La “Cura Auerbach” Ha Rivitalizzato Anche Lui. John Anderson – Years

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John Anderson – Years – Easy Eye Sound/BMG Rights Management CD

Vi ricordate di quando, a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, Jeff Lynne era il produttore più ambito dalla crema del rock mondiale? O quando pochi anni dopo lo stesso ruolo passò a T-Bone Burnett? Ebbene, a quanto pare oggi il più richiesto dietro alla consolle (diciamo al 50% con Dave Cobb) è Dan Auerbach, leader dei Black Keys che negli ultimi anni ha affiancato alla carriera di musicista e songwriter quella appunto di produttore nonché di talent scout, grazie ad un orecchio non comune e ad una innata capacità di dare il suono giusto ad ognuno dei suoi “clienti”. Non abbiamo ancora quasi finito di assimilare l’ottimo debutto solista di Marcus King El Dorado, che Auerbach è già un passo avanti, ma questa volta si è occupato di rilanciare la carriera di un veterano: John Anderson, countryman della Florida non molto conosciuto da noi ma che in America è una piccola leggenda dato che è in attività da più di quaranta anni. Quando si elencano i grandi del country, il nome di Anderson viene spesso dimenticato, ma stiamo parlando di uno che dal 1977 ad oggi ha avuto diversi album e singoli ai primi posti della classifica, con titoli come Wild And Blue, Swingin’, Seminole Wind, Straight Tequila Night e Black Sheep (per chi non lo conosce consiglio la splendida antologia doppia uscita l’anno scorso, 40 Years And Still Swingin’, in cui il nostro ha anche reinciso ex novo alcuni vecchi successi).

Nelle ultime due decadi la sua produzione si è un po’ diradata (e di conseguenza sono calate le vendite), ma questo nuovo Years si conferma già dal primo ascolto come il suo lavoro migliore dai tempi di Seminole Wind. Auerbach ha fatto un lavoro splendido, producendo l’album nei suoi Easy Eye Sound Studios insieme al consueto partner David Ferguson, collaborando alla scrittura dei brani e mettendo a disposizione di Anderson il solito gruppo di “Nashville Cats” dal pedigree eccezionale (Stuart Duncan, Gene Chrisman, Bobby Wood, Ronnie McCoury, Dave Roe, Charlie McCoy, Russ Pahl e Mike Rojas), ma il resto è tutta farina del sacco di John, che forse stimolato dalla creatività di Dan ha scritto le sue migliori canzoni da diverso tempo a questa parte: Puro country classico, suonato e cantato in maniera impeccabile (Anderson ha ancora una grande voce), un album che alterna ballate a brani più mossi ma con tutti i nomi coinvolti al top della forma: il CD dura appena 32 minuti, ma è una mezz’ora pressoché perfetta. Si parte con I’m Still Hangin’ On (sono ancora in giro, una vera dichiarazione di intenti), una ballata fluida e suadente con strumentazione ariosa e mood rilassato: la voce è bellissima ed il background strumentale è vigoroso (c’è tutto ciò che serve: banjo, mandolino, violino, dobro, steel, ecc.), con i soliti agganci tipici di Auerbach al suono dei seventies.

Celebrate è distesa e ha di nuovo il sapore dei bei tempi andati, con un leggero arrangiamento orchestrale degno di Glen Campbell (uno che sta ricevendo più attestati di stima ora che non c’è più di quando era ancora tra noi) e la voce del nostro che accarezza il brano con classe; un piano wurlitzer introduce la title track, una splendida ballata dall’incedere maestoso ed un crescendo strumentale emozionante, che culmina con un ottimo assolo di chitarra elettrica: grande canzone, può diventare un nuovo classico di John. Tuesday I’ll Be Gone vede Anderson dividere il microfono con Blake Shelton per un country-rock terso, limpido e decisamente coinvolgente, un brano che richiama le atmosfere di Seminole Wind con in evidenza una splendida chitarra “harrisoniana”, mentre What’s A Man Got To Do (che vede tra gli autori Dee White, altro protegé di Auerbach) è una country song robusta quasi alla maniera texana, con un ottimo lavoro di chitarra acustica, steel e mandolino ed un’altra melodia di impatto immediato.

Decisamente bella anche Wild And Free, un honky-tonk elettrico dal motivo irresistibile, accompagnamento delizioso ed un refrain corale tra i più belli ed evocativi del CD (e Tyler Childers ospite ai cori). Slow Down è una ballatona romantica sfiorata dalla steel ed eseguita con classe ed eleganza ma senza risultare sdolcinata, All We’re Really Looking For una squisita country tune dal sapore western, tempo spedito ed ennesimo motivo accattivante così come Chasing Down A Dream, gustosissimo country-rock elettrico suonato con notevole forza. Il CD si chiude con You’re Nearly Nothing, toccante slow song di quelle che il nostro scrive ad occhi chiusi, con la strumentazione che si arricchisce man mano che il brano procede.

Bentornato John Anderson: Years sarà senza dubbio uno dei dischi country del 2020.

