Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 2: No Trendy Réchauffé

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David Bowie – No Trendy Réchauffé – Parlophone/Warner CD – 2LP

Secondo appuntamento con il box “a rate” Brilliant Live Adventures, che raccoglierà sei concerti che David Bowie tenne negli anni 90, anche se per la maggior parte dei fans il cofanetto, nel senso di contenitore dei CD o LP, rischia di restare virtuale in quanto è esaurito praticamente da subito (e lo facevano pure pagare). Ad ottobre era uscito Ouvrez Le Chien, che documentava uno show del Duca Bianco a Dallas nel 1995 durante il tour di Outside, mentre oggi mi occupo di No Trendy Réchauffé, dedicato ad una serata sempre dalla stessa tournée ma inerente alla parte europea, e precisamente quella del 13 dicembre 1995 al National Exhibition Centre di Birmingham, ultimo concerto di quell’anno e che sarebbe dovuto uscire all’epoca come live album ma poi non se ne fece più niente (ancora non si sa nulla del terzo volume, che è previsto entro fine 2020, ma voci di corridoio indicano Something In The Air, un live del 1999 già uscito l’estate scorsa solo come download).

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Facendo parte dello stesso tour ed essendo stato registrato esattamente due mesi dopo lo show di Dallas, questo No Trendy Réchauffé ha parecchi punti di contatto con Ouvrez Le Chien: in primis la band, che è la stessa (e nella quale spiccano i due chitarristi Reeves Gabriels e Carlos Alomar, la bassista e cantante Gail Ann Dorsey ed il pianista Mike Garson), ed in secondo luogo la setlist, che è per circa metà identica. Infatti questa serata a Birmingham condivide con Dallas ben otto canzoni, tutte in versioni abbastanza simili: Look Back In Anger, The Voyeur Of Utter Distruction (As Beauty), The Man Who Sold The World, I Have Not Been To Oxford Town, Breaking Glass, Teenage Wildlife, Under Pressure e We Prick You. Come punto a favore di questo secondo volume mi sembra di notare una maggiore amalgama di gruppo, un Bowie più convinto e grintoso ed un suono più potente e coinvolgente, tutte cose che rendono quindi No Trendy Réchauffé leggermente superiore a Ouvrez Le Chien. Ci sono sei canzoni diverse rispetto al primo volume (sarebbero sette, ma una come vedremo tra poco è ripetuta), che partono con Scary Monsters (And Super Creeps) in una versione molto energica e nervosa, quasi pressante e decisamente più rock che sul disco originale del 1980, grazie anche all’apporto chitarristico di Gabriels.

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Hallo Spaceboy è un brano ancora dalla ritmica sostenuta ed un mood abbastanza straniante ed ossessivo, anche se una delle qualità di Bowie era quella di riuscire a rendere sufficientemente fruibili anche pezzi all’apparenza ostici: in fondo al concerto i nostri la suonano di nuovo per quello che nelle intenzioni doveva essere il videoclip del nuovo singolo, immagini che però poi non verranno usate. La funkeggiante Strangers When We Meet è molto più diretta ed orecchiabile, una pop song di classe tipica di Bowie con qualche rimando a Heroes https://www.youtube.com/watch?v=TOz4G01rjYU , mentre la lenta The Motel dopo un inizio piuttosto cupo si sviluppa distesa e viene impreziosita da un eccellente uso del pianoforte da parte di Garson. Restano ancora da menzionare la danzereccia Jump They Say, non esattamente una grande canzone, e la classica Moonage Daydream (uno dei brani di punta di Ziggy Stardust https://www.youtube.com/watch?v=BWEnkX0fgoY ), che invece è splendida ed è ulteriormente migliorata da una strepitosa coda chitarristica di Gabriels, nella parte che in origine era di Mick Ronson.

