Un Bel “Debutto” Dal Vivo Per Un Texano Doc. Tracy Byrd – Live At Billy Bob’s Texas

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Tracy Byrd – Live At Billy Bob’s Texas – Smith Music Group CD – DVD

Tracy Byrd ha ormai superato i 25 anni di attività, ed è oggi uno degli acts di vero country più popolari in USA, avendo alle spalle diversi album e singoli che si sono piazzati nelle primissime posizioni delle classifiche di settore. Tracy da tempo appartiene al mondo di Nashville, ma non è uno dei tanti fantocci che girano nella capitale del Tennessee, bensì un musicista vero, autentico, autore di un country-rock robusto ed elettrico: non per niente è un texano, e si sa che in campo musicale spesso le origini contano, specialmente quando riguardano il Lone Star State. Byrd ha finora accumulato una decina di album in studio, ma stranamente non aveva ancora pubblicato un disco dal vivo: ora però il nostro ha riempito la casella con il cinquantunesimo episodio della fortunata serie Live At Billy Bob’s Texas, una serie di spettacoli che da anni si svolgono nel famoso locale del titolo che sorge a Fort Worth.

Il concerto (che esce separatamente anche in DVD) offre una panoramica esauriente sulla carriera di Byrd, uno che è abituato a rivestire le sue canzoni di sonorità ruspanti, elettriche e con le chitarre sempre in evidenza, grazie anche ad una band tostissima che comprende l’ottimo Zach Gonzalez alla solista, Marty Broussard alla steel (altra grande protagonista del suono), Vernon Emshoff alle tastiere, Dale Morris Jr. al violino e la vigorosa sezione ritmica formata dal bassista Kyle Hebert e Tyler Henderson, ai quali ovviamente sono da aggiungere la chitarra acustica del leader che conferma di avere anche una gran voce. Il Billy Bob’s Texas è quindi la location perfetta per Tracy e la sua band, grazie ad un pubblico sempre caldissimo ed alla tipica atmosfera da bar texano, ed i nostri ripagano l’audience con una performance intensa e coinvolgente. Diciannove i brani proposti, dall’iniziale It’s About The Pain, un rockin’ country trascinante e diretto, alla conclusiva ed irresistibile Watermelon Crawl, un percorso nel quale Byrd propone molti dei suoi successi più noti pescando anche qualche brano meno popolare scelto con cura all’interno della sua discografia.

Ovviamente i pezzi più apprezzati sono quelli più mossi, giusto a metà tra puro country e rock’n’roll, come la splendida Ten Rounds With Jose Cuervo, la travolgente I’m From The Country, ritmo e chitarre a tutto spiano, la vibrante Big Love, dal refrain che va subito a segno, la scatenata Holdin’ Heaven e la coinvolgente Drinkin’ Bone, con chitarre, steel e violino che creano un impasto sonoro difficile da ignorare. Il nostro non delude neppure nelle ballads, vero tallone d’Achille per molti countrymen di stanza a Nashville, dalla tersa Hot Night In The Country, che presenta una strumentazione comunque solida, alla pianistica I Want To Feel That Way Again, puro romanticismo da cowboy, passando per la bella Love Lessons, che sembra un classico lento alla George Jones, senza tralasciare Someone To Give My Love To, ballatona texana al 100% e Keeper Of The Stars, contraddistinta da una melodia struggente. Ci sono anche tre covers: un’ottima ripresa del classico di Waylon Jennings Lonesome, On’ry And Mean, bella robusta, una fluida e limpida Wildfire di Michael Martin Murphy e la scintillante Don’t Take Her She’s All I Got, brano scritto da Gary U.S. Bonds e già portato al successo da Johnny Paycheck.

Ora anche Tracy Byrd ha il suo bel disco dal vivo, e visti i risultati mi chiedo perché abbia aspettato tanto.

