Cofanetti Autunno-Inverno 4. Uno Scrigno Di Tesori, Finalmente A Disposizione Di Tutti! Steve Miller Band – Welcome To The Vault

steve miller band welcome to the vault

Steve Miller Band – Welcome To The Vault – Capitol/Universal 3CD/DVD Box Set

Nel mese di Novembre Bruno vi intratterrà con una dettagliata retrospettiva dedicata a Steve Miller, musicista molto popolare negli anni settanta ed ottanta con la sua Steve Miller Band: io oggi mi occupo invece di Welcome To The Vault, nuovissimo cofanetto che per la prima volta vede pubblicate diverse canzoni provenienti dagli archivi del cantante-autore-chitarrista di Milwaukee. Siccome le note biografiche sul personaggio le potrete leggere già nel post del titolare di questo blog, io mi limiterò alla recensione “nuda e cruda” del contenuto del box, che in tre CD più un DVD (ma esiste anche una versione audio singola intitolata Selections From The Vault) ripercorre tutto il cammino di Steve ponendo però l’accento su parecchie tracce sconosciute, con versioni alternate di pezzi noti, riletture dal vivo, cover incise in studio e addirittura ben cinque canzoni originali mai sentite prima. Steve aveva già pubblicato in passato qualche brano inedito, ma mai con una tale generosità: infatti su 52 pezzi totali (parlo della parte audio) ben 38 compaiono qui per la prima volta, e la bellezza del manufatto (una splendida confezione formato libro con numerose foto, note del noto giornalista David Fricke e crediti canzone per canzone, con in omaggio anche un poster, diverse cartoline e dieci plettri multicolori, oltre ad una suggestiva copertina lenticolare) è la ciliegina sulla torta che fa sì che il box sia da considerarsi imperdibile.

Sì, perché al suo interno troviamo davvero tantissima grande musica, da parte di un artista spesso sottovalutato e bistrattato dalla critica per la sua scelta, specie dagli anni settanta in poi, di specializzarsi nella scrittura di brani pop-rock di stampo californiano di sicuro impatto e grande successo (come se la capacità di scrivere hits di qualità fosse un demerito), tralasciando in parte il blues e la psichedelia di inizio carriera. Ma il blues è sempre stata la sua vera passione, ed in questo cofanetto ce n’è a volontà, sia in studio che soprattutto dal vivo, spesso in versioni lunghe ed infuocate. Non dimentichiamo che la SMB ha sempre avuto ottimi musicisti al suo interno, ed è stata anche trampolino di lancio per nomi del calibro di Boz Scaggs, Ben Sidran e Ross Valory (che diventerà il bassista dei Journey fino ai giorni nostri), oltre ad ospitare nei seventies il noto armonicista Norton Buffalo. Il box comprende anche dei brani editi, un po’ come American Treasure di Tom Petty, ma mentre nel caso del compianto rocker della Florida la scelta cadeva su canzoni meno conosciute, qua le hits non mancano, e nelle versioni più note (The Joker, Fly Like An Eagle, Abracadabra): sinceramente non capisco questa scelta, in quanto un neofita difficilmente si comprerà questo box, mentre i fan di Steve conoscono già questi brani a menadito (anche se riascoltarli fa sempre piacere). Ma passiamo ad una disamina disco per disco, premettendo che mi limiterò soltanto alle tracce mai sentite prima.

CD1. Il cofanetto comincia subito con tre inediti dal vivo, il primo dei quali è una straordinaria Blues With A Feeling di Little Walter, dieci minuti registrati nel 1969 in trio con Lonnie Turner e Tim Davis, un torrido slow blues che ci fa subito capire che Steve nel compilare il box ha fatto le cose sul serio: grande performance chitarristica del leader, ed è solo l’inizio. Una tosta versione della vibrante Don’t Let Nobody Turn You Around precede altri nove imperdibili minuti della fantastica Super Shuffle (siamo nel 1967), uno strumentale chitarristico a tutto ritmo nel quale il nostro ed i suoi compagni andavano già come treni: tra le cose più belle del box. Ci sono diverse versioni alternate di brani noti di Steve, a partire dall’hendrixiana Industrial Miltary Complex Hex, per proseguire con un’intima rilettura acustica di Kow Kow Calculator (1973, quattro anni dopo la versione originale), un demo del 1966 di Going To Mexico in cui Miller suona tutti gli strumenti, il sognante pop psichedelico Quicksilver Girl (con Scaggs alla seconda chitarra), una strepitosa Jackson-Kent Blues di otto minuti e mezzo anche meglio dell’originale ed una Seasons ancora con solo Steve alla voce e chitarra. Dal vivo abbiamo anche una fenomenale rilettura del classico di Robert Johnson Crossroads che non ha tanta paura di quella dei Cream (ma come suona Steve?) ed una scintillante Never Kill Another Man, acustica e folkeggiante con quattro voci all’unisono, molto CSN&Y. Dulcis in fundo, questo primo dischetto offre anche le prime due canzoni totalmente inedite, e se Hesitation Blues è una tenue ballata acustica che dura meno di due minuti, Say Wow è un gradevole midtempo blues che avrebbe potuto benissimo trovare posto su qualsiasi album del nostro.

