Tra Texas, Alabama E Più Di Uno Sguardo Al Passato! Paul Cauthen – My Gospel

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Paul Cauthen – My Gospel – Ligthning Rod CD

Esordio sorprendente per un giovanotto texano di ottime speranze: Paul Cauthen è un musicista cresciuto a pane ed outlaw country, ma nel suo background troviamo anche soul, rhythm’n’blues e gospel dell’Alabama, ed il titolo del suo debut album, My Gospel, è sintomatico. Ma Paul non si è limitato ad ispirarsi a certe sonorità classiche degli anni sessanta e settanta, ma è proprio andato sul luogo del delitto: gran parte di My Gospel, infatti, è stato inciso ai leggendari FAME Studios di Muscle Shoals (oltre a Los Angeles e Dallas), un posto che ha visto nascere alcune tra le più belle pagine della musica americana ed i cui muri trasudano storia (si fa prima a citare chi non ci è passato, ma l’elenco sarebbe talmente lungo che occuperebbe lo spazio di due recensioni, faccio solo cinque nomi: Aretha Franklin, Otis Redding, Duane Allman, Don Covay, Solomon Burke), e lo ha fatto non con musicisti locali, ma usando gente conosciuta da lui (anche se all’organo in un brano c’è il grande Spooner Oldham), ricreando però le sonorità e le atmosfere di quaranta-cinquanta anni fa, con l’aiuto del giovane ma valido produttore Beau Patrick Bedford.

La base di partenza è country, ma l’uso di cori, organo e pianoforte danno a parecchie canzoni (tutte scritte da Cauthen) un feeling decisamente sudista, e la bravura nel nostro nell’interpretarle con buona dose di feeling fa il resto, facendo di My Gospel un disco che non sembra affatto un’opera prima, ma il frutto di anni di lavoro di un artista già esperto. Still Drivin’ apre il CD con un puro outlaw sound, dalla vocalità del nostro (molto Waylon), al ritmo, all’approccio ruvido e chitarristico, un brano tosto e vibrante ma nel contempo accessibile, ancora senza contaminazioni sudiste. La spedita I’ll Be The One cambia subito registro, assumendo toni errebi molto sixties, con una melodia gradevolissima ed uno sviluppo che va via fluido come un treno: ci sono vaghe somiglianze con Nathaniel Rateliff, anche se qua c’è più soavità e meno forza; As Young As You’ll Ever Be è tutta costruita attorno ad un motivo molto southern ed una strumentazione parca, con ottimi inserti di pianoforte ed un’atmosfera decisamente soulful.

Grand Central è uno slow intimo ma dal grande pathos con un arrangiamento d’altri tempi, un country-soul molto bello, splendidamente anni settanta ed un leggero tocco gospel, una piccola grande canzone in poche parole; Saddle sta giusto a metà tra outlaw country e southern soul, un mix stimolante e di sicuro impatto, mentre Once You’re Gone è una bellissima ballata country & western, ancora legata a sonorità classiche ed una melodia emozionante (splendido l’uso del pianoforte da parte dello stesso produttore Bedford). Marfa Lights è più interiore, non è male ma è quella finora di minore impatto, anche se come arrangiamento siamo dalle parti giuste; Be There Soon (il pezzo con Oldham) è puro gospel, di elevata intensità e con un coro femminile che dialoga alla grande con Paul, mentre Hanging Out On The Line, pur mantenendo anch’essa elementi gospel, è più mossa e diretta, con un refrain di grande bellezza. L’album, una bella sorpresa per feeling e creatività, si chiude con la country ballad pianistica Let It Burn, ancora caratterizzata da un motivo decisamente riuscito, e con la title track, un finale perfetto, un pezzo da brividi cantato in maniera magnifica e con il solito splendido coro, una delle più belle del disco.

Se Paul Cauthen è già a questi livelli nell’album d’esordio, è lecito aspettarsi grandi cose nel prossimo futuro, ed il fatto che sia texano mi fa pensare che non resteremo delusi.