Marco Verdi

Meno “Cattivo” Del Solito, Ma Sempre Validissimo! Marcus King – El Dorado

marcus king el dorado

Marcus King – El Dorado – Fantasy/Universal CD

(*NDM: in questa lunga fase di quarantena forzata si è pensato in accordo con Bruno di recuperare anche qualche titolo recente ma la cui pubblicazione risale comunque a qualche mese fa, rimasto magari in arretrato come a volte succede. Oggi è la volta del giovane musicista del South Carolina, e fra pochi giorni toccherà al tributo femminile a Tom Waits).

Dan Auerbach è ormai diventato, insieme a Dave Cobb, uno dei migliori e più richiesti produttori sulla piazza, sia che incida in prima persona con la band che gli ha dato la notorieità, i Black Keys, che come solista (Waiting On A Song è stato per il sottoscritto uno dei più begli album del 2017), sia che si occupi di patrocinare i lavori di giovani artisti (Yola, Dee White, Early James) ed altri non proprio di primo pelo (Robert Finlay, Leo Bud Welch, Jimmy “Duck” Holmes). Una delle ultime produzioni di Auerbach riguarda un musicista che, seppur ventiquattrenne da pochi giorni, è già un artista affermato: sto parlando di Marcus King, enfant prodige della chitarra (e non solo), che a capo della Marcus King Band si è ritagliato un posto al sole nell’ambito della musica rock-blues di matrice southern con tre album di ottimo livello ed in particolare con gli ultimi due, The Marcus King Band e Carolina Confessions.

El Dorado segna il debutto di Marcus come solista, e mi preme avvertire da subito gli estimatori del nostro e del rock-blues in generale che potrebbero rimanere spiazzati dall’ascolto del disco, in quanto il genere che ha reso King popolare è sì presente ma in misura decisamente minore (ed anche la sua chitarra ruggisce di meno), in quanto Auerbach ha provato a fare del lungocrinito musicista un artista a 360 gradi, più autore e cantante che chitarrista, e secondo me con risultati egregi. Sì perché El Dorado a mio parere è un lavoro decisamente bello, con Marcus che si cimenta con successo in una serie di stili che rendono l’album piacevolmente eclettico: al rock-blues, che comunque è presente, si sono infatti aggiunte corpose dosi di soul, rhythm’n’blues, gospel, oltre a qualche momento di rock più “convenzionale” e perfino un pizzico di country. Gran merito va sicuramente ad Auerbach, che ha scritto tutti i brani in coppia con Marcus e gli ha dato il suo classico suono che rimanda agli anni settanta, ma King ha contribuito in maniera decisiva con una vena molto ispirata e soprattutto con la sua strepitosa voce “nera”, adatta a qualsiasi tipo di musica ma particolarmente idonea a sostenere brani a carattere più soul. Un mix di stili dunque molto accattivante, che non va ad intaccare l’unitarietà di un disco che secondo me fa salire King di un paio di gradini, in quanto ce lo presenta come musicista a tutto tondo e non solo come promettente chitarrista (e comunque la sua sei corde qua e là si sente eccome).

L’album è stato registrato a Nashville negli Easy Eye Sound Studios di proprietà di Auerbach, il quale gli ha messo a disposizione la consueta gang di sessionmen fuoriclasse e dal pedigree eccezionale: Gene Chrisman, Russ Pahl, Dave Roe, Bobby Wood, Mike Rojas e Paul Franklin (per citare i nomi più noti), gente che ha suonato, tanto per fare qualche nome “da poco”, con Elvis Presley, Aretha Franklin, Duane Eddy, Johnny Cash, Solomon Burke e Roy Orbison. Young Man’s Dream è il classico inizio che non ti aspetti, una delicata ballata acustica sfiorata dal country, con un motivo molto rilassato ed una strumentazione parca e suonata in punta di dita, fino al secondo minuto quando entra per un attimo il resto della band e possiamo ascoltare il tipico “big sound” delle produzioni di Auerbach. Con The Well andiamo in territori abituali per Marcus, un rock-blues elettrico dal riff aggressivo e grintoso, un pezzo che potrebbe benissimo appartenere anche al repertorio dei Black Keys (che hanno sempre avuto parecchio blues nel dna), con un paio di assoli brevi ma efficaci che ci mostrano che il nostro non ha perso il tocco; Wildflowers & Wine porta il disco ancora più a sud, per una deliziosa ballata southern soul dal suono caldo e cantata alla grandissima da King, con l’aggiunta di un bel coro femminile dal sapore gospel: sembra quasi una outtake di Anderson East.

One Day She’s Here è uno scintillante errebi dai toni pop, un brano decisamente “morbido” se si pensa ai trascorsi di Marcus, ma eseguito a regola d’arte e con un’aria da Blaxploitation anni settanta (e la voce è perfetta), un pezzo che differisce dalla seguente e squisita Sweet Mariona, che è un po’ come se Sam Cooke non fosse stato ammazzato in quella tragica notte del 1964 e ad un certo punto avesse inciso un disco country (splendida la steel di Franklin): una delizia. Un piano elettrico introduce la lenta Beautiful Stranger, altra bellissima canzone tra soul, country e gospel, distante dalla Marcus King Band ma di livello sublime e con un feeling formato famiglia; con Break siamo sempre in territori “black” anche se qui lo stile è più pop ma senza cadute di gusto, anzi il tutto è trattato con i guanti bianchi e classe sopraffina, mentre Say You Will porta un po’ di pepe nel disco, in quanto siamo di fronte ad una rock song potente, chitarristica e tagliente, genere Rory Gallagher meno blues, con assolo finale torcibudella da parte del leader.