CD2. I primi brani unreleased che troviamo sono due versioni della nota Space Cowboy, la prima solo strumentale ed embrionale (dura poco più di un minuto), mentre la seconda è registrata dal vivo nel ’73, ed è trascinante sebbene non incisa benissimo. Le “alternate versions” continuano con una doppia Rock’n Me (uno dei più grandi successi della SMB), la prima full band con Buffalo all’armonica e la seconda a livello di demo, una True Fine Love non particolarmente rifinita ma sempre molto bella, la grintosa The Stake, un blues di gran lusso, e due riletture di classici come My Babe di Willie Dixon e All Your Love (I Miss Loving) di Otis Rush, non inferiori a quelle finite rispettivamente su Living In The 20th Century e Wide River. Le chicche di questo secondo CD sono però le cover inedite registrate in studio: una potente Killing Floor (Howlin’ Wolf), blues e ritmo che vanno a braccetto, un’intensa Tain’t The Truth di Allen Toussaint, che assume la veste di una ballata anni sessanta, la coinvolgente Freight Train Blues di Roy Acuff, decisamente più blues che country (ma perché non pubblicarla?), una vibrante Double Trouble ancora di Otis Rush, ed una squisita Love Is Strange (Mickey & Sylvia, ma anche i Wings di Wild Life) dall’arrangiamento quasi reggae. La ciliegina sono i due brani scritti da Steve e mai sentiti prima, cioè il godibile rock’n’roll strumentale Echoplex Blues e soprattutto That’s The Way It’s Got To Be, una canzone davvero ottima, una calda ballata melodicamente impeccabile ed impreziosita dalla slide di Les Dudek, altro pezzo che non mi spiego come possa essere rimasto nascosto fino ad oggi.

CD3. Si inizia con una bella e rilassata registrazione live (1990) del blues di Jimmy Reed I Wanna Be Loved, in cui il nostro duetta chitarristicamente con il leggendario Les Paul, solo due chitarre ed un basso ma godimento alle stelle. Gli inediti di questo terzo dischetto sono perlopiù versioni alternate, comunque decisamente interessanti, a partire da una Fly Like An Eagle dall’arrangiamento più funky rispetto all’originale e registrata due anni prima. Poi abbiamo un demo chitarra-basso-batteria di The Window (canzone splendida in ogni caso), due ottime e vitali prime versioni di Mercury Blues e Jet Airliner ed una fluida Swingtown. Finale in deciso crescendo con una sontuosa Take The Money And Run dal vivo nel 2016 al Lincoln Center di New York con Jimmie Vaughan come axeman aggiunto ed una sezione fiati, strepitosa rilettura ricca di swing, seguita dall’ultimo inedito assoluto del box, Bizzy’s Blue Tango, una scintillante rock song strumentale dal mood coivolgente che giustamente è stata tirata fuori dai cassetti (è del 2004). Il cofanetto si chiude in maniera particolare, e cioè con due versioni molto diverse del blues di T-Bone Walker Lollie Lou: la prima è una registrazione inedita del 1951 proprio dello stesso T-Bone (con un pianista ed un bassista non accreditati) e proprio a casa di Steve, di fronte al padre del nostro che era amico del grande bluesman, mentre la seconda è eseguita dalla SMB ancora nel 2016 a New York con Vaughan, adattamento jazzato e decisamente raffinato.

Il DVD (che non ho ancora visto) contiene diverse cose molto interessanti, a partire da un concerto del 1973 (Don Kirshner Rock Concert) di undici pezzi, seguito da due brani del 1990 con Les Paul e varie cose come la partecipazione della SMB al mitico Monterey Pop Festival del 1967, due canzoni al Fillmore West nel 1970, un pezzo del ’74 insieme a James Cotton, Abracadabra in Michigan nell’82 e due brani tratti dall’Austin City Limits del 2011.

Se quest’anno a Natale volete farvi fare un bel regalo, questo cofanetto potrebbe essere un’ottima idea.