Marco Verdi

Non E’ Mai Troppo Tardi Per Fare Il Miglior Disco Della Propria Carriera! Michael Martin Murphey – Austinology: Alleys Of Austin

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Michael Martin Murphey – Austinology: Alleys Of Austin – Wildfire CD

Michael Martin Murphey, texano di Dallas, veleggia ormai verso i cinquanta anni di carriera. Dopo una bella serie di lavori a tema country & western negli anni settanta, la decade seguente aveva visto Murphey pubblicare diversi album di carattere pop-country, di grande successo ma meno interessanti dal punto di vista musicale. Poi, dai novanta fino ad oggi, Michael si è prodotto in un meritorio recupero delle tradizioni, realizzando una lunga serie di dischi che, tra versioni di brani antichi e canzoni originali, trattavano il tema delle cowboy songs, con lavori come Sagebrush Symphony, The Horse Legends, Campfire On The Road, i due album a sfondo bluegrass Buckaroo Blue Grass 1 & 2, oltre naturalmente ai cinque episodi della serie Cowboy Songs. Ma un disco bello come Austinology: Alleys Of Austin, il suo nuovissimo full-length, probabilmente non lo aveva mai fatto. Austinology è una sorta di concept, un lavoro in cui il nostro omaggia la scena di Austin nel periodo pre-Outlaw, cioè dal 1968 al 1975, con una serie di brani originali (nuovi e non) e cover d’autore.

Un disco lungo (75 minuti), ma bello, intenso e prezioso, in cui Michael, in grandissima forma, ci porta letteralmente per mano nelle vie di Austin, attraverso canzoni che vanno dal puro country al bluegrass, dal pop raffinato alle ballate di stampo quasi californiano, con l’aiuto di musicisti di vaglia (tra i quali spiccano l’armonicista Mickey Raphael, lo steel guitarist Dan Dugmore, il chitarrista Kenny Greenberg ed il bassista Matt Pierson) e soprattutto di una serie impressionante di ospiti (che vedremo a breve), i quali impreziosiscono il disco con la loro presenza pur restando un passo indietro, così da non oscurare Murphey, che rimane il vero protagonista con le sue canzoni. Un’opera importante quindi, che va aldilà del concetto di country & western, e che per certi versi è equiparabile a The Rose Of Roscrae di Tom Russell. Alleys Of Austin apre benissimo il CD, una toccante ballata dall’accompagnamento classico a base di piano, chitarra e steel, un crescendo strumentale emozionante e la bella voce melodiosa del nostro, che cede volentieri il passo ad un vero e proprio parterre de roi: Willie Nelson, Lyle Lovett, i coniugi Kelly Willis e Bruce Robison, Gary P. Nunn e Randy Rogers. Inizio splendido. South Canadian River Song parte come una canzone folk sognante ed eterea, poi entra il resto della band ed il suono si fa pieno, con il piano a svettare, per un pop-rock per nulla melenso, anzi direi decisamente vigoroso.

Un bel pianoforte introduce la raffinatissima Wildfire, un pezzo di puro cantautorato, con uno stile simile a quello di James Taylor, che ospita un duetto vocale con Amy Grant: classe pura. Geronimo’s Cadillac è la rilettura di uno dei pezzi più noti di Murphey (ed è anche il titolo del suo debut album, 1972), una ballata limpida e cadenzata, dal refrain orecchiabilissimo e con Steve Earle a cantare con Michael, con le due voci, ruvida quella di Steve e dolce quella di Murphey, che contrastano piacevolmente. La lunga Texas Trilogy, scritta da Steve Fromholz, è uno dei pezzi centrali del disco, una sorta di epopea western divisa appunto in tre parti, che inizia con l’insinuante country-folk Daybreak, prosegue con la solare Trainride, tra bluegrass e country, e termina con la tenue e bellissima Bosque Country Romance, uno dei momenti più toccanti del CD. L’elettroacustica Backsliders Wine, con Randy Rogers, è puro country, un brano intenso, limpido e scorrevole, strumentato con gusto e con l’armonica di Raphael protagonista.

L.A. Freeway è una delle grandi canzoni di Guy Clark, e Michael l’affronta con indubbio rispetto, roccando il giusto e con l’accompagnamento vocale dei Last Bandoleros, mentre Texas Morning è interiore, quasi intima. Cosmic Cowboy è un altro dei brani di punta del lavoro, una deliziosa country song tutta giocata sugli interventi vocali di Nelson, Lovett, Nunn, Robison e con l’aggiunta del grande Jerry Jeff Walker con il figlio Django, e la bella steel di Dugmore a ricamare sullo sfondo. Proprio di Walker è Little Birds, altra canzone molto bella ed impreziosita dalla voce della Willis, mentre Quicksilver Daydream Of Maria sembra Tequila Sunrise degli Eagles con elementi messicani. La delicata Drunken Lady Of The Morning, solo voce e chitarra pizzicata, è nobilitata dalla presenza di Lyle Lovett, e ci prepara ad un finale col botto, ad opera della squisita e messicaneggiante Gringo Pistolero e dello strepitoso medley in stile bluegrass The Outlaw Medley, in cui Michael mescola alla grande pezzi come Red Headed Stranger (Willie Nelson), Ladies Love Outlaws (Lee Clayton) ed un trittico di classici di Waylon Jennings (Bob Wills Is Still The King, Are You Sure Hank Done It This Way e Don’t You Think This Outlaw Bit Has Done Got Out Of Hand): due brani che da soli valgono gran parte del CD.

Con Austinology: Alleys Of Austin Michael Martin Murphey ci ha forse consegnato il suo capolavoro: sarebbe un vero peccato ignorarlo.

Marco Verdi

Con Quel Nome Possono Fare Ciò Che Vogliono, Ma Fanno Del Country-Rock Sopraffino! I See Hawks In L.A – Mystery Drug

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I See Hawks In L.A. – Mystery Drug – Blue Rose

E al country-rock canonico possiamo aggiungere tocchi di quello “cosmico” di Gram Parsons e quello più “esoterico” di Gene Clark, con o senza Byrds e anche qualche spruzzata psichedelica, ma leggera, dei Grateful Dead più acustici, come dimostra il video che vedete qui sotto. Il tutto cantato principalmente da Rob Waller, il leader e autore in capo del gruppo, con una voce bassa e risonante che può ricordare un Johnny Cash o un Waylon Jennings in alcuni momenti, gli altri due cantanti citati, in altri. Belle canzoni, ricche di melodia e cambi di tempo, con un sound pieno di mille sfumature: in copertina sono in otto, ma nel disco suonano addirittura in dieci, anche se il nucleo principale, oltre a Waller, ruota intorno a Paul Lacques, chitarra solista e voce e al bassista Paul Marshall, anche lui cantante ed autore, con gli altri due, della totalità dei brani del disco. E poi hanno questo nome evocativo, in questo ambito possono competere solo gli Starry Eyed And Laughing, un vecchio gruppo, peraltro inglese, di inizio anni ’70, che prendeva il proprio “patronimico” da un verso di Dylan, loro padre spirituale e dai figliocci Byrds, anche a livello musicale, più jingle jangle degli “Hawks”, come li chiamerò d’ora in poi, per brevità.

La formazione nasce nella California del Sud intorno alla fine degli anni ’90, e sino ad ora, compreso questo Mystery Drug (che esce in questi giorni, in ordine sparso, nei vari paesi), hanno realizzato sette album, uno più bello dell’altro. La caratteristica saliente di questo nuovo album, rispetto ai precedenti, è la presenza della pedal steel, strumento che sta ritornando in auge, suonata da due diversi musicisti, Rick Shea (già con Dave Alvin) e Pete Grant, peraltro solo in cinque brani, che però sono tra i più interessanti del disco (di solito, con minor frequenza, come lap steel, la suona Laques). Ad esempio la bellissima Oklahoma’s Going Dry, un brano che parla dei cambiamenti climatici che stanno preoccupando i contadini e gli allevatori americani, il tutto condito da una musica che scivola deliziosamente sulle corde d’acciaio della pedal steel di Rick Shea, e che pare uscire da un vinile dei primi anni anni ’70 degli Ozark Mountain Daredevils, degli Eagles, ma anche dei Flying Burrito Brothers, con cascate di chitarre elettriche ed acustiche, armonie vocali fantastiche e quell’aria tipicamente sognante della migliore musica Weastcoastiana, pre e post Parsons. Ancora intrecci vocali da brividi nella delicata e più acustica Mystery Drug o nella sognante Yesterday’s Coffee, dove il testo su in caffè invecchiato è una metafora su una relazione che sta finendo, sempre con la pedal steel che si fa largo tra la chitarre acustiche e le voci armonizzanti del gruppo, guidate da Waller, che vocalmente mi ricorda per certi versi anche retrogusti à la Gordon Lightfoot o Neil Diamond, o, tra i “moderni”, per una certa indole malinconica, anche i Son Volt di Jay Farrar. 

Ma gli “hawks” sanno andare anche su tempi rock (e negli album precedenti ce ne sono parecchi esempi) e quindi quando parte un ritmo incalzante, segnato da una slide pungente, come in The Beauty Of The Better States, l’ascoltatore non può non godere, perché gli intrecci delle acustiche e delle voci non vengono meno, ma si arricchiscono di nuove nuances più grintose. We Could All Be In Laughlin Tonight, con il suo testo che cita le cover bands che sera dopo sera eseguono versioni di Free Bird (un omaggio indiretto ai Lynyrd), sembra una sorella minore, nata tanti anni dopo, di canzoni come Tequila Sunrise o certi brani del primo Guy Clark, e perché no, anche Michael Martin Murphey (non nella voce, quella di Waller è troppo maschia e particolare), weeping pedal steel guitar inclusa. One Drop Of Human Blood, con i suoi matrimoni rituali nel deserto e una fisarmonica malandrina che si aggiunge alle operazioni potrebbe ricordare certe canzoni di Tom Russell o Joe Ely, miscelate a quelle canzoni desertiche del Gene Clark prodotto da Thomas Jefferson Kaye (No Other). Sky Island è un’altra bellissima ballata, leggermente mid-tempo, nella quale il gruppo eccelle, con le sue armonie vocali avvolgenti ed emozionanti e la musica acustica, ma ricchissima che esce dai solchi digitali di questo eccellente disco.

E pure quando i ritmi rallentano ulteriormente, come nella dolcissima If You remind Me, con un refrain da ucciderli per quanto sono bravi, non puoi fare a meno di meravigliarti perché sono conosciuti, purtroppo, da così poca gente, anche tra i cultori del genere,  sono meglio del 90% di gruppi che vengono presentati da molta critica come i salvatori del mondo (musicale). Rock’n’Roll Cymbal From The Seventies, fin dal titolo, è decisamente più energica, con le chitarre elettriche nuovamente sugli scudi e una delle autrici aggiunte del brano, la batterista Victoria Jacobs, indaraffata al suo strumento (la Jacobs si alterna alla batteria con altri due strumentisti, Shawn Nourse, quello storico del gruppo e con il fratello del chitarrista Paul Lacques, Anthony, uno dei membri fondatori degli Hawks). Tongues Of The Flames è un breve brano che vive su gli intrecci delle acustiche e delle voci, mentre Stop Driving Like An Asshole, è una divertente presa in giro dei frequentatori delle highways, peraltro molto bella musicalmente, peccato duri solo un minuto e mezzo. My Local Merchants parte come Get back e diventa un brano alla Creedence, un rock’n’roll tirato e coinvolgente, dove la band lascia intuire che anche dal vivo non sono da trascurare, per la loro grinta, peccato che anche questa sia cortissima. Ma ci rifacciamo con la conclusiva The River Knows, quasi otto minuti di magia sonora, dove la pedal steel ripende il ruolo che le compete, circondata dalle acustiche insinuanti e dalle armonie vocali magnifiche del trio Waller-Lacques-Marshall, mentre il ritmo del brano si fa sempre più incalzante, in un crescendo fantastico, dove la pedal steel è protagonista assoluta, ma è tutto l’insieme che funziona come un orologio svizzero, costruito in California dai I See Hawks In L.A, prendere nota e non dimenticare.

“Ho visto dei falchi a Los Angeles” ed erano magnifici! 

La ricerca continua.

Brunio Conti

*NDB Non ci sono video dei brani nuovi, ma si capisce lo stesso che sono bravi, la riprova qui sotto.

