Lo “Springsteen” Del Texas E’ Tornato! Pat Green – Home

pat green home

Pat Green – Home – Green Horse/Thirty Tigers CD

A ben sei anni dall’ultimo disco composto da brani originali, What I’m For (Song We Wish We’d Written II del 2012, seguito del primo volume in coppia con Cory Morrow, era composto esclusivamente da covers), torna con un album nuovo di zecca Pat Green, ovvero uno dei country acts più popolari della scorsa decade, autore di diversi CD di successo, tra i quali Wave On Wave e Cannonball sono senz’altro i più noti. Ora Pat torna con questo Home che, a dispetto del buon successo ottenuto da What I’m For, non esce per una major ma bensì per una etichetta indipendente (affiliata con la benemerita Thirty Tigers): sei anni d’altronde è un periodo molto lungo tra un disco e l’altro, e si sa che le major oggi non hanno pazienza, vogliono tutto e subito; Pat però ha avuto necessità di fermarsi, di riflettere, ha messo a punto un disco solo quando aveva le canzoni giuste, ed il risultato gli ha dato ragione, dato che Home è entrato di botto nella Top 5 Country di Billboard. Green, anche nei momenti di maggiore popolarità, non si è mai venduto, ma ha sempre mantenuto il suo suono degli esordi, un country decisamente imparentato col rock, molto chitarristico e con arrangiamenti ad ampio respiro, che, combinato con testi che narrano la vita quotidiana di persone normali, gli hanno fatto guadagnare il soprannome di “Bruce Springsteen del Texas”.  

Fortunatamente, anche il nuovo album non si discosta dallo standard medio-alto al quale il nostro ci ha abituati: prodotto da un trio formato da Jon Randall Stewart (fino al 2005 collega di Pat e poi dedicatosi soltanto a produzione e songwriting), Justin Pollard (il batterista del disco) e Gary Paczosa (Dolly Parton, Alison Krauss), Home presenta una bella serie di canzoni di sano e corroborante country-rock texano come Pat è solito regalarci, scritte in collaborazione con alcuni dei più bei nomi del settore e non (il nostro beniamino Chris Stapleton, presente anche come vocalist di supporto, Andrew Dorff, Walt Wilkins e Dierks Bentley), oltre ad ospitare ben quattro duetti con colleghi di gran nome, che scopriremo man mano. La title track apre il disco con il piede giusto, un rockin’ country dalla melodia coinvolgente e ritmo sostenuto, nella migliore tradizione (texana) del nostro, voce forte e piena, chitarre spiegate e grande feeling https://www.youtube.com/watch?v=bQiJ3WXtX1k ; Break It Back Down è più country, il violino si sente maggiormente, ma la sezione ritmica picchia lo stesso come un martello, anche se Pat canta in maniera più tranquilla https://www.youtube.com/watch?v=rQBO5WTZpl8 .Girls From Texas, che è anche il primo singolo, ospita la prima collaborazione di prestigio del CD: vediamo infatti a duettare con Pat il grande Lyle Lovett, in una ballata languida e rilassata, che potrebbe benissimo uscire da un disco del texano col ciuffo; le due voci si integrano alla perfezione, anche se è chiaro che quando Lyle si prende il microfono la temperatura sale.

Bet Yo Mama è dura, roccata, quasi sudista, con il blues nelle note ed una grinta non comune, mentre Right Now (il brano scritto con Stapleton) vede la partecipazione di Sheryl Crow, ultimamente reinventatasi come country girl: il pezzo, una ballata semiacustica dal notevole pathos, è decisamente ben eseguito, e Sheryl è più che credibile nelle vesti di partner vocale https://www.youtube.com/watch?v=aokv_q7zfXw .While I Was Away è un altro slow cantato con grande anima, che ha una delle migliori melodie del CD, mentre May The Good Times Never End ospita il grande Delbert McClinton alla voce (e armonica) e Lee Roy Parnell alla slide, ed il brano è esattamente come uno si potrebbe aspettare,  un soul-rock sudista tutto ritmo e divertimento, con le ugole dei due headliners che si integrano alla perfezione e Parnell che li accompagna da par suo https://www.youtube.com/watch?v=vIRfAxJ6Bvs . La bella Life Good As It Can Be è ariosa, limpida, tersa, e sembra quasi un brano di stampo californiano (il ritmo e l’intro di chitarra acustica ricordano vagamente Learning To Fly di Tom Petty) https://www.youtube.com/watch?v=9Ien9KnZ2jg , No One Here But Us è intima e meditata, anche se l’arrangiamento è comunque full band, mentre I’ll Take This House è roccata e solida, con un drumming potente ed un refrain da applausi: puro Texas rock’n’roll. L’album si chiude con la ballad elettrica I Go Back To You, ennesimo brano dallo script maturo e dal suono potente, la tenue e deliziosa Day One e l’irresistibile Good Night In New Orleans, cantata in collaborazione con il Lousiana Kid Marc Broussard, che inizia come un lento bayou-soul per poi tramutarsi in un coinvolgente cajun-rock dal ritmo forsennato https://www.youtube.com/watch?v=hdriYjjw_ow .

Non solo Pat Green non ha perso lo smalto, ma con Home ci regala uno dei suoi dischi più riusciti.

Marco Verdi

Un Album Di “Spiriti Liberi” . Walt Wilkins & The Mystiqueros – Wildcat Pie & The Great Walapateya

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Walt Wilkins & The Mystiqueros – Wildcat Pie & The Great Walapateya – Folk Walt CD

Da quando ha avuto la brillante idea di formare i  Mystiqueros (una sorta di “dream team” di musicisti e cantautori texani), Walt Wilkins (di cui su queste pagine ho recensito il precedente lavoro Plenty http://discoclub.myblog.it/2012/07/15/texan-troubadour-walt-wilkins-plenty/  ) non sbaglia un colpo. Il buon Walt dopo aver trascorso anni a scrivere brani poi portati al successo da altri suoi colleghi (i primi due che mi vengono in mente Ricky Skaggs e Pat Green) e pellegrinando per minuscole “indie labels”, arriva al decimo album, il quinto con i fidati Mystiqueros, Diamonds In The Sun (07) che includeva la sua “perfect song” Trains I Missed http://www.youtube.com/watch?v=OGesD7hQLms , Vigil (09), Agave (10), il già citato Plenty (12), arrivando a questo Wildcat Pie & The Great Walapateya (dal titolo alquanto enigmatico e una difficile reperibilità). In questa occasione la line-up del gruppo gira intorno a Ray Rodriguez alla batteria e percussioni,  il basso di Bill Small, con il supporto di Marcus Eldridge e Jimmy Davis alle chitarre, il cantautore Brian Langlinais (è in uscita a breve un disco per l’etichetta italiana Ultrasound Records), oltre ovviamente alla bella moglie Tina Wilkins come vocalist aggiunta.

walt wilkins mystiqueros

Wildcatpie & The Great Walapateya è un disco forte e onesto, dosa con classe brani country-pop come le iniziali Its Only Rain http://www.youtube.com/watch?v=LI_3NXnREsA , King For A Day e Hold Me Tight, il blues-soul di Somebody http://www.youtube.com/watch?v=663C_H57Ecs , tracce di matrice texana quali Love & a Good Buzz, From Here To There, Under The Midnight Sky, Believe http://www.youtube.com/watch?v=85_tq70aAes , l’honky-tonky di Salinda http://www.youtube.com/watch?v=q3JHfJASU8o e If I Had A Little Truck, il ruvido gospel-blues sudista di This Old House, ballate suadenti come She Must Be Out Of Her Mind e Down Where The River Flows, e nelle 17 tracce non potevano mancare “cover” d’autore come Streets Of Baltimore di Harlan Howard (qualcuno ha detto Gram Parsons e Emmylou Harris?) http://www.youtube.com/watch?v=EWIRdvvwioA , il Doug Sahm di Beautiful Texas Sunshine, Give Me Strength di Eric Clapton e quella Dancing In The Moonlight di Sherman Kelly, portata al successo nel lontano ’73 dai King Harvest.

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E’ molto probabile che a Wilkins una band come i Mystiqueros sarà utile pure dal vivo (anche per il suo vecchio repertorio) in quanto tendono ad assimilare e sovrapporre stili diversi, dove una fisarmonica, un piano honky tonk e steel guitars varie producono canzoni che nella poetica di Walt Wilkins equivalgono a uno di quei rari momenti dove le stesse hanno ancora una loro importanza.

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Sicuramente un CD in cui credere, che si fa apprezzare per canzoni scritte e suonate come si deve, anche se ovviamente non se ne accorgerà nessuno.

Tino Montanari

Lassù Sulle Montagne, Puro Texas Country! Casey Donahew Band – Standoff

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Casey Donahew Band – Standoff – Almost Country 2013

Passare una vacanza in una ridente località delle Dolomiti (San Martino di Castrozza) è cosa abituale, uscire poi alla sera in cerca di un ritrovo tipico è altrettanto normale, entrare poi in un locale (Ranch Bar), dove tutto profuma di Texas (gestito dai titolari Loris e Giovanni), e sentire a rotazione per tutta la serata dell’ottima musica country, per chi scrive non è tanto abituale. In una di queste serate, sorseggiando del buon Bourbon del Kentucky (Woodford), sentivo scorrere i brani della Casey Donahew Band, una band che negli ultimi dieci anni ha scalato la scena della musica country, conquistandosi faticosamente una nicchia e una solida base di “fans”  che affollano i loro leggendari spettacoli dal vivo.

L’esordio risale al 2006 con l’omonmo Casey Donahew Band e Lost Days, due album autoprodotti come il seguente live Raw- Real In The Ville (2008) che li hanno portati ad avere una certa visibilità tra gli “addetti ai lavori”. Messi sotto contratto da una piccola etichetta come la Almost Country, incidono Moving On (2009) e sfondano finalmente con Double Wide Dream (2011) che entra nella Top Ten della classifica dei dischi country della “bibbia” del settore Billboard. La band è composta dal leader Casey Donahew (il Tex Willer della situazione), e i suoi fidati “pards” rispondono al nome di JJ Soto e AC Copeland alle chitarre, Dante “Taz” Gates alla batteria, Steve Stone al basso e Josh Moore al violino, che in questo ultimo lavoro, fanno del sano country-roots rock ruspante, marchio di fabbrica del Lone Star State.

I titoli iniziali (di questo film musicale Standoff) partono con l’elettrica Lovin Out Of  Control dal ritornello efficace, e proseguono con il singolo Whiskey Baby, mentre Pretending She’s You è una ballata con il pianoforte ed il violino in evidenza, che vede la bella e brava Kimberly Kelly ai cori.

Il tempo di far abbeverare i cavalli e la cavalcata riprende con Not Ready To Say Goodnight , Small Town Love e Sorry, perfetti brani di rockin’ country texano, dove la sezione ritmica picchia duro. Dopo una sosta al “saloon”, la marcia riprende con Homecoming Queen, una rock-song solida e vibrante (mi ricorda gente come Pat Green e Cory Morrow), mentre Missing You è una ballata acustica, introdotta e valorizzata dal violino di Josh e cantata in duetto con Kimberly, e a seguire la divertente Loser scritta a quattro mani con JB Patterson (JB and The Moonshine Band) e-i-risultati-si-vedono-ma-soprattutto-si-sentono-jb-and-the.html. Ci si avvia ai titoli di coda (come nei film del grande Sergio Leone) con un’altra “ballad” di spessore come Put The Bottle Down (una delle più belle scritte da Casey) con il dolce apporto vocale di Jaime Pierce, per poi correre a perdifiato verso il Grand Canyon con il country-boogie di Go To Hell. The End.

Come si intuisce dalla splendida copertina (in stile locandina da film western), Standoff  spara delle robuste pallottole di autentico “Texas sound”, per una band in impressionante crescita, che ormai è una sicurezza, ha trovato il filone giusto, con uno zoccolo duro di fans che la segue nelle date “live” in giro per gli States, e vogliono che le loro canzoni, trasudino di “sangue, dolore e polvere da sparo”.

NDT: Se passate da San Martino di Castrozza, entrate al Ranch Bar, è un oasi per tutti coloro che amano la cultura americana, che deve essere come le Dolomiti, patrimonio dell’umanità. (P&P – Pubblicità e Progresso)!

Tino Montanari

**P.s del titolare del Blog.

Non c’entra nulla con la recensione di cui sopra ma visto che ci sono dei problemi con la funzione “Commenti” del Blog e il buon Marco Verdi “scalpita” (per rimanere in tema con il disco di cui avete appena letto e del quale non casualmente, o forse sì, Marco aveva scritto la recensione per il Buscadero, così potete confrontare i pareri) per rispondere a Corrado che gli ha posto un quesito su Dylan, aggiungo la sua risposta qui di seguito:

Ciao Corrado, grazie per aver condiviso il mio pensiero. In aggiunta a quanto scritto vorrei aggiungere che mi sarebbe piaciuto avere nel BS10 un quinto CD “omaggio” (si fa per dire, con quello che costa) con il disco “Dylan” del 1973 (fatto proprio di scarti da Self Portrait) che la Columbia pubblicò come rappresaglia per il fatto che Bob fosse andato ad incidere per Geffen alla Asylum: un disco tra l’altro mai stampato in CD che aveva alcune cose ottime (Lily Of The West, Mr. Bojangles) ed altre buone(Can’t Help Falling In Love, Big Yellow Taxi).
Riguardo a Dave Alvin, ecco lo stralcio di un’intervista proprio di Dave che parla di queste incisioni:
Eventually, Dave was asked to a session in ’86 for Dylan. “I don’t think it was my greatest musical contribution to the world. I was in awe of just being in the same room with the guy. I’m still looking for a tape of that session too.” These songs were recorded for two Dylan albums called Knocked Out
Loaded and Down in the Groove. None of the songs Dave played on were released. “I saw him a few months after the recording session” Dave recalls, “Dylan was playing with Tom Petty at the L.A. Forum. I was with John Doe and Exene and my girlfriend. We were hanging out at this backstage bar, and Dylan’s road manager came and brought me backstage. We talked for awhile about Sonny Burgess and stuff like that. It was a wild scene in his dressing room. He’s more remote now.”
Quindi parrebbe una di quelle sessions “sparse” tipiche del Dylan anni ’80, che diedero vita ai due Self Portrait di quel periodo (Knocked Out Loaded e Down In The Groove), forse nulla di imperdibile tutto sommato…
Ciao,
Marco

Novità Di Maggio Parte II. Luther Dickinson, South Memphis String Band, The Wandering, Glenn Frey, Royal Southern Brotherhood, Alo, Damon Albarn, John Fullbright, Sara Watkins, Keane, Richard Hawley, Pat Green, Eccetera.

 

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Ecco i dischi in uscita da domani 8 maggio.

Cominciamo con un trio di uscite per così dire inconsueto: come direbbe Asterix dal suo piccolo villaggio della Gallia, SPQA Sono Pazzi Questi Americani. Non pago del 78 giri pubblicato per il Record Store Day Luther Dickinson esce con tre nuovi album differenti e attribuiti a tre diverse sigle ma tutti con il suo zampino. Il primo, a suo nome, Hambone’s Meditations esce per la Songs Of The South ed è un disco di musica acustica strumentale ispirata da John Fahey ma soprattutto da Jack Rose e dovrebbe essere stato registrato nel 2009. Il secondo, attribuito alla South Memphis String Band, pubblicato dalla Memphis Int’l, si chiama Old Times There ed è la nuova fatica del gruppo che lo vede accanto ad Alvin Youngblood Hart, Jimbo Mathus e il nuovo arrivato Justin Showah, per la valorizzazione del lavoro delle string band e della musica tradizionale della zona del Mississippi e dintorni in generale. Il terzo album (come era stato per Dave Alvin ai tempi delle Guilty Women) lo vede affiancato da una band tutta al femminile dove spicca il nome della bravissima Shannon McNally, ma anche Amy Lavere, Valerie June e Sharde Thomas (la Lavere è una bravissima cantante e bassista di Memphis, Tennessee che ha pubblicato tre album e un EP a suo nome tra cui l’ottimo Stranger Me dello scorso anno). La band si chiama The Wandering e l’album Go On Now You Can’t Stay Here, etichetta Songs of The South anche in questo caso. Però siccome non mi piace lasciare le cose in sospeso ho fatto una piccola verifica: Sharde Thomas è una suonatrice di Fife, quella specie di flautino di che si usa nelle band tradizionali, e si destreggia alla batteria, ma è anche la nipote di Otha Turner,  e nonostante i 22 anni ha già pubblicato un disco, Valerie June è una giovane cantante blues di cui si parla molto bene che non ha ancora pubblicato album a nome suo, a parte un EP live autogestito. Sono le due “nere” del gruppo.

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Già non è che gli Eagles, a parte i dorati anni ’70, siano mai stati una band particolarmente prolifica, ma anche Glenn Frey, 4 album dal 1982 ad oggi, più un live e un paio di raccolte, non è che si sia dannato l’anima più di tanto (in senso metaforico): 20 anni da Strange Weather e cosa riceviamo in cambio? Questo After Hours, un disco di standard tratti dal grande repertorio americano, Tony Bennett, Nat King Cole, Dinah Washington e classici come The Look Of Love, The Shadow Of Your Smile, For Sentimental Reasons ma anche Caroline No di Brian Wilson, Same Girl di Randy Newman e un classico come Route 66. Ma li farà alla Eagles, in stile Weast Coast, uno pensa? Manco per niente! Allora “raffinati” come l’ultimo Curtis Stigers o un Peter Wolf? Ma nemmeno pensarci, li fa proprio da crooner, più tipo Bublé che i grandi citati prima, da night, alla After Hours come da titolo, ma con il rischio di appisolarsi durante l’ascolto. Ci ha messo due anni a farlo ma a me sono bastati due minuti per ronfare profondamente. Non per niente in molti paesi europei, Italia compresa, esce solo verso la fine giugno. Disponibile da domani sul mercato americano per la Universal. Ad essere generosi si salvano, per me, parere personale ovviamente, Worried Mind, una bella ballata con uso di pedal steel ed il western swing di Route 66. E probabilmente venderà anche parecchio, ma al sottoscritto scappa un bel “Lascia perdere Glenn”!

I Royal Southern Brotherhood sono un gruppo “meticcio” che fonde il “southern” di Devon Allman figlio di Gregg con il sound funky & soul di New Orleans di Cyrille Neville, a loro si aggiunge una solida sezione ritmica con Charlie Wooton, il bassista dei Wood Brothers e il batterista della Derek Trucks Band (e famiglia Allman in generale), Yonrico Scott. Ciliegina sulla torta Mike Zito alla chitarra solista: risultato? Del robusto southern-rock-blues-funky-soul: niente di nuovo, ma per gli amanti del genere c’è da godere. Etichetta Ruf Records, ma stranamente esce prima negli States. In attesa del nuovo live della Derek Trucks Band atteso per fine maggio, per scaldare i motori.

Tra i gruppi americani, gli Alo, Animal Liberation Orchestra, la band di Zach Gill, che incide per la la Brushfire di Jack Johnson del gruppo Universal, si collocano a metà tra lo stile jam band (con influenze Little Feat) e quel sound solare, caraibico, un po’ alla Jimmy Buffett e quindi con influenze country, pop, Bay Area. Sounds Like This è il loro quarto album e per l’estate che si avvicina questo sound è ideale, piacevole ma di qualità.

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 Terzetto inglese.

Dopo la musica africana (e lontanissimo dal suono dei Gorillaz) questa volta Damon Albarn si rivolge alla musica elisabettiana per un disco ispirato al personaggio del consigliere di Elisabetta I di Inghilterra, John Dee, matematico e genio universale era una specie di Leonardo o Francis Bacon. Quindi siamo tra cori rinascimentali, stumentazione classicheggiante e qualche deriva pre o postfolk. I Critici inglesi impazziranno dalla gioia, già me li vedo! Titolo Dr. Dee, etichetta Parlophone. Mah e Boh? Lo vedo bene in radio. Poi parlano male di Sting e dei suoi dischi con liuto, va bene essere eclettici…sarà anche un’opera (non rock) e non un disco pop ma a parte qualche brano mi sembra tutto “strano”. Io apprezzo anche la musica classica e in passato, in ambito folk britannico, ci sono stati gruppi come gli Amazing Blondel o i Gryphon, per citarne un paio, che avevano tratto ispirazione da quel periodo musicale. Vedremo, ascolterò meglio, anche se ho messo apposta un video con uno dei brani più classici perché ce ne sono altri acustici che potrebbero ingannare l’ascoltatore ed è per questo che ho detto che riascolterò, infatti alcuni pezzi mi sono piaciuti.

Tornano i Keane con Strangeland che li riporta verso le sonorità più “semplici” degli esordi dopo il suono più pasticciato di Perfect Symmetry. Eichetta Island/Universal ci sono varie edizioni speciali tra cui quella Deluxe con extra tracks ma su disco singolo che è la nuova usanza delle majors (vale anche per Glenn Frey), fare due edizioni delle quali una con meno pezzi (o di più, a seconda dei punti di vista) e poi chiedere al pubblico e ai fans quale preferiscono, tenendo conto che quella con le tracce aggiunte costa di più. Ma farne una sola oppure affidarsi alle ormai consolidate versioni Deluxe doppie, a forma di Box, com formati veramente diversi, non sarebbe meglio? Siamo ormai ai limiti della perversione, già ci sono le edizioni per il download su iTunes che spesso hanno dei brani in esclusiva, se uno deve seguire anche queste “finezze” capisco poi perché gli appassionati comprano sempre meno, sentendosi presi per i fondelli (e per i portafogli)!

Nuovo album anche per Richard Hawley, sempre su EMI Parlophone (come quello di Albarn), si chiama Standing At The Sky’s Edge e lo conferma come uno degli autori ed interpreti più validi del panorama britannico. Musica leggera ma di gran classe e raffinatezza, belle canzoni che hanno attirato anche l’attenzione di Lisa-Marie Presley per il suo album di fine mese prodotto da T-Bone Burnett, dove collaborano in alcuni brani e che sarà una bella sorpresa. Tornando a Hawley, se vi piacciono le atmosfere dark di Tindersticks, Nick Cave, il vecchio Scott Walker o il primo David Sylvian, per sparare un po’ di nomi, spero non a casaccio, ma con un’impronta più pop e senza dimenticare il suo passato nei Pulp, qui potreste trovare della buona musica.

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Tre americani!

Di Paul Thorn vi avevo parlato in termini più che lusinghieri in occasione della pubblicazione del precedente Pimps and Preachers paul%20thorn. Ora esce questo What The Hell Is Going On che è un disco tutto di covers ma sembra materiale suo, anche perché non sono canzoni ed autori notissimi: già l’etichetta, Perpetual Obscurity, ha un nome che è un programma, poi troviamo brani di Allen Toussaint, Buddy Miller, Buckingham/Nicks prima dei Fleetwood Mac, Ray Wylie Hubbard ma anche Foy Vance e Wild Billy Emerson (?!?), e c’è anche una bella versione di Walk In My Shadow dei Free di Paul Rodgers (e Paul Kossoff). Se volete verificare, sul suo sito si possono sentire dei brani in anteprima index.html. A duettare con lui Delbert McClinton e Elvin Bishop oltre alle McCrary Sisters alle armonie vocali. Musica rock sana e onesta, se l’hanno paragonato a Hiatt, Mellencamp e Springsteen un motivo ci sarà!

Anche Pat Green esce con un disco tutto di covers: Things We Wish We’d Written II, perché ne aveva già fatto un volume I nel 2001 con Cory Morrow prima di diventare famoso. Anche lui è stato definito lo Springsteen del Sud Ovest da People Magazine ma questa volta va a pescare nel repertorio di Joe Ely, Lyle Lovett, Todd Snider, Will Kimbrough, Walt Wilkins e altri meno noti ma non per questo meno bravi come chi legge questo Blog ben sa. Il disco è il suo esordio per la Sugar Hill ma il sound è gagliardo e chitarristico come si evince fin dall’iniziale All Just To get To You dal repertorio di Ely, senza dimenticare belle ballate con piano e fisarmonica in evidenza. Ci siamo capiti!

Sara Watkins con il fratello Sean e Chris Thile era la leader degli ottimi Nickel Creek, nonché la loro violinista, uno dei migliori gruppi di bluegrass-country degli ultimi anni. Poi nel 2009 ha pubblicato un album di debutto omonimo con la produzione di John Paul Jones. Ora, sempre per la Nonesuch, pubblica il nuovo album, Sun Midnight Sun che è un ulteriore passo avanti nella sua carriera solista: c’è un bel duetto con Fiona Apple in You’re The One I Love, un vecchio brano degli Everly Brothers e nel disco partecipano anche Blake Mills, uno dei chitarristi live di Lucinda Williams, che produce il disco e ha fatto anche un figurone nel recente quadruplo dei brani di Dylan per Amnesty International con la sua versione di Heart Of Mine. Tra gli ospiti anche Taylor Goldsmith dei Dawes e il suo nuovo amico Jackson Browne, Benmont Tench alle tastiere e il fratello Sean. Ci sono anche cover di Dan Wilson e Willie Nelson oltre a vari brani scritti da Watkins e Mills. Non male.

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 Per concludere in bellezza la giornata vi segnalo anche l’uscita del disco di John Fullbright From The Ground Up. Si tratta del suo esordio in studio dopo l’ottimo Live At the Blue Door di cui vi avevo parlato un paio di mesi fa sul Blog ma che risaliva al 2009/2011 john%20fullbright. Questo nuovo album esce per l’etichetta 12th street Records e lo conferma come uno dei migliori nuovi talenti nell’ambito cantautorale-roots con un bel sound con un gruppo al completo alle sue spalle che completa le sue ottime performances a chitarra e piano. Settimana ricca di ottime uscite.

Direi che per oggi può bastare, alla prossima.

Bruno Conti