Marco Verdi

“Solo” Un Altro Disco di Richard Thompson – Still

richard thompon still

Richard Thompson – Still – Proper/Concord

Potremmo aggiungere che è “solo” il sedicesimo disco di studio di Richard Thompson (ma ovviamente non contiamo quelli fatti con Linda, la famiglia, collaboratori vari, i Fairport Convention, oltre ai dischi dal vivo, le antologie, i cofanetti, le raccolte di inediti, i DVD, e molto altro): dal 1967, quando è uscito il primo disco omonimo dei Fairport ad oggi, Thompson credo (anzi ne sono certo) non abbia mai fatto un disco, non dico brutto, ma scarso. Nella sua discografia ci sono varie punte di eccellenza e un ilvello medio-alto costante negli anni, fatto che per il sottoscritto lo mette nella Top 10 degli artisti viventi più importanti della storia del rock (del folk e di qualsiasi altra musica vi venga in mente). Forse sarò parziale, ma per me Richard Thompson vale i Beatles, Dylan, Hendrix, gli Stones, Van Morrison, Springsteen, Presley e gli inventori del R&R e del soul nel pantheon dei grandi, e pur avendolo detto in altre occasioni, non essendo Paganini, lo ripeto! Il titolo, per Thompson, con l’ironia che lo contraddistingue, lascia intendere che si potrebbe interpretare anche come ” Ancora! Ma non era sparito da secoli?”, con quel piccolo tocco di vanità e amor proprio che non guasta, perché il punto interrogativo non c’è. Quindi “ancora”!

E il disco, ma non poteva essere diversamente, è ancora una volta molto bello: preceduto da grandi attese, quando si era saputo che l’album sarebbe stato prodotto da Jeff Tweedy, registrato negli studi di Chicago dei Wilco, molti pensavano che avrebbe potuto segnare un cambiamento nei suoni e nell’andamento sonoro della musica di Thompson, essere il suo Yankee Hotel Foxtrot, una strada però che era già stata percorsa nei dischi prodotti da Mitchell Froom, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, alcuni peraltro molto riusciti (penso a Rumor and Sigh o al doppio You?Me?Us?, ma brutti non ne ha fatti, per cui…), con suoni più carichi e complessi, ricchi di tastiere, forse meno immediati, ma con le canzoni sempre al centro del progetto. E comunque anche, per la serie dei corsi e ricorsi, First Light Sunnyvista avevano avuto questo approccio sonoro più elaborato. Il nostro vive da moltissimi anni negli Stati Uniti e quindi questo tipo di suono americano è già stato usato nel passato, anche quello più recente, con l’eccellente Electric  http://discoclub.myblog.it/2013/02/22/semplicemente-richard-thompson-electric/  che percorreva, in parte, addirittura i sentieri del genere “americana”, grazie alla produzione di un altro chitarrista, in quel caso Buddy Miller. Poi ci sono stati il DVD dal vivo, il disco acustico e quello con la famiglia, assai diversi stilisticamente tra loro. Ora è la volta di Still, dove Tweedy ha privilegiato il suono di Thompson quando suona dal vivo, il classico trio, chitarra-basso e batteria, con le canzoni che sono il veicolo sonoro e la chitarra di Richard libera di improvvisare quando l’estro lo richiede, cioè abbastanza spesso. Probabilmente era difficile cercare di migliorare la quasi perfezione del sound, quindi, come ammette lo stesso musicista inglese, il contributo di Tweedy potrebbe risultare quasi impercettibile alle orecchie dell’ascoltatore, ma si affretta ad aggiungere, comunque indispensabile https://www.youtube.com/watch?v=o-b2ACVhSzU . Tradotto in soldoni, è il solito bel disco di Richard Thompson. E’ non è poco, Jeff Tweedy e Jim Elkington aggiungono le loro chitarre (Tweedy anche marxophone, mellotron e guitarorgan !!, quindi forse il complimento di Thompson è meritato), Liam Cunningham, la brava cantautrice emergente Sima Cunningham e Siobhan Kennedy aggiungono le loro voci, ma il protagonista assoluto è ancora una volta il nostro amico: con la sua voce inconfondibile, la chitarra unica e quando serve un tocco di fisarmonica, uno di mandolino e di ukulele e il gioco è fatto.

