Meglio Di Un Saggio Di Tito Boeri! Nancy McCallion – Take A Picture Of Me

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Nancy McCallion – Take A Picture Of Me To Show I Was Here – Self Released

Il titolo è un po’ provocatorio, ma non è farina del mio sacco devo ammetterlo: di solito non cito brani da altre recensioni (le copio soltanto ma senza dirlo, scherzo naturalmente!) ma in questo caso mi ha colpito il concetto espresso da Gianfranco Callieri sul Buscadero (lo so si chiama conflitto di interessi, visto che ci scrivo pure io, ma chi se ne frega). Questo disco di Nancy McCallion tratta nei suoi dodici brani i problemi legati alla grande crisi economica e quindi nello specifico soprattutto quella americana e ancora più a fondo quella dei poveri, dei nuovi poveri, dei senza lavoro e dei senza tetto, di tutti quelli che in un modo o nell’altro sono stati toccati da questo ciclone. Lo fa in modo serio come se fosse un saggio ma con la levità indispensabile fornita dalla musica e si ascolta senza doversi sorbire argomenti economici di una pallosità inusitata. Se aggiungiamo che la McCallion è una collega (di Boeri) in quanto insegnante il cerchio si chiude.

Facciamo un passo anzi due indietro: da dove viene questa “illustre sconosciuta”? E’ stata la leader di una della tante band misconosciute che hanno percorso gli anni ’90, i Mollys, un gruppo che fondeva con maestria country, rock, folk, tex-mex, bluegrass e musica celtica in una miscela affascinante caratterizzata dalle voci forti e sicure della McCallion (una sorta di Lucinda Williams più eclettica) e della socia Catherine Zavala watch?v=oSMEm4j_yL4. Si sono sciolti nel 2002 dopo avere lasciato, mi pare, una cinquina di album come loro imperitura memoria; la nostra amica ha fatto parte per un breve periodo di un gruppo a trazione femminile The Last Call Girls con la cognata Lisa. Poi ha deciso di darsi alla carriera solista (per farla facile) e dopo un primo album omonimo è approdata a questo Take a picture of me.

Il disco prende lo spunto proprio dalla vicissutidini personali di Nancy: nel 2008 ha perso il suo lavoro di insegnante (poi per sua fortuna è stata richiamata) ed avendo un marito musicista, l’ottimo chitarrista Danny Krieger, senza assicurazione medica ed un mutuo sulle spalle se l’è vista veramente brutta. Come milioni di persone in tutto il mondo. Il suo contributo è stato quello di registrare questo album ispirato dal suo vissuto ma anche da una mostra fotografica Unseen America. The Voices of Low Wage Earners con foto e storie personali di persone in difficoltà. Se comprate questo Cd (si trova, si trova) un dollaro verrà devoluto alla Primavera Foundation di Tucson, AZ che aiuti poveri e famiglie in difficoltàwatch?v=wrBP06WV7t8.

Ma veniamo alla musica: lei ha una bellissima voce, espressiva come poche, il marito Danny suona qualsiasi tipo di chitarra vi possa venire in mente e il disco scorre che è un piacere. Dal country-folk delicato dell’iniziale He’s Gone con la voce raddoppiata della Zavala allo stomping country-rock dell’energica Good Old Days. E che dire della meravigliosa ballata country got soul Brighter in The Night con tanto di organo d’ordinanza e chitarra alla Steve Cropper? Bellissima! Non manca il puro, dark-folk, con armonica, della title-track, malinconica e avvolgente e quel misto country-celtico,  che era uno dei marchi di qualità dei Mollys, della nostalgica It’s Never Too Late To get Lucky. Quando c’è da mostrare l’anima rock della coppia McCallion/Krieger (molto alla Lucinda Williams), i due non si tirano indietro come nell’energica Cruel Thing con tanto di coretti beatlesiani e chitarre pimpanti. Time never tells è un’altra bellissima ballata, dolcissima mentre Waver On ci immerge ancora in atmosfere folk-country-rock tinte di frontiera messicana. Who’s At The Window è un raffinato brano dagli arrangiamenti sofisticati, con violino e baritone guitar in evidenza, molto desert sound alla Calexico. La bluesata, knopfleriana Start a Fire illustra i pregi dell’ottimo chitarrista Danny Krieger mentre il traditional Clyde’s Bonny Banks ci riporta ad un folk quasi puro con un’intrigante fisarmonica a duettare con la slide acustica di Krieger. Conclude l’old time country (ma la faceva anche Louis Armstrong) di My Bucket’s Got A Hole on it, dai profumi sonori antichi e dalle problematiche sempre attuali. E brava la nostra Nancy McCallion, veramente un gran bel disco, semplice ed efficace.