Marco Verdi

Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 1: Ouvrez Le Chien

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David Bowie – Ouvrez Le Chien – Rhino/Warner CD – 2LP

La serie di cofanetti dedicati alle varie ere della carriera di David Bowie è ferma a Loving The Alien del 2018 (che prendeva in esame gli anni 80), ma è stato confermato da poco che nel 2021 verrà stampato il prossimo volume, che riguarderà la decade seguente. Nel frattempo chi gestisce gli archivi del compianto musicista inglese se ne è inventata un’altra, cioè un cofanetto a puntate, come se fosse un’enciclopedia, che si occuperà di concerti inediti che il Duca Bianco tenne nella seconda metà degli anni 90. Brilliant Live Adventures 1995-1999 è il titolo del box, che raccoglierà sei CD (o 12 LP) di altrettanti concerti che verranno pubblicati in tiratura limitata e con cadenza mensile, tre prima di fine anno e tre nei primi mesi del 2021, ed in vendita esclusivamente sul sito di Bowie https://www.musicglue.com/david-bowie/  (*NDB Sembra già esaurito) o nello store online della Rhino. Un’operazione diversa dal solito ma comunque apprezzabile specie per i fans di Bowie, se non fosse per un fastidioso particolare: se pensate che il cofanetto vuoto che servirà a contenere CD o LP vi verrà spedito con l’ultima uscita (o magari con la prima se sottoscriverete “l’abbonamento” alla serie completa, opzione comunque non contemplata) è meglio che vi ricrediate, in quanto se volete il box lo dovete pagare poco meno di venti dollari (neppure poco, ed in più sui siti di cui sopra è esaurito praticamente dal primo giorno, anche se dovrebbero stamparne degli altri).

Un’iniziativa antipatica che però non rovina la bontà dell’operazione, che getta finalmente luce su una fase della carriera di Bowie finora non documentata da alcun live ufficiale. La prima uscita, di cui mi occupo oggi, si intitola Ouvrez Le Chien, ed è la testimonianza di un concerto a Dallas nell’ottobre del 1995, già pubblicato lo scorso luglio ma solo in streaming, registrato durante il tour promozionale dell’album Outside (anzi, 1.Outside, dato che nell’idea originale avrebbe dovuto essere il primo episodio di una trilogia che poi non si è concretizzata), un lavoro complesso e tra i più sperimentali del nostro, un concept ambientato in un futuro distopico in cui l’omicidio è diventato una forma d’arte, con protagonista il fittizio detective Nathan Adler: il disco, che vedeva David alle prese con sonorità art-rock quando non trip-hop e techno (e rinverdiva la sua collaborazione con Brian Eno, ferma a Lodger del 1979), ebbe un ottimo successo di critica ed anche di pubblico, nonostante parecchi fans del Bowie più classico rimasero spiazzati davanti a certi arrangiamenti. Il tour che ne seguì ottenne però qualche critica negativa, sia per la brevità di alcuni spettacoli (infatti il CD del quale mi accingo a parlare, che dura 67 minuti, è il concerto completo, anche se in realtà mancano cinque pezzi suonati all’inizio insieme ai Nine Inch Nails), ma soprattutto per l’apparente rifiuto del leader di suonare le sue canzoni più famose, dando viceversa grande spazio al nuovo album e andando a ripescare brani più oscuri dai dischi del passato.

Se per un fan accorso all’epoca a vedere uno dei concerti questo poteva costituire un problema (a me è successo con Lou Reed, purtroppo l’unica volta che sono riuscito a vederlo, nel 2006 al Teatro Ventaglio Nazionale di Milano: solo 12 canzoni in tutto, di cui 11 non proprio “conosciutissime” – a parte Street Hassle, che però dal vivo ve la raccomando – ed una Sweet Jane suonata come unico bis ma in maniera decisamente scazzata), per l’ascoltatore odierno avere a che fare con un live di Bowie diverso dai soliti può addirittura rappresentare uno stimolo in più. Bowie sul palco non è mai stato un trascinatore come Springsteen o i Rolling Stones, ma era comunque un grande professionista che raramente deludeva il pubblico con performance sottotono, ed aveva la prerogativa di circondarsi sempre di musicisti formidabili: nello specifico in Ouvrez Le Chien abbiamo Reeves Gabriels e Carlos Alomar alle chitarre, Gail Ann Dorsey al basso, Zachary Alford alla batteria, Peter Schwartz e Mike Garson alle tastiere e George Simms alle backing vocals insieme alla Dorsey, Gabriels ed Alomar, mentre David si cimenta qua e là al sassofono. Il CD si apre in maniera potente con la frenetica Look Back In Anger (da Lodger), un brano molto rock con la band che picchia duro e Bowie che canta con grinta; dalla cosiddetta “trilogia berlinese” arrivano anche, più avanti nel concerto, Breaking Glass (da Low), pop-rock urbano che riesce a coinvolgere a dovere per merito dell’ottima prestazione del gruppo, e da Heroes la poco nota Joe The Lion, quasi un rock’n’roll ma alla maniera del nostro, quindi non canonico ma in ogni caso piuttosto trascinante.