Dodici canzoni nella versione standard ( più altre cinque nella versione doppia Deluxe, che include il Variations EP e che vi consiglio): She Never Could Resist A Winding Road è un classico brano à la Thompson, quindi bellissimo, una ballata folk di purezza cristallina, con gli arpeggi delle chitarre di Thompson che iniziano a costruire le solite delizie da gourmet della sei corde, piccoli tocchi di tastiere sullo sfondo e le armonie vocali della Kennedy, tutto nel tipico e classico canone thompsoniano, rafforzato da un testo che racconta di un personaggio ricorrente nelle sue canzoni, un’altra faccia della donna di Beeswing, “piedi freddi” e cuore caldo, indecisa ma sempre “migliore” delle sue controparti maschili, descritta con la consueta partecipazione e simpatia. Beatnik Walking, con due chitarre acustiche a inseguirsi dai canali dello stereo è un delicata delizia folk per i nostri padiglioni auditivi e il lavoro cesellato della sezione ritmica di Prodaniuk e Jerome ha una “presenza” da incontro sonoro ravvicinato. Patty Don’t You Put Me Down, la storia di una relazione finita, è anche l’occasione per le consuete metafore politiche e sociali di Richard, sarcastico e quasi cattivo nei suoi giudizi, ma è anche un brano rock dove la chitarra di Thompson traccia quelle traiettorie soliste che sono solo sue, con un paio di assolo che valgono il prezzo del biglietto (o del disco). Eccellente anche Broken Doll, dove delle tastiere quasi spettrali aggiungono un tocco di drammaticità ad un brano dall’andatura più sospesa e meno immediata, con l’elettrica di Thompson che qui lavora sui toni e la coloritura. All Buttoned Up è un’altra variazione nel vasto repertorio del nostro, andatura nervosa e rimbalzante, si potrebbe usare funky se non fosse lui, (anche se una una volta parlò di funky folk), forse si applica a questo brano, con la chitarra a disegnare le solite “impossibili” evoluzioni solistiche, tra mandolini, tastiere e altre chitarre che occhieggiano sullo sfondo. Josephine è una delicata ballata acustica di stampo folk, memore del suo passato e presente amore per la grande tradizione della canzone popolare inglese, che incarna perfettamente.

Long John Silver, la storia di un moderno pirata dei giorni nostri è l’occasione per un altro tuffo nel rock inconfondibile alla Thompson, chitarra tagliente e sempre imprevedibile e ritmi vivaci, poi virati nei tempi quasi marziali di una Pony In The Stable che ci riporta ai gloriosi giorni del folk-rock dei primi Fairport Convention. A seguire una ballata sontuosa ed avvolgente, come la struggente Where’s Your Heart, altra dimostrazione della inesauribile vena compositiva di questo signore che non finisce di stupire per la sua capacità di scrivere ad ogni album nuove piccole perle da aggiungere al suo songbook, ottimo nuovamente il lavoro di Siobhan Kennedy, alle armonie vocali. Poi è di nuovo tempo di rock con le evoluzioni frenetiche di No Peace, No End, pezzo dove Thompson estrae dalla sua solista altre incredibili mirabilie da ascoltare in religioso silenzio, mentre Dungeon Eyes rallenta ad un mid-tempo più ragionevole, non per questo meno intenso e godibile delle altre canzoni presenti in Still. Che si conclude con un brano, Guitar Heroes, che si potrebbe definire “The Rock’n’Roll According to Richard Thompson”, una cavalcata di quasi otto minuti dove Thompson ripropone gli stili di alcuni grandi chitarristi che hanno influenzato la sua storia di giovane ascoltatore di musica: e quindi ecco perfette citazioni di Melodie Au Crepuscule di “Django” Reinhardt, Caravan, nella versione di Les Paul, Brenda Lee di Chuck Berry, il chicken pickin’ di James Burton in Susie-Q e gli Shadows di Apache, prima di concludere con uno sferzante assolo di quelli che sono solo suoi.

Bruno Conti

Dal Belgio, Con “Classe”, Vaya Con Dios – Comme On Est Venu…

Una breve premessa del Blogger. Per usare una citazione colta (e una frase famosissima) di Voltaire: “Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte, perché tu possa continuare ad esprimerle”. Magari fino alla morte proprio no ma, pur non essendo d’accordo completamente sui contenuti (ammetto che canta bene!), pubblico questo contributo!

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Vaya Con Dios – Comme On Est Venu… Festival Edition – Sony Music 2010 (2 CD)

Non è un disco recente lo premetto subito, ma è talmente bello per il sottoscritto, che per una volta provo a contraddire la “legge di Bruno” (solo lavori nuovi o di imminente uscita). Il contendere  riguarda l’ultimo lavoro di questo gruppo musicale belga fondato nel 1986 da Dani Klein, una voce femminile magnifica che può cantare di tutto (dai canti delle mondine a Desafinado di Jobim). Tra i successi internazionali dei Vaya Con Dios si ricordano Just A Friend of Mine (numero uno in Olanda nel 1990), Nah Neh Nah, Don’t Cry for Louie, Puerto Rico, Johnny e Don’t Break My Heart, che in buonissima parte vengono eseguiti nel CD dal vivo contenuto come bonus in questa doppia Festival Edition, con nuovi arrangiamenti rispetto agli originali, il tutto registrato al Teatro Viage di Bruxelles il 24 Aprile del 2010.

Nelle 13 tracce del disco in studio, l’unico totalmente in francese della loro disc ografia Comme On Est Venu…, spicca una cover di Leo Ferré Vingt Ans, mentre nella dolce ballata Il Restera Toujours troviamo all’armonica come ospite il grande Toots Thielemans. Il primo CD si chiude con un brano strumentale Charly’s Song, giocato sulle note di piano e contrabbasso, la cui suadente melodia ci trasporta nei piano bar parigini.