Marco Verdi

Un Altro “Piccolo” Grande Tributo, Made In Italy! Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set

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Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set – Route 61 Music

L’arte della cover (praticata soprattutto in alcuni EP) e quella del “tributo” non sono sicuramente sconosciute a Edward Abbiati, il leader dei Lowlands, che già nel 2012, in occasione del Record Store Day di quell’anno, aveva realizzato un album Better World Coming che voleva commemorare il 100° Anniversario della nascita di Woody Guthrie, pubblicato come “Lowlands and Friends” e che riuniva appunto molti amici dell’area di Pavia e dintorni http://discoclub.myblog.it/2012/06/24/proseguono-i-festeggiamenti-better-world-coming-lowlands-fri/ . Questa volta, dopo l’album solista pubblicato da Ed con Chris Cacavas, un paio di collaborazioni con Lucky Strikes e Plastic Pals, la lista dei musicisti impegnati nel nuovo album si è ampliata a raccogliere amici da tutto il mondo: alcuni dall’Italia, ma anche dall’Inghilterra, dalla Svezia, dagli Stati Uniti e dall’Australia. Il disco è stato registrato, con zero budget (come ricorda lo stesso Ed nelle note esaustive del libretto), in salotti, cucine, studi di registrazione e sale prova, con l’apporto gratuito degli “amici” impiegati nell’anno circa che ci è voluto per completare questo progetto.

E il risultato è veramente eccellente: l’idea di base del disco in questo caso non era quello di scegliere le migliori o le più belle canzoni di Townes Van Zandt, ma riproporre la scaletta completa dell’ultimo concerto dell’artista texano, tenuto al Borderline di Londra il 3 dicembre del 1996, poco più di un mese prima della sua morte, avvenuta il 1° gennaio del 1997, lo stesso giorno in cui scompariva, tanti anni prima, anche Hank Williams. A fare da trait d’union e “presentatore” delle singole canzoni la voce narrante di Barry Marshall-Everitt, il tour manager di Van Zandt, nonché all’epoca anche del locale, DJ radiofonico veterano a The House Of Mercy Radio e tra i primi supporters dei Lowlands in terra d’Albione. Detto per inciso, nella stessa data, venti anni dopo, una pattuglia più ristretta, ma agguerrita, di Lowlands & Friends, ha portato anche il progetto sul palco dello Spazio Teatro 89 di Milano (un bellissimo posto per sentire concerti, un po’ di pubblicità gratuita). Ma torniamo all’album e vediamo i vari brani e gli ospiti che si susseguono; trattandosi della riproposizione di un concerto ci sono anche alcuni brani che non portano la firma di Van Zandt: e l’apertura è proprio affidata a una cover di una canzone di Lightning Hopkins, un blues, e considerando che Edward non si ritiene un esperto in materia, ha chiamato per eseguire My Starter Won’t Start Maurizio “Gnola” Glielmo e la sua band, in più anche Kevin Russell dei Gourds (la band da un cui brano prende il nome la band i Pavia).

L’esecuzione è tosta e tirata, Russell canta la sua parte con una voce alla Muddy Waters, lo Gnola lavora con la chitarra di fino e il risultato finale è un solido blues elettrico, dove si apprezza anche l’armonica di Richard Hunter. Che rimane, insieme a Gnola, anche per la successiva Loretta, apparsa in origine pure nel mitico Live At The Old Quarter, e che grazie alla presenza di Stiv Cantarelli e della sua slide, si trasforma in un febbrile country-blues, tra battiti di mani e piedi e tanta energia profusa dai musicisti. Pancho And Lefty è il brano più noto di Townes (Emmylou Harris e Willie Nelson tra i tanti che l’hanno cantata) e forse anche il più bello, qui in una versione solare e corale, con Ed, Matthew Boulter dei Lucky Strikes e Sid Griffin dei Coal Porters (ma un tempo anche dei Long Riders) che si dividono le parti vocali e Michele Gazich che aggiunge il suo magico violino alle operazioni, versione splendida. A conferma che nel disco, ove possibile, si è privilegiato un approccio energico nella interpretazione delle canzoni, chi meglio degli italiani Cheap Wine poteva donare una patina rock alla versione di Dollar Bill Blues, dove le chitarre di Michele Diamantini e Roberto Diana sono veramente sferraglianti, e Ed Abbiati e Marco Diamantini si dividono la linea vocale. Anche Buckskin Stallion mantiene questa verve elettrica, con Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori alla solista e Winston Watson e Joe Barreca, la sezione ritmica. Katie Bell Blues è più intima e raccolta, Richard Lindgren alla voce e upright piano e Francesco Bonfiglio alla fisarmonica.