Da Outside abbiamo ben sei pezzi, a partire dall’inquietante primo singolo The Hearts Filthy Lesson, un mix tra rock e suoni tecnologici algidi che trasmette un senso di angoscia e alienazione, ma che dal vivo risulta più solida e meno artefatta che in studio, fino a diventare quasi piacevole nonostante le sonorità oblique. The Voyeur Of Utter Destruction (As Beauty) ha una ritmica pressante ed una chitarra decisamente rock sullo sfondo, con le tastiere che danno il tocco di modernità e Gabriels che piazza un assolo torcibudella; I Have Not Been To Oxford Town è più fluida e sembra quasi un errebi tecnologico dal ritmo sostenuto e con un ritornello corale abbastanza immediato, mentre Outside è una rock ballad cupa, oscura e con un marcato ricorso all’elettronica, ma che l’interpretazione rilassata di Bowie riesce a rendere fruibile grazie anche ad una performance vocale degna di nota. Gli ultimi due pezzi tratti dall’album del 1995 sono We Prick You, troppo sintetica e piuttosto bruttina, e I’m Deranged, sorta di funk-rock futuristico di non facile assimilazione e con un finale quasi psichedelico, ma suonato benissimo. Da Hunky Dory, forse il suo album più famoso e più bello insieme a Ziggy Stardust, David esegue con grande vigore la non popolarissima Andy Warhol, un brano funkeggiante ed annerito (ma su quel disco c’era di meglio).

Poi finalmente abbiamo un pezzo più conosciuto anche se non è propriamente una hit, vale a dire la title track dell’album The Man Who Sold The World, ballata tipica dei primi anni del nostro che qui assume una veste sonora decisamente più moderna, con in evidenza ancora la chitarra lancinante di Gabriels. Finale con la cover danzereccia di Nite Flights dei Walker Brothers, tratta da Black Tie White Noise e, da Scary Monsters, la tersa e deliziosa Teenage Wildlife, ottima e coinvolgente rock song chitarristica. Tra le due, l’unico vero brano da greatest hits del concerto, ma è una hit planetaria: si tratta infatti di Under Pressure, famossissimo funky-pop originariamente scritto ed inciso da David insieme ai Queen, qui con la Dorsey a fare le veci di Freddie Mercury. Il prossimo live di questo cofanetto “a rate” riguarderà un’altra serata del tour di Outside, ma scelta nell’ambito delle date europee.

Marco Verdi

Dopo Ziggy E Prima Del Duca Bianco C’Era David “L’Americano”. David Bowie – I’m Only Dancing (The Soul Tour 74)

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David Bowie – I’m Only Dancing (The Soul Tour 74) – Parlophone/Warner Record Store Day 2CD – 2LP

Aldilà del dolore per l’improvvisa scomparsa del loro idolo nel gennaio del 2016, negli ultimi anni i fans di David Bowie hanno avuto di che leccarsi i baffi tra live inediti, i quattro cofanetti retrospettivi con gli album della sua discografia ed anche qualche aggiunta (una serie che però è ferma a Loving The Alien del 2018, che prendeva in esame gli anni ottanta della popstar inglese) ed il bellissimo box quintuplo dello scorso anno Conversation Piece, con le sessions ed i demo casalinghi inerenti all’album del 1969 Space Oddity. Quest’anno si è invece deciso di celebrare (si fa per dire) The Man Who Sold The World, disco del 1970 di Bowie che il sei novembre verrà rimesso sul mercato, remixato ma senza mezza bonus track, con il titolo di Metrobolist (che sembra fosse il nome originale dell’album) e la copertina cambiata con una tra l’altro delle più brutte viste ultimamente: in poche parole, un’iniziativa ridicola.

