rimane “galoppante”. The Last Song For My Resting Place è la terza variazione sul tema, un brano epico, scritto e cantato da Joe, con inserti quasi celtici di volino ( o è la viola della cino-americana Tina Guo, sentita di recente nel Live acustico?) e mandolino, sul lato quindi dell’ultimo Bonamassa, ricercato e variegato, ma pronto a scatenarsi in folate chitarristiche di grande intensità, mentre il resto della band lo spalleggia con vigore e qualità. Esaurite le possibilità sonore in offerta, negli altri brani si reiterano i vari stili: Sway è nuovamente zeppeliniana, soprattutto nei ritmi e nei riff, anche se l’approccio vocale di Hughes tiene sempre conto dell’amore del bassista per un suono più mainstream, da rock FM americano, non quello più becero comunque, poi Sherinian all’organo e Bonamassa alla chitarra curano con grinta la parte strumentale. The Cove è più misteriosa ed intrigante, un suono avvolgente che ricorda certo rock dark britannico, oltre agli Zeppelin di Houses Of The Holy dove le tastiere avevano un ruolo importante, inutile dire che tutti ci danno dentro di brutto, come in tutto l’album d’altronde, qui più che la finezza domina la forza bruta, con classe però. E pure The Crow è duretta anziché no, heavy rock dirompente e dove non si fanno prigionieri, tra tastiere e chitarre impazzite. Wanderlust ha un tempo più scandito ed incalzante, qualche “esile” traccia blues-rock, ma i quattro dei Black Country Communion non dimenticano di essere soprattutto un gruppo hard rock; Love Reins è un’altra scarica adrenalinica tra Purple e Zeppelin, rivisitati dai BCC e pure Awake permette a Jason Bonham e a Hughes di scatenare ritmi duri e cattivi. Chiude When The Morning Comes, l’altro pezzo che introduce elementi più “tranquilli”, un piano insinuante e melodie più dolci, ma sempre pronto a scatenarsi in violente cavalcate chitarristiche.

Questo offre il menu per l’occasione, prendere o lasciare: esce il 22 settembre.

Bruno Conti