Un Ritorno Al Passato Per Il Grande Cantautore…Purtroppo Anche Nel Suono! Neil Diamond – Classic Diamonds

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Neil Diamond With The London Symphony Orchestra – Classic Diamonds – Capitol/Universal CD

Una delle ultime mode del mercato discografico, specie in prossimità delle feste natalizie, è prendere incisioni originali di grandi artisti e rivestirle con arrangiamenti orchestrali registrati ad hoc, quasi sempre con risultati discutibili se non di cattivo gusto. L’onore, sia fa per dire, di questo tipo di operazione è stato riservato ad Elvis Presley (tre volte), Roy Orbison, Buddy Holly (l’unica ben fatta a mio parere), ma anche con cantanti ancora più o meno in attività ma sempre con tracce vocali “vintage”, come Rod Stewart, Beach Boys ed Aretha Franklin (poco prima della sua scomparsa), mentre al momento di scrivere queste righe è in uscita un episodio analogo dedicato a Johnny Cash, uno che ha sempre fatto dell’essenzialità del suono una ragione di vita e che quindi non aveva certo bisogno di orchestrazioni. Uno che invece in un certo tipo di sonorità ci ha sempre sguazzato mani e piedi è Neil Diamond, che solo in anni recenti ha intrapreso un percorso di canzoni arrangiate in maniera più sobria grazie all’aiuto di Rick Rubin, che ha rilanciato nel 2005 la sua carriera proprio come aveva fatto con Cash negli anni novanta.

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Ma in passato il cantautore newyorkese aveva quasi sempre badato più alla forma che alla sostanza, annegando i suoi brani in un mare di melassa (tranne che negli esordi degli anni sessanta ed in qualche album qua e là, come Beautiful Noise del 1976, prodotto da Robbie Robertson) a discapito delle canzoni stesse, che avrebbero meritato una mano più leggera in quanto il nostro come songwriter non ha mai avuto paura di nessuno. Quest’anno il presidente della Capitol Records, Steve Barnett, ha avuto l’idea di pubblicare un disco con alcuni evergreen di Diamond arrangiati con un’orchestra, ma questa volta si è deciso di coinvolgere lo stesso artista per fargli incidere le parti vocali ex novo. Diamond ha ancora una grande voce nonostante il Parkinson che lo ha costretto al ritiro dai concerti (ma che evidentemente non gli impedisce di cantare), e si è prestato volentieri all’operazione, nella quale è stata coinvolta la London Symphony Orchestra https://www.youtube.com/watch?v=rp80xRD1U-E , un gruppo filarmonico di 70 elementi che si è riunito negli studi di Abbey Road a registrare nuove partiture sotto la produzione di Walter Afanasieff, uno che nel suo curriculum ha dei nomi che mi tremano i polsi solo a scriverli: Mariah Carey, Celine Dion (c’era lui dietro la consolle in My Heart Will Go On), Kenny G ed i New Kids On The Block.

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Il problema principale di Classic Diamonds sono quindi gli arrangiamenti, decisamente melensi e magniloquenti, in cui spesso la voce di Neil è accompagnata solo dall’orchestra e senza chitarre o sezione ritmica rendendo l’ascolto a lungo andare piuttosto pesante: è un peccato dal momento che le grandi canzoni non mancherebbero, titoli che non hanno bisogno di presentazioni come Beautiful Noise, I Am…I Said, I’m A Believer, Holly Holy, Love On The Rocks e Sweet Caroline   ma la veste sonora greve affossa tutto come in Hello Again o nella già citata I’m A Believer, che è rallentata all’inverosimile diventando una ballata soporifera https://www.youtube.com/watch?v=HfmmZUVPf00 , o le ridondanti Song Sung Blue e America https://www.youtube.com/watch?v=_HM5FOXWeBo . Alcuni pezzi erano già poco digeribili nelle loro versioni originali (September Morn, You Don’t Bring Me Flowers, Play Me), e questo trattamento non può che peggiorare le cose. Alla fine gli episodi migliori sono quelli in cui l’orchestra non è troppo invadente o quando la voce del leader è affiancata da una strumentazione “rock” (termine da prendere con le molle), come nel caso di I Am…I Said, Holly Holy, con un bel coro gospel alle spalle (forse la rivisitazione più azzeccata), Love On The Rocks, che se lasciamo da parte l’arrangiamento è una ballata coi fiocchi, o la conclusiva Sweet Caroline, che comunque la si faccia rimane una grande canzone https://www.youtube.com/watch?v=_HM5FOXWeBo .

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Classic Diamonds è dunque l’ennesima operazione voce/orchestra poco riuscita, e piacerà solo ai fans del Neil Diamond più sdolcinato ed enfatico.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 10. La Lunga Carriera Di Un Professore Del Songwriting. Neil Diamond – 50th Anniversary Collector’s Edition

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Neil Diamond – 50th Anniversary Collector’s Edition – Capitol/Universal 6CD Box Set

Non stiamo sicuramente parlando del mio preferito tra i musicisti (ed è probabile che non entri neanche nella mia Top 20) ma, come ho già scritto in una precedente recensione, se esistesse una facoltà universitaria che insegnasse l’arte del songwriting uno dei primi nomi a venirmi in mente per il ruolo di docente sarebbe quello di Neil Diamond. Stiamo parlando infatti di un autore che ha avuto una carriera davvero intensa e ricca di soddisfazioni, con all’attivo una serie impressionante di canzoni che sono entrate a fare parte del Great American Songbook, diventando quindi dei veri e propri standard. Originario di Brooklyn, Diamond ha sempre abbinato ad un grande successo di pubblico un rapporto controverso con la critica, che lo ha spesso accusato (in molti casi, bisogna dirlo, a ragione) di aver privilegiato il lato commerciale della sua musica, rivestendo i suoi brani di sonorità eccessivamente orchestrate e ridondanti, oltre a non perdonargli certi atteggiamenti da superstar ed un tono spesso declamatorio nelle interpretazioni. Ma Neil rimane un grande songwriter, oltretutto dotato di una voce splendida e di una presenza carismatica come poche: d’altronde scrivere capolavori pop come Solitary Man, Girl, You’ll Be A Woman Soon, I’m A Believer, Kentucky Woman, Glory Road e Sweet Caroline non è che capita a tanti.

Ma la lista dei successi del nostro non si ferma certo qui, dato che non ho citato evergreen come I Am, I Said, Cherry Cherry, America, Cracklin’ Rosie, Shilo, Red, Red Wine, Holly Holy, Song Sung Blue, Longfellow Serenade, Love On The Rocks, Hello Again, September Morn…e mi fermo qui. Tutti brani che ritroviamo in questo 50th Anniversary Collector’s Edition, splendido box di sei CD che è la versione espansa dell’antologia tripla uscita lo scorso anno (quindi gli anni sono ormai 51), che dovrebbe mettere la parola fine ai festeggiamenti del Diamond songwriter e performer, dato che purtroppo l’ultimo tour celebrativo è stato interrotto a causa del morbo di Parkinson che ha colpito il nostro https://discoclub.myblog.it/2018/09/07/che-vi-piaccia-o-no-stiamo-parlando-di-uno-dei-grandi-neil-diamond-hot-august-night-iii/ . Il cofanetto non è il primo dedicato a Neil, ma è indubbiamente il più completo: 115 canzoni di cui 15 inedite, una bellissima confezione formato libro con splendide foto ed un’interessante intervista nuova di zecca a Diamond stesso, che ripercorre disco per disco la sua carriera. Il cofanetto, che conta anche su una rimasterizzazione degna di nota, si occupa al 98% delle registrazioni di studio, dato che era già uscito nel 2003 un altro notevole box tutto dal vivo, Stages. Nel corso dei sei dischetti ripercorriamo dunque tutte queste cinque decadi di musica, entrando nel dettaglio con canzoni note e meno note: i brani citati poc’anzi ci sono ovviamente tutti (il primo dischetto è da cinque stelle), ma via via si trovano anche diverse perle dimenticate, oltre agli inediti che vedremo fra poco.

Per esempio l’album del 1976, Beautiful Noise, prodotto da Robbie Robertson e giustamente considerato tra i migliori di Diamond, è rappresentato quasi nella sua interezza, ben nove brani su undici, tra cui la splendida title track, le grintose Jungletime e Street Life, il caldo rock-soul di Surviving The Life, la cadenzata Stargazer, dall’antico sapore dixieland, e la deliziosa Dry Your Eyes, scritta a quattro mani con Robertson (e che Neil cantò anche durante il mitico concerto The Last Waltz). Altri pezzi degni di nota sono il potente gospel di Walk On Water, la vibrante Rosemary’s Wine, la splendida e struggente The Gift Of Song, la coinvolgente  Desirée, la ritmata I’m Alive, trascinante anche se con qualche synth di troppo, il duetto con Waylon Jennings One Good Love e la strepitosa country song Blue Highway, con la chitarra di Chet Atkins. E poi abbiamo l’ultimo periodo, quello dei due album prodotti da Rick Rubin in maniera spoglia ed essenziale, che hanno rilanciato la carriera di Diamond, arrivata nel nuovo millennio ad un punto morto (nello stesso modo con cui il barbuto produttore aveva rivitalizzato Johnny Cash): brani di grandissimo spessore come Delirious Love, We, Hell Yeah, Captain Of A Shipwreck, Pretty Amazing Grace ed Another Day (That Time Forgot), nella quale Neil duetta con Natalie Maines; non manca neppure un’ampia selezione, 7 canzoni, dall’ultimo album con pezzi originali, il più che valido Melody Road, con la title track e The Art Of Love come brani di punta. Ovviamente non manca il Diamond degli arrangiamenti magniloquenti, zuccherosi e sopra le righe, ma le canzoni scelte non inficiano il piacere dell’ascolto del cofanetto, anche se pezzi come Done Too Soon, Morningside, Be, Play Me, l’orripilante Headed For The Future (piena di suoni finti e drum machines), il mieloso duetto con Barbra Streisand You Don’t Bring Me Flowers e la già citata September Morn non saranno mai tra le mie preferite.

Ci sono tre inediti sparsi nei primi cinque CD (i due brevi demo originali di I Am, I Said e America, ed una versione dal vivo a Dublino della bellissima Baby Can I Hold You di Tracy Chapman, una delle rare cover proposte da Neil), ma la parte del leone la fanno gli altri dodici, che occupano interamente il sesto dischetto: non sono demo o versioni alternate di pezzi già noti, ma vere e proprie canzoni mai sentite, che in alcuni casi Diamond ha rinfrescato e completato con l’aggiunta di parti strumentali suonate apposta per questo box, quasi come se volesse darci un intero disco nuovo. L’apertura è affidata a Sunflower, che è anche l’unica già nota in quanto negli anni settanta è stata una hit per Glen Campbell, ed è una scintillante country song, vibrante e dalla melodia immediata (e che voce); C’Est La Vie, scritta insieme a Gilbert Becaud come September Morn, è una delicata ballata, strumentata con gusto e misura, che avrebbe potuto sicuramente diventare un successo, Girls Go Fishin’ è un gustoso bozzetto tra country ed old time music, un brano che non capisco come possa essere stato lasciato fuori dalla discografia ufficiale di Neil. La cadenzata Maybe, seppur gradevole, risulta già sentita (ma la classe non è acqua), ma Caribbean Cruise è un pezzo terso e solare, con tanto di steel drums, e potrebbe benissimo essere di Jimmy Buffett. You Are è una ballatona tipica del nostro, guidata da piano e chitarra e cantata con il consueto pathos, Easy (To Be In Love) è una outtake di Melody Road ma non sembra affatto uno scarto, mentre Before I Had A Dime è un’altra strepitosa country ballad, dal motivo splendido, e non credo di esagerare se dico che è al livello delle migliori composizioni di Diamond. Molto bella anche The Ballad Of Saving Silverman, dal mood coinvolgente, mentre It Don’t Seem Likely è un brano dall’accompagnamento vigoroso e con un sapore soul; il CD si chiude con la fluida Long Nights, Hold On, altro lento decisamente interessante (che risente un po’ di una produzione anni ottanta), e con Moonlight Rider, forse l’unica un po’ sopra le righe in tutto il dischetto.

Quindi un altro cofanetto di grande spessore in questa intensa (e dispendiosa) fine 2018, un regalo perfetto sia per il fan che per il neofita.

Marco Verdi

Che Vi Piaccia O No, Stiamo Parlando Di Uno Dei Grandi! Neil Diamond – Hot August Night III

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Neil Diamond – Hot August Night III – Capitol/Universal 2CD – 2CD/DVD – 2CD/BluRay

Lo scorso anno a Neil Diamond è stato diagnosticato il morbo di Parkinson, cosa che ha costretto il cantautore di Brooklyn ad interrompere la tournée celebrativa del suo cinquantesimo anno di attività. Fa impressione sapere che difficilmente riusciremo a vedere ancora Diamond su un palco, in quanto stiamo parlando di uno degli artisti più di successo dell’ultimo mezzo secolo, titolare di una carriera luminosa che però ha sempre avuto parecchi detrattori, che non gli hanno mai fatto passare lisci certi atteggiamenti da superstar, spettacoli a volte eccessivi e magniloquenti e canzoni il più delle volte arrangiate con mano non proprio leggera, sia in studio che dal vivo. Ma non si può negare che il nostro nel corso della sua vita abbia scritto una serie impressionante di grandi canzoni, sia per conto terzi in gioventù (quando era uno degli autori più promettenti del mitico Brill Building), sia per sé stesso: soprattutto a cavallo tra i sessanta ed i settanta, era impossibile leggere una hit parade senza imbattersi in una o più canzoni (o album) di Neil. E comunque anche di bei dischi ne ha fatti più d’uno, mi vengono in mente Stones e Beautiful Noise (prodotto da Robbie Robertson) nei seventies e, più di recente, gli ottimi 12 Songs e Home Before Dark, con Rick Rubin in consolle, ed il comunque più che valido Melody Road.

Dal vivo poi Diamond è sempre stato nel suo ambiente naturale: performer eccellente, dotato da sempre di una grande voce e di una presenza carismatica, Neil è (o dovremmo cominciare a dire era) un vero animale da palcoscenico, e questo lo ritroviamo nei suoi album dal vivo, il cui più famoso è di certo Hot August Night, registrato nel 1972 al Greek Theater di Los Angeles. Ora la Capitol pubblica questo doppio (esiste anche con supporto video aggiunto, DVD o BluRay) intitolato Hot August Night III, che celebra il concerto che Neil ha tenuto nel 2012, quindi a distanza di 40 anni dal primo, sempre al Greek Theater (esiste quindi anche un Hot August Night II, risalente al 1987, e pure uno del 2009 registrato a New York). Il concerto è come sempre un’autocelebrazione della musica del nostro, di fronte ad un pubblico caldissimo: uno spettacolo che, kitsch e ridondante o meno che sia, presenta diversi momenti notevoli e con una super band di 14 elementi che poi è più o meno la stessa da 35 anni (in cui spiccano il tastierista Alan Lindgren, i chitarristi Doug Rhone e Hadley Hockensmith, i cori delle sorelle Julia e Maxine Waters, e soprattutto il batterista Ron Tutt uno che ha suonato con mezzo mondo, da Elvis Presley a Gram Parsons, passando per Jerry Garcia). Diamond, poi, è in forma smagliante, e canta ancora come trent’anni fa (anzi, penso che la voce col tempo abbia acquistato ancora più profondità), ed è davvero brutto sapere che non potrà più esibirsi.

La tracklist, oltre ai brani che tutti si aspettano, presenta anche qualche chicca o hit “secondaria”, come la bellissima Beautiful Noise, che dal vivo risulta travolgente, la saltellante Forever In Blue Jeans (un successo minore del 1979), un omaggio a Joni Mitchell con l’unica cover del disco (Chelsea Morninghttps://www.youtube.com/watch?v=aKC_KMhV2_o , l’intensa e toccante Glory Road e l’errebi elettrico in puro sixties style di Thank The Lord For The Night Time. Ci sono anche due pezzi dagli album con Rubin, una Pretty Amazing Grace full band e pure meglio dell’originale (sul disco era acustica) e We, arrangiata in stile dixieland. I classici ovviamente si sprecano, e tra questi ci sono alcune delle più belle canzoni del secolo scorso, come Shilo, una solare Red, Red Wine arrangiata reggae (come l’avevano fatta gli UB40), la meravigliosa Girl, You’ll Be A Woman Soon, Cherry, Cherry, una gioiosa Kentucky Woman, Solitary Man (uno dei più grandi brani di sempre), Cracklin’ Rosie, la coinvolgente Sweet Caroline, vero “crowd-pleaser” della serata, o la matura I Am…I Said; non manca anche un pezzo dal periodo Brill Building, la notissima I’m A Believer (portata al successo dai Monkees), proposta sia in veste di folk ballad sia in versione rock’n’roll. Nei bis, la patriottica (ed un tantino tronfia) America, lo scatenato pop-errebi Brother Love Travelling Salvation Show ed il finale romantico di I’ve Been This Way Before. E gli perdono qualche momento stucchevole come le sdolcinate September Morn, You Don’t Bring Me Flowers (originariamente un duetto con Barbra Streisand), Hello Again o Love On The Rocks, nella quale però canta alla grandissima.

In futuro ci saranno probabilmente molti altri live d’archivio per Neil Diamond, ma anche se non fosse così direi che questo terzo (o quarto, considerando quello a New York) volume della saga Hot August Night è il modo migliore per dare l’addio alle scene.

Marco Verdi

Tanto Siamo Ancora In Tempo…E Poi Il Disco Merita! Neil Diamond – Acoustic Christmas

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Neil Diamond – Acoustic Christmas – Capitol CD

Se esistesse una scuola di songwriting e se io fossi uno studente, molto probabilmente vorrei che il mio insegnante fosse Neil Diamond. Cantautore puro, della vecchia scuola (ha frequentato anche il mitico Brill Building di Broadway), a 75 anni il musicista di Brooklyn, oltre ad essere ancora in possesso di una grande voce, è più attivo che mai, e con risultati qualitativi perfino migliori di quando vendeva dischi a vagonate. Autore di una serie lunghissima di classici che oggi hanno la stessa valenza degli standard del grande songbook americano (Solitary Man, I’m A Believer, Sweet Caroline, Cherry Cherry, Shilo, Kentucky Woman, Cracklin’ Rosie, September Morn, solo per citare le più note), Diamond ha spesso diviso la critica per il fatto che i suoi album hanno di sovente seguito sentieri commerciali fatti di sonorità gonfie e sovraorchestrate, rovinando in molti casi canzoni splendide che con arrangiamenti più leggeri avrebbero magari venduto meno ma sarebbero state maggiormente valorizzate: anche i suoi show hanno spesso seguito questo trend, con rappresentazioni più adatte a spettacoli di Las Vegas che ad un concerto rock. Inutile dire che i risultati migliori (artisticamente parlando) Neil li ha ottenuti quando ha affidato la produzione e gli arrangiamenti in mani più sobrie, per esempio con l’album del 1976 Beautiful Noise, con Robbie Robertson in consolle (collaborazione che gli ha tra l’altro garantito l’invito allo storico concerto d’addio a The Band The Last Waltz), ma soprattutto in anni recenti con Rick Rubin, del quale Diamond aveva apprezzato lo straordinario lavoro fatto con Johnny Cash, ed il cui suono ha voluto replicare con i bellissimi 12 Songs e Home Before Dark, dimostrando che, quando ci sono le canzoni, non serve sommergerle di strumenti per valorizzarle, anzi (e le vendite eccellenti dei due album lo hanno confermato). Il suono meno gonfio evidentemente è rimasto nella testa di Neil, dato che anche i due dischi seguenti, Dreams e Melody Road, pur non essendo spogli come i due con Rubin, hanno mantenuto un approccio simile, ed anche questo nuovissimo Acoustic Christmas fin dal titolo prosegue sulla stessa strada.

Non è il primo disco a carattere natalizio di Diamond, ma quasi sicuramente è il migliore, in quanto è davvero un lavoro splendido, suonato ed arrangiato con grandissima classe e misura, prodotto benissimo da “prezzemolo” Don Was e Jacknife Lee (U2, R.E.M.), che già avevano curato Melody Road: Neil affronta da par suo dieci classici stagionali, scrivendo anche due pezzi nuovi, cantando con la sua splendida voce, calda e carismatica (e che sembra migliorare con gli anni), accompagnato da musicisti dal prezioso lignaggio (tra cui i ben noti Richard Bennett e Tim Pierce alle chitarre, Matt Rollings al pianoforte e Joey Waronker alla batteria, oltre alle backing vocals di gruppi di gran nome come i Blind Boys Of Alabama e Julia, Maxine, Oren e Luther Waters, meglio conosciuti come Waters Family): l’aggettivo “acoustic” del titolo non vuol dire però che il suono sia spoglio, anzi ci sono anche fiati, archi e corni, ma arrangiati con grande gusto e dosati con misura, in modo da mettere al centro la formidabile voce del nostro, che dopo una carriera cinquantennale ha ancora la forza di emozionare. Basti sentire l’opening track O Holy Night: pochi accordi di chitarra acustica, qualche nota di piano, e la voce superba di Neil, davvero da brividi e per nulla scalfita dall’età (poi entra anche la sezione ritmica, ma sempre con grande discrezione). Sentite poi Do You Hear What I Hear, la profondità della voce, l’intensità dell’interpretazione (se non vi viene qualche brivido io al posto vostro mi preoccuperei), oppure il modo con cui sillaba le parole dell’arcinota Silent Night, quasi non vi accorgerete di averla già sentita un miliardo di volte in altre versioni.

I brani, come ho già detto, sono quasi tutti tradizionali, ma c’è spazio anche per due novità: la pianistica, e splendida, Christmas Prayers, una ballata dalla melodia toccante, arrangiata in maniera perfetta, che avrebbe tutte le caratteristiche per diventare un altro standard stagionale, e la più scanzonata # 1 Record For Christmas. Altri brani degni di nota sono una essenziale Hark The Herald Angels Sing, eseguita con classe sopraffina e con Neil che valorizza al meglio il bellissimo motivo, una We Three Kings Of Orient Are ricca di pathos (e che voce), una strepitosa (ma strepitosa davvero) Go Tell It On The Mountain, pura e cristallina e con il magnifico coro gospel dei Blind Boys Of Alabama, che partecipano anche alla mossa Children Go Where I Send Thee, che dona ritmo al disco (e sembra che Diamond abbia cantato gospel per tutta la vita), o la formidabile Christmas In Killarney, un saltellante pezzo dal chiaro sapore irish, suonato e cantato come al solito magistralmente. Chiude il CD un vivace medley tra Almost Day, una godibile e limpida filastrocca, Make A Happy Song, anche questa frutto della penna di Neil, e l’arcinota We Wish You A Merry Christmas, perfetta per chiudere un grande disco, che va oltre lo spirito del Natale.

Marco Verdi

Novità Di Ottobre Parte I. Jerry Lee Lewis, Yusuf Cat Stevens, Annie Lennox, Neil Diamond, Mark Lanegan, Scott Walker, Aretha Franklin

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Lo ammetto, ultimamente la rubrica delle anticipazioni discografiche mensili è diventata più un resoconto di album già usciti (cofanetti esclusi) che una presentazione delle uscite più interessanti, scelte da chi scrive, ad insindacabile giudizio ovviamente, con molti altri CD che hanno ricevuto peraltro il trattamento della recensione personalizzata, anche per titoli da “carbonari”, come è prerogativa del Blog. Detto che in questi giorni escono o sono usciti molti titoli annunciati parecchio tempo orsono: tipo le ristampe di Led Zeppelin IV e Houses Of The Holy, versione cofanetto e doppio CD, tra le altre anche il box da 8 di Rory Gallagher Irish Tour, quello da 8 CD + DVD, Rumours Of Glory dedicato a Bruce Cockburn, ma pure il nuovo Matthew Ryan, Boxers, annunciato in versione CD fisico per il 4 novembre, ma già uscito nelle nostre lande (e comunque già recensito dal buon Tino), soffermiamoci perciò su alcune pubblicazioni avvenute in queste ultime due settimane, andando poi a ritroso nelle uscite di Ottobre. https://www.youtube.com/watch?v=PYCjEud9wvQ Cominciamo con il nuovo album di Jerry Lee Lewis Rock’n’Roll Time, che vedete effigiato sopra, esce il 28 ottobre, cioè oggi, per la Vanguard/Universal, e si tratta del terzo “sforzo di gruppo” per il Killer, 78 anni ma sempre in gran forma, dopo Last Man Standing del 2006 e Mean Old Man del 2010, anche questa volta i suoi discepoli si sono presentati in massa, per la rilettura di vecchi classici e brani meno conosciuti: se mi avessero detto che la title-track, Rock’n’roll Time, era un vecchio brano del 1974 scritto da Kris Kristofferson, non avrei saputo dirlo, ma lo è e quindi ne prendiamo buona nota e la mettiamo in fila con le altre canzoni che portano firme illustri, da Chuck Berry a Bob Dylan, Lynyrd Skynyrd e Jimmie Rodgers, oltre al vecchio amico Johnny Cash. Tra gli ospiti presenti nel disco c’è anche la brava Vonda Shepard, gli altri li vedete, brano per brano, nella tracklist a seguire: 1.Rock & Roll Time (With Doyle Bramhall II And Jon Brion) 2. Little Queenie (With Keith Richards And Ron Wood) 3. Stepchild (With Daniel Lanois And Doyle Bramhall II) 4. Sick And Tired (With Jon Brion) 5. Bright Lights, Big City (With Neil Young And Ivan Neville) 6. Folsom Prison Blues (With Robbie Robertson And Nils Lofgren) 7. Keep Me In Mind (With Jon Brion) 8. Mississippi Kid (With Derek Trucks And Doyle Bramhall II) 9. Blues Like Midnight (With Robbie Robertson) 10. Here Comes That Rainbow Again (With Shelby Lynne) 11. Promised Land (With Doyle Bramhall II) Da quello che ho sentito promette molto bene e quindi, sempre tempo permettendo, vorrei dedicargli un Post ad hoc. yusuf cat stevens tell 'em

https://www.youtube.com/watch?v=nKR87yoXxrE Anche il vecchio Cat Stevens (per me rimane sempre quello il nome, lo so che da una vita si fa chiamare Yusuf, e comunque, come è noto, nessuno dei due è il vero nome) pubblica in questi giorni un nuovo album, il primo per la Legacy Sony/Bmg, dal titolo Tell ‘Em I’m Gone, 10 canzoni,  si dice 5 nuove e 5  cover di brani più o meno noti. Anche in questo caso il parterre degli ospiti è notevole: da Richard Thompson alla band tuareg dei Tinariwen, il grande armonicista blues Charlie Musselwhite, il cantautore “alternativo” Bonnie ‘Prince’  Billy e il chitarrista Matt Sweeney. Produce lo stesso Cat Stevens, con l’aiuto di Rick Rubin. Questi i titoli dei brani: 1. I Was Raised In Babylon 2. Big Boss Man 3. Dying To Live 4. You Are My Sunshine 5. Editing Floor Blues 6. Cat And The Dog Trap 7. Gold Digger 8. The Devil Came From Kansas 9. Tell ‘Em I’m Gone 10. Doors Big Boss Man è proprio il vecchio blues di Jimmy Reed e You Are My Sunshine non è ovviamente quella di Stevie Wonder ma sempre un blues, Dying To Live era un vecchio brano, molto bello, di Edgar Winter, The Devil Came From Kansas viene dal repertorio dei Procol Harum, mentre la quinta coverfrancamente non l’ho individuata

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Anche quello di Annie Lennox, come lascia intuire il titolo, è un disco di cover, il terzo nella carriera della cantante inglese, che questa volta è andata a pescare proprio nel repertorio dei vecchi standards. Il CD è uscito la settimana scorsa negli USA per la Blue Note ed esce questa settimana per la Island/Universal, anche in versione Deluxe con DVD aggiunto, contenente “ben un brano dal vivo” (ma forse no, a giudicare dai video che girano su YouTube) e una intervista con la Lennox, alla faccia degli extra. Diciamo che già il contenuto del disco non mi entusiasma, anche il sound è molto orchestrale, adatto al materiale proposto, ma mi pare a tratti un po’ soporifero, persino più di quelli di Rod Stewart dedicati all’argomento), anche se qualche brano non è male, per esempio questo   https://www.youtube.com/watch?v=3TrSMaOZm3Y Per chi fosse interessato: CD 1. Memphis In June 2. Georgia On My Mind 3. I Put A Spell On You 4. Summertime 5. I Cover The Waterfront 6. Strange Fruit 7. God Bless The Child 8. You Belong To Me 9. September In The Rain 10. I Can Dream, Can’t I? 11. The Nearness Of You 12. Mood Indigo  Bonus DVD 1. Annie Lennox Talks About Nostalgia 2. I Put A Spell On You (Live Performance)

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https://www.youtube.com/watch?v=_qjqysU36tw Tra i veterani molto meglio Neil Diamond, in versione barbuta per questo nuovo Melody Road, che tutto sommato conferma la vena ritrovata con gli ultimi album degli anni 2000. Il disco, prodotto da Don Was e Jacknife Lee, è uscito lo scorso 21 ottobre su etichetta Capitol, e naturalmente non manca la versione Deluxe, in questo caso singola, con due tracce in più, una cover di Nilsson e una di George Harrison, oltre ad un libretto di 36 pagine con testi e spartiti. Ecco il contenuto: 1. Melody Road 2. First Time 3. Seongha And Jimmy 4. Something Blue 5. Nothing But A Heartache 6. In Better Days 7. Ooo Do I Wanna Be Yours 8. Alone At The Ball 9. Sunny Disposition 10. Marry Me Now 11. The Art Of Love 12. Melody Road (Reprise) Deluxe Edition Bonus Tracks: 13. Remember 14. Something

mark lanegan phantom radio 2cd

Il 21 ottobre è uscito anche il nuovo album di Mark Lanegan, Phantom Radio, per la Heavenly Recordings (ovviamente c’è anche la versione Deluxe doppia con 5 tracce extra, l’Ep No Bells On Sunday): si tratta, all’incirca, del sesto prodotto, tra album, EP e vinili, in circa due anni, o poco più, per un artista che ci aveva messo dodici anni per farne 6 e poi sei anni di attesa prima del nuovo. Un bel disco, per lo più,  di synth-pop ispirato dalla musica degli anni ’80 non fa per me, grazie. Scusate la stringatezza (e forse ho esagerato), ma proprio non sono molte le canzoni che mi piacciono, anche se la voce è sempre interessante.

scott walker + sunn o

Invece uno che ai dischi “strani”, ma interessanti, ci ha abituato, essendo lui stesso un personaggio che definire eccentrico è riduttivo, è Scott Walker, il nuovo disco Soused, in uscita per la 4AD, è una collaborazione con la band metal alternativa (giuro!) Sunn O))). Nonostante le premesse il disco è meno impenetrabile di opere come l’ultimo Bish Bosch del 2012, o The Drift  del 2006, dire che sia orecchiabile è una parola grossa, forse è più giusto “ascoltabile”: lunghi brani improvvisati tra drone music, avanguardia e musica contemporanea, con la bella baritonale voce di Walker che fluttua tra chitarre elettriche e percussioni, in uno stile che è quasi vicino al rock, a momenti. Rock estremo ma pur sempre rock, pensate, per avere una vaga idea, a certe cose del disco di Lou Reed con i Metallica, mescolato ad una psichedelia primitiva e brutale, ma giusto per darvi uno spunto. Comunque interessante.

aretha franklin sings the great diva classics

Disco che non c’entra assolutamente nulla per il precedente, uscito anche questo il 21 ottobre scorso, è quello nuovo di Aretha Franklin. Ci sarà stato pure un motivo se Aretha è classificata al 1° posto tra i più grandi cantanti di tutti i tempi, nella classifica di Rolling Stone, ancora nel 2010 precedeva Ray Charles, Elvis Presley, Sam Cooke e John Lennon. Però non fa un disco bello da una quarantina di anni e anche questo Sings The Great Diva Classics, che sulla carta prometteva sfacelli, poi all’atto pratico non permetterà alla 71enne artista americana (l’unica ancora viva dei primi 5) di rinnovare la sua leggenda. La sua voce, a tratti (soprattutto dal vivo), ha ancora momenti di grande splendore, ma la produzione di Clive Davis, vecchio boss della Arista e i più “giovani” Kenny “Babyface” Edmonds, André 3000, Harvey Mason, Jr., Terry Hunter e Eric Kupper, forniscono una patina di contemporaneità alle canzoni, che di per sè sarebbero (sono) anche belle. Ma forse sono io che ho delle pretese irrealizzabili, quindi accontentiamoci di ascoltare: 1. People 2. Rolling In The Deep (The Aretha Version) 3. Midnight Train To Georgia 4. I Will Survive (The Aretha Version) 5. At Last 6. No One 7. I’m Every Woman/RESPECT 8. Teach Me Tonight 9. Keep Me Hanging On 10. Nothing Compares 2 U Brani che vengono dal repertorio di Barbara Streisand, Adele, Gladys Knight, Gloria Gaynor, Etta James, Supremes e altre. Destiny’s Child, Alicia Keys; Whitney Houston e Sinead O’Connor via Prince, mi sembrano meno “importanti”, comunque questi troverete nel CD, pubblicato sempre la settimana scorsa dalla Rca/Sony.