Bruno Conti

Torna David Byrne. Nuovo Album Con Fatboy Slim: Si Chiama Here Lies Love

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David Byrne & Fatboy Slim – Here Lies Love – Nonesuch 2CD o 2CD+DVD+LIBRO 120 pagine

Esce nei prossimi giorni questa sorta di “Musical da club” come lo ha definito lo stesso Byrne: una concept opera in 22 brani sulla vita della First Lady filippina Imelda Marcos e della sua “Tata” Estrella Cumpas.

Progetto micidiale, in senso positivo, sulla carta: anche l’esecuzione è grandiosa, 22 cantanti compreso lo stesso Byrne, tutte voci femminili, meno Steve Earle e Byrne, molte tra le più brave ed amate attualmente in circolazione. Non mi vedete entusiasta? L’esecuzione mi lascia un po’ perplesso anche se, visto il coinvolgimento di Fatboy Slim, un po’ me lo aspettavo; già la definizione musical da club lasciava capire che la musica sarebbe stata caratterizzata da una forte presenza (per usare un eufemismo) di sonorità fine anni ’70 primi anni ’80, disco, funky, elettronica, la musica che andava appunto nei club in quegli anni e che era molto amata dalla protagonista (che amava due cose, le scarpe e la musica da discoteca, ma raffinata). Lo stesso David Byrne ha contribuito, sia con i Talking Heads che con dischi come My Life In The Bush of Ghosts con Brian Eno alla parte più nobile di questo filone e non dimentichiamo lo spinoff Tom Tom Club.

Quello che caratterizza e, in un certo senso, rende comunque interessante questo progetto è la presenza di tante voci così diverse tra loro; anche se, paradossalmente, per la critica inglese, proprio questo è stato considerato il punto debole del progetto, la mancanza di una unitarietà e quindi l’eccessiva frammentazione rendono il tutto un’insieme di canzoni, più o meno belle, ma slegate fra loro, senza una storia ben definita (anche se a ben guardare non è che il soggetto sia entusiasmante!).

Qundi tutti in pista, se amate dance, beats, funky e disco qui c’è trippa per gatti ma anche chi ama la musica più sostanziosa e le belle voci può trovare molti motivi di godimento. Aggiungerei che l’edizione deluxe con il libro con i testi e il DVD con un estratto di 6 brani dall’opera (anche se le immagini dovrebbero essere più che altro di tipo documentaristico sulle Filippine, con le voci dei cantanti aggiunte in seguito: non essendo ancora uscito non l’ho visto) dovrebbe tentare gli acquirenti visto che non c’è una differenza di prezzo abissale tra le due versioni, direi meno di 10 euro, tra i 20 e i 30 euro, a seconda dell’edizione.