Ma veniamo al disco dal vivo, quello più interessante. Accompagna Dani un gruppo di musicisti con le palle (scusate il termine), tra i quali Francis Perez alle chitarre, il “nostro” Salvatore La Rocca al basso, William Lecomte al piano, Hans Van Oosterhout alla batteria, Tim De Conghe tromba e percussioni, Red Gjeci al violino, e cosa non trascurabile, il Coro Locale della città belga. Il concerto, che è cantato in francese, parte con un sibilo di tromba con A En Mourir Pas a ritmo di bossanova, seguita da uno dei cavalli di battaglia del gruppo Puerto Rico sviluppata su un ritmo “caraibico”, che mi porta mentalmente verso quei lidi.

Una jazzata La Vie C’est Pas du Gateau dimostra la versatilità della Klein, e a seguire una cover di Johnny scritta dal chitarrista Les Paul (da un brano del quale prende nome il gruppo), fatta in stile “bohèmienne” à la Edith Piaf di cui era anche celebre la versione francese. Un arpeggio di chitarra introduce una incantevole La Pirogue De L’Exode dove il violino di Gjeci in sottofondo disegna note degne di menzione, come pure nella seguente ballata Il Restera Toujours che ricorda il grande Aznavour. Comme On Est Venu dall’impronta “soul” è eseguita in pregevole duetto con tale Defi J.  (non conosco, ma è bravo), mentre What’s a Woman l’unico brano in inglese, con una tromba “assassina” che segue il cantato di Dani, è una delle tante canzoni che vale il prezzo del biglietto. Chiude un concerto splendido forse il brano più conosciuto dei Vaya Con Dios, quel Nah Neh Nah che ha fatto ballare una miriade di persone e che in questa occasione viene riletto in stile “gipsy music” .

In totale questo gruppo “minore” ha venduto più di 7 milioni di album e 3 milioni di singoli, e ancora oggi rimane popolare in gran parte d’Europa, quindi chi li vuole conoscere o riscoprire, sarà pienamente ripagato, ne vale la pena. Astenersi i perditempo.!

Tino Montanari 

Ma Un Altro Bel Disco Dal Vivo, No? Jeff Beck Live At B.B. King Blues Club

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Jeff Beck – Live At B.B. King Blues Club – Friday Music

Torno ad occuparmi di uno dei miei “clienti”preferiti. Credo che in questa ultima decade siano usciti più dischi dal vivo (tra CD e DVD) di Jeff Beck che nei 30 anni precedenti, un bel 5 a 2 direi. E se non basta li ripubblicano: questo Live At B.B. King Blues Club & Grill New York 09/10/03, per dargli il suo titolo completo, è la terza volta che viene pubblicato. E’ uscito una prima volta nel 2003 per il download tramite il sito della Sony e brevemente anche la versione fisica. Poi di nuovo dalla Sony Japan nel 2006 e ora in questa Collector’s Editon della Friday Music del 2011.

Si tratta del “penultimo” Jeff Beck quello in trio con Terry Bozzio alla batteria e Tony Hymas alle tastiere, senza bassista e senza cantanti aggiunte (sempre donne) come negli ultimi anni. In attesa di sapere come andrà a finire la presunta reunion con Rod Stewart godiamoci questo CD dal vivo che ci presenta il Beck più jazz-rock ed esplosivo dai tempi di Blow by blow e Wired. Una vera macchina in grado di “esplodere” una serie di assoli a velocità sempre più frenetiche e con una perizia tecnica che lo rende indubbiamente uno dei chitarristi più bravi della storia del rock.

Il sottoscritto ha apprezzato maggiormente l’ultima svolta di Beck che si è riappropriato di una maggiore “umanità” nel suo repertorio ma per gli appassionati della tecnica chitarristica applicata al jazz e al rock questo Live è prodigioso come sempre. Il suo controllo dello strumento è impressionante  e dal vivo certe svolte “elettroniche” del periodo anni ’90, primi ’00 sono meno fastidiose.
Brani come Psycho Sam o Freeway Jam sono “spaventosi” nella loro complessità, ma anche quando i tempi rallentano come in Brush With The Blues la quantità di note piazzate da Jeff Beck in un brano sembra sia almeno il doppio di quella di quasi tutti gli altri chitarristi al mondo. E non è detto che questo sia sempre e soltanto un pregio, brani come Scatterbrain ti lasciano ad inseguire per casa la tua mascella caduta per lo stupore ma anche un po’ esausto  dal dover seguire questo fiume di note.

Ma il nostro amico ci gratifica anche con brani come la sua classica rilettura di Goodbye Pork Pie Hat di Charles Mingus che sono gioiellini di controllo dei toni e delle timbriche di una chitarra ai limiti del paranormale (forse gli unici, in ambito rock, che potevano competere con Beck in questo campo erano Roy Buchanan e Danny Gatton). A proposito di riletture sopraffine, in questo Live At B.B. King fa la sua prima apparizione discografica la versione di A Day In The Life dei Beatles che gli frutterà un Grammy nel 2010 come miglior brano strumentale.

Ci sono dei momenti in questo concerto dove uno si domanda che sonorità Jeff possa estrarre dalla sua Fender come ad esempio in Savoy dove il campionario della tonalità è ai limiti delle possibilità umane. E però uno, quando ha recuperato la sua mascella, non può fare a meno di apprezzare momenti come People Get Ready dove riaffiora anche il grande feeling e l’affinità di Beck per i classici del soul e del blues senza dimenticare che per molti, proprio lui, con gli Yardbirds e il primo Jeff Beck Group sia stato uno degli inventori dell’hard rock con l’uso del feedback che precedeva quello di Hendrix di qualche anno (e prima ancora, se vogliamo, c’erano stati Link Wray e Lonnie Mack).

Quindi meravigliamoci e apprezziamo la sua tecnica allo strumento in questo Live ma godiamoci anche il Beck “più umano” del tour recente con Clapton e di quello con la band di Imelda May (in entrambi i tour e nell’ultimo disco in studio c’era anche Joss Stone, che continuo a sostenere ha una gran voce, non sempre frequenta le “giuste compagnie”) con il R&R primo amore e l’omaggio a Les Paul.

Bruno Conti

Meglio Di Così E’ Difficile! Richard Thompson – Dream Attic

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Richard Thompson – Dream Attic – Proper/Ird – Shout Factory

Devo dire di avere una particolare predilezione per Richard Thompson, lo considero uno dei dieci musicisti più importanti e influenti della storia della musica rock (magari in un tutt’uno con Sandy Denny e i Fairport Convention in una sorta di ideale trilogia), ma anche uno dei migliori 10 chitarristi di tutti i tempi (e qui, come nel precedente caso, non sono il solo): se Jimi Hendrix, come detto più volte, è fuori concorso, poi viene il trio degli ex Yardbirds, Clapton, Beck e Page, poi forse Stevie Ray Vaughan e magari Keith Richards e Chuck Berry come riff masters, ma tra gli iconoclasti sicuramente citerei Peter Green (che però ha avuto solo tre anni di grande attività) e Richard Thompson, il più continuo ma anche il più “unico”. watch?v=E3biCVTKwRQ

Proprio negli ultimi anni gli è scoppiata nuovamente questa voglia di suonare la chitarra elettrica come, e meglio di musicisti che hanno la metà dei suoi anni, con una verve ed una inventiva incredibili. Mi é capitato di vederlo un paio di anni fa al Teatro Manzoni di Milano, nel mese di maggio del 2008 (confesso che era uno di quelli che, per vari motivi, non avevo mai visto dal vivo) e ricordo che quasi tutti i presenti, alla fine di alcuni assoli, raccoglievano le loro mascelle che erano cadute al suolo per lo stupore, alcune sono ancora lì.

Facezie a parte quest’anno gli hanno assegnato il Mojo 2010 Les Paul Award e in ogni classifica viene quasi sempre inserito tra i top 20 della chitarra elettrica (ma anche all’acustica è tra i migliori in assoluto) nei vari Poll, anche se lui stesso ha dichiarato che gli fa molto piacere anche se non capisce perché in queste classifiche spesso ci sia Slash ma quasi mai Les Paul. Nel 2010 ha anche realizzato l’annuale edizione del Meltdown Festival invitando i musicisti che più ammira, per esempio nella serata dedicata alla chitarra, James Burton (il chitarrista di Ricky Nelson, Elvis Presley e Emmylou Harris), Dennis Coffey della Motown e il chitarrista dei Ventures. Ma c’è stato anche un tributo a Kate McGarrigle che ha visto la famiglia Thompson sul palco al completo, Richard e Linda di nuovo insieme dopo quasi trenta anni. Sempre quest’anno ha fatto anche un tour acustico con Loudon Wainwright III, simpaticamente chiamato Rich And Loud, ha ripreso il suo vecchio spettacolo 1000 Years Of Popular Music, dove, a richiesta, esegue qualsiasi brano, da Sumer Sicumen Is dell’anno 1000 a Oops I did it again di Britney Spears. Ha anche lanciato un nuovo progetto di pop cameristico chiamato Cabaret Of Souls. E in tutto questo fervere di attività ha anche trovato il tempo per incidere un nuovo album, Dream Attic, dal vivo alla Great American Music Hall di San Francisco, ma attenzione, tutto di materiale inedito, 13 nuove canzoni, uno dei migliori della sua carriera.