Un gradito ritorno è quello di Will T Massey che duetta con Ed in una raccolta versione di Marie. E ottimo anche l’approccio full band per la splendida Waiting Around To Die (la preferita di Abbiati), con Chris Cacavas, seconda voce, piano e chitarra, di nuovo Gazich, anche i fiati, Villani e Paganin, ancora Gnola, Watson e Lowlands assortiti, compreso “Rigo” Righetti; A Song For con l’australiano Tim Rogers degli YOU AM I, privilegia un approccio più acustico, come pure la successiva Short Haired Woman Blues, l’altro blues di Lightning Hopkins, cantata in duetto con il gallese Ragsy, mentre la cover di Presley (?!) di Ballad Of The Three Shrimps, vede di nuovo lo Gnola, Mike “Slo Mo” Brenner alla lap steel e le voci femminili delle No Good Sisters. Brenner passa allo slide bass per una rauca versione di Sanitarium Blues “recitata” da Ed, Will T Massey, Tim Rogers e Rod Picott, che rimane poi per una eccellente versione di Tecumseh Valley (un altro dei tanti capolavori di Van Zandt), registrata in cucina e che si trasforma lentamente in una dolente Dead Flowers degli Stones, con lap steel e fisarmonica. La chiusura del disco è affidata a Colorado Girl, un altro dei pezzi country di Townes, che qui, grazie all’apporto degli svedesi Plastic Pals, diventa una gioiosa rock song chitarristica con Chris Cacavas all’organo e Jonathan Segel dei Camper Van Beethoven al violino, di nuovo una bellissima versione, come quelle presenti in tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=iWG-hXvgmso . Veramente un tributo con i fiocchi.

Bruno Conti

Un “Piccolo” Grande Tributo! Do Right Men: A Tribute To Dan Penn And Spooner Oldham

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Do Right Men:  A Tribute To Dan Penn And Spooner Oldham  – Zip City Records/Tone In Motion

Nel corso del 2016 c’è stato un vero florilegio di pubblicazioni discografiche concernenti tributi agli artisti più disparati: dallo splendido Day Of The Dead ai recenti volumi dedicati a Jerry Garcia, Dr. John e Emmylou Harris. Mentre per la categoria “minori”, ma solo perché i nomi coinvolti non sono di primissimo piano (per quanto sia da vedere) e la etichetta è minuscola, la Zip City Records che pubblica questo Do Right Men, che parafrasa una delle più note canzoni dei due autori che vengono omaggiati in questo CD, e cioè Dan Penn e Spooner Oldham: la canzone ovviamente è Do Right Man, Do Right Woman (la versione “colossale” è quella di Aretha Franklin). Non sempre le canzoni sono scritte solo dai due, nello specifico quella appena citata porta la firma di Chips Moman con Dan Penn, ma i due ne hanno scritte veramente tantissime, una più bella dell’altra. In questo Do Right Men ne troviamo 17, e nel disco cantano (e suonano) anche alcuni dei luminari assoluti della musica del Sud degli States. L’album è stato inciso in vari piccoli studi, evidentemente in base ai budget disponibili, ma come ricorda Dick Cooper, “custode storico” dei Muscle Shoals, lo spirito che si respira è quello delle grandi canzoni che in 50 anni di carriera ci hanno regalato Penn e Oldham, con nuove versioni create per l’occasione.

