Un Tributo Splendido Anche Se Tardivo! Strange Angels: In Flight With Elmore James

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Strange Angels: In Flight With Elmore James – Sylvan Songs/AMPED CD

Trovo abbastanza scandaloso che non fosse mai uscito prima d’ora un tributo fatto con tutti i crismi alla figura del grande Elmore James, uno dei bluesmen più leggendari della storia, uno che ha suonato con Robert Johnson e Sonny Boy Williamson, e che ha praticamente inventato la tecnica slide nel suonare la chitarra, influenzando generazioni di musicisti a venire (tra i quali gente del calibro di Eric Clapton, Peter Green, Brian Jones, Duane Allman, Stevie Ray Vaughan, Johnny Winter e Sonny Landreth). Ci ha dovuto pensare la piccola Sylvan Songs (?) a riparare al torto, mettendo a punto questo splendido Strange Angels: In Flight With Elmore James, un omaggio fatto in grande stile, con una serie di ospiti di alto profilo, che si sono mossi tra l’altro a titolo gratuito, in quanto il ricavato delle vendite andrà a finanziare MusiCares e la Edible Schoolyard NYC, un progetto grazie al quale a giovani studenti viene insegnato a coltivare la terra ed a prendersi cura di giardini situati nei cortili delle scuole, avvicinandoli così al mondo della natura. Strange Angels, come ho già detto, è un album strepitoso, nel quale tutti i partecipanti si sono esibiti al meglio delle loro possibilità, fornendo diverse prestazioni da antologia, ben coadiuvati da una house band da sogno, formata da una serie di musicisti dal pedigree eccezionale.

Troviamo infatti in studio, tra i tanti (i partecipanti si alternano nei vari brani), G.E. Smith, storico chitarrista del Saturday Night Live ed in seguito nelle touring bands di Bob Dylan e Roger Waters, Doug Lancio, per anni nella band di John Hiatt e recentemente con Patty Griffin e Tom Jones, Viktor Krauss, fratello di Alison e membro della sua band, Rick Holmstrom, attuale bandleader di Mavis Staples, Rudy Copeland, pianista di Solomon Burke e Johnny “Guitar” Watson, John Leventhal, stimato musicista e produttore nonché marito di Rosanne Cash, Charlie Giordano, tastierista della E Street Band, Jay Bellerose, il batterista preferito da Joe Henry, Larry Taylor, ex bassista dei Canned Heat e più di recente con Tom Waits, e Marco Giovino, ex membro dei Band Of Joy di Robert Plant, nonché produttore del tributo. E non li ho neanche citati tutti. L’album parte con Can’t Stop Loving You, che inizia subito con una slide lancinante (Lancio, quindi lancio-nante…), un ritmo vivace e la gran voce di Elayna Boynton, una giovane e brava soul singer: pochi secondi e siamo subito “dentro” al disco (peccato che il brano duri poco più di due minuti) La grandissima Bettye LaVette (che ha in uscita un disco di covers di Bob Dylan, non vedo l’ora) aggredisce subito Person To Person con la sua vocalità strepitosa, una potenza seconda forse solo a Mavis Staples, ed il gruppo la segue con un suono “grasso” e coinvolgente. Rodney Crowell non è mai stato associato al blues, ma ha una classe che gli permette di adattarsi al meglio anche in questa veste: Shake Your Money Maker è uno dei classici assoluti di James, e Rodney ne fornisce un’interpretazione fresca e saltellante, quasi rockabilly, doppiato alla grande dalla slide di Lancio, che si conferma uno dei protagonisti del CD.

Tom Jones è tornato tra noi, in termini di qualità musicale, da diversi anni, e la sua rilettura di Done Somebody Wrong è poderosa e piena di feeling, con la sua formidabile voce al servizio di un suono sporco al punto giusto: qui Lancio non c’è, ma Holmstrom e Taylor (che oltre ad essere bassista suona anche la slide) coprono benissimo la sua assenza. Sapevo che Mean Mistreatin’ Mama sarebbe stato un highlight assoluto già quando ho letto che era stata affidata a Warren Haynes e Billy Gibbons, ma non pensavo ad un tale grado di splendore: sia Warren che Billy si cimentano alla slide (Haynes è anche voce solista), ed il duello finisce in parità, ma non con uno 0-0 con poche emozioni, ma bensì un 3-3 spettacolare, con pali, traverse ed occasioni salvate sulla linea; la goduria è completata da Mickey Raphael, la cui armonica abbandona il tono country che ha di solito con Willie Nelson e si avvicina allo stile di Charlie Musslewhite. Dust My Broom è forse il brano più celebre di James (ne ricordo una versione indimenticabile negli anni novanta fatta da Willy DeVille, con Fabio Treves all’armonica, al vecchio City Square di Milano), e qui è affidato a Deborah Bonham, sorella di John (e quindi zia di Jason): forse non ha la stessa potenza vocale di quella che aveva il fratello ai tamburi, ma è comunque davvero brava (e vogliamo parlare di come suona la band?); It Hurts Me Too è un altro superclassico, ed alla slide troviamo ancora l’immenso Warren Haynes, che però stavolta cede il microfono a Jamey Johnson, e la coppia funziona eccome, ed in più abbiamo una incredibile jam finale, che rende la canzone tra le più riuscite del disco.

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Le sorelle Allison Moorer e Shelby Lynne dopo il bel disco in duo dell’anno scorso ci hanno preso gusto http://discoclub.myblog.it/2017/08/12/un-ottimo-esordio-per-due-promettenti-ragazze-shelby-lynne-allison-moorer-not-dark-yet/ , anche se all’apparenza le loro voci non si adattano a brani blues di questa forza: infatti la loro Strange Angels è arrangiata in maniera più leggera, quasi jazzata, anche se l’esito finale è sì discreto, ma meno convincente del resto. La cura Taj Mahal ha fatto bene a Keb Mo’, che si destreggia splendidamente con Look On Yonder Wall, suonata in maniera elettroacustica, con l’aggiunta di una fisarmonica che dona più colore al suono, proprio come avrebbe fatto il vecchio Taj. Mollie Marriott, figlia di Steve (Small Faces e Humble Pie), non la conoscevo http://discoclub.myblog.it/2017/12/15/una-figlia-darte-un-po-tardiva-mollie-marriott-truth-is-a-wolf/ , ma è molto brava e con un timbro vocale vicino a quello di Bonnie Raitt (una che in questo disco ci sarebbe stata alla grande), e la sua My Bleeding Heart è decisamente godibile; Chuck E. Weiss è un fuori di testa, ma quando canta è serissimo, anche se la sua presenza in Hawaiian Boogie, in cui si limita a borbottare qualche “Oh Yeah!” e “Boogie!” ed a grattare sulla washboard, è impalpabile, ma il pezzo è comunque trascinante. Addi McDaniel è una attrice ed anche cantante, e la sua Dark And Dreary è una vera sorpresa, un folk-blues-jazz molto raffinato, con tanto di violino, fisa e banjo: grande classe. Chiude l’album lo strumentale Bobby’s Rock, con la house band protagonista, per l’occasione autoribattezzatasi Elmore’s Latest Broomdusters Broomdusters era il nome dato alla backing band di James), un rock-blues solido e vibrante, con Lancio e Holmstrom sugli scudi. Un tributo dunque imperdibile, che sicuramente figurerà tra i dischi blues dell’anno.

Marco Verdi

Una Figlia D’Arte Un Po’ “Tardiva”. Mollie Marriott – Truth Is A Wolf

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Mollie Marriott – Truth Is A Wolf – Amadeus Music      

Forse il cognome risveglierà qualche fremito a coloro più addentro nelle vicende del rock britannico: ebbene sì, questa “nuova” cantante è proprio la figlia del grande Steve Marriott, indimenticato leader degli Small Faces e degli Humble Pie, una delle voci più belle del rock inglese di sempre, tragicamente scomparso nel rogo della propria casa, a soli 44 anni, nel lontano 1991. Mollie Marriott è la terza figlia di Steve, e anche per lei la gavetta è stata lunga, faticosa e costellata di problemi legali (come era stato per il babbo), e quindi solo in questi giorni, a 32 anni compiuti, arriva il suo esordio discografico: nel frattempo ha calcato i palcoscenici del Regno Unito, come background vocalist per PP Arnold, gli Oasis, in un musical sugli Small Faces, in vari tributi, tra cui quello a Ronnie Lane e alla riunione dei Faces dello scorso anno, oltre al concerto per gli 80 anni di Bill Wyman. Tra quelli che lei chiama “zii” ci sono Peter Frampton, Ronnie Wood, Kenney Jones, che hanno più volte espresso il loro entusiasmo (forse non disinteressato) per la voce di Mollie, e anche Paul Weller ha voluto collaborare con lei, infatti è presente in due brani di questo Truth Is A Wolf, album che avuto una lunga gestazione, tanto che doveva essere pubblicato già nel 2015 con un’altra copertina.