Non male per un 61enne che è stato considerato dal LA Times “il migliore cantautore rock dopo Bob Dylan e il miglior chitarrista elettrico dai tempi di Jimi Hendrix”. (non per nulla uno dei suoi dischi degli anni ’70 si chiama “(guitar, vocal)” Ma quello che fa rabbia è che tutto questo a destinato solo ad una ristretta cerchia di appassionati sparsi per il mondo. Riuscirà questo nuovo Dream Attic a rovesciare la situazione? Ne dubito, ma almeno a livello critico, ad una decina di giorni dall’uscita dell’album che avverrà il 31 agosto, il giudizio più scarso che ha avuto è stato 4 stellette e molti non ne hanno ancora parlato a causa della pausa estiva, per esempio in Italia, e allora parliamone!

Un ultimo cosa prima di dedicarci alla disamina del nuovo album: se qualcuno, incuriosito dall’impressionante CV di Richard Thompson volesse approfondire la materia, per cominciare potrebbe provare alcune delle antologie che costellano la sua discografia, magari l’ultima del 2009, Walking On A Wire, un box quadruplo pubblicato dalla Shout factory, o quello quintuplo della Free Reed, RT – The Life and Music of Richard Thompson o magari quello triplo della Hannibal, Watching the dark ma comunque anche se partite da uno qualsiasi dei dischi della sua discografia è difficile che vi sbagliate, magari questo stesso Dream Attic, uno dei migliori in assoluto.

Si diceva, registrato dal vivo, ma nella prima tiratura, su entrambi i lati dell’Oceano, allegato al CD ce ne sarà un secondo che comprende i demo delle 13 canzoni. Qualche incontentabile (o Tafazzi della situazione) ha detto che se deve trovare un piccolo difetto nel disco è l’eccessiva lunghezza media dei brani. Ma Benedetto Uomo, come direbbe qualcuno di nostra conoscenza, è proprio lì il suo bello, fai un disco di canzoni nuove dal vivo proprio per preservare l’immediatezza e l’improvvisazione delle esecuzioni in concerto e poi cosa fai? Tagli gli assoli? Oltre a tutto una serie fantastica di assoli, Richard Thompson appare in forma strepitosa e ne inanella una serie incredibile, uno più bello dell’altro e arriva all’acme proprio con quello veramente impressionante contenuto nell’ultimo brano If Love Whispers Your Name.

Ma tutto parte alla grande dal primo secondo: gli strumenti entrano una alla volta, prima la batteria travolgente di Michael Jerome, poi la chitarra di Richard Thompson i cui meriti sono già stati ampiamente illustrati, poi il basso avvolgente e grintoso di Taras Prodaniuk (e che ha il suo daffare per fare dimenticare il suo predecessore Danny Thompson, e ci riesce), infine il sax di Pete Zorn e il violino del nuovo arrivato Joel Zifkin, il brano si chiama Money Shuffle ed è uno strepitoso, arguto, caustico, divertente attacco a quei manager gentiluomini di Wall Street che un paio di anni fa hanno scatenato l’Iradiddio in giro per il mondo, l’attacco è leggendario: “Amo i gatti e i bambini piccoli/Non riuscite a vedere il tipo che sono/E i vostri soldi sono al sicuro con me/Non avete mai incontrato un uomo così onesto…”. E poi dovete fare il Money Shuffle e a questo punto Thompson esplode un assolo pieno di veleno e adrenalina (in sintonia con l’incazzatura che pervade la canzone) che vira quasi fino alla psichedelia pura mentre il suono per certi versi ricorda i primi Roxy Music, con sax e chitarra che si caricano a vicenda e il violino che aggiunge spessore agli arrangiamenti e siamo solo all’inizio. Questo brano fa il paio con Dad’s gonna kill me uno straordinario attacco alla guerra attraverso i pensieri di un soldato in Iraq, che illuminava il precedente, ottimo Sweet Warrior.

Among the gorse, Among the Grey riprende il tema della ballata ispirata dalla grande tradizione del folk britannico, rivista attraverso l’ottica della musica di Thompson, che attinge dalla grande tradizione della canzone popolare inglese e poi la fa sua in un modo unico ed inconfondibile: il nostro amico è uno dei pochi che è una scuola a sé, non assomiglia a nessuno, “E’ Richard Thompson, e basta”. Una stupenda, malinconica “air”, che anche per la presenza del violino ricorda certi episodi dei primi Fairport Convention. Già sulle note conclusive del brano una minacciosa chitarra elettrica ci introduce alla successiva Haul Me Up dove i ritmi sono nuovamente incalzanti, quasi R&R, con i coretti dei musicisti che rispondono al cantato di Richard, il violino di Zifkin che prepara il terreno per l’assolo di Thompson che emette una valanga di note dalla sua chitarra che sembra quasi un violino per la velocità dell’eecuzione, magistrale ancora una volta. Burning man è l’unico brano “normale” del disco, una canzone rifllessiva ed atmosferica, nel canone classico del repertorio del nostro amico, ma ci ha abituato troppo bene, quello che per altri sarebbe straordinario per lui è quasi ordinaria amministrazione, comunque l’interplay tra chitarra e violino è sempre notevole.