Gli estimatori del Duca Bianco si possono comunque consolare con un nuovo live inedito uscito a fine agosto in occasione della prima parte del Record Store Day (che quest’anno a causa del Covid è stato diviso in tre), sia in doppio LP che in doppio CD: I’m Only Dancing (The Soul Tour 74) come suggerisce il titolo si occupa di uno show tratto dalla tournée del 1974 per promuovere l’album Diamond Dogs, e precisamente del concerto del 20 ottobre al Michigan Palace di Detroit (al quale manca la parte finale per problemi tecnici, sostituita però da quella registrata al Municipal Auditorium di Nashville il 30 novembre). Non è la prima volta che questo tour, che si svolse esclusivamente tra Canada e Stati Uniti, viene documentato ufficialmente, e la sua particolarità fu quella di essere diviso in tre parti con tre band diverse: il famoso album dal vivo dell’epoca David Live si occupava di un concerto a Philadelphia nel primo periodo (giugno-luglio), la seconda parte (settembre) è stata presa in esame tre anni fa in Cracked Actor, mentre il CD di cui mi occupo oggi è inerente alla terza fase.

Un’altra caratteristica fu che tra il primo e secondo segmento (quindi in agosto) Bowie incise le canzoni che avrebbero formato l’anno seguente l’album Young Americans, un disco con un suono influenzato dal soul ed errebi di Philadelphia, e la restante parte del tour da settembre in poi sarà ispirata da questo tipo di sound: da qui il nomignolo “The Soul Tour” (o anche “The Philly Tour”). I’m Only Dancing vede Bowie in ottima forma (con una voce leggermente arrochita dai molti concerti) accompagnato da un gruppo di prima qualità, cosa normale per il nostro che si è sempre affidato a musicisti formidabili: Earl Slick alla chitarra solista, Carlos Alomar alla ritmica, Mike Garson alle tastiere, la futura star del sax David Sanborn, il noto bassista Willie Weeks, Dennis Davis alla batteria, Pablo Rosario alle percussioni e ben sei backing vocalists, tra i quali spicca l’allora sconosciuto Luther Vandross, anch’egli destinato ad una carriera di grande successo.

Il doppio CD, poco meno di 90 minuti in tutto, è piacevole dalla prima all’ultima canzone grazie ad una miscela accattivante tra rock, soul, errebi e funky, un concerto scoppiettante che inizia con la classica Rebel Rebel e continua con l’altrettanto popolare John, I’m Only Dancing (Again), mettendo in fila in maniera brillante brani la cui fama è arrivata fino ad oggi come Changes, The Jean Genie (dall’arrangiamento quasi blues), Suffragette City, Rock’n’Roll Suicide e Diamond Dogs ed altri meno noti come la funkeggiante 1984, la potente rock ballad Moonage Daydream (con grande assolo finale di Slick), la soulful Rock’n’Roll With Me, che a dispetto del titolo è uno slow, e, vista la location, non poteva mancare la roccata Panic In Detroit.David offre anche in anteprima quattro pezzi da Young Americans: la title track, puro blue-eyed soul, l’elegante ballata Can You Hear Me, l’inedito It’s Gonna Be Me (che uscirà sulle future ristampe), e l’annerita Somebody Up There Likes Me, con Sanborn protagonista. Dulcis in fundo, Bowie si diverte a proporre cover abbastanza eterogenee infilandole qua e là, alcune appena accennate ed altre in medley creati appositamente: ascoltiamo quindi una suadente Sorrow dei McCoys, la celeberrima Knock On Wood di Eddie Floyd, la meno nota Foot Stompin’ (The Flares) ed uno standard jazz degli anni venti intitolato I Wish I Could Shimmy Like My Sister Kate; infine, c’è anche un doppio omaggio a Beatles e Rolling Stones, rispettivamente con Love Me Do e It’s Only Rock’n’Roll (But I Like It).

Un buon live quindi, forse non indispensabile per l’acquirente occasionale (anche perché non costa pochissimo), ma che gli appassionati di David Bowie si saranno probabilmente già accaparrati.