Anche Turn It Up ha un gran bel tiro, un rock’n’roll ancora dall’anima nera, un ritmo trascinante e lo spirito sudista del nostro che esce ad ogni nota, e restiamo al sud anche per la coinvolgente Too Much Whiskey, una splendida country song in puro stile outlaw, che sembra quasi un omaggio a Willie Nelson ed alla sua Whiskey River (la melodia è molto simile, e poi le parole “whiskey river” sono citate espressamente nel testo e c’è pure un’armonica alla Mickey Raphael). Finale con la limpida Love Song, altra soul ballad raffinata, elegante e suonata in souplesse (e che voce), e con No Pain, uno slow lucido ed intenso con organo, steel, chitarra elettrica ed archi che creano un suono unico, quasi un riepilogo dei vari stili incontrati nel corso del CD. Ottimo lavoro quindi questo El Dorado, un album che cresce ascolto dopo ascolto e che testimonia la crescita costante di Marcus King come musicista completo e versatile.

Marco Verdi

Vero Country D’Autore…Da Parte Di Un Autore Non Country! Tim Bluhm – Sorta Surviving

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Tim Bluhm – Sorta Surviving – Blue Rose Music CD

Il fatto che Tim Bluhm, leader della nota rock band di San Francisco The Mother Hips, abbia pubblicato un album da solista non è di per sé quella gran notizia, dal momento che ne ha già una manciata all’attivo: la cosa però che colpisce è che Sorta Surviving è un disco di vero country di stampo classico, e pure molto bello. Il country è un genere che Tim ha sempre amato, ed anche in passato aveva mostrato influenze in questo senso, ma un lavoro tutto country non lo aveva mai fatto, e di sicuro non mi sarei aspettato che il risultato fosse di questo livello qualitativo. Sarà stato anche ispirato dai muri del Cash Cabin Studio, di proprietà del grande Johnny Cash (luogo nel quale Tim ha inciso l’album sotto la produzione di Dave Schools e la supervisione del figlio dell’Uomo in Nero, John Carter Cash), sarà il gruppo di musicisti che l’hanno accompagnato, con vere e proprie leggende come Dave Roe (a lungo bassista proprio di Cash) e Gene Chrisman (batterista per Elvis Presley, Aretha Franklin e molti altri) e nomi di primo piano come i chitarristi Jack Pearson e Jesse Aycock ed i backing vocalists Elizabeth Cook e Harry Stinson, ma Sorta Surviving è un country record perfettamente credibile, con un suono splendido ed una serie di canzoni di prima qualità, che mettono Bluhm come ultimo in ordine di tempo in un ipotetico gruppo di artisti capaci di passare da un genere all’altro con estrema disinvoltura.

Che il disco è di quelli giusti lo si capisce già dall’iniziale Jesus Save A Singer, un delizioso honky-tonk dal suono molto classico, guidato da un ottimo pianoforte (Jason Crosby) e con un motivo di grande piacevolezza. E Tim mostra anche di avere la voce adeguata, morbida, carezzevole ed espressiva. No Way To Steer è anche meglio, una splendida country song dal refrain scintillante e contraddistinta da un languido accompagnamento in cui dominano la steel ed ancora il piano; decisamente riuscita anche Jimmy West, un racconto di stampo western che ricorda molto lo stile di Tom Russell, una ballatona profonda cantata e suonata benissimo. Ancora honky-tonk che più classico non si può con Where I Parked My Mind, anche questa bella e cristallina, con un tocco di Texas: dischi country così non ne escono molti in un anno, sembra davvero di sentire un veterano del genere. Raining Gravel è un brano lento ed intenso, con un feeling da cantautorato anni settanta, la title track ha il sapore del country-rock californiano d’altri tempi ed è guidata da una delle migliori melodie del CD, mentre l’affilata Del Rio Dan è più rock, e spuntano anche un organo e un piano elettrico che spostano il disco su coordinate quasi sudiste. La vorticosa Squeaky Wheel, un bluegrass dal ritmo decisamente sostenuto, chiude il gruppo dei pezzi originali, ma come ciliegina abbiamo anche due cover: la splendida I Still Miss Someone proprio di Johnny Cash (in omaggio al luogo che ha ospitato Tim), che rimane un capolavoro in qualunque modo la si faccia, ed una lenta ed appassionata rilettura di Kern River, un classico minore di Merle Haggard.

Sorta Surviving è uno dei migliori album country di questa prima metà dell’anno, ed in assoluto una delle cose più riuscite della carriera di Tim Bluhm.

 Marco Verdi