Per chi vuole considerarla, come me,  una raccolta di canzoni, vi segnalo quelle che mi sono sembrate le migliori: tutta la sequenza finale – da American Troglodyte cantata da Byrne, Solano Avenue cantata dalla bravissima Nicole Atkins, Order 1081 cantata da Natalie Merchant (manca solo una settimana al disco nuovo), il delizioso duetto Seven years tra Byrne e Shara Worden (My Brightest Diamond) e l’altrettanto ottima Why Don’t You Love Me cantata in coppia da Cyndi Lauper e Tori Amos watch?v=c4Nt4AdfvQE

Pescando qui è là, mi sono piaciute anche l’iniziale Here Lies Love con la voce di Florence Welch (Florence & The Machine) watch?v=TCG6lzCDn_Y, la sequenza di You’ll Be Taken Care Of con Tori Amos e The Rose Of Tacloban con Martha Wainwright. Strana la presenza, ma non malvagia, di Steve Earle in un ambito più elettronico rispetto al suo repertorio solito.

Per gli amanti di Fatboy Slim (moderato dalla raffinatezza di David Byrne) la sequenza a cavallo dei due dischi quando i ritmi si fanno più serrati e danzerecci con voci all’uopo (Roisin Murphy, Charmaine Clamor, Camille, Theresa Andersson, Sharon Jones, Kate Pierson, Sia e Santigold tra le altre).

In definitiva “the Best of Two worlds”, molto piacevole e raffinato al tempo stesso, tante belle voci, pensavo peggio!

Bruno Conti

…E Figli! Rufus Wainwright – All Days Are Nights: Songs For Lulu

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Rufus Wainwright – All Days Are Nights: Songs For Lulu – Decca/Polydor/Universal

In Canada è uscito in questi giorni, in Europa ed America esce tra il 5 ed il 20 aprile (in Italia il 20).

Dopo il disco del babbo solo voce e chitarra acustica, ecco il disco del figlio solo voce e pianoforte: i brani che utilizzano dei Sonetti di William Shakespeare sono in effetti solo tre e farebbero parte di un progetto più ampio al quale ha collaborato Rufus Wainwright del direttore e compositore di classica contemporanea Robert Wilson, il progetto si chiama Sonette consta di 24 brani ed è stato eseguito a Berlino per la prima volta nell’aprile 2009.

Colui che Elton John (a proposito, il buon Elton sta registrando un nuovo album con Leon Russell, prodotto da T-Bone Burnett, suona molto promettente) ha definito “il più grande cantautore sulla terra al momento” questa volta non ha usato mezze misure, un disco solo voce e pianoforte non è uno scherzetto: eppure questo progetto che riporta Rufus alle sue origini per quanto possa risultare faticoso all’ascolto ha un suo fascino che risiede nella voce unica e particolare dell’artista, capace di convogliare emozioni profonde in chi ascolta, nonchè nella sua abilità come pianista. Grande appassionato di classica e lirica, ma anche di Judy Garland e Edith Piaf così come di Elton John appunto, questo disco nasce anche dalla necessità di fare di difficoltà virtù; non potendosi più permettere di fare tournée con un gruppo alle spalle ha colto l’occasione di realizzare questo disco in solitaria e poi portarlo nei teatri di tutto il mondo (Teatro Comunale di Firenze il 13 maggio, Conservatorio di Milano il 15 maggio).

L’album si apre con lo straordinario florilegio pianistico di Who Are You New York?, brano dedicato alla città statunitense che cita Grand Central Station, Madison Square Garden e Empire State Building nel testo (tiè Jay-Z!), il brano doveva far parte di una colonna sonora ma è stato rifiutato, peccato perché è uno dei migliori e più fruibili del disco. Sad With What I Have contiene riferimenti a Barbablù il personaggio delle favole di Perrault ed è un brano triste e melanconico.

Martha dedicato alla sorella, anche lei cantante (partecipa al progetto di David Byrne e Fatboy Slim Here Lies Love, in un prossimo Post, promesso! Magari domani.) è una bella canzone presentata come un dialogo tra fratelli, affascinante. Give Me What I Want And I Give It To Me Now è uno dei brani più movimentati del disco, definirlo rock sarebbe troppo visto che è dedicato ai detrattori dell’opera lirica, bel lavoro al piano comunque. True Loves è uno dei brani più romantici del disco, sempre sostenuto da un gran lavoro pianistico e dalla voce appassionata e partecipe di Rufus Wainwright, contiene una delle più belle frasi del disco Un cuore di pietra non va da nessuna parte!