Marco Verdi

Un Bel Box Per Celebrare La Premiata Ditta “Iggy & Ziggy”. Iggy Pop – The Bowie Years

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Iggy Pop – The Bowie Years – Virgin/Universal 7CD Box Set

Nel 1974 Iggy Pop era ad un bivio: sciolti definitivamente gli Stooges (cult band proto-punk definita “tra le più rumorose del pianeta”) ed immerso fino al collo nell’uso di droghe, il rocker del Michigan sembrava un musicista finito, solo, ed incerto su cosa fare della propria vita. L’aiuto venne dall’amico David Bowie (che aveva già collaborato con lui remixando l’ultimo album degli Stooges Raw Power), ospitandolo in quella che in quegli anni era la sua città, Berlino, ed esortandolo a piantarla con gli stravizi ed a riprendere in mano la sua carriera musicale; i due così incomincarono a scrivere canzoni insieme, brani che saranno l’ossatura dei primi due dischi da solista di Iggy, The Idiot e Lust For Life, usciti entrambi nel 1977. Ma Bowie non si limitò a collaborare con l’Iguana alla stesura dei brani, ma accettò di produrli contribuendo anche a suonare tastiere, chitarre e sax e reclutando musicisti che facevano parte del suo giro, come il chitarrista Carlos Alomar e la sezione ritmica formata dai fratelli Tony e Hunt Sales (che in futuro formeranno con lui i Tin Machine). Avere Bowie alla consolle era poi una garanzia, in quanto il Duca Bianco aveva da poco rilanciato la carriera dei Mott The Hoople, producendo il loro comeback album All The Young Dudes e scrivendo la celebre title track, ed era stato responsabile anche del capolavoro di Lou Reed Transformer.

Ed il risultato finale non smentì la fama di David (che in quel periodo era una delle rockstar più in voga al mondo), in quanto sia The Idiot che soprattutto Lust For Life sono ancora oggi considerati i due migliori album di un Iggy Pop tirato nuovamente a lucido: nonostante ciò il successo fu deludente, ed a poco servì la tournée promozionale che vedeva Bowie addirittura all’interno della band (ma Pop – nato James Newell Osterberg – è sempre stato un rocker di nicchia, dato che l’unico vero successo lo avrà negli anni ottanta con l’album Blah Blah Blah ed il singolo Real Wild Child, entrambi guarda caso prodotti ancora da Bowie). I due album in questione costituiscono l’ossatura del cofanetto di cui mi accingo a scrivere, un box di sette CD chiamato appunto The Bowie Years (titolo che non mi fa impazzire in quanto secondo me sminuisce la figura di Pop, ma forse un The Berlin Years avrebbe avuto minor appeal commerciale), che oltre a The Idiot e Lust For Life ripropone anche il live uscito all’epoca T.V. Eye, un dischetto di rarità ed outtakes (che vere outtakes non sono, come vedremo), e ben tre diversi concerti dal vivo sempre del 1977, ovviamente inediti. (NDM: per chi non volesse sostenere la spesa del box, i due album originali sono usciti anche in versione doppia deluxe: The Idiot con accluso uno dei tre live “nuovi” – a Cleveland, presso l’Agora Ballroom di “springsteeniana” fama – e Lust For Life con T.V. Eye sul secondo CD).Ma ecco una disamina dei contenuti del cofanetto.

CD 1: The Idiot. Questo album risente parecchio dell’influenza di Bowie (e di Berlino), in quanto vede un Iggy meno feroce di quando era a capo degli Stooges e più sperimentale, con brani di stampo rock che però presentano anche elementi di musica elettronica di ispirazione “kraut”. Il disco si apre con il funk-rock molto bowiano di Sister Midnight, e prosegue prima con la cadenzata ed intrigante Nightclubbing (con grande lavoro di Alomar alla chitarra) e poi con la coinvolgente Funtime, che vede Iggy cantare “alla Lou Reed” e Bowie gigioneggiare da par suo durante tutto il brano. Detto dell’insolita Tiny Girls, soffusa, lenta e raffinata (e con un lungo assolo di David al sax), The Idiot è anche l’album in cui compare la versione originale della famosa China Girl, con la quale proprio Bowie avrà successo negli anni ottanta in una versione pop-rock-dance, anche se per me il brano migliore del disco è l’ipnotica ed avvolgente rock ballad chitarristica Dum Dum Boys.

