Per Chi Ama Il Buon Blues, Un Ritorno Atteso Sia Pure “Tardivo”. Corey Dennison Band – Night After Night

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Corey Dennison Band    Consigliato – Night After Night – Delmark Records

Nel 2016 avevo recensito più che positivamente il primo omonimo album della Corey Dennison Band https://discoclub.myblog.it/2016/04/18/giovane-promessa-del-blues-elettrico-corey-dennison-band/ : poi avevo perso le tracce di questo omone di Chattanooga, Tennessee, che nel frattempo è diventato uno dei musicisti bianchi blues più apprezzati della zona di Chicago e dintorni, dove suona abitualmente. Ma il nostro amico aveva nel frattempo pubblicato un secondo album, questo Night After Night, che, pur essendo targato 2017, per varie vicissitudini, presumo di distribuzione, ha circolato molto poco nelle nostre lande, oppure addirittura arriva solo ora. Il disco, come il precedente, è ottimo e  Dennison si conferma un eccellente chitarrista, con un sound che è un diretto erede del classico Chicago Blues elettrico che alla Delmark dei tempi d’oro praticava gente come Jimmy Dawkins e Magic Sam, quindi con un timbro di chitarra forte ed espressivo, spesso tirato, ma lontano dalle spire del rock-blues più duro, un tocco a tratti vellutato e ricco di feeling, imparato in lunghi anni passati on the road con il suo maestro Carl Weathersby (che firma anche un brano per l’album).

Il suono quindi ha una sorta di “fondamentalismo”, ma di quello sano, legato alle tradizioni della buona musica, senza per questo essere bolso e stancamente ripetitivo, ogni brano è ispirato da stili e generi diversi, ma mantiene comunque una freschezza, una vivacità, una gioia di suonare, che sono le caratteristiche vincenti di questa fatica. Come avevo rimarcato per il precedente album Corey Dennison ha anche una ottima voce, il che non guasta, roca, vissuta, ma anche pimpante, innervata dalle migliori espressioni della musica nera. Gerry Hundt, che è il secondo chitarrista, l’organista e l’armonicista della band, firma con Corey 8 dei 13 brani dell’album, ed è la spalla ideale per Dennison, che ha anche una ottima sezione ritmica nel bassista Nick Skilnik (che dopo la registrazione ha abbandonato il gruppo) e nel batterista Joel Baer, uno che lavora molto anche con i rullanti, i piatti e le percussioni, regalando un suono molto variegato all’insieme. Prendete l’iniziale, deliziosa, Hear My Plea, uno di quei brani dove blues, soul e ampie spruzzate di gospel convivono alla perfezione, la chitarra è ficcante e leggermente riverberata come usavano fare i maestri della Delmark ricordati poc’anzi, ma Dennison ci mette del suo con una interpretazione vocale superba, dove il pathos del testo è convogliato con grande enfasi, e il lavoro di Baer alla batteria è un altro elemento vincente.

Una chitarrina malandrina ci introduce ai piaceri di Misti, un brano che era già apparso nel CD della Kilborn Alley Band https://discoclub.myblog.it/2017/06/15/electric-blues-di-classe-con-un-piccolo-aiuto-dai-loro-amici-kilborn-alley-blues-band-presents-the-tolono-tapes/ , un delizioso e gioioso errebì che sembra uscire da qualche vecchio vinile anni ’60, magari di marca Stax, con la chitarra che vola giocosa sulle ali di una brillante sezione ritmica e dell’organo suonato da Hundt, e con il nostro amico che canta con una solarità quasi imbarazzante per la gioia di vivere che trasmette. I Get The Shivers è un gagliardo e solido shuffle, cantato e suonato con impeto, mentre Better Man è un altro magnifico deep soul, pure questo cantato con grande trasporto e forza da Corey e con l’armonica a colorire il sound, alternandosi all’organo, prima dell’ingresso della solista che rilascia un lirico assolo, con Phone Keeps Ringing che introduce un irresistibile groove funky, per poi passare addirittura in territorio Motown con il contagioso ritmo vintage della festosa Nothing’s Too Good (For My Baby).