Vediamo chi c’è, sia come canzoni che come musicisti: si apre con una versione acustica di I’m Your Puppet, uno dei primi brani scritti dalla coppia, cantato in origine da James & Bobby Purify (ma anche da Marvin Gaye e Tammi Terrell, e molti altri), qui la canta Buddy Causey, uno degli “originali” dei Muscle Shoals, tra country e blue-eyed soul, di recente con problemi di salute, e che quindi canta con un filo di voce, ma con tonnellate di feeling, una versione acustica, solo chitarra e il magico Wurlitzer di Spooner Oldham. A dispetto dell’età invece Bonnie Bramlett (proprio quella di Delaney & Bonnie) ha ancora una voce della Madonna, e lo dimostra in una versione potente della hit dei Box Tops, Cry Like A Baby, in coppia con Christine Ohlman, al basso Shonna Tucker, l’ex Drive-by Truckers; primo colpo al cuore con una versione magnifica di Dark End Of The Street, una delle più belle canzoni soul di tutti i tempi nella versione di James Carr, la canta Russell Smith dei grandissimi Amazing Rhythm Aces (una band che negli anni ’70 era seconda solo alla Band e ai Little Feat nell’ambito rock americano), la voce è ancora magica, e il basso di David Hood e il Wurlitzer di Oldham ci riportano a quell’era magnifica. Jackson Highway era l’indirizzo degli studi Muscle Shoals a Sheffield, ma anche il nome di una band sudista dove suonano i fratelli Dennis & Russell Gulley, Johnny Neel alle tastiere e un ottimo Britt Meachum alla slide, Battle Cry è un pezzo recente, del 2002, scritto per loro da Penn/Oldham e Donnie Fritts, ragazzi se viaggiano.

Altro capolavoro assoluto, A woman left lonely, scritta per Janis Joplin, e qui cantata in modo splendido da uno dei secreti meglio custoditi (purtroppo) della musica americana, Kate Campbell, una southern ballad colossale. In You Really Know How To Hurt A Guy, eseguita dai Brambleman Allstars, il nome più noto è Gary Talley, che era la chitarra solista dei Box Tops, ma la canzone si trova in varie compilation della Fame, cantata da Jimmy Hughes, versione discreta, mentre Sandy Jackson non la conosco, anche se dovrebbe essere parente di Jimmy Johnson, e nella buona versione di Do Right Man, Do Right Man ci sono anche Billy Earheart degli Amazing Rhythm Aces, oltre a Hood e Johnson, ovviamente la versione di Aretha rimane inarrivabile. Mark Narmore, se la cava egregiamente con una versione gospel di I Met Her In Church, come pure l’altrettanto sconosciuto (per me) Marc Phillips, alle prese con Uptight Good Woman, che in originale cantava Solomon Burke. Viceversa la versione di You Left The Water Running è splendida, voce solista Jimmy Hall dei Wet Willie, alla chitarra Steve Cropper, e scusate se è poco! Out Of Left Field la canta con immutata intensità Donnie Fritts, ancora in grande spolvero, con Zero Willpower scritta dal magico trio Penn/Oldham/Fritts per Irma Thomas cantata qui da Ron Williams e Charlie Burgin (scomparso proprio in questi giorni), voce soul autentica e anche Debbie Blond per la sua versione di Sweet Inpiration se la cava, anche se l’originale…Lonely Women Make Good Lovers cantata da Shonna Tucker evidenzia gli elementi più country dei compositori, molto gradevole comunque. Travis Wammack ci dà dentro di brutto per una Too Rock For Country, scritta da Dan Penn con Lonnie Mack e a chiudere Hello Memphis di Albert Junior Lowe, uno swamp blues rock di buona fattura. Ho saltato Is A Bluebird Blue? di tali Nmbr 11 di cui non si sentiva la mancanza. Per il resto un piccolo gioiellino da cercare assolutamente, con tutte le canzoni che hanno scritto potrebbero farci un’altra ventina di tributi.