Poi ci sono i tre Sonetti di Shakespeare, Numero 43, Numero 20 e Numero 10: il primo è il più pretenzioso del trio, difficile da digerire, complesso. Il numero 20 paradossalmente è uno dei momenti più orecchiabili del disco, il più vicino ad una struttura-canzone, una bella ballata, con un arrangiamento all’uopo potrebbe entrare anche in classifica. Il sonetto Numero 20, ironicamente, è quello nel quale Shakespeare incoraggia i giovani uomini a sposarsi e procreare, sarà dura vero Rufus? Bella esecuzione pianistica, però. The Dream è forse il brano che gode della più sentita interpretazione vocale del nostro amico, veramente bello e complesso, non lontano dal primo Elton John. What I Would Ever Do With A Rose?, come avrebbe detto un famoso allenatore a Mai Dire Gol, è un po’ ostico e anche agnostico, pesantuccio insomma. Non manca il brano in francese per illustrare il suo talento poliglotta Les Feux D’artifice T’appellent, ma è anche il brano conclusivo della sua prima opera Prima Donna (ha avuto anche il tempo per fare quello, ai primi di maggio uscirà un DVD Prima Donna The Story Of AN Opera, titolo quanto mai esplicativo), nonchè l’occasione per sciorinare ancora una volta la sua abilità al piano, con tanto di virtuosismi su coperchio e corde del piano stesso. Conclude Zebulon un brano triste e maestoso che contiene riferimenti alla mamma Kate McGarrigle, recentemente scomparsa (comprendo perché ci sono passato anch’io recentemente) e alla speranza di un sollievo dalla pena e dal dolore, era la preferita dall’album del figlio. Non facile ma molto bello.

Bruno Conti

Padri… Loudon Wainwright III – Songs For The New Depression

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Loudon Wainwright III – Songs For The New Depression Cummerbund Records 2010

Come avrete astutatemente arguito dal titolo, questo è un Post a puntate. Nella prima parliamo del babbo, Loudon, che credo, se la memoria non mi inganna, fu etichettato come il primo dei “Nuovi Dylan” (una cosa che mi ha sempre incuriosito, questa spasmodica ricerca di un nuovo Dylan, considerando che quello in carica aveva allora, 1970, 29 anni!), all’apparire del suo primo omonimo album, la critica americana che evidentemente non aveva di meglio da fare e da dire, alla vista di un cantante che si accompagnava con una chitarra acustica e scriveva delle canzoni con un testo intelligente decise in questo senso. Tra l’altro, negli anni a seguire, il fatto di essere un cantautore acustico non sarebbe più stato un requisito fondamentale visto che tra i “nominati” ci sarebbero stati personaggi come John Prine, Elliott Murphy e perfino Bruce Springsteen: comunque il buon Loudon se ne fece un bel “attempted mustache” dal titolo di uno dei suoi dischi e proseguì per la sua strada ottenendo anche un buon successo commerciale negli anni a venire e, soprattutto, iniziò a creare una “dinastia” musicale che ai giorni nostri vanta Rufus e Martha Wainwright avuti dalla prima moglie, Kate McGarrigle, recentemente scomparsa, Lucy Wainwright Roche dalla seconda moglie Suzzy Roche. Ci sarebbe una quarta figlia, ma facendo la giornalista non ci interessa.

In tutto ciò, ha fatto in tempo ad incidere ventidue album in studio e tre dal vivo, più numerose antologie e a vincere un Grammy per il miglior Traditional Folk Album nel 2010 (pubblicato nel 2009 ma premiato quest’anno) con il disco High Wide And Handsome: The Charlie Poole Project, un bellissimo doppio CD dedicato alla musica di Charlie Poole, banjoista e cantante vissuto all’inizio del secolo scorso, un bianco, vissuto una decina di anni prima di Robert Johnson e considerato uno dei padri fondatori della musica tradizionale americana. Il disco è bellissimo e Loudon Wainwright non si è limitato ad interpretare brani del repertorio di Poole ma ne ha composti anche di nuovi, dando vita a questo progetto che ha coinvolto una trentina di musicisti, naturalmente compresi figli, figlie, ex-mogli, cognate e parenti vari.