CD 2: Lust For Life. Uscito a soli cinque mesi da The Idiot, questo lavoro è decisamente più diretto e rock’n’roll, con meno sperimentazioni e più chitarre. Intanto contiene la splendida The Passenger, grande rock’n’roll song che ad oggi è il pezzo più noto di Iggy (anche se su singolo uscì solo come lato B), dotata di uno dei riff più trascinanti di sempre, ma anche la title track è un gran pezzo, con una lunga e coinvolgente introduzione a tutto ritmo ed Iggy che fa uscire il suo particolare carisma (e la potente e diretta Sixteen non è certo da meno). Ottime anche Some Weird Sin, che aumenta la quota rock’n’roll del disco con un brano di grande appeal chitarristico, e l’orecchiabile Success, che stranamente mi ricorda qualcosa di molto vicino al Jersey Sound. Infine, troviamo ancora due canzoni che Bowie riproporrà negli eighties, cioè la deliziosa ballad Tonight (Ziggy la canterà in duetto con Tina Turner) e l’incalzante Neighbourhood Treat.

CD 3: T.V. Eye – 1977 Live. Album dal vivo uscito nel 1978 di soli 36 minuti, che vede un Iggy in gran forma a capo di un gruppo comprendente Bowie alle tastiere ed il futuro Heartbreaker Scott Thurston alla chitarra ritmica (la solista è di Stacey Heydon). Otto canzoni registrate a Cleveland, Kansas City e Chicago, con versioni decisamente più crude e rock di brani tratti dai due album del ’77 (due a testa: Funtime e Nightclubbing da The Idiot e la title track e Sixteen da Lust For Life) e quattro versioni assolutamente incendiarie di brani degli Stooges, le tonitruanti T.V. Eye, I Got A Right ed il classico I Wanna Be Your Dog, mentre la lenta ed ipnotica Dirt è al limite della psichedelia. CD 4: Edits & Outtakes. Il CD più deludente del box: solo dieci pezzi (ma l’ultimo è una recente intervista ad Iggy) ma nessun vero inedito, bensì una manciata di versioni “edit” uscite su singolo e quattro missaggi alternati di Dum Dum Boys, Baby, China Girl e Tiny Girls, praticamente identici agli originali.

CD 5-6-7: Live In 1977. Tre dischetti registrati rispettivamente al Rainbow Theatre di Londra, all’Agora di Cleveland (ma con tracce diverse da quelle apparse su T.V. Eye) ed ai Mantra Studios di Chicago. Tre ottime testimonianze della forma di Iggy dal vivo con altrettante performance abbastanza simili tra loro: l’unica magagna (ma non da poco) è la qualità amatoriale della registrazione del concerto di Londra, con un suono “fangoso” da bootleg appena discreto, mentre il live a Cleveland è inciso benissimo e quello a Chicago è una via di mezzo tra i due ma decisamente più accettabile del primo. Il repertorio è basato per la maggior parte su brani del periodo Stooges che sui due album del 1977 (anche perché all’epoca di questi tre concerti Lust For Life non era ancora uscito, e sono presenti in anteprima solo Tonight e Turn Blue), con versioni ancora più infuocate e punkeggianti che in T.V. Eye ed highlights del calibro di Raw Power, 1969, Gimme Danger, I Need Somebody, Search And Destroy e la già citata I Wanna Be Your Dog.

The Bowie Years è quindi un cofanetto che non può mancare nella collezione dei fans di Iggy Pop (e dello stesso Bowie), mentre per gli altri saranno sufficienti le riedizioni doppie di The Idiot e Lust For Life.

Marco Verdi

Qualche Disco (Dal Vivo) Per L’Estate –Parte 2. David Bowie – Welcome To The Blackout/Heart – Live At Soundstage

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David Bowie – Welcome To The Blackout (Live London ’78) – Parlophone/Warner 2CD

Heart – Live At Soundstage – BMG CD/DVD

Dopo avervi parlato dell’ottimo nuovo volume degli archivi dei Rolling Stones, ecco due altre interessanti proposte dal vivo, abbastanza diverse tra loro ma con il comune denominatore della buona musica. Welcome To The Blackout è un doppio CD intestato a David Bowie, che era già uscito questa primavera in vinile per il Record Store Day (esattamente come Cracked Actor dello scorso anno), e documenta l’ultimo concerto del segmento europeo dell’Isolar II Tour del Duca Bianco del 1978 (registrato all’Earl’s Court di Londra), una tournée mondiale che promuoveva i primi due album della cosiddetta “trilogia berlinese”, Low e Heroes (Lodger sarebbe uscito l’anno successivo), insieme ad una delle band migliori della sua lunga carriera: Carlos Alomar ed il bravissimo Adrian Belew alle chitarre, Sean Mayes al piano, George Murray al basso, Dennis Davis alla batteria, Simon House al violino e Roger Powell al synth.