Here Comes Geordie è un altro dei momenti topici del disco: per il testi (ma anche la musica, lo vediamo tra un attimo), a detta di molti una neppure tanto velata critica al modus vivendi di un noto personaggio della musica internazionale, ma alcuni riferimenti restringono di molto il nome del “colpevole”, Geordie è un nativo di quell’area della Gran Bretagna che gravita intorno a Newcastle-on-Tyne e Gordon Sumner (Stinghi per gli Elio e le Storie Tese) è nato in un sobborgo della città e poi il testo recita così: “Ecco che arriva Geordie nel suo aereo privato, Deve salvare il mondo ancora una volta, Per quanto virtuoso possa essere, Ha tagliato una foresta per salvare un albero”, naturalmente il brano in inglese ha le sue belle rime. Richard Thompson ha negato strenuamente ma il dubbio rimane. Il brano ha il tempo di una allegra giga, con chitarra, violino e flauto in evidenza e ancora una volta ci riporta ai fasti dei vecchi Fairport. Demons in her dancing shoes è un altro brano fantastico, su un groove funky-folk della sezione ritmica, ci porta ai vecchi tempi della Londra che fu e ci racconta una divertente storia su delle scarpe ballerine e la sua proprietaria che sono l’occasione per estrarre un ennesimo micidiale assolo reiterato in due parti con sax e violino a fiancheggiare la sua chitarra veramente ispirata.

Crimescene un brano intenso sullo scorrere del tempo e la difficile “arte” del sapere invecchiare, scorre su un continuo alternarsi di crescendi e rallentamenti della musica e sul cantato partecipe di Thompson, qualcuno l’ha avvicinato a certi brani più complessi e viscerali dei Radiohead ma forse potrebbe essere vero il contrario, visto che il diritto di primogenitura di certi brani spetta di diritto a questo grande musicista. Manco a dirlo l’assolo di chitarra nella parte centrale è da antologia, semplicemente e miracolosamente fantastico aggiunge ulteriore spessore al brano. Big Sun Falling In The River dimostra che Richard non ha perso la capacità di saper scrivere anche brani più semplici, con una melodia che ti rimane in mente, una costruzione meno complessa, chiamiamola musica pop, di livelli siderali rispetto alla produzione media che circola ma quasi “orecchiabile”, sicuramente molto piacevole e poi “quella chitarra”!

Stumble On è una ulteriore variazione sulla sua visione della vita, malinconica e quasi pensierosa, diversa da altri momenti più spensierati ed ironici, ma sempre brillanti, qui Thompson è quasi meditativo nel testo e nella musica ma in un modo che lo eleva sulla quasi totalità dei suoi colleghi e contemporanei (e non), qui la chitarra si trattiene un poco ma…

Nella successiva Sidney Wells che è una delle sue infinite variazioni sul tema della murder song, il fantasma (e siamo in tema) dei vecchi Fairport e della sua opera in generale, si materializza ancora una volta, su un ritmo vivace, quasi da giga rock, prima il sax dell’ottimo Zorn poi il violino di Zifkin preparano il terreno per un ulteriore, incredibile, dimostrazione del virtuosismo chitarristico di Richard Thompson che strapazza la sua chitarra ai limiti della realtà in un assolo che scatena il tripudio del pubblico presente, incredulo e deliziato da questo chitarrista più unico che raro.

A Brother Slips Away è una magnifica elegia per un amico che non c’è più, una canzone che molti vorrebbero venisse suonata al proprio funerale (il più tardi possibile), sentita e compartecipe come poche altre ne ho sentite, una grande canzone. Bad Again è un altro di quei brani ribaldi ed arguti che fanno parte del suo Dna (tranquilla e ironica nella versione demo acustica, puro rock and roll nella versione dal vivo).

Finirei con un abusato Last But Not Least, il disco si conclude con la già citata If Love Whispers Your Name che tanto per reiterare i termini abusati è la classica “ciliegina sulla torta”. Semplicemente magnifica, un crescendo inesorabile e inarrestabile che ti travolge in un finale che rievoca i fasti degli incredibili duetti con Dave Swarbrick ai tempi di Liege And Lief, proprio così bello!

Tra poco nei negozi e nei vostri lettori, questo, per me, è veramente il disco dell’anno, credo che sarà difficile farne di più belli. Scusate se mi sono dilungato ma ne valeva la pena!

Bruno Conti