Bruno Conti

Ancora Southern Rock, E Di Quello Ottimo! Holman Autry Band – Electric Church

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Holman Autry Band  – Electric Church – Holman Autry Band Self Released

Una domanda che era un po’ di tempo che non mi/vi ponevo: ma chi sono costoro? Biografia ufficiale della band: la Holman Autry Band viene dall’area della Georgia intorno a Athens, Danielsville per la precisione, sono un quartetto e venendo da “laggiù” era quasi inevitabile che facessero, a grandi linee, del southern rock. Sono al quarto album, questo Electric Church, e volete sapere una cosa? Sono veramente bravi, siamo proprio nell’ambito delle musica sudista Doc, di prima scelta. Con riferimenti al sound classico, quello di Lynryrd Skynyrd, Allman Brothers, loro aggiungono anche Gov’t Mule, un pizzico di Hank, e quindi country, ma anche i Metallica, qui in effetti è appena un “pizzichino”, probabilmente nel primo brano, una dura e tirata Friday Night Rundown, dove in effetti le chitarre ruggiscono, la batteria pesta duro, il cantato è maschio e potente, ma se dovessi indicare qualcuno come riferimento, penserei più ai primi Lynyrd Skynyrd, o al southern hard di gruppi come Blackfoot, Molly Hatchet e Point Blank. 

La formula della doppia chitarra solista funziona alla grande, la voce è poderosa e di notevole impatto, anche se non ho ancora inquadrato chi sia effettivamente la voce solista, visto che cantano in tre su quattro, Brodye Brooks, il chitarrista solista, Josh Walker, quello ritmico, ma anche solista se serve e il bassista Casey King. A completare la formazione il batterista Myers, o così riporta il libretto, però sul loro sito ha anche un nome di battesimo, Brandon. Pure la successiva Pennies And Patience ha un sound duro e vibrante, con le elettriche spesso in modalità wah-wah e la ritmica rocciosa, ma senza eccessi, con un suono limpido, curato dal produttore esecutivo John Keane, quello per intenderci che a inizio carriera era l’ingegnere del suono dei R.E.M., poi ha lavorato moltissimo con i Widespread Panic, ma anche Cracker, Bottle Rockets, Jimmy Herring, le Indigo Girls e una miriade di altri artisti di quelli “giusti”, insomma un ottimo CV. Se serve si mette anche in azione alla steel guitar, come nella notevole The Fall, una hard ballad elettroacustica a cavallo tra country e southern di eccellente fattura, belle armonie vocali. Ottima anche Things I’d Miss, costruita intorno ad un giro di basso, che poi sfocia nel groove in crescendo di un southern boogie dove si respirano profumi anni ’70, tra Charlie Daniels e Marshall Tucker Band, con le chitarre che si rincorrono gioiosamente secondo i migliori stilemi del genere, e con Brooks che è effettivamente un notevole solista; effetto ancora più accentuato nella splendida title-track, dove Natalie McClure aggiunge l’organo e una slide incisiva si erge a protagonista dell’arrangiamento avvolgente del brano, di nuovo senza nulla da invidiare alle migliori band dell’epoca d’oro del rock sudista, come evidenziato in una brillante coda strumentale dove sembra di ascoltare Derek Trucks o Warren Haynes, se non Duane Allman o Toy Caldwell.

Molto bella anche una Home To You a tutto riff e ritmo, con elementi anche dei Doobie Brothers più gioiosi (insomma da tutto questo profluvio di nomi avrete capito che sono veramente bravi), con le due chitarre che si rincorrono con libidine dai canali dello stereo. Non manca anche un bel brano come Good Woman, Good God, dove emergono elementi funky/R&B sempre inseriti in un tessuto rock-blues. Ma pure nella seconda parte quando si passa ad un suono in parte più intimo e raccolto, con maggiori tocchi country, sempre fluido e raffinato, come in Last Rites che sembra pescata da un brano del miglior songbook della Marshall Tucker Band, splendido il lavoro delle chitarre, o la dolce Sunset On The Water, che senza essere zuccherosa rimanda a gruppi come i Reckless Kelly o gli Avett Brothers, nei loro momenti più romantici. Scusate i continui rimandi ma ci si capisce meglio, poi non vuole essere inteso in senso letterale ed assoluto, e non è neppure mera imitazione, diciamo più la continuazione di una tradizione che si “rinnova” con nuove forze. Eccellente anche The Grass Can Wait, ancora più marcatamente country, ma sempre con un finissimo lavoro della solista che raccorda un suono d’insieme veramente di gran classe. Infine ancora più “morbida” October Flame, dove si riscontrano persino elementi quasi pop, una melodia semplice ed orecchiabile, ma coniugata con gusto e misura, il tutto proposto in modo sempre vario e diversificato in tutto l’album, più rude e maschio nella prima parte, più raccolto e raffinato nella seconda. Comunque confermo, veramente bravi!