Un concerto bello, teso, molto rock, con Bowie carismatico e teatrale come sempre, ed una larga rappresentanza di pezzi tratti dai due album berlinesi (11 su 24 totali, di cui ben 10 su 12 nel primo CD): dopo l’intro strumentale, invero un po’ tetro, di Warszawa, i brani migliori presi da questi due lavori sono la fluida rock ballad Be My Wife, che neppure un invadente synth riesce a rovinare, la potente e diretta Blackout, e naturalmente le due più famose, cioè l’algida ma accattivante Sound And Vision e soprattutto la splendida Heroes, con un grande Belew. Ci sono anche diverse canzoni non molto note del songbook bowiano, e che raramente verranno riprese in seguito, tra cui l’intensa ballad Five Years, cantata benissimo da David, e la coinvolgente e teatrale Alabama Song. Ovviamente non possono mancare i classici, come la saltellante e quasi bluesata (alla maniera di Bowie) The Jean Genie, con grande assolo di chitarra, la funkeggiante Fame, scritta dal nostro insieme a John Lennon, la sempre emozionante Ziggy Stardust ed i trascinanti rock’n’roll di Suffragette City e Rebel Rebel, che chiude un ottimo show, nonostante l’assenza di evergreen come Space Oddity e Life On Mars? 

Non è invece una novità assoluta questo Live At Soundstage delle Heart, in quanto era già uscito brevemente come DVD nel 2008, con la registrazione di questo concerto del 2005 per la famosa trasmissione americana, e oggi viene riproposto aggiungendo il supporto audio a quello video (con però solo 17 canzoni sulle 23 totali nel CD, farlo doppio pareva brutto. Il DVD per fortuna offre lo show completo). Non mancano di certo sul mercato album dal vivo delle sorelle Ann e Nancy Wilson, ma devo dire che questo è uno dei più riusciti, in quanto presenta un concerto in cui le due musiciste sono in forma smagliante, specialmente Ann che offre diverse prestazioni vocali degne di nota, ed entrambe sono coadiuvate da una solidissima band dal suono decisamente diretto e rock’n’roll (purtroppo non sono citati i nomi dei musicisti *NDB Per i feticisti dei nomi, visto che non sono molto noti, a parte Inez degli Alice In Chains: Ben Smith, drums, Craig Bartock, guitar, Debbie Shair,keyboards, Mike Inez, bass). Un concerto molto bello quindi, roccato e grintoso, con Ann in forma vocale splendida, e pure Nancy se la cava egregiamente quando viene chiamata al microfono, anche se non può raggiungere le tonalità della sorellona.

Gli highlights della serata sono lo scatenato rock’n’roll Kick It Out, la cadenzata e coinvolgente Straight On, con la prima performance vocale da applausi di Ann, il folk-rock di Fallen Ones, in cui la Wilson dai capelli neri si traveste da Robert Plant (e con risultati convincenti), la solida ballata elettrica Lost Angel, la diretta e chitarristica Even It Up e la saltellante e quasi country Things. Non mancano le loro ballate di successo degli anni ottanta, e se These Dreams, cantata da Nancy, non l’ho mai amata più di tanto (ma qui ha le sonorità giuste), Alone è splendida, soprattutto spogliata dei suoi effetti “Big Eighties” e trasformata in uno slow acustico che fa risaltare la bellissima melodia e la potenza della voce di Ann. Ci sono anche delle ottime cover, come Love Song di Lesley Duncan (ma resa nota da Elton John, una delle poche canzoni non scritte da Sir Reginald) e soprattutto ben tre pezzi dei Led Zeppelin, da sempre la maggiore influenza del duo: una splendida The Battle Of Evermore e, come finale, un uno-due da favola con Black Dog (ma che voce) e Misty Mountain Hop. Dulcis in fundo, i classici del gruppo, come la trascinante Magic Man, la grandiosa Crazy On You, una delle loro più belle rock songs, la zeppeliniana Bebe Le Strange e la dura e viscerale Barracuda. Come ho già detto, uno dei migliori live delle Wilson Sisters.

Marco Verdi