Love Ain’t Fair è il brano di Weathersby, uno slow blues di quelli duri e puri con Dennison che distilla dalla sua Gibson una serie di assoli in puro stile Delmark, a seguire arriva un ‘altra cover, Are You Serious?, un mellifluo e “leggero” funky blues di Tyrone Davis, di buona fattura ma non eccelso, come pure Nightcreepers 2 (Still Creepin’), il seguito di un brano strumentale apparso nelle Tolono Tapes, anche questo con basso funky a manetta. Decisamente meglio It’s So Easy, altro lungo blues lento di grande intensità, che precede Stuck In Chicago, un pezzo dei Cate Brothers, altro funky-soul di buon spessore, con qualche rimando all’ultimo Robert Cray. Troubles Of the World è un vecchio pezzo che faceva parte del repertorio di Mahalia Jackson, quindi spunti gospel, ma l’esecuzione è decisamente contemporanea, ritmi incalzanti, chitarra al solito in bella evidenza, come pure nella conclusiva Down In Virginia, un rockin’ shuffle di Jimmy Reed che chiude in modo positivo un album che anche se nella seconda parte perde un po’ della qualità della prima sarebbe un peccato non avere per chi ama il buon blues. Consigliato.

Bruno Conti

Non Solo Sopravvive Ma Prospera, Ogni Disco E’ Più Bello Del Precedente! Walter Trout – Survivor Blues

walter trout survivor blues

Walter Trout – Survivor Blues – Mascot/Provogue CD

Da quando nel 2014 Walter Trout ha pubblicato un album https://discoclub.myblog.it/2014/05/19/disco-la-vita-walter-trout-the-blues-came-callin/ che raccontava la sua dura lotta con un tumore al fegato quasi terminale, le cose sono cambiate radicalmente. il cantante e chitarrista americano ha subito un trapianto che ha risolto i suoi problemi di salute che sembravano ormai irrimediabili: non solo, Trout, dopo lo scampato pericolo (e anche durante), ha poi inanellato una serie di album, in studio e dal vivo, veramente di grande qualità, l’ultimo era stato https://discoclub.myblog.it/2017/08/29/tutti-insieme-appassionatamente-difficile-fare-meglio-walter-trout-and-friends-were-all-in-this-together/ uscito nell’estate del 2017, in cui aveva chiamato a raccolta una serie di amici per un disco che celebrava la sua musica, ovvero il blues. Non contento dei risultati ottenuti negli ultimi anni il buon Walter insiste e rilancia con questo Survivor Blues, un disco di cover, pescate nel repertorio delle 12 battute, ma cercando perlopiù brani poco noti, in qualche caso anche di autori sconosciuti ai più (ma non agli appassionati): ed il risultato, ancora una volta, è eccellente, un ennesimo album di blues (rock) suonato e cantato con grande classe e impeto. Per una volta la formula classica dei dischi della Mascot/Provogue che prevede la presenza spesso massiccia di ospiti è stata disattesa, nell’album ce ne sono solo due Sugaray Rayford Robby Krieger, e quindi il protagonista assoluto è Walter Trout, o meglio la sua chitarra, che spazia in lungo e in largo nel repertorio classico del blues.

Perché, a ben guardare, come dicevo poc’anzi, per chi ama il genere, quasi tutti i nomi degli autori dei brani non sono certo minori: a partire dal grande Jimmy Dawkins, uno degli esponenti storici del Chicago sound elettrico di casa Delmark, presente con Me, My Guitar And The Blues, che è una sorta di manifesto programmatico di questo album, il classico slow intenso e lancinante, dove Walter Trout, anche in ottima forma vocale, eccelle con la sua fluida chitarra, grazie ad un suono lirico ed intenso, dove si apprezzano anche il piano e l’organo di Skip Edwards, e la perfetta sezione ritmica formata da Johnny Griparic al basso e Michael Leasure alla batteria, fedeli compagni di avventura da qualche anno a questa parte, comunque la serie di assoli prodotti è veramente da sballo. Il produttore Eric Corne, all’opera pure nei dischi precedenti, è il proprietario della Forty Below Records, l’etichetta per la quale incide John Mayall (di cui vi preannuncio Nobody Told Me, un disco strepitoso in uscita verso fine febbraio), un profondo conoscitore della materia che fa un lavoro quasi certosino nella ricerca della migliori sonorità, rigorose ma con molte nuances che lo avvicinano al rock-blues più classico di Trout, il tutto registrato negli studi di Los Angeles di proprietà di Krieger. Be Careful How You Vote, un brano scritto da Sunnyland Slim ricorda nell’andatura le canzoni più vibranti dei Bluesbreakers di Mayall, nei quali Trout, che qui suona anche all’armonica, ha militato ad inizio carriera: suono potente, sempre con la chitarra in grande evidenza; mentre in Woman Don’t Lie, firmata da Luther Johnson ed uno dei pezzi più “oscuri” del CD, come voce duettante con Walter appare il bravissimo Sugaray Rayford, uno dei cantanti più scintillanti del “nuovo” blues, che ricordiamo oltre che nei suoi album solisti nei Mannish Boys, per una canzone sempre ricca di grande forza ed energia.

Sadie, dal repertorio del grande Hound Dog Taylor, è meno scoppiettante dei boogie che siamo soliti accostare al musicista di Chicago, altro punto di forza della etichetta Delmark, ma la canzone gode comunque di un brillante crescendo e oltre alla solista di Walter si apprezza anche il lavoro dell’organo di Edwards; Please Love Me, sempre incalzante nel suo dipanars,i e con Edwards che passa al piano, arriva dal songbook di B.B. King ma è qui trasformata in blues-rock di grande impeto dalle solite folate della solista di Trout, che poi decide di rendere omaggio al suo vecchio datore di lavoro, con uno dei brani più belli scritti da John Mayall, ovvero Nature’s Disappearing, in origine su Usa Union del 1970, la canzone conserva il suo messaggio ecologico ante litteram anche ai giorni nostri https://www.youtube.com/watch?v=9aGft_2FvL8 , e grazie ad un arrangiamento più intimo e rilassato, dove spicca di nuovo l’armonica e una chitarra più misurata e ricca di feeling, conferma l’estrema varietà di temi sonori affrontati nel disco. Red Sun, si trova su un disco della Floyd Lee Band, una band canadese di cui non avevo onestamente mai sentito parlare, e in cui milita il suo autore, tale Joel Poluck, in ogni caso un bel pezzo rock-blues grintoso e ad alta densità chitarristica, con Walter Trout che al solito imperversa con la sua vissuta Fender d’ordinanza, con Something Inside Of Me che è il secondo lento presente nell’album, che porta la firma di Elmore James, ma non sembra uno dei soliti brani a tutta slide del grande bluesman, e ricorda viceversa nel suo dipanarsi uno dei classici slow alla Eric Clapton, con la chitarra che si libra sempre con vibrante intensità.

It Takes Time è un omaggio ad un altro dei grandi chitarristi della scena di Chicago, ovvero Otis Rush, uno shuffle sempre di notevole vigore, come pure Out Of Bad Luck, che porta l’autorevole firma di Magic Sam, altro maestro della chitarra elettrica, che viene fatto rivivere da un Trout sempre in grande spolvero. Nella parte finale del disco a dare man forte al nostro amico arriva Robby Kieger, il vecchio chitarrista dei Doors, qui alla slide, da sempre grande appassionato di blues, ed i due danno vita ad una rilettura ricca di elettricità del classico pezzo di Fred McDowell Goin’ Down To The River https://www.youtube.com/watch?v=8an0THlYgRI , di nuovo con una atmosfera sonora tesa e diretta che ricorda nuovamente il miglior Eric Clapton alle prese con le 12 battute classiche. E per chiudere un disco veramente splendido che segna la definitiva consacrazione di Walter Trout, ammesso che ce ne fosse bisogno, arriva un altro brano di un autore spesso saccheggiato dai bluesmen bianchi di ieri e di oggi, JB Lenoir, di cui viene ripresa in modo brillante e spettacolare una tersa e scintillante God’s Word, con il chitarrista californiano che ancora una volta si esprime a livelli stellari con la sua chitarra. Il primo grande disco del 2019, assolutamente da avere.

Bruno Conti

Sempre Blues, Ma Di Quello Tosto! The Bob Lanza Blues Band – ‘Til The Pain Is Gone

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The Bob Lanza Blues Band – ‘Til The Pain Is Gone – Self Released

Bastano sei o sette secondi dal’inizio del primo brano, Maudie, per capire che Bob Lanza tiene fede al suo motto su come suonare il Blues: “dal profondo del cuore, con ferocia, come se la tua vita dipendesse da questo!”. Bravo, sottoscrivo! In un mondo dove ogni mese escono decine di dischi di blues, per emergere, oltre alla tecnica, contano la passione e il feeling, e in questo CD ce ne sono a tonnellate di entrambe.

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Lanza non è uno di quei musicisti che si risparmia, che viaggia in punta di fioretto (o di chitarra, se preferite), il suo stile e il suo approccio alla musica sono quasi sempre entusiasmanti, il suono è vigoroso e rigoroso al tempo stesso, si usa dire “blues with a feeling” e Lanza, con l’aiuto della propria band confeziona un album dove la materia è rivista in modo viscerale, un blues elettrico ad altra gradazione, dove i protagonisti sono la chitarra e la voce del nostro, ma anche gli altri solisti, l’armonicista David “Snakeman” Runyan e il tastierista Ed “Doc” Wall, hanno un ampio spazio (musicisti coi soprannomi, già sono bravi a prescindere) https://www.youtube.com/watch?v=78Xw5nXUP4I .

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Però poche balle, quello che conta è Bob Lanza, un chitarrista di quelli completi, come si desume proprio da Maudie, una cover di Mike Bloomfield, dove l’intensità dell’approccio chitarristico ricorda moltissimo quella dello scomparso musicista di Chicago, Illinois, un misto di furia e classe, note lunghe e rabbiose, precise, un “piccolo aiuto” dal figlio Jake, che si alterna nei soli di questo piccolo gioiellino che apre le danze dell’album, “Doc” Wall a piano e organo sottolinea con maestria e la famiglia Lanza illustra cosa voglia dire suonare il Blues, anche se vieni dal New Jersey, che non è uno dei “reami” delle 12 battute, ma tant’è! Lo slow blues I’ll Take care of you è anche meglio, David “Snakeman” Runyan con la sua armonica è perfetto nel supporto solistico, Wall ci delizia sempre con le sue tastiere e con questi assist, Lanza, anche ottimo vocalist, ci spiega ancora una volta cosa vuol dire suonare il Blues, sentimento e doti tecniche, fraseggio e tono esemplari, la solista che “punge”, il tutto unito in un sound senza tempo, sentito mille volte, per un rito che si rinnova sempre, ma che se gli interpreti sono di qualità, e qui ci siamo, non è mai stanco e risaputo, come succede viceversa in molti dischi di presunti novelli geni della chitarra https://www.youtube.com/watch?v=78Xw5nXUP4I .

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Questo è “solo” blues, poco rock (ma un qualche “estratto” c’è), se gente come Earl, Robillard, il citato Bloomfield, ma anche il Clapton più canonico, possono essere usati come pietre di paragone, non si può non risalire anche a “maestri” come Jimmy Dawkins, Luther Allison, Buddy Guy, tutta gente che ha sempre instillato una certa ferocia nel proprio approccio alla chitarra, la chiusura di ‘Til The Pain Is Gone quando Lanza quasi si trasfigura nel lungo assolo finale è un ottimo esempio di questo assunto. Lo strumentale Snakebyte offre ampio spazio all’armonica di Runyan ed è più classico, vicino agli stilemi del blues urbano, anche se il fluido divenire della chitarra è sempre un piacere da ascoltare. Il momento topico del disco è nella lunga Outskirts Of Town, ancorato dalla ritmica metronomica e precisa del batterista Noel Sagerman e del bassista Reverend Sandy Joren (ti pareva che non avesse anche lui un soprannome!), Bob Lanza rilascia un assolo di quelli da manuale del perfetto bluesman, un fiume di note, un crescendo irresistibile, da applauso a scena aperta, con l’ottimo Lee Delray, altro chitarrista di vaglia a dividersi il proscenio, alla seconda solista.

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I’m ready è proprio il brano di Willie Dixon, Southside Chicago Blues con armonica e chitarra alternate, in Every Night And Every Day fanno capolino anche dei fiati, per questo standard del repertorio di Magic Sam, più sanguigno e “cattivo” del precedente, con Runyan e Wall che tirano la volata al “solito” assolo di Lanza, che esplora ancora una volta il manico della sua chitarra con un vigore inusitato https://www.youtube.com/watch?v=s_cmfVUBhp4 . Build Me A Woman è uno shuffle texano più risaputo ma sempre gradevole, ma Sugar Sweet ci riporta immantinente in quel di Chicago con il florilegio pianistico di Wall a titillare i suoi pard nell’unico brano dove la chitarra “riposa”. Lonesome vede Lanza all’acustica per un intermezzo di pace in tanta elettricità, replicato anche nella successiva Our Life, una sorta di “boogie acustico”, solo voce, armonica e chitarra. Un trio di brani, che per quanto piacevoli spezzano il ritmo del resto dell’album e la conclusiva Mojo, cantata dal batterista Sagerman non riesce a recuperare completamente il drive della prima parte del disco, che il vecchio Muddy avrebbe sicuramente approvato. Un bel disco, con una parte finale più “selvaggia” sarebbe stato quasi perfetto, ciò nondimeno merita, anche se è uscito da qualche mese e non si trova con facilità!

Bruno Conti   

Ritorno Al Passato! John & Sylvia Embry – Troubles

john & sylvia embry

John & Sylvia Embry – Troubles – Delmark/IRD

CD veramente strano questo Troubles, l’esordio in digitale per due musicisti, marito e moglie, John e Sylvia Embry, che non sono più sulla faccia della terra da lunga pezza. Lui John ci ha lasciato nel lontano 1987, lei, Sylvia, è morta di cancro nel 1992, ma ora, dalle nebbie del tempo, emerge questo disco che raccoglie l’unico LP, After Work, pubblicato a livello locale dalla Razor Records nel 1979. La Delmark lo rende disponibile nuovamente, integrato da un 45 giri d’epoca e da alcuni brani presi qui è là, in studio e dal vivo. La registrazione è nuda e cruda, ma ci presenta due talenti misconosciuti della scena musicale blues di Chicago. John Embry, chitarrista elegante, in possesso anche di un solismo spesso tagliente e lancinante, non dissimile da quello di altri grandi della scena locale, da Jimmy Dawkins a Magic Sam, passando per il primo Buddy Guy http://www.youtube.com/watch?v=kKiAM_FdtLo . Queen Sylvia Embry, nata Sylvia Lee Burton, cantante (e bassista) dalla voce poderosa, intrisa di sapori gospel e soul, una shouter potentissima in grado di rivaleggiare con gente come Koko Taylor, Big Mama Thornton o cantanti soul come Irma Thomas, Etta James e le altre grandi dell’epoca.

sylvia embry

Sentitevi la cover di I Found A Love, un classico dei Falcons prima e di Wilson Pickett poi (sempre lui era!), proposto qui in medley con Rainbow, un brano della coppia Chandler/Mayfield, in duetto con il batterista del disco Woody Williams, che la stimola nel classico call and response della migliore soul music. Ma la Embry è a suo agio anche nel boogie blues alla Hound Dog Taylor di I’m Hurtin dove John si cimenta anche alla slide o nei tirati blues iniziali, Wonder Why e Troubles, uno slow “spaziale” dove l’interazione voce-chitarra è vicina alla perfezione http://www.youtube.com/watch?v=_1OxP1ZnJ5o , tipico Chicago blues elettrico di ottima fattura, che portano entrambi la sua firma. Il “Wicked Pickett” viene nuovamente omaggiato in una versione super funky di Mustang Sally, dove Woody Williams guida la prima parte sul basso pompatissimo della Embry e Sylvia lo “attizza” nella seconda parte, in una perfetta esemplificazione dei manuali del soul e del blues più sanguigni (anche John ci mette del suo).

johnny guitar embry

Gonna Find My Way è un blues dalla chitarra tintinnante e con la voce fantastica della Embry in grande evidenza, come la seguente Early Time Blues. Avrebbero fatto la loro bella figura a fianco del materiale originale della Chess anni ’60 e ’70. La registrazione è volutamente “primitiva” ma ha una freschezza invidiabile, il duetto con il secondo chitarrista Riler Robinson nello strumentale Razor Sharp ha una vitalità che risalta anche dopo tutti questi anni. In Keeps Your Hands Off Her sembra che il tecnico sia facendo delle prove con i livelli della voce mentre il brano viene registrato in presa diretta. Blues This Morning conclude questa sezione di cinque brani che non era stata pubblicata in precedenza ma non ha nulla da invidiare al resto del disco. After Work che dava il titolo al LP originale è un sinuoso strumentale che ci permette di gustare la grande tecnica alla solista di John Embry http://www.youtube.com/watch?v=WpsuE4Gd_rs , come pure la seguente Worry Worry cantata benissimo da Riler Robinson, un brano che non ha nulla di meno a livello qualitativo di alcune perle del repertorio dei grandi citati prima, Dawkins, Guy e Magic Sam. Gli ultimi due brani come il breve frammento strumentale 62nd St. Lau sono registrati dal vivo. Poste in conclusione ci sono I Love The Woman e Johnny’s Bounce che erano i due lati del 45 giri pubblicato sempre per la Razor nel 1979. Una preziosa “scoperta” per gli amanti del buon Blues, caldamente consigliato, meglio dell’80% dei dischi di blues elettrico che escono ai giorni nostri!

Bruno Conti