Bruno Conti

Ripartono Le Uscite Nel 2017, Parte II: Ristampe. Barclay James Harvest, Sea Level, Mick Clarke, Stoneground, Sea Train, Ozark Mountain Daredevils

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Proseguiamo con le altre ristampe previste in uscita per venerdì 13 gennaio: un altro titolo dal catalogo Esoteric è l’ennesima ristampa per XII dei Barclay James Harvest, una delle migliori formazioni del rock progressivo britannico, diciamo lato melodico, tra i migliori discepoli dei Moody Blues, con due-tre eccellenti musicisti in formazione: il leader John Lees, voce e chitarra solista, Stuart “Woolly” Wolstelnholme, voce, tastiere e mellotron, Les Holroyd, basso, chitarra, tastiere e voce, con il batterista Mel Pritchard a completare il quartetto. Questo album, uscito in origine nel 1978, viene proposto in una versione tripla, in doppio CD più DVD: è l’ultimo dove appare Wolstenholme, che uscirà dal gruppo nel giugno del 1979 e viene considerato uno dei classici della band britannica.

[CD1: “XII” (New 24-Bit Re-Mastered Original Stereo Mix) Released in September 1978]
1. Loving Is Easy
2. Berlin
3. A Tale Of Two Sixties
4. Turning In Circles
5. Fact: The Closed Shop
6. In Search Of England
7. Sip Of Wine
8. Harbour
9. Nova Lepidoptera
10. Giving It Up
11. Fiction: The Streets Of San Francisco
Bonus Tracks:
12. Berlin (Single Version)
13. Loving Is Easy (Single Version)
14. Turning In Circles (First Mix)
15. Fact: The Closed Shop (First Mix)
16. Nova Lepidoptera (Ambient Instrumental Mix)

[CD2: “XII” (New Stereo Mix)]
1. Loving Is Easy
2. Berlin
3. A Tale Of Two Sixties
4. Turning In Circles
5. Fact: The Closed Shop
6. In Search Of England
7. Sip Of Wine
8. Harbour
9. Nova Lepidoptera
10. Giving It Up
11. Fiction: The Streets Of San Francisco

[DVD: “XII” (New 5.1 Surround Mixes & 96 Khz / 24-Bit Stereo Mixes / 96 Khz / 24-Bit Original Mix)]
1. Loving Is Easy
2. Berlin
3. A Tale Of Two Sixties
4. Turning In Circles
5. Fact: The Closed Shop
6. In Search Of England
7. Sip Of Wine
8. Harbour
9. Nova Lepidoptera
10. Giving It Up
11. Fiction: The Streets Of San Francisco

Ovviamente sono quelle edizioni forse fin troppo elaborate rispetto ai contenuti, con il disco ripetuto ben tre volte in diversi mixaggi, e con le cinque bonus che si riducono alle solite “single version” e “first mix2” che francamente lasciano il tempo che trovano, c’è pure l’Ambient Instrumental Mix, mah! Comunque il disco è buono, anche un triplo CD così strutturato mi pare eccessivo.

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E veniamo alle altre cinque ristampe, tutte n uscite per la BGO, sempre il 13 gennaio. Il primo è un doppio CD dedicato a Mick Clarke, il grande chitarrista rock-blues britannico, uno dei più bravi usciti dalla scena del british blue originale, era il solista dei Killing Floor, una delle band minori ma tra le più valide del periodo, Poi autore di una lunghissima carriera solistica che prosegue a tutt’oggi. Non è la prima ristampa multipla che gli dedica la BGO: erano già usciti altri tre titoli, questa volta abbiamo addirittura tre titoli in un doppio CD: Ramdango Crazy Blues sono i due dischi del 2013 e 2014, mentre Shake It Up risale al 2015, quindi sono gli ultimi dischi del nostro, usciti in precedenza a livello di autodistribuzione, quindi di non facile reperibilità.