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Quello che vedete qui sopra ve lo consiglio vivamente perchè trattasi di disco che nonostante i contenuti e tutt’altro che palloso.

Il nuovo album, Songs For The New Depression segna un ritorno alle origini: solo voce e chitarra acustica, distribuzione autogestita sul suo sito (l’avrete intuito dal nome dell’etichetta) in Cd o disponibile per il download. Tra le fonti di ispirazione cita Pete Seeger e Woody Guthrie, ma si ricollega ai tempi che viviamo: Times Is Hard prende lo spunto dall’insediamento di Obama nel 2009 e narra dei tempi duri e difficili che stiamo vivendo, House racconta le paure dei proprietari di case, tra cui Wainwright stesso, nell’attuale crisi finanziaria ed immobiliare, On To Victory, Mr. Roosevelt è un brano scritto nel 1933, nella Prima Grande Depressione, e racconta la storia di un politico texano descritta anche nel film dei Fratelli Coen Fratello dove sei? Fear itself racconta le paure di un 63enne: paura di invecchiare, delle malattie, della morte vista in un’ottica autobiografica ma sempre con l’enorme autoironia che lo ha sempre caratterizzato.E così via. D’altronde un babbo al quale la figlia Martha ha dedicato una canzone intitolata Bloody Mother Fucking Asshole che personaggio può essere? Grande personaggio e musicista, in quella venticinquina di album ce ne sono almeno una manciata che ogni buona discoteca dovrebbe possedere. Questo ultimo non è tra i migliori, ma quei trenta minuti hanno una loro ragione di essere.

A domani per la seconda parte del post dedicata al nuovo album di Rufus Wainwright: si è trovato un nuovo paroliere, William Shakespeare.

Bruno Conti

Postcards From Italy. Lowlands – Radio & Kitchen Sessions

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Lowlands Radio & Kitchen Sessions

Questo CD non esiste! No, così suona male! Non esiste ufficialmente ma lo potete scaricare, per esempio, dal sito del chitarrista Roberto Diana index.php ma anche dal facebook del gruppo di Pavia, sul loro sito http://www.lowlandsband.com/ sinceramente, non so dove cacchio sia, probabilmente c’è ma non l’ho trovato!

Si tratta, come dice i il titolo, di un mini album registrato nel mini-tour italiano appena concluso, tra febbraio e marzo del 2010: tutto mini ma non il contenuto, ottimo! Sei brani, quattro originali e due cover, I Still Miss Someone di Johnny Cash e Friend of The Devil di Jerry Garcia, uno dei capolavori dei Grateful Dead, ripresi da concerti radiofonici, tre brani da Radio Icaro di Rimini, uno da Radio Gold di Alessandria (si cita sempre perché trattasi di eroici resistenti al piattume radiofonico italiano dominato dalle playlists, ovvero tutte uguali tutte brutte!), mancano le due cover registrate in qualche cucina di qualche località ignota del vasto stivale italiano.

Canta e scrive tutte le canzoni Edward Abbiati, suonano Stefano Brandinali al piano, Roberto Diana, chitarre, lap steel e slide, Simone Fratti al contrabbasso e Chiara Giacobbe al violino, che in questa dimensione acustica ha ampio spazio.

Un Ep tira l’altro, un concerto tira l’altro e prosegue il progetto di una lenta ma costante conquista e poi dominazione del globo terracqueo. Basta fare buona musica e nuovi proseliti si aggiungono: se volete farvi un ripasso sui Lowlands (ma avranno imparato Hallelujah?) il post a loro dedicato è del 6 dicembre 2009.

Bruno Conti

Ma Per Fortuna Che C’è Mollica!

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Allora è ufficiale! Lo ha annunciato oggi, 27 marzo 2010, il Mollicone nella sua rubrica DoReCiakGulp: è finalmente uscito il cd+dvd dal vivo Leonard Cohen Live At The Isle Of Wight 1970.

Ma non era uscito il 20 ottobre del 2009? Ma figurati, se l’hanno detto oggi al telegiornale!

Un uomo, un mito!

Bruno Conti

Una Risposta Ad Un Quesito. Joanna Newsom – Have One On Me

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Tanto lo sapete che ogni tanto baro sulla lunghezza in questa rubrica “un disco in 10 parole”, quindi, abbiate pazienza, ma avendo applicato l’assioma marzulliano si faccia una domanda e si dia una risposta: alla mia domanda del 15 marzo “E’ quello di Joanna Newsom Have One On Me il disco più bello del mondo?” Rispondo con un sonoro Non Lo so!

Elaboro: il disco, anzi i tre dischi, me li sono sentiti bene e mi lo sono gustati e pur non condividendo appieno l’entusiasmo totale della stampa britannica, e relative cinque stellette a go-go,  devo dire che ci si avvicina molto. Ovviamente, visto che tutto è relativo, vale solo per questi ultimi quindici giorni. E così ho barato due volte!

Mi sbilancio, nell’ambito dei dischi multipli è sicuramente tra i migliori dell’ultimo quinquennio; richiede tutta la vostra attenzione per più di due ore, ha dei momenti di stanca, ma globalmente riserva molti piaceri. Questa volta per saperne di più dovete acquistarlo e sentirlo. Un piccolo appetizer… in attesa di Joni Mitchell e Kate Bush, e sentendo la mancanza di Kate McGarrigle, consolatevi con Joanna Newsom.

Bruno Conti

Un “Fenomeno” Di 65 Anni Coi Capelli Neri Corvini. Jeff Beck – Emotion & Commotion

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Jeff Beck – Emotion & Commotion – CD-CD+DVD-LP Rhino Records 09-04-2010

A parte lo straordinario colore dei capelli (userà una buona tintura) e la pettinatura in comune con Ron Wood e Rod Stewart (mi sa che vanno dallo stesso parrucchiere dagli anni ’60), concludevo la mia breve anticipazione nel post del 23 febbraio con le seguenti parole, mi cito: “Sarà difficile superare Pupoeilprincipe in Over The Rainbow (ma ce l’ha fatta!), incrociamo le dita…”. Paventavo una Tavanata Galattica Part 2 visti gli ultimi dischi in studio, in particolare Jeff del 2003 e You Had It Coming del 2000 avevano testato la pazienza dei suoi fans.

Ma uno non può essere uno dei dieci più grandi chitarristi della storia del rock (anche meglio, volendo) e perseverare con le cioffeghe, per cui già il live al Ronnie Scott e relativo Dvd, nonché la partecipazione al Crossroads Guitar Festival di Clapton nel 2004 e 2007 ne avevano rialzato le quotazioni, complice una straordinaria versione strumentale di A Day In The Life dei Beatles e la scoperta della prodigiosa bassista, allora teenager, Tal Wilkenfeld.

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A proposito di teenager e belle ragazze, per la serie anche l’occhio vuole la sua parte e Jeff Beck mi sembra abbia buon gusto a giudicare dalle immagini, queste sono le musiciste che partecipano al nuovo album: Joss Stone, per la quale Beck pare avere una predilezione visto che l’aveva già utilizzata nel live al Ronnie Scott, appare in due brani – una versione breve e strepitosa di I Put A Spell On You watch?v=XkdaPgHDoAk, dove senza raggiungere i vertici delle versioni di Screamin’ Jay Hawkins e Nina Simone, la ragazza estrae dal cilindro, o meglio, dalla microgonna una performance vocale strepitosa attizzata dalla chitarra prodigiosa del suo boss, non solo, a dimostrazione di un talento indiscutibile, quando avrà deciso cosa vuol fare da grande, potrebbe diventare una diva del soul, la nuova Janis Joplin (qui in competizione con l’americana Dana Fuchs) o una rivale delle varie Beyoncé e Alicia Keys nei favori dei rapper del momento, dicevo che reitera i suoi talenti in una gagliarda There’s No Other Me dove oppone la sua ugola alla chitarra strabordante di Beck – Tal Wilkenfeld la bassista, oltre che nel brano in questione, micidiale, ci mette del suo nel poderoso strumentale Hammerhead dove compete con la chitarra di Beck, prima in wah-wah protohendrixiano e poi in libertà di stupire con fenomenali improvvisazioni sostenute anche da un arrangiamento orchestrale, probabilmente farina del sacco degli ottimi produttori, Steve Lipson e Trevor Horn. Altra voce femminile affascinante è quella di Imelda May watch?v=r64kl3eCwMc, la morettona che ci regala una bella e raffinata versione di Lilac Wine che è uno standard del 1950 ma molti lo ricordano nella versione di Jeff Buckley, Jeff Beck impreziosice il tutto con uno squisito lavoro di cesello su volumi, vibrati e pedali della sua chitarra circondata dal suono di una orchestra discreta nonostante la maestosità. Orchestra che è presente anche nella conclusiva Elegy For Dunkirk dove appare la terza cantante, Olivia Safe, una cantante di derivazione lirica che pubblicherà il suo disco d’esordio più avanti nell’anno con la produzione del suo scopritore Trevor Horn, anche il marketing vuole la sua parte, ma il duetto tra i gorgheggi della Safe e la chitarra di Beck pur sfiorando il pacchiano ha i suoi momenti.

Pacchiano che sfiora anche le versioni strumentali di Over The Rainbow e Nessun Dorma, ma poi vi scoprite a chiedervi come diavolo faccia a riprodurre con la chitarra quell’acuto micidiale di “All’Alba Vincerò” e vedere che che non solo ce la fà ma vi viene pure quel piccolo groppo di emozione che la “canzone” (si fa per dire) sa suscitare. Dimenticato qualcosa? Direi! L’edizione Deluxe, quella con il Dvd, comprende tutta l’esibizione completa di Beck al Crossroads Guitar Festival del 2007, fantastica! Vedere please.

C’è altro? Ah, sì! Lo strumentale d’apertura, sempre dal repertorio di Jeff Buckley Corpus Christi Carol è in effetti una composizione del 1500 circa, mentre Never Alone è un altro bel brano strumentale che ricorda il Santana più ispirato anni ’70 ma anche lo stesso Beck di quel periodo d’oro, idem per l’ottima e lunga Serene. Quindi non solo pericolo scongiurato, niente tavanata, ma anche un bel dischetto che potrebbe sorprendervi favorevolmente, dategli fiducia! Se vi state chiedendo chi cacchio sia la tipa a fianco del buon Beck nella prima foto, quello è uno degli errori, trattasi della famigerata Kelly Clarkson dalla trasmissione americana American Idol, nessuno è perfetto!

Bruno Conti

Dall’Irlanda: Cantautore E Scalpellino! Mick Flannery

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Visto che gli ultimi post erano sempre relativi a voci femminili e di questo signore era un po’ di tempo che volevo parlarvi, su suggerimento di un amico, mi sembra giunto il momento. Non si tratta di una notizia di stretta attualità ma questo signore di Cork (Blarney per la precisione), Irlanda assolutamente merita, si chiama Mick Flannery, tanto per mettere i puntini sulle i. Oltre a tutto mi sono documentato un poco su siti e riviste italiane ma mi sembra che non ne abbia mai parlato proprio nessuno. Male! Perché siamo di fronte ad un grande talento: intanto il titolo, “stonemason” in inglese fa più figo ma il senso è quello, trattasi di onesto lavoratore che lavora la pietra, ora per diletto e part-time, un tempo era la sua occupazione principale.