Ma alla fine, tramite una piccola etichetta, la Amadeus Music, è uscito. E devo dire che non è per niente male, buon sangue non mente, Mollie Marriott ha una bella voce, qualche inflessione e movenza del padre (come ammette le i stessa), un timbro vocale che può ricordare Bonnie Raitt o Susan Tedeschi, leggermente rauco ma potente, uno stile che si rifà a cantanti come la Sheryl Crow del primo periodo o Stevie Nicks.. Ovviamente non manca il rock classico inglese, sia quello anni ’60 e ’70, che il più recente Britpop. Tra i suoi collaboratori, co-autrice in due brani, troviamo Judie Tzuke, cantautrice rock molto di successo in UK a cavallo degli anni ’80 (e che al sottoscritto piaceva parecchio), mentre l’unico brano non composto dalla Marriott, ovvero la title track Truth Is A Wolf, porta la firma di Gary Nicholson, autore di successi per Bonnie Raitt e Delbert McClinton,e decine di altri “clienti, che aveva portato questo brano a Nashville con l’idea di darlo appunto alla Raitt o alla Tedeschi, e invece è finito su questo disco. Ed è probabilmente il pezzo migliore dell’album (che comunque si difende con lode): un brano che gira attorno al suono di un piano elettrico e della chitarra di Paul Weller, una delle classiche canzoni che di solito si accostano al miglior repertorio proprio di Raitt e Tedeschi, con la voce autorevole della Marriott che ricorda moltissimo le illustri colleghe, potente e grintosa, con una leggera vena malinconica, uno spirito musicale tra rock e blues e un arrangiamento di gran classe, veramente una bella canzone.

Il singolo Control è un bel pezzo rock, con qualche retrogusto gospel e qualcuno ha riscontrato similitudini con una vecchia canzone degli Humble Pie Fool For A Pretty Face, comunque la band della Marriott e le voci di supporto ci danno dentro di gusto, in particolare il chitarrista Johnson Jay, anche Broken è un’altra bella canzone, incalzante, con un ritmo e un drive che ricordano la miglior Stevie Nicks, una classica rock song dal sapore americano che ruota attorno alla bella voce di Mollie e al sound avvolgente dell’arrangiamento. Give Me A Reason è una bella ballata pop con elementi soul, commerciale, ma il giusto, sempre con sontuosi inserti vocali e una bella chitarra tagliente; Run With The Hounds ha di nuovo un groove tipico dei migliori Fleetwood Mac, musica pop ma di quella raffinata e coinvolgente, mentre Love Your Bones, secondo la stessa Mollie è ispirata dal sound di Tori Amos, quella più pop e meno cerebrale. Transformer è una delle due canzoni scritte con Judie Tzuke, un brano più da cantautrice classica, sempre con la bella voce in evidenza, anche se forse un filo troppo pomposo e pompato; Fortunate Fate, con qualche elemento country rimanda al repertorio della prima Shery Crow, quindi non manca neppure l’impeto rock, King Of Hearts, l’altro pezzo firmato con la Tzuke, è pure il secondo dove appare Paul Weller, una sorta di simil slow blues con richiami sia al “Modfather” come al babbo, anche se l’arrangiamento è nuovamente troppo pompato, ed è forse il difetto che più mi sento di imputare al disco,  insomma la voce e il talento ci sono, ma a tratti il tipo di produzione “moderno” incontra poco i miei gusti. La chiusura è affidata a My Heaven Can Wait, una ballata mid-tempo emozionale di nuovo troppo orientata verso quel suono turgido che non sempre soddisfa. Promossa con qualche piccola riserva.

Bruno Conti