Novità Di Febbraio Parte III. Nanci Griffith, Tindersticks, Lambchop, Sinead O’Connor, Cranberries, Damien Jurado, Field Music, Kevn Kinney, Eccetera

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 Questa settimana sono in ritardo per l’aggiornamento delle news, pensavo che uscisse poco materiale e invece quando ho controllato la lista ho visto che stanno per essere pubblicati parecchi titoli interessanti, per cui, mentre mi sparo il nuovo Springsteen (di cui avrete letto sui quotidiani, non so, per ora mi riservo il giudizio, anche se l’amore per la sua musica è imperituro e un paio di ballate, Jack Of All Trades in primis, ricordano gli splendori del passato e il suono del disco per la presenza costante del violino ha degli agganci con le Seeger Sessions, pure fisarmonica e fiati fanno sentire la loro presenza, anche se il breve intermezzo rap uhm, non volevo parlarne ma vengo risucchiato dalla passione, basta!), vi aggiorno sulle novità di martedì 21 febbraio.

Partiamo con Nanci Griffith che approda anche lei a casa Proper con questo nuovo Intersection, il 20° della sua carriera, dodici brani di cui 5 cover e sette originali. Registrato come al solito in quel di Nashville, Pete & Maura Kennedy co-producono, suonano e cantano con l’aiuto di Pat McInerney alle percussioni e con alcuni ospiti come Eric Brace e Peter Cooper alle armonie vocali in una ripresa di Just Another Morning Here, tratta da uno dei suoi dischi più belli Late Night Grand Hotel. Richard Bailey degli Steeldrivers al banjo in High On A Mountain Top che è una delle cover, dal repertorio di Loretta Lynn, così come ce n’è una scritta da Blaze Foley, If I Could Only Fly. Mi sembra bello.

Nuova casa discografica per i Tindersticks che approdano alla Lucky Dog/City Slang con questo The Something Rain ma, niente paura, lo stile musicale è sempre quello e Stuart Staples non ha perso l’abitudine di scrivere belle canzoni anche se in effetti il video non è il massimo.

Anche i Lambchop incidono per la City Slang e il nuovo album è un po’ meno Alt Country del solito per la band di Nashville. Comunque questo Mr. M mi piace e la versione con DVD contiene 5 brani registrati dal vivo e una presentazione track by track del disco da parte di Kurt Wagner.

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Il nuovo disco di Sinead O’Connor, il titolo una scioglilingua How About I Be Me And You Be You?, esce con due copertine ( e due date) diverse in Europa e negli Stati Uniti. Etichetta One Little Indian, prodotto dal “solito” John Reynolds, nove canzoni nuove e una cover di Queen Of Denmark di John Grant. Ma allora le piace la buona musica?

Dolores O’Riordan ha deciso di ritornare al vecchio marchio di fabbrica Cranberries che da solo garantisce vendite doppie rispetto ai dischi solisti e a 11 anni dall’ultimo album di studio Wake Up And Smell The Coffee arriva questo Roses, il primo per la Cooking Vinyl, prodotto da Stephen Street, quello di Smiths, Blur e Cranberries appunto. C’è l’immancabile versione Limited doppia (ma al prezzo di uno) con il secondo CD che contiene 16 brani registrati ad un concerto del 2010 a Madrid.

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Plumb dei Field Music, ad essere sinceri, è già uscito la scorsa settimana per la Memphis Industries ma lo avevo “saltato” nelle mie liste. Invece sono andato a sentirlo ed è molto bello, sembrano gli Xtc del periodo d’oro, pop music di quelle con arrangiamenti e suoni scintillanti e raffinati, la musica buona inglese degli anni ’80 con richiami anche ai sixties (qualcuno ha detto Beatles?).

Josh Ritter esce con un nuovo EP intitolato Bringing In The Darlings. Pare che il mini album, come evidenziato anche da quello di Amos Lee, sempre 6 brani, sia tornato di moda. Registrato in coppia con il produttore Josh Kaufman che suona tutti gli altri strumenti, “esce” per la Pytheas Recordings.