Direi che per oggi è tutto, nei prossimi giorni, a ritroso, andiamo a vedere le altre uscite interessanti di ottobre, inframmezzate dalle solite recensioni ” a sorpresa”. Per esempio il nuovo disco dei bravi Lowlands, l’altro ieri a Milano, come opening act per Massimo Priviero, e ora in uscita con il loro nuovo disco Love etc., che però poi presenteranno in proprio il 22 novembre allo Spazio Teatro 89 di Milano, esattamente una settimana dopo il concerto dei Mandolin’ Brothers. Ovviamente ci ritornerò sopra quanto prima.

Alla prossima.

Bruno Conti

Novità di Marzo Parte III – Piccola Appendice – Hot Tuna, Neil Diamond, James Maddock, Will Kimbrough, The Sultans Of Slide

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Non si riesce mai a stare tranquilli, credevo di essermi portato alla pari con le uscite e invece…meglio così, vuol dire che esce molto materiale interessante.

Quello degli Hot Tuna Steady As She Goes è il primo album in studio da oltre venti anni a questa parte (dal 1990 per essere precisi) per la band di Jorma Kaukonen e Jack Casady. E’ uscito molto materiale d’archivio in questi anni, recente e non, come il bellissimo Live del 1969 pubblicato lo scorso anno dalla Collectors’ Choice blast-from-the-past-sbucati-dal-passato-johnny-winter-and-po.html. Ma questo è un disco nuovo, molto bello dall’ascolto veloce effettuato, registrato in quel di Woodstock negli studi di Levon Helm e con la produzione dell’ottimo Larry Campbell che appare anche come musicista. Gli stessi studi dove Jorma Kaukonen aveva registrato l’eccellente album solista River Of Time. I nuovi musicisti sono Barry Mitterhoff al mandolino acustico ed elettrico oltre al batterista Skoota Warner. Armonie vocali a cura di Teresa Williams che è la moglie di Larry Campbell. Etichetta Red House, data di uscita teorica 5 aprile ma visto che è già disponibile in anticipo sul mercato italiano a cura dell’Ird ve lo segnalo con piacere. Da domani nei negozi. Una bella sorpresa.

Un altro gruppo che esce un po’ a sorpresa con un nuovo album sono questi The Sultans Of Slide che esordiscono con Lighting Strikes su etichetta Me And My Records. Se i bravi Delta Moon hanno due slide soliste questi sono addirittura tre chitarristi slide nella stessa formazione ( e vi assicuro che è una bella lotta, guardate qui sopra, sembrano gli ZZTop dei tempi d’oro), non famosissimi ma ci danno dentro con gusto, Frank “paris slim” Goldwasser, Monti Amundson e Henry Cooper non diranno molto ai più ma fanno del sano Blues.

La Sony/Bmg ha già pubblicato negli States (e più avanti in Europa ed Italia) questo The Bang Years 1966-1968 che raccoglie 23 brani registrati nel periodo Brill Building di Neil Diamond quando registrava per l’etichetta Bang di Bert Berns (quello che ha scritto Piece of my heart, Hang on sloopy, Here comes the night eTwist & Shout tanto per ricordare qualche “canzoncina” e ha lanciato Van Morrison con Brown eyed girl) e comprende una valanga di belle canzoni nella loro prima versione: Solitary Man (Se Perdo Anche Te), Cherry Cherry, You’ll Be A Woman Soon, Kentucky Woman, I’m A Believer (Sono Bugiarda), Red Red Wine, le ha scritte tutte lui insieme a altri 17 brani. Li trovate tutti in questo CD.

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Un paio di “Carneadi” di gran talento! James Maddock ha esordito lo scorso anno con Sunrise On Avenue C (ma non è vero perché ci aveva già provato una decina di anni prima con una band i Wood che aveva avuto grandi riscontri critici e anche di pubblico visto che i suoi brani erano stati usati in alcune serie televisive ma poi si erano perse le sue tracce). Questo musicista inglese di nascita ma americano di adozione musicale fa dell’ottima musica e ora pubblica questo Live a sorpresa registrato in quel di New York nel gennaio 2010, Live At The Rockwood Music Hall. Piano, chitarra e mandolino e una voce roca e vissuta potrebbero sorprendervi, entrambi i dischi meritano.

Will Kimbrough è un cantautore, chitarrista e produttore che ha lavorato con tanti buoni musicisti, Rodney Crowell, Kate Campbell, Todd Snider, Kim Richey, Matthew Ryan, Josh Rouse solo per citarne alcuni e ha pubblicato una bella serie di album tanto buoni quanto misconosciuti. Questo triplo album pubblicato dalla svedese Rootsy Music nella loro serie Rootsy Approved si intitola Introducing Americana Music Vol.1 e comprende tre album al prezzo di 1. L’ultimo Wings pubblicato in America nel 2010, un CD antologico con 18 brani tratti dai suoi 4 album precedenti e un concerto inedito registrato nel Febbraio del 2010. Conveniente e assolutamente da sentire.

Passo e chiudo anche per oggi.

Per la “svista” su Bonamassa mi sono scusato nei Commenti accanto.

Bruno Conti

Vecchie Glorie 4. Neil Diamond – Dreams

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Neil Diamond – Dreams – Columbia

Se avessi dovuto cedere all’impulso del primo ascolto questo album non avrebbe fatto una bella fine, ovviamente in modo figurato e verbale, ma devo dire peraltro, ad essere sincero che, dopo vari ascolti, non mi sembra quel capolavoro che mi/ci vogliono far credere. Sì, sicuramente è un disco di buona qualità ma per dirla con le parole di qualcuno, parafrasando il titolo, “E’ il disco dei Suoi Sogni” non dei nostri, questa raccolta di 14 canzoni tra le sue preferite, scelte tra i brani dell’era Rock ( ma perché è finita e quando inizia?).