Una discografia di due album (entrambi per la EMI Irlanda, quindi auguri per la ricerca), più un EP autodistribuito: il primo Evening Train è del 2005, il secondo White Lies è del 2008 ed ha già avuto l’onore dell’edizione Deluxe doppia con un CD dal vivo alla Cork Opera House + bonus track del duetto con Kate Walsh (non l’attrice americana) Christmas Past aggiunti alla versione originale che è entrata nei Top Ten delle classifiche irlandesi, quindi non un carneade qualsiasi. Per aggiungere pepe alla sua vicenda artistica, ad inizio carriera, come racconta lui stesso per smentire la propria biografia ufficiale nel corso di un viaggio di tre mesi a New York (e non alcuni anni) inviò un modulo di partecipazione con allegati dei demos di alcuni suoi brani ad un concorso in quel di Nashville e con sua grande sorpresa ha vinto due premi, U.S. Songwrting Competition uno dei più importanti in America, in giuria c’era anche Tom Waits, il particolare divertente è che tutto è avvenuto per posta, niente trasmissioni televisive tipo X-Factor o American Idol, ragazzine in delirio, solo per meriti musicali.

Il nome Tom Waits non viene fatto a caso perché è uno degli idoli musicali di Flannery, insieme a Leonard Cohen, Dylan e i Nirvana del disco Unplugged, per non farsi mancare niente: voi inserite nel vostro lettore Evening Train, parte il primo brano Creak In The Door, un piano e il violino introducono la voce incredibile di Mick, pensate al Tom Waits più giovane, quello melodico degli anni ’70 o a David Gray, ma da vecchio, When I’ve Got A Dollar avrebbe fatto la sua porca figura su Small Change (il suo disco preferito, se siete anche voi della tribù dei nostalgici del Tom Waits pianistico, jazzato e malinconico della prima fase e non amate la fase “rumoristica” ma la rispettate, ma diciamolo! Come direbbe Villaggio/Fantozzi sulla Corrazzata Potemkin!), la voce è sempre più grave e glabra, entra una voce femminile a duettare, nel brano successivo Take It On The Chin c’è addirittura una seconda voce maschile ancora più vissuta di quella di Flannery, entra un’armonica, tra Dylan e Young. Perchè vi dico tutto ciò: fatevi due conti, il disco è del 2005, Mick Flannery è nato nel novembre del 1983 !?!, quindi ventuno anni, un uomo nel corpo di un ragazzo; se aggiungiamo che il disco è una sorta di concept-album su una settimana nella vita di due fratelli estremamente diversi tra loro, il bravo ragazzo e il “maledetto”, capite che qui ci troviamo di fronte ad un grande talento, letterario e musicale.

Il secondo disco, White Lies, del 2008, è anche meglio, il suono è ancora più corposo (anche se il primo album, tra pianoforti, violini e chitarre acustiche ed elettriche, aveva già una sua ragion d’essere), i brani sono sempre coinvolgenti, prevalentemente ballate, buie e malinconiche, spesso romantiche, con quel piano tra Waits, Cohen e il Nick Cave più raccolto, magnifiche, sentitevi Safety Rope che apre l’album, una meraviglia sonora di poco meno di quattro minuti, sempre presenti il violino di Karen O’Doherty che divide gli interventi vocali con l’altra vocalist Yvonne Daly: lui Flannery suona piano e chitarra, coadiuvato da un piccolo gruppo di musicisti in grado di regalare sensazioni importanti in brani come California e Tomorrow’s Paper, lo sto risentendo proprio ora e vi posso garantire che si tratta di grande musica.

Qui alla BalconyTv di Dublino x7h30l_mick-flannery_music, questo è il duetto con Lisa Hannigan (quella di Damien Rice, esatto!) in Christmas Past watch?v=vO4MqPQnTLs e questo dal Late Show della RTE.

Caldamente consigliato.

Bruno Conti