Esordio di Jim White per la Yep Rock Where It Hits You, dopo tanti anni con la Luaka Bop di David Byrne, cinque anni di silenzio e quella strana collaborazione nei Mama Lucky con Linda Delgado e Tucker Martine. Non ho  ancora capito che genere faccia (penso neanche lui) però lo fa bene. Vogliamo dire Alternative Country?

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Un paio di nuove ristampe della Wounded Bird. Il primo è il classico In Concert dei Blood Sweat and Tears uscito come doppio vinile per la Columbia nel 1976, con David Clayton Thomas rientrato in formazione è l’occasione per risentire il loro pop rock funky jazz esplosivo e una delle più belle voci della musica americana.

Phil Everly era il meno bravo degli Everly Brothers, o meglio, era quello che cantava meno parti soliste rispetto a Don. Questo Star Spangled Springler è uno dei suoi rari album solisti pubblicato in origine nel 1973, con la partecipazione di Warren Zevon, James Burton, Duane Eddy, Buddy Emmons e Victor Feldman. Curiosità nella curiosità o “non tutti sanno che”, contiene The Air That I Breathe che l’anno successivo sarebbe diventato un mega successo per gli Hollies in tutto il mondo. Questa di Phil Everly si pensa che fosse la prima versione del brano ma in effetti lo aveva già registrato nel 1972 il suo autore Albert Hammond quello di It Never Rains In Southern California che non era americano ma nativo di Londra e per continuare la serie degli intrecci è il babbo di Albert Hammond Jr. quello degli Strokes. Aggiungo altro? L’ingegnere del suono nella versione di The Air That I Breathe degli Hollies era Alan Parsons. Esagero? Albert Hammond e Mike Hazlewood appaiono anche come co-autori di Creep dei Radiohead in quanto fu riscontrato che il brano aveva più di un punto in contatto con la loro canzone.

Michael Martin Murphey è uno dei re delle Cowboy Songs ma questo Campfire Songs, sottotitolo Live And Alone ce lo propone in concerto e in solitaria alle prese con alcuni classici del suo repertorio. Varrebbe la pena solo perché canta Geronimo’s Cadillac, una delle più belle canzoni degli anni ’70. Etichetta Western Jubilee.

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Un trio di cantanti americani di quelli “giusti”. Kevn (senza la i, mi raccomando) Kinney è uno dei migliori rocker americani nonchè leader dei Drivin’n’Cryin’, e questo A Good Country Mile registrato con i Golden Palominos (che poi sarebbero la sigla che usa il batterista Anton Fier) è uno dei dischi di rock classico più belli che ho sentito in questi primi mesi del 2012 (ma per il download e distribuito sul suo sito e ai concerti circolava già dall’estate scorsa). Con chitarre fumanti, ritmi tirati e belle canzoni, tutti gli ingredienti immancabili per un disco di culto. Dimenticavo, e una bella voce, caratteristica. Prodotto autogestito, quindi auguri, però cercare perchè ne vale la pena, uno dei migliori della sua carriera solista e non.

Anche Tommy Womack è un country-rocker di culto spesso in coppia con Will Kimbrough. Ha registrato una manciata di album, questo Now What! dovrebbe essere il quinto. Non dimenticate che i suoi brani sono stati cantati da Jimmy Buffett, Todd Snider, Jason Ringenberg, Dan Baird, Scott Kempner, tutti spiriti affini. E poi uno che ha anche scritto un libro intitolato Cheese Story: The True Story Of A Rock’n’Roll Band You’ve Never Heard Of è bravo a prescindere. Etichetta Cedar Creek Music. Il video è geniale.

Di Damien Jurado avevo parlato su questo Blog in termini più che lusinghieri del precedente album damien-jurado-saint-bartlett.html, questo nuovo Maraqopa, sempre pubblicato dalla Secretly Canadian ha tutte le carte in regola per ripetere lo stesso successo di culto del precedente. Stesso produttore Richard Swift stesse atmosfere rarefatte e raffinate, se amate i cantautori questo fa per voi.

Direi che anche per oggi di carne al fuoco ne abbiamo messa parecchia. Alla prossima!

Bruno Conti