Contrariamente alle prime voci il disco non è prodotto da Rick Rubin, che aveva fatto un ottimo lavoro nei precedenti Home Before Dark e 12 Songs applicando quel principio del “meno è meglio” già utilizzato per l’ultima fase della carriera di Johnny Cash. In mezzo è uscito il disco dal vivo Hot August Night NYC dove Neil Diamond si era riimpossessato dei suoi successi vecchi e nuovi eseguiti con il “suono” del vecchio Neil, melodrammatico, volutamente “eccessivo” come piace a parte del suoi vecchi fans ma sempre efficace nelle riletture dei suoi classici. L’ulteriore passo è questo omaggio ad alcuni dei brani e degli autori che Diamond ha più amato nel corso degli anni.

Il suono è comunque caratterizzato da piano e tastiere (Benmont Tench), molte chitarre acustiche, percussioni, archi qui e là ma non scarno e raccolto come si potrebbe pensare, una sorta di sofferta mediazione tra l’ultimo corso e il Neil Diamond dei vecchi tempi, lontano comunque dagli eccessi sonori degli anni ’80 e ’90, tipo l’altro album di cover, quel As Time Goes By – The Movie Album che non mi aveva proprio fatto impazzire, anzi!

Ain’t No Sunshine di Bill Withers perde quel ritmo irresistibile della versione originale ma mantiene il suo fascino grazie all’interpretazione di Diamond che a dispetto dei 70 anni suonati ha sempre una gran voce, il doppio uso di piano e organo è notevole, ma una chitarra acustica intrigante che apriva il brano viene sommersa da una sezione archi troppo invadente che rovina parzialmente l’atmosfera raccolta della canzone.

Per Blackbird dei Beatles, Neil Diamond si è inventato un arrangiamento più complesso dove alla chitarra acustica originale viene aggiunto un violino country-folk che non convince del tutto, fa perdere al brano quella sua aria bucolica unica. Alone Again Naturally di Gilbert O’Sullivan, notevolmente rallentata, perde quella sua aria scanzonata e allegra ma acquista un nuovo fascino in questa veste più raccolta e rallentata con due sole chitarre acustiche a creare il tessuto del brano. Feels Like Home di Randy Newman è una bellissima canzone e questa versione quasi alla Simon & Garfunkel con una seconda voce a rispondere a quella di Diamond ricorda vagamente Bridge Over Troubled Water. Midnight Train to Georgia era uno dei classici della soul music di Gladys Knight & The Pips, e in questa versione rallentata, diamondizzata, con molti archi non mi fa impazzire anche se devo ammettere che l’inserimento di una armonica a bocca per sottolineare la melodia è un piccolo tocco di genio ma non porta a casa il risultato, preferisco di gran lunga l’originale anche se il buon Neil canta con grande impegno come peraltro in tutto il disco.

Anche la versione di I’m a believer con tanto di vibrafono e tempi rallentati snatura l’aria allegra e scanzonata della canzone scritta all’origine per i Monkees e famosa anche in Italia come Sono Bugiarda della Caterina Caselli, ma qui sembra proprio un’altra canzone, non so sospendo il giudizio magari sentendola ancora mi piacerà di più, mi sembra moscia. Love Song è uno dei brani meno noti, scritto da Lesley Duncan appariva su Tumbleweed Connection di Elton John (non credo Diamond conosca la versione originale dell’autrice per-associazione-di-idee-lesley-duncan-sing-children-sing.html) e rimane una canzone affascinante anche in questa versione arricchita dalle percussioni di King Errison che aggiungono un tocco esotico al tappeto di chitarre acustiche e al piano molto misurato che caratterizzano il sound globale.

Losing You è il secondo brano firmato da Randy Newman (che come Diamond ha iniziato la carriera come autore di canzoni per altri nella seconda metà degli anni ’60), anche in questo caso in una versione acustica molto raccolta senza il piano della versione originale. Hallelujah è proprio quella di Leonard Cohen, solo una chitarra elettrica arpeggiata e la voce sofferta di Neil Diamond, nulla a che vedere con le versioni melodrammatiche dei vari concorrenti degli X-Factor inglesi che l’hanno ripresa, questa volta lo spirito originale della canzone di Cohen è colto in pieno, gran bella versione. A Song For You del redidivo Leon Russell mantiene lo spirito dell’originale con un sax ricorrente che gli conferisce quel tocco alla Billy Joel dei tempi d’oro. Lo stesso non si può dire della versione di Yesterday che non avevo assolutamente riconosciuto in una lunga intro pianistica che, secondo me, c’entra come i cavoli a merenda, anche l’aggiunta dei fiati(c’è anche un corno inglese?) che sostituiscono gli archi originali snatura il suono e non mi piace neppure il cantato troppo carico di Diamond, a qualcuno piacerà, al sottoscritto no. Let it be me è il brano più vecchio, fu un successo per gli Everly Brothers nel 1960, ma risale alla metà degli anni ’50 nella sua versione originale in francese Je T’appartiens cantata da Gilbert Becaud, alla cui versione mi sembra si sia rifatto Diamond per quella che compare in questo Dreams.

Desperado comunque la metti e la canti rimane una bellissima canzone e questa versione abbastanza fedele all’originale mi sembra particolarmente indovinata. La conclusione è affidata a un brano poco noto di Harry Nilsson, Don’t Forget Me che risulta comunque uno dei brani migliori di questa raccolta e in questo caso l’arrangiamento con i fiati è particolarmente azzeccato.

Luci e ombre ma nel complesso un giudizio positivo anche se non mi sembra quel capolavoro che molti dipingeranno.

Bruno Conti