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Proseguono le ristampe dedicate ai Sea Level, dopo i vari titoli dedicati alla band di Chuck Leavell dalla Real Gone Music, tocca alla BGO completare la serie con la ripubblicazione dell’ultimo disco del gruppo Ball Room, uscito in origine nel 1980, con ancora in formazione, oltre a Leavell, Lamar Williams al basso e Jaimoe, alla batteria, entrambi degli Allman Brothers, oltre a Davis Causey e Jimmy Nalls alle chitarre e Randall Bramblett, a sax, piano, tastiere e voce. Con la consueta miscela di jazz, blues fusion, e southern rock di gran classe

1. Wild Side
2. School Teacher
3. Comfort Range
4. Anxiously Awaiting
5. Struttin’
6. We Will Wait
7. You Mean So Much To Me
8. Don’t Want To Be Wrong
9. Brandstand

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In questo doppio CD vengono riproposti il primo e il terzo album degli Stoneground, una delle classiche band californiane dei primi anni ’70, nate sulle ceneri dei Beau Brummels di Sal Valentino, avevano una formazione molto ampia, con diverse voci solista, tra cui 4 diverse vocalist femminili, tre chitarristi e il futuro bassista e tastierista dei Jefferson Starship e degli Hot Tuna Pete Sears, passato anche dall’Inghilterra per registrare Every Picture Tells A Story con Rod Stewart.  Alcuni dei restanti componenti della band (non Valentino e Sears) in seguito sarebbero diventati i Pablo Cruise, altra eccellente band di rock americano.

CD1: Stoneground]
1. Looking For You
2. Great Change Since I’ve Been Born
3. Rainy Day In June
4. Added Attraction (Come And See Me)
5. Dreaming Man
6. Stroke Stand
7. Bad News
8. Don’t Waste My Time
9. Colonel Chicken Fry
10. Brand New Start

[CD2: Stoneground 3]
1. Dancin’
2. On My Own
3. You Better Come Through
4. Ajax
5. Down To The Bottom
6. From A Sad Man Into A Deep Blue Sea
7. From Me
8. Lovin’ Fallin’
9. Butterfly
10. Gettin’ Over You
11. Heads Up
12. Everybody’s Happy

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Altra band poco conosciuta ma importante della scena californiana dell’epoca furono i Sea Level, nati dalla dissoluzione dei Blues Project nel 1969: in formazione c’erano anche Peter Rowan Richard Greene, oltre a Andy Kulberg a basso e flauto. In effetti quando uscì Watch il loro quarto album del 1973 in formazione era rimasto solo Kulberg degli originali, ma il disco non è malaccio, contiene una versione splendida del classico Flute Thing, un pezzo all’origine suonato dai Blues Project e che usavo ai tempi quando trasmettevo in radio come sigla (scusate la divagazione). Il CD era già stato pubblicato dalla Wounded Bird, ma credo non sia più disponibile da tempo.

1. Pack Of Fools
2. Freedom Is The Reason
3. Bloodshot Eyes
4. We Are Your Children
5. Abbeville Fair
6. North Coast
7. Scratch
8. Watching The River Flow
9. Flute Thing

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Last but not least la ristampa dell’omonimo album degli Ozark Mountain Daredevils del 1980. Gli Ozark sono stati una delle più grandi formazioni di country-rock classico americano, autori di alcuni album splendidi, e credo tuttora in attività, anzi ne sono certo visto che ricevo ancora regolarmente le loro news nella posta e proprio recentemente hanno annunciato alcune date dal vivo previste per il 2017. Comunque in questo disco del 1980, il loro settimo disco di studio, c’erano ancora in formazione Steve Cash John Dillon, e le loro armonie vocali non hanno perso lo splendore dei tempi d’oro anche se il sound è diventato più mainstream, tipo gli Eagles dell’epoca.

Per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti