Eccoli Di Nuovo! Replay Buone Azioni: Mandolin’ Brothers – Serata Dylan Highway 61 Revisited A Milano il 15 Novembre

spazio teatro 89 2

Come è usanza per le migliori rock e jam bands americane a cui si ispirano, anche i Mandolin’ Brothers hanno pensato di realizzare una serata in cui eseguiranno, come ha tenuto a precisarmi il buon Jimmy Ragazzon, “tutto Highway 61 Revisited, in rigoroso ordine di scaletta + pezzi nostri,” mica bruscolini, però se devi farla grossa meglio esagerare, come diceva Jannacci, e l’album che è stato scelto è tra i migliori di sempre, con il brano Like A Rolling Stone, classificato dalla quasi omonima rivista americana, come migliore canzone di tutti i tempi https://www.youtube.com/watch?v=axdAEKsiL1U

mandolin' brothers foto

Quindi, da quello che mi si dice fervono i lavori per imparare i brani e riarrangiarli, nellì’intrepido spirito della band pavese, reduce da un breve tour inglese, dove sono stati accolti da ottime recensioni della stampa inglese per il loro ultimo album http://discoclub.myblog.it/2014/01/22/i-primi-italiani-caso-sempre-piu-americani-sempre-piu-bravi-mandolin-brothers-far-out/. Volendo, perché son Mago, potrei addirittura azzardare una lista dei brani che eseguiranno nella prima parte del concerto:

Like A Rolling Stone

Tombstone Blues

It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Lot To Cry

From A Buick 6

Ballad Of A Thin Man

Queen Jane Approximately

Highway 61 Revisited

Just Like Tom Thumb’s Blues

Desolation Row

Nove belle “canzoncine” che dovrebbero allietare i cuori di tutti quelli che si presenteranno, spero numerosi, alla serata del 15 novembre (è un sabato, quindi niente scuse) allo Spazio Teatro 89 di Milano, sito in via F.lli Zoia 89, zona San Siro. Come dice il titolo del Post, questa è una buona azione, promozionale, ma non solo, direi esistenziale, pensate a come vi sentireste se, non sapendo del concerto, non dovreste essere presenti alla serata?

Non oso pensarlo, quindi intervenite e ditelo ad amici e parenti, ma volendo anche a nemici e conoscenti. E non crediate di sfuggire perché la settimana del concerto, inesorabile, ripubblicherò questo avviso ai naviganti. Sarà anche “marketting”, ma è per una buona causa, loro sono veramente bravi, e non lo dico per convertire i “fedelissimi”, che già sanno, ma per i novizi, amanti della buona musica!

Bruno Conti

P.s Da stasera o domani troverete anche sul Blog, penso diviso in due parti, un bel Post di Marco Verdi sui Complete Basement Tapes, visto che siamo in argomento Bob Dylan.

Doppia Razione di… Jono Manson – Angels On The Other Side

 

jono manson angels on the other side

JONO MANSON – Angels On The Other Side – Appaloosa/IRD

*NDB Aggiungo anche la mia “versione dei fatti” alle riflessioni del buon Jimmy che potete (ri)leggere a seguire. Il disco è bello e merita. Repetita iuvant. Buona lettura.

Jono Manson è newyorkese per nascita, residente a Santa Fè, New Mexico, anzi Chupadero (ve lo ricordate il disco della Barnetti Bros Band?) dove si trova il suo studio di registrazione, Kitchen Sink, “americano” puro per il genere di musica che fa e infine italiano d’adozione perché ci ha vissuto e ci viene spesso per fare concerti e produrre dischi di altri, un cittadino del mondo quindi. Ma soprattutto, ed è quello che ci interessa, un bravo musicista: forse non sarà, come si usa dire, di primissima fascia, ma nella sua lunga carriera discografica, che ormai si snoda lungo quattro decadi diverse, prima indipendente ed autogestito negli anni ’80, poi solista con One Horse Town nel 1994 (ripubblicato nel 1998 in Italia dalla Club De Musique), il passaggio molto veloce attraverso una major con Almost Home, uscito come Jono Manson Band per la A&M nel 1995, che lo avrebbe poi scaricato in un nanosecondo, nonostante le ottime critiche ricevute dal disco.

Senza addentrarci in tutta la discografia ha pubblicato anche un disco nel 2003, Gamblers, con Paolo Bonfanti, dove ha esplicitato anche il suo amore per il blues, sempre presente nella sua musica. E poi ha collaborato, sotto varie forme, con decine, anzi centinaia di artisti, la lista è più lunga dell’elenco telefonico, se volete la trovate sul suo sito, http://www.jonomanson.com/discography/. come produttore, ingegnere del suono, musicista, autore, le sue attitudini sono molteplici: giusto per citarne alcune tra le ultime, ha prodotto il bellissimo Far Out dei Mandolin’ Brothers, ha scritto alcune canzoni per Crystal Bowersox, nel CD d’esordio, All That For This per la finalista di American Idol (non storcete il naso, da lì spesso escono buoni cantanti, non è come X Factor!) e una anche per l’ultimo Blues Traveler, Suzie Crack The Whips, e poteva John Popper non ricambiare il favore suonando l’armonica nel disco di Jono?

Jono_Manson

Certo che no, e infatti c’è, con il suo suono inconfondibile, in una bella ballata come Silver Lining. Certo saprete delle altre frequentazioni di Manson che è cugino dei fratelli Ethan e Joel Cohen e buon amico di Kevin Costner a cui ha insegnato a suonare la chitarra, con risultati apprezzabili poi riscontrati nei dischi dei Modern West. Ma veniamo alla nuova prova di Jono Manson, questo Angels On The Other Side che si colloca tra i suoi migliori album in assoluto di sempre: c’è rock, c’è blues, alternanza di pezzi tirati e ballate, un pizzico di folk e country, ma soprattutto tante belle canzoni, scaturite evidentemente da un momento di buona ispirazione e poi realizzate con grande perizia in un disco che non ha nulla da invidiare alla grandi produzioni, anzi, con un suono più ruspante, genuino, direi analogico, rispetto al suono sintetico di molti dischi che escono ultimamente anche da parte di artisti da cui ti aspetteresti ben altro, non faccio nomi!

E così scorrono brani come la stupenda ballata iniziale che dà il titolo al disco, Angel On The Other Side, dove alla slide c’è Jay Boy Adams (scusate ma mi scappa la citazione, questo signore ha fatto due album bellissimi tra il 1977 e il ’78, dove appaiono come ospiti Jackson Browne e David Lindley, e si trovano su CD per la Wounded Bird): qualcuno mi ha detto che questo brano gli ha ricordato John Hiatt, e non credo sia un’offesa, non è che uno si sveglia la mattina e dice, cià faccio un brano come John Hiatt, provaci! Honky Tonky On My Mind, presumo con l’aiuto degli ottimi texani Shurman, ha una bella andatura rock and blues, con la chitarra che taglia il brano in due e Jono che canta veramente bene. Altra ballata sontuosa con The Frame dove la pedal steel e il mandolino di John Egenes dettano il suono, per non dire della roccata There’s A Whole World On Fire, grande suono d’insieme e le derive country di un’altra ballata molto bella come Together Again, perfetta american music con un bel dobro a dare il tocco d’autore.

Snowed In è un’altra piccola lezione su come si deve fare della musica rock d’autore (pensate sempre a quel signore che si chiama John, siamo su quei livelli), con un suono chitarristico che è una goduria. Di Silver Lining si è detto, I’m Gonna Get It va giù di brutto, chitarre, chitarre e ancora chitarre. Angelica, altra bella ballata con la bella voce di supporto di Larkin Gayl, non cede di un millimetro come qualità, The Other Yesterday è un buon mid-tempo e niente male neppure la mandolinata Everything In Me, prima della poderosa conclusione con l’eccellente Grateful, che sono certo Levon Helm avrebbe apprezzato e poi l’organo Hammond è da sballo. Ma non è finita, l’edizione italiana Appaloosa, oltre al libretto con testi e traduzioni in italiano contiene anche una bonus track, Never Never Land che è proprio L’Isola Che Non C’è di Edoardo Bennato, solo voce, piano e chitarra acustica, anche questa sarebbe piaciuta a John Hiatt. Tutto l’insieme piace parecchio a noi ascoltatori, e bravo Jono!

Bruno Conti

Conflitto d’interessi?…What?

Credo sia il dubbio che potrebbe sorgere in molte menti, leggendo questa mia recensione – riflessione sul nuovo album di Jono Manson, amico e produttore artistico anche dell’ultima fatica della band di cui faccio parte. Ma sinceramente non credo che questo possa inficiare il mio parere e quindi me ne faccio una ragione e comincio col dirvi che trattasi di ottima musica. La cosa è facilmente deducibile sin dalla title  track che apre l’album, fine ballata in inconfondibile Jono’ style, con un testo evocativo e dolci chitarre a stendere un delicato tappeto sonoro sotto ai versi che, come in buona parte del cd, riflettono il momento di grazia e felicità dell’autore

 

A partire dalla prima strofa emergono l’ottimismo per questo positivo periodo di vita, l’amore per la sua famiglia e per la musica che lo accompagna sempre. Penso che questo brano potrebbe essere inserito in una immaginaria mini-suite, insieme a The Frame, Together Again (la mia preferita ed impeccabile ballata) e Grateful che, in vario modo e con diverse sfumature musicali,  ribadiscono la sensazione di gioia e pace interiore. Mi riferisco in particolare ai testi, alle parole che, malgrado il T9 e tutte le infernali tecnologiche innovazioni del momento, se sono pensate e sentite hanno ancora un importante e fondamentale significato, sia nel ristretto ambito di una canzone, sia nella vita di tutti i giorni. Ma tutti abbiamo (chi più, chi meno) un Honky Tonk In Our Mind, un lato ribelle, al quale va dato ampio margine di manovra, proprio per rimanere sani di mente e sfogarci ogni tanto o anche spesso. E tutto questo malgrado ci sia A Whole World On Fire intorno a noi e si cerchi di salvare almeno qualcosa di buono e di dire qualcosa di giusto. Ballate sapienti come Silver Lining, con un grande e misurato John Popper all’armonica, ma anche del sano R&R, come in Snowed In e I’m Gonna Get It.

 

Una citazione particolare va fatta per Never Never Land, versione inglese del successo di Edoardo Bennato, L’Isola Che Non C’è. Il brano, presente solo nell’edizione italiana dell’album, è rivisitato con gusto ed originalità, voce pianoforte e chitarra acustica, in una personale e sensibile versione, che non mancherà di stupire. Unico mio rammarico è l’assenza di un pezzo come The Man On The Moon che, finito di comporre sul divano di casa mia in un gelido e nevoso mattino di marzo, mi aveva lasciato letteralmente a bocca aperta (*NDB. Rettifica in tempo reale, l’autore dice che il brano nel frattempo è diventato Bring The Man Down, e noi aggiorniamo). Fortunatamente avremo modo di ascoltarlo sia live, nel corso del suo attuale tour italiano, sia nel progetto Brothers Keeper, in uscita in primavera http://www.youtube.com/watch?v=jjCuVOb_VF0 .

jono manson 2

 

Una ennesima conferma del talento di Mr. Manson (*NDB. Qui sopra con l’altro autore dei brani, anzi autrice mi dicono!), con un album che piacerà a tutti i suoi estimatori, ma consigliato soprattutto a chi ancora non lo conosce: vi perdete buona musica, duro lavoro, sincerità e tanta, tanta passione. In chiusura un saluto alla rinata e gloriosa etichetta Appaloosa, sinonimo di musica di qualità, alla quale auguro tutto il meglio.

Jimmy Ragazzon

Tra I Primi “Italiani Per Caso”, Sempre Più “Americani”, Per Scelta E Sempre Più Bravi! Mandolin’ Brothers – Far Out

Mandolin Brothers 2014

Mandolin’ Brothers – Far Out – Ultra Sound Records/IRD e download digitale

“Scusate il ritardo”, come disse qualcuno, ma prima era troppo presto per farla, poi travolto dagli eventi e da una salute negli ultimi tempi non fantastica (niente di grave), mi ritrovo ad arrivare quasi buon ultimo a fare la recensione per questo Far Out dei Mandolin’ Brothers, che anche se fatta con ritardo non inficia certo la qualità del disco, rimane sempre un grande album e, in ogni caso, questo sabato, il 25 gennaio, ci sarà pure il concerto di presentazione ufficiale in quel di Pavia a Spazio Musica, praticamente esaurito mi dice il buon Jimmy (anche se perplesso per il ritardo di chi scrive, nella foto qui sotto, riciclata da altri vecchi Post) https://www.youtube.com/watch?v=KWU-l6ZmJwY .

jimmy ragazzon pensa

Il titolo della recensione fa riferimento ad un modo di dire che ho coniato per quelle band, italiche di natali, ma “americane” nel cuore e nella musica, che agiscono in Italia, ed in particolare nella zona di Pavia e dintorni, dove evidentemente si respira l’aria (virtuale) del Texas o del Tennessee, per citare due stati molto musicali degli USA, ma non ci sono, purtroppo, le stesse temperature. Fortunatamente le brume e le nebbie delle bassa Padana non hanno “nascosto” l’ispirazione di Jimmy Ragazzon e soci, che per l’occasione sfornano un disco tutto scritto da loro: come direbbe Mourinho, Zero Covers! E che disco! Almeno il produttore è americano, Jono Manson, anche se quasi naturalizzato italiano, mentre gli ospiti vengono da entrambe le rive del Po. Qualcuno da molto lontano, tipo Cindy Cashdollar e John Popper, oltre al citato Jono, altri vengono da appena girato l’angolo, Edward Abbiati e altri che vi citerò nei vari brani, perché, visto il ritardo, cosa ti ho pensato? Almeno una bella recensione track-by-track, come si usa(va) per gli album “importanti, nelle riviste musicali serie!

cindy cashdollarjohn popper

Come dite? Non è una rivista, va beh che pignoli, un Blog musicale, che una volta era anche un negozio, comunque partiamo! Anche se non paga più come una volta, hanno fatto tredici (brani), spero per loro che rendano abbastanza, in termini di vendite. Una ultima cosa prima di esaminare i brani: ma “Far Out” sta per Fantastico, Distante o “Fuori”? La traduzione dal dizionario è corretta per tutti e tre, ma temo che bisogni essere, per fortuna, un po’ fuori, per fare un disco così nel 2014, e in Italia, bravi ragazzi (anche questo è un complimento, ragazzi, una volta, forse agli inizi, 30 e passa anni fa!). E per citare un altro che veniva più o meno da quelle parti, il Giuanin Brera, il disco ha fatto, o così sembra a chi scrive, un salto sesquipedale di qualità rispetto agli album del passato, che pure non erano certo brutti.

jono manson

I Little Feat, ci piacciono ( a noi e a loro) e “New Paveans”, Louisiana, una strana località tra la bassa e la Crescent City, pure: unendo le due cose otteniamo la traccia di apertura, una Freak Out Trains che profuma anche di Sud degli Stati Uniti in generale, pianino barrelhouse, qualche inflessione dylaniana nel cantato e in un breve intervento di armonica , pedal e lap steel a dare pure una “idea” di western swing, e tutto in un solo pezzo, bella partenza.

Jimmy Ragazzon in Samedan, Photo by Peter Aebi

Per Come On Linda scomodiamo il vecchio Steve Earle di Copperhead Road, quello roots e stradaiolo degli inizi, ma anche rocker intemerato, una ballata di quelle con chitarre, chitarre e ancora chitarre, a manetta, ma anche armonica, organo e un bel duetto tra il signor Jimmy Ragazzon (che firma il pezzo con Marco Rovino, uno dei due chitarristi e titolare del mandolino della ragione sociale del gruppo) e Jono Manson, che si scambiano versi e cantano all’unisono nel coro https://www.youtube.com/watch?v=Ryz0a6ziU-4 . Le citazioni di nomi e possibili riferimenti non sono ovviamente “diminutive”, ma servono per inquadrare la musica, che essendo profondamente americana ed internazionale, per una volta non si può confrontare con De André, Fossati, Battisti o altri italiani, anche bravi, ma ha termini di paragone, assolutamente positivi, con quello che arriva da oltreoceano, per una volta tanto.

Riccardo Maccabruni, Vallemaggia 2010

Someone Else è di Riccardo Maccabruni, che se la scrive, se la canta e se la suona, con tante tastiere, piano e organo, che neanche Ian McLagan dei tempi d’oro dei Faces (a proposito tornano insieme il prossimo anno), ma anche la slide di Paolo Canevari in bella evidenza, una sezione ritmica pimpante (Joe Barreca al basso e Daniele Negro alla batteria) e ben definita nei suoni della produzione di Manson. Un bel rock dal sud (di Londra) da dove venivano i Faces, che però due o tre cose sul R&R le sapevano (vero Black Crowes?).

Paolo Canevari&Marco Rovino, Vallemaggia 2010

Circus è il brano dove appare la brava Cindy Cashdollar alla Weissenborn guitar (l’unico pezzo, evidentemente non avevano i soldi per far durare il soggiorno di più), un ballatone d’atmosfera, forse il più vicino alle sonorità di Still Got Dreams, con uso di fisarmonica (Maccabruni), le solite chitarre a strati, acustiche ed elettriche, un dobro o una national (?). Vi ho mai detto quanto canta bene Jimmy? No. Allora ve lo dico.

Joe Barreca al Nidaba Theatre, Milano,  Photo by Ramona Rotta

Nightmare In Alamo, ovviamente come titolo fa più scena che incubo a Belgioioso! E già quello è un bel partire, se poi il brano è un western rock di quelli cattivi con una storia tra l’epico e il noir, con delle chitarre “malignamente” insinuanti e un organo (hammond?) o almeno che ha un suono che solo l’hammond dovrebbe avere. Il crescendo è fantastico, dal vivo potrebbero farla durare all’infinito, un assolo dietro l’altro, quei quindici minuti, ma già questa versione di studio ha un suo perché. Quello di regalarci della grande musica.

Daniele Negro in Samedan, photo by Peter Aebi

Ask The Devil, firmata Rovino/Ragazzon è uno di quei blues che fa parte del loro DNA da illo tempore, Blues sì ma con tante sonorità rock, sottolineate dall’andatura ciondolante della batteria di Stefano Bortolotti, in prestito per questo brano, che si situa appunto in qualche “incrocio” tra blues e rock e un pizzico di gospel nei coretti finali con una voce femminile (Camilla Sernagiotto).

Sorry If è un altro rock and roll, di quelli duri e puri, cattivi, a grande velocità, con l’armonica inconfondibile di John Popper dei Blues Traveler, che viaggia come un rapido tra Bologna e Roma, o in qualche località percorsa dalle American Railroads, fate voi. Siccome c’erano poche chitarre anche Jono Manson aggiunge la sua elettrica per l’occasione. Se non fosse firmata Rovino/Maccabruni potrebbe essere qualche outtakes dai primi album dei Blues Traveler, quando tiravano come delle schegge!

mandolin' 1

Bad Liver Blues, perché le dodici battute piacciono sempre, è la storia di qualcuno che ha esagerato (ci sono sempre) e il fegato non l’ha presa bene. Il brano sta il grande Muddy e qualche oscuro vinile di Buddy Guy con Junior Wells, Charlie Musselwhite o James Cotton, quei bluesmen che piacciono a Jimmolo, che soffia nell’armonica quasi con goduria.

Short Long Story se non esistesse avrebbero dovuto inventarla, parte come una sorta di ballata con un chitarrone twangy e diventa un country-rock di quelli classici e ritorno, tra picchi e vallate sonore che i Mandolin’ avevano già frequentato nell’EP Moon Road. Anche questa dovrebbe fare sfracelli dal vivo.

E Lotus Eaters è un’altra faccia di questo country-rock molto anni ’70, quando formazioni come Amazing Rhythm Aces, ma anche gli stessi Little Feat o i migliori Commander Cody, per non parlare di Eagles, Poco, Flying Burrito Brothers, Ozark Mountain Daredevils e tantissimi altri, aggiungete a piacere, provvedevano a spargere il verbo di questo stile che prendeva il meglio dalla country music tradizionale e dal rock californiano.

abbiati ragazzon

Black Oil se non l’hanno scritta Levon Helm o Robbie Robertson, e dai credits che riportano Rovino/Ragazzon non dovrebbe essere, non è quell’inedito miracolosamente sopravvissuto allo scorrere del tempo estratto dagli archivi della Band. Ma idealmente, al tempo stesso, lo è, con gli intrecci vocali di Jimmy, Marco e Riccardo, la voce aggiunta di Edward Abbiati, mandolini, fisarmoniche e quella aria da “grazie di tutto, Levon”, in poco più di due minuti procede a dimostrare come si fa a scrivere una gran bella canzone e visto che anche il testo ha una sua ragione, nel libretto assai esauriente del CD, oltre al testo originale c’è anche la traduzione italiana.

My Last Day nuovamente scritta e cantata da Riccardo Maccabruni dimostra ulteriormente che i Mandolin’ Brothers continuano ad esplorare le possibilità di una formazione dove ci sono ben sei musicisti di talento e anche se spesso costa portarli in giro tutti insieme, quando si ritrovano in studio sono in grado di fare dei grandi dischi che dovrebbero essere recensiti anche sulle pagine di riviste come Mojo e Uncut,  non perché sono di moda o il fenomeno del momento, ma perché sono veramente bravi.

mandolin' 2

Hey Senorita, è un altro gioellino sonoro, con il suo tempo da valzerone rock, una slide insinuante e un pre-finale da mexican border, e un finalino da New Orleans Streets, dove arriva anche una sezione fiati che avrà alzato esponenzialmente il budget del disco. Ma per fare delle canzoni così belle, ancora firmata dei due R, Rovino e Ragazzon, il gioco vale assolutamente la candela (non so cosa volevo dire, ma la frase mi è venuta così e siccome ci stava bene l’ho lasciata). Se il crowfunding funziona e avete altre canzoni pronte, direi di insistere. Perfino Springsteen si è messo a fare quasi un disco all’anno.

Per concludere su un’aria di allegria “old school”  (perché in fondo non bisogna proprio prenderci troppo sul serio), che è quella che contraddistingue anche musicalmente questo ottimo album, come avrebbe detto Frate Antonino da Scasazza a Quelli della Notte del signor Alberi: “Non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello”. Oppure ancora It’s Only Rock’n’Roll, Sono Solo Canzonette, Trattasi di canzonette…scegliete voi!

Bruno Conti

 

 

Storie Di Pianura Tra la Via Emilia E Il Po – Augustici

augustici signora pianura.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Augustici – Signora Pianura – Autodistribuito/Orquestra Records 2013

Per chi scrive è opinione che, negli ultimi anni, nel pavese, si è sviluppata una scena musicale molto interessante che ruota intorno ad un “sound” omogeneo, composto da un certo numero di band, alcune nate da qualche anno, altre che suonano da venti, tutte accomunate dall’appartenere allo stesso bacino geografico, dal fare Blues, Roots, Folk e Country, dallo scrivere testi non in italiano (i Lowlands del mio amico Ed Abbiati), arrivando ad esibirsi talvolta negli Stati Uniti (i Mandolin’ Brothers di Jimmy Ragazzon) e a collaborare con artisti americani importanti, per misurarsi con chi quella musica l’ha creata.

Fanno parte dell’ultima generazione gli Augustici, gruppo folk pavese (nato da una costola della Corte dei Miracoli) composto da Edoardo Faravelli (fisarmonica, banjo e mandolino), Giuseppe Mascherpa (chitarra e voce), Chiara Prati (violino), Paolo Pagetti (bodhran e cajon), Dodo Renzi (chitarra e voce) e come ospiti Luca Crespi (flauti e tin whistles) e Marta Bianchi al pianoforte.

Signora Pianura è una sorta di “concept album” su storie e personaggi della Pianura Padana, con brani cantati in tre diversi dialetti (il milanese del ‘700, il pavese e l’oltrepadano), e in parte anche in italiano, su una rielaborazione di racconti e dicerie di paese. Le storie iniziano con il brano che dà il titolo al lavoro, Signora Pianura, dall’arrangiamento tipicamente irlandese, e proseguono con il dialetto oltrepadano di La Crava Ciciumbèla, la dolce ballata E ci avevo la morosa in collina, con la fisarmonica in evidenza. Con il trascinante folk agreste di Al Pogia si torna al dialetto (pavese), e poi a seguire La Processione sempre con la fisarmonica a dettare il ritmo, mentre un bel arrangiamento irish folk accompagna la splendida I Lader (La Balada del Bestùc) cantata in dialetto milanese del ‘700. Atmosfere “parigine” si respirano nel Valzer in Pantofole, mentre la storia di Jackie L’Anguilla fa da preludio al country padano di Il Leggendario Bisonte Americano, per finire con la pianistica La Sigaretta, una storia intensa e amara, che rispecchia lo spirito del lavoro, con testi profondi e mai banali. Per gli amanti del “folk tradizionale”, una nuova interessante band pavese da scoprire.

Tino Montanari 

Una Grande Serata Tra Folk e Rock (Ma Non Solo) Con I Lowlands A Pavia!

lowlands pavia.jpglowlands live pavia.jpg

 

 

 

 

 

 




Lowlands – Piazza Della Vittoria – Pavia – 08/06/2013

Nello splendido scenario di Piazza Vittoria in quel di Pavia (con sullo sfondo il magnifico palazzo del Broletto), i Lowlands di Ed Abbiati hanno concluso la prima parte della loro campagna europea che li ha visti suonare da Dublino a Londra, passando per Roma e Firenze, con l’ultima recentissima tappa di Stoccolma, in un concerto che arriva a dieci anni esatti dal rientro in Italia di Ed, non occasionalmente nel giorno del suo compleanno e, particolare importante, anche di sua moglie. L’attuale line-up della band oltre ad Ed Abbiati chitarra e voce, è composta dallo storico chitarrista Roberto Diana, Francesco Bonfiglio alle tastiere e fisarmonica, Enrico Fossati al basso e Mattia Martini alla batteria.

La parte iniziale del concerto vede Ed e il suo gruppo eseguire brani tratti dal loro ultimo lavoro Beyond, a partire dal rock urbano di Lovers and Thieves, Walking Down The Street, Waltz in Time, Ashes e Hail Hail e poi una versione sempre accattivante di Gypsy Child. Si riparte da una struggente Fragile Man (scritta da Ed per un suo amico recentemente scomparso), proseguendo con un set che ripropone brani pescati dall’album d’esordio The Last Call, dove spicca per bellezza la tenue That’s Me On The Page, mentre In The End fa muovere il piedino e invita a ballare, non mancano Gotta Be (brano firmato con l’amico Tim Rogers) sana e robusta baraonda rock, per poi passare alla  dolce ninna nanna Lullaby (dedicata alle figlie). La parte finale del concerto, vede salire sul palco gli amici Alex Cambise al mandolino e Jimmy Ragazzon (leader dei Mandolin’ Brothers) per una torrida versione di Everybody Knows This Is Nowhere di Neil Young, un brano dei primi anni ’60 di Bruce Channel  in cui appariva Delbert McClinton che si narra abbia dato ai tempi alcune lezioni di armonica a John Lennon, Hey Baby, per fare ballare il pubblico presente, e una Left Of The Dial dei Replacements cantata con la rabbia degna di un Paul Westerberg. Chiudono un concerto splendido Keep On Flowing con piano e fisarmonica nel più classico blue collar rock e una acustica e dolcissima Homeward Bound.

Mentre la gente a fine concerto sfollava contenta e soddisfatta della serata musicale, pensavo che noi pavesi dovremo essere grati a gruppi come i Lowlands,  i Mandolin’ Brothers e artisti minori locali, ma altrettanto bravi (come per esempio Sergio “Tamboo” Tamburelli) che portano in giro per l’Italia e in Europa, una musica fatta di sudore, cuore e di grande qualità.

Tino Montanari     

I Migliori Dischi Del 2012: Ultimi Arrivi. Da Pavia, Ed Abbiati Dei Lowlands

lavori in corso.jpg

 

 

 

 

 

Prima di cedere la parola a Ed, volevo scusarmi con i lettori del Blog, ma ieri e oggi c’è stato un problema tecnico e mentre il sito era visibile in lettura non potevo caricare nuovi Post, ma bando alle ciance e veniamo alle scelte di uno più interessanti musicisti italiani, senza esagerare (caffè pagato?)…

EdwardAbbiati_LOWLANDS_GabriellaAscari.jpg

 

 

 

 

 

 

photo by gabriella ascari

sto componendo….

BEST OF 2012

“Non ho comprato molti dischi quest’anno, purtroppo. Quindi questa lista rappresenta i dischi che ho ascoltato con più piacere…se siano i migliori o meno…nessuna idea. Ma sono questi quelli nuovi che mi hanno tenuto compagnia quest’anno. (Avrei voluto sentire Titus Andronicus, Ian Hunter, Alejandro Escovedo, Neil Young e spero di prenderli presto). Delusione per Gaslight Anthem e Counting Crows su tutti.”

Parto segnalando un disco del 2011 che ho solo sentito quest’anno: Innerstate di Stiv Cantarelli (con i Richmond Fontaine a fare da backing band). Attualmente il mio disco notturno preferito. Sì perchè questo disco va sentito alle 3 di notte. Un disco sussurrato e mai fragile. Prezioso!

1) Wrecking Ball – Bruce Springsteen.  Dopo due album che proprio NON mi sono piaciuti (Magic e Working on a Dream) Bruce fa un bel disco con due vecchi pezzi (ma belli: Wrecking Ball, Land of Hope and Dreams, ) e  almeno 4-5 grandi canzoni ( Death to My Hometown, Shackled and Drawn, Jack of All Trades, We’re Still Alive e Rocky Ground) Bruce ha continuato a scrivere la sua storia. 

2) Tempest – Bob Dylan Questo disco si lascia ascoltare facilmente come non succedeva (almeno per me) da Modern Times. La sua voce mi piace sempre di più. Together Thru Life mi piaceva come sound ma non come brani. Qui c’è sia il sound che i brani. Duquesne Whistle (l’ossessione di Bob per Charlie Chaplin prosegue…).

3) Cheap Wine – Ammiro i Cheap Wine per quello che hanno fatto in questo paese in questi 15 anni. Ho tanto rispetto per come lo hanno fatto, da soli e senza sfruttare alcuna “corrente” e ho tanta  ammirazione per la dignità con la quale hanno trattato la loro musica. In tanti, e noi per primi, camminiamo su strade asfaltate da loro. Giù il cappello. Marco non ha mai cantato cosi bene, L’ingresso di Alessio Raffaelli alle tastiere ha dato una nuova dimensione alla band permettendo a Michele di dipingersi uno spazio nuovo, la ritmica è impeccabile. Questo è il mio disco preferito dei Cheap Wine e spero che sia seguito da altri 15 anni come questi. On the way back home è uno dei pezzi più belli sentiti quest’anno. Waiting on the Door...

4) Privateering – Mark Knopfler. Avevo onestamente perso di vista Knopfler dopo il live del 92 dei Dire Straits. Avendolo visto in apertura di Dylan ad Assago, avevo l’impressione di assistere a un artista che aveva rinunciato a cercare strade nuove. Che giocava dentro la sua “comfort Zone” e basta (mentre Dylan stravolgeva a ribaltava ogni canzone in scaletta con l’entusiasmo di un bimbo dell’asilo!). La orda di recensioni positive mi hanno spinto a comprarlo e devo ammettere che me lo sono goduto moltissimo. Forse trovo il disco doppio eccessivo ma le cose belle sono stupende. Forse c’era un disco singolo perfetto lì dentro. Ma chi sono io per dubitare? E poi… la perfezione annoia. Radio City Serenade suona come un brano di Tom Waits suonato dai Pogues…è stupendo e commovente. Invecchio male…

5) Delayed Reaction – Soul Asylum: dopo anni di silenzio esce un nuovo disco che suona fresco fresco come i loro migliori degli anni 80….subito dopo l’uscita del disco metà band molla (sounds familiar?)…amo questa band e tutte le band che fanno casino cosi (O Marah where art thou?). Dave Pirner gioca con le parole con classe come sempre e la band saltella dietro a Tommy Stinson (ex Replacements) e Michael Bland (ex prince) il mio batterista preferito al mondo. Visto il mio amore per questa band ecco due video: Gravity:

e Take Manhattan (il mio pezzo preferito del disco):watch?v=OLppmbXyaAE

6) Women & Work – Lucero    Dopo due album intoccabili ecco il fratello minore di Overton e Bastards… mi mancano un po’ di chitarre distorte, perse a favore dei fiati. It’s the Memphis Soul! Che dio li tenga in salute, on the road e in studio…we need’em!!  On My Way Downtown:

7) The Sailor’s Revenge – Bap Kennedy  Lo seguo da quando Steve Earle produsse i suoi Energy Orchard.  Qui, prodotto da Mark Knopfler, fa il suo disco più bello da Domestic Blues (sempre Steve di mezzo). Jimmy Sanchez, Shimnavale, Not a Day Goes By. Incredibilmente poetico. Not a day goes by: 

8)Tomorrowland – Ryan Bingham. Stavano dipingendo un bel costume per Ryan…etichettato e tutto il resto, nuovo eroe dell’americana, ma lui non ne voleva sapere nulla e ha fondato la sua etichetta e ha fatto il disco come lo sentiva nel suo cranio. Il disco è coraggiosamente rock e secondo me porterà ai live show a scalette stupende ( e perderà qualche fan tra i critici!). Guess Who’s Knockin:

9)Ani DiFranco -Which Side are you on? Per me il periodo d’oro di Ani è quello che va dal 94 al 2001.  Ma questo è il disco che più mi è piaciuto da quel To The Teeth che salutava il secondo millennio…Ani torna sulle barricate e sputa fuoco.

10) Good Things – Miami & the Groovers  Lorenzo “Miami” è un musicista pieno di passione. Ama la musica, il palco. E’ un rocker. Il suo amore per certa musica è evidente nei suoi concerti e nei suoi dischi. Un giorno sarà sindaco di Rimini e farà suonare Springsteen in Spiaggia ma fino ad allora ci sono loro Beppe, Marco, Alessio, (presente anche nei Cheap Wine), Lorenzo e al terzo disco realizzano per me il loro album più bello. Good Things è un brano talmente bello che pare esistere da sempre:

10bis) L’ultima thule – Francesco Guccini.  Assieme a Bennato e Jannacci, Guccini è il mio “italiano” preferito. Se ne va senza mungere l’attimo. Se ne va senza un finale ma con un disco solido e pieno che invecchierà bene. Grazie. Di tutto.  Questo ultimo disco è pieno di Guccini e di questo sono grato. Ho sempre amato il suo scrivere di umanità, di fragilità e contraddizioni personali. Ho sempre pensato che fosse un vero poeta. Pochi scrivono in italiano con la sua fluidità e profondità L’ultima volta commuove:

Dimenticavo:

Best Live: Pogues Live In Paris

Why? Look here….

 

Last but not least e fuori concorso per conflitto d’interessi (ci canto in italiano su un brano!)

L’umana resistenza del nostro caro amico Alex Cambise (chitarrista e mandolinista extraordinaire). Alex ha realizzato un disco profondo, mai scontato. Fotografie di questo paese che ha ben poco di bello attualmente. Un disco sulla dignità, sulla resistenza e credo anche sul dolore. Cercatelo e ascoltatelo. Io Rimango qua (la mia preferita):

Ed Abbiati.

*NDB. Questi “artisti” mi fanno impazzire, prima per convincerli a scrivere qualcosa, e poi anche Ed come Jimmy Ragazzon mi sparano i Post scritti nei caratteri di stampa più improbabili e il vostro fedele Blogger “taglia e cuce” con pazienza e mi sembra che il risultato sia buono.

P.S. del NDB.

Questo Post è anche l’occasione per parlare di un po’ di musica italiana, quella buona e quindi visto che Ed Abbiati ha già sfiorato il conflitto di interessi mi permetto di aggiungere altri due bei dischi di musica italiana (perché fatta in Italia, ma internazionale nelle intenzioni), e non è una marketta ma sincera ammirazione per la voglia di continuare tra mille problemi sempre con rinnovato entusiasmo!

lowlands beyond.jpglowlands-better-world-coming-20120722182537.jpg

 

 

 

 

 

 

Lowlands – Beyond

Lowlands & Friends – Better World Coming 2012Gypsy Child Records entrambi!

 

Pubblicata retroattiva, a ieri, così non saltiamo giorni nella nostra frequentazione giornaliera.

Bruno Conti

Un “Nuovo Amico” Parla di Un Vecchio Amico! Tom Waits – Amsterdam, Concertgebouw 4.11.1985

*NDB

numero uno.jpg

 

 

 

 

 

Con questo Post inauguriamo la collaborazione di Jimmy Ragazzon dei Mandolin Brothers con questo Blog, visto che il contenuto viene dalla “notte dei tempi” mi calo nei panni del Numero Uno e anche il carattere del Post è diverso dal solito.

Bruno Conti

Tom-Waits.jpg

 

 

 

 

 

 

 

TOM WAITS

Amsterdam, Concertgebouw, 4 novembre 1985

AN UNFORGETTABLE “TRIP”

Premessa:

Purtroppo mi ero perso il concerto di Tom Waits  a Londra per pochi giorni nel ’79, e quindi non potevo mancare anche questa nuova occasione data dal Raindogs Tour, soprattutto avendo un buon aggancio ad A’dam e quindi la possibilità di trovare il biglietto. Arrivato in Olanda però, vengo a sapere che no, non avevo il biglietto, dato che il mio amico Andy si era svegliato tardi…

Quindi, passata l’incazzatura, andiamo davanti al Conservatorio ore prima, per cercare di trovarne almeno uno. Sbraitando in inglese ed olandese alla fine un giovane punk mi cede l’agognato tagliando con un ragionevole sovrapprezzo e, dopo avergli offerto una birra, entro al concerto.Questo è il mio indelebile ricordo.

 

Una Amsterdam fredda e piovosa, già invernale, attendeva tranquilla l’arrivo di Tom Waits, senza alcuna pubblicità, se non sui giornali specializzati, ma con tutti i biglietti venduti in sole 6 ore di prevendita. Erano passati anni dall’ultimo tour europeo e l’attesa era davvero grande, soprattutto per il nuovo corso della musica di Waits, intrapreso negli albums “Swordfishtrombone” e “Raindogs”.
Ed è un pubblico eterogeneo, fatto di conoscitori ed assidui frequentatori dei piccoli mondi raccontati da Waits, quello che si raccoglie sui gradini del Concertgebouw, il conservatorio di Amsterdam, per una serata che si preannuncia indimenticabile.
Una volta all’interno della splendida sala, la strana disposizione ed il tipo di strumenti musicali sul palco, dà una idea della particolare atmosfera che si crea subito sulle note introduttive di “Underground” che ci presentano un Waits ammiccante, in camicia a righe e pantaloni neri, scarpe italiane a punta ed un piccolo Borsalino di feltro grigio che sposta in continuazione.
Il viaggio inizia subito, lungo le strade della sua mente popolate da meticci cubano-cinesi, marinai in procinto di salpare verso Singapore, piccoli boss italiani, cittadine astemie della campagna australiana, ragazze fuggite da casa in cerca di qualcosa che non conoscono. Ed anche tristi call girls, hobos ed angeli della desolazione sulle orme di Jack Kerouac e le ispirazioni musicali del blues e di Cole Porter.
Anche gli strumenti, tra cui alcuni inventati da lui, ricreano l’atmosfera del sogno, del continuo susseguirsi di razze e culture, occidente ed oriente, con piatti balinesi, marimbas, glass armonica, calliopes e pump organs, lungo sentieri artistici tracciati da Howlin Wolf, Harry Partch , Hoagy Carmichael.
Si snodano così due ore di spettacolo, costellate da occasionali dialoghi con il pubblico, battute, storielle e piccoli scherzi che fanno di Tom Waits un perfetto entertainer. Sembra parlare sporco e rozzo così come canta con sentimento o suona il piano con estrema delicatezza, spesso accogliendo le molte richieste di un pubblico attento e preparato.
Accompagnato da una grandissima band costituita da Marc Ribot alla chitarra e tromba, Greg Coen al basso, Ralph Carney al sax, Steve Hodges alla batteria ed il funambolico Michael Blair alle più varie percussioni, ha scelto dal suo repertorio brani recenti e classici come “Tom Traubert Blues” ,”29 dollars”,”Jersey Girl”, “Downtown Train”, “Clap Hands”, “Union Square” ed altri.
Alcune canzoni tristi e spezzacuore, altre allegre, ricche di pathos, di assurdità ed aneddoti autobiografici, ballate, jazz, blues, mambo, teatro, ma con tutta la sua anima immersa in ogni brano.
Richiamato a gran voce per tre bis consecutivi, ha concluso lo show con la dolcissima “Time” e tutto il pubblico in piedi a rendere omaggio ad un grande artista, poeta e cantore della strada.
Alla fine, camminando verso casa sotto una pioggia sottile, incontro il mio amico olandese all’uscita del Paradiso, dove ha appena ascoltato Nico, la ex voce dei Velvet Underground ed il suo nuovo gruppo. Vorrebbe raccontarmi qualcosa, ma guardandomi, capisce che stanotte avrò ben altro per sognare . . .

Jimmy Ragazzon

 

 

 Alla prossima!

Pavia, Texas! Mandolin Brothers – Moon Road

Mandolin.jpg

 

 

 

 

 

 

Mandolin Brothers – Moon Road – Studiottanta – Fortuna Records CD+DVD

Ok, le radici sarebbero di Voghera, ma Pavia indica la zona geografica dove brulica tutto un mondo di musicisti innamorati della musica anglo-americana e che la suonano anche: dai Lowlands(fedeli “clienti” di questo Blog) ai Southlands passando per decine di altri gruppi e solisti di cui vi ho riferito di passaggio nel Post dedicato al tributo “Pavese” alla musica di John Lennon per-gli-amanti-dei-beatles-e-di-john-lennon-ma-anche-no-a-da.html. Ma i nostri amici sono un po’ gli originatori di tutto questo gruppo: in attività dal lontano 1979 e così battezzati, Mandolin Brothers, dal buon Fabio Treves, anche se il mandolino agli inizi non c’era (ma sarebbe arrivato) e non erano neppure fratelli con lo scorrere del tempo si sono costruiti una reputazione come uno dei migliori gruppi italiani (ma cantano in inglese) in quello stile che si trova ai confini tra country, blues, roots music e “buona musica”.

La discografia non è proprio copiosissima: tre dischi tra il 2001 e il 2009 (più questo Moon Road) e una collaborazione tra il cantante e armonicista Jimmy Ragazzon e il chitarrista (area Treves Blues Band) Maurizio “Gnola” Glielmo intitolata Blues Ballads and Songs (che quello contiene). Per il resto tanti concerti e tanta passione.

Questo album è il frutto di una fortunata coincidenza. Nel 2009 vengono scelti per rappresentare l’Italia all’International Blues Challenge che si tiene ogni anno a Memphis, Tennesse (insieme a Francesco Più) e il DVD che è allegato a questa confezione dal titolo quantomai esplicativo di “Usa 2010″ è un breve resoconto amatoriale (sono meno di 20 minuti) di quanto avvenuto a Memphis nell’occasione ma ci sono anche delle immagini (e relativa musica) che ci portano nello studio di Merel Bregante in quel di Austin, Texas dove è stato registrato il disco.

E qui arriviamo all’album, un mini-album di 6 brani per la precisione, ma che vale come fosse un disco intero e che avevo dimenticato di inserire tra le cose più interessanti di questo 2010 finito da poco. Ma poi. su stimolo di un mio amico, che mi ha detto “potresti parlarne nel tuo Blog” e perché no, eccoci qua, sia pure in leggero ritardo, ne hanno già parlato il Buscadero e altri giornali, oltre a Blog vari ma una ulteriore voce in più non fa mai male e poi nel mio Blog potrò parlare della musica che mi piace!

Se il nome Merel Bregante vi dice qualcosa è perché questo signore è stato negli anni ’70 il batterista di Loggins & Messina, poi quando ha appeso le bacchette al chiodo e si è trasferito, e accasato in quel di Austin (sua moglie è la bravissima Sarah Pierce, un’ottima cantante con un curriculum di 6 album che vi consiglio indistintamente, nel senso che quello che trovate va bene in ogni caso perchè non sono di facile reperibilità e sono belli tutti). Lì a Austin Bregante ha aperto uno studio di registrazione ed è lì dove i Mandolin Brothers e un manipolo di prodi musicisti americani hanno registrato questo album: nomi magari non altisonanti ma di sicura qualità nell’ambito della musica roots, Cindy Cashdollar, dobroista sopraffina e collaboratrice di Van Morrison (ma anche Dylan, Ryan Adams e Dave Alvin), Cody Braun dei Reckless Kelly, Lynn Daniel, Kenny Grimes, Doug Hudson e Carl Loschiavo.

Il risultato finale è eccellente: si va dal country-rock midtempo della deliziosa Hold Me con il dobro della Cashdollar in evidenza mentre la voce sorniona di Ragazzon pilota i vari interventi solisti dei musicisti e non fa rimpiangere i grandi interpreti di questo filone, dalla vecchia Nitty Gritty ai Poco, Pure Prairie League e soprattutto, almeno per le mie orecchie, i grandi Amazing Rhythm Aces di Russell Smith con cui la voce di Jimmy Ragazzon per ragioni genetiche (gemelli separati alla nascita?) ha più di un punto di contatto. La coda finale strumentale con i due chitarristi del gruppo (tra cui Marco Rovino che è il mandolin brother) a duettare con la Cashdollar e gli altri musicisti meriterebbe di non essere sfumata. 49 Years una bellissima ballata impreziosita dal violino di Cody Braun che si incastra a perfezione con la steel d’ordinanza e con la bella voce evocativa di Ragazzon, non ha da nulla da invidiare al meglio della produzione americana di genere.

E che dire dell’ottima Moon Road, un’altra slow song guidata dal suono particolare della fisarmonica di Riccardo Maccabruni mentre le chitarre, slide, lap steel e elettrica, pennellano una serie di interventi brevi ed efficaci ai limiti della poesia sonora, dei piccoli acquarelli delicati incorniciati ancora una volta dall’ottima interpretazione del buon Regazzon. Old Rock And Roll, come da titolo, è una gustosa canzone piena di energia che ricorda anche i vecchi Loggins and Messina, Maccabruni questa volta si sposta ad un pianino intrigante mentre la chitarra dell’ospite Kenny Grimes divide gli interventi solisti con l’armonica di Ragazzon. Dr.Dreams è l’altro brano che mi ha ricordato moltissimo Russell Smith e i suoi Amazing Rhythm Aces che erano un po’ i Little Feat del country-roots, belle armonie vocali (e qui ci sono), soluzioni sonore sempre brillanti (e anche qui ci siamo) e ottime canzoni (che non guasta mai), e il mandolino in questo brano si sente eccome! Conclude le operazioni Another Kind un’altra bella canzone con fisarmonica e mandolini in evidenza, più acustica delle precedenti e con un gusto decisamente più country ma sempre gustosa.

A questo punto citiamo anche la sezione ritmica composta da Daniele Negro alla batteria e Giuseppe Barreca al basso, l’altro chitarrista Paolo Canevari e il mandolinista aggiunto Bruno De Faveri.

Comunque per la serie la musica (e la critica) sono belle perché sono varie poi ognuno ci vede (e ci sente) quello che vuole, l’importante è che la musica stessa sia bella e qui ce n’è in abbondanza. Per ulteriori notizie http://www.mandolinbrothersband.com/

Mettiamo anche un video per completare l’opera e poi non dite che non vi ho avvisato! QSB (Questi Son Bravi).

Bruno Conti

Per Gli Amanti Dei Beatles E Di John Lennon (Ma Anche No): A Day In The Life – John Lennon Revisited

a day in the life john lennon revisited.jpg

 

 

 

 

 

 

 

A Day In The Life – John Lennon Revisited – 2CD – Martine Records – Distribuzione Indipendente

Ormai Pavia è divenuta una sorta di piccola Austin nel sud (della Lombardia): c’è un grande fervore di musica ed iniziative. L’ultima delle serie è questo doppio CD dedicato alla memoria di John Lennon, con e senza Beatles.

Il CD è stato realizzato in occasione del recente 30° anniversario della morte e quindi è stato pubblicato nei primi giorni di dicembre e venduto in occasione di alcune manifestazioni nell’ormai “famoso” locale di Pavia, Spazio Musica, qui sotto vedete la locandina della manifestazione con relativi partecipanti.

locandina_john_ok.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il CD l’ho ricevuto in regalo durante le feste natalizie e, soprattutto per amanti di Beatles e John Lennon (oppure dei musicisti pavesi) ve ne parlo, brevemente.

Si tratta di un doppio CD con 24 pezzi, dodici dell’epoca Beatles The Walrus (The Beatles Years) e dodici brani dal periodo successivo John (Soloist years). Parentesi: solo in Italia potevano definirlo Soloist years, è la prima volta che lo sento, non era meglio un più semplice The Solo Years?

Molti dei musicisti non li conosco, la maggior parte ad essere sinceri, non essendo della zona, ma globalmente questo tributo mi sembra onesto e ben realizzato. Si chiama A day in the life, anche se il brano omonimo non è incluso (e lì eran c…i acidi a farlo, in tutti i sensi) in quanto i musicisti che partecipavano all’operazione avevano un giorno per completare il loro brano negli studi Downtown di Pavia che sono stati il motore dell’operazione http://www.downtownstudios.it/ e sono quelli dove di solito registrano alcuni beniamini del buon rock “Made in Italy ma pensato per il mondo”.

Ovvero? In ordine di apparizione, i Lowlands di Edward Abbiati che eseguono una bella versione, acustica e raccolta, con il violino di Chiara Giacobbe in evidenza, di In My Life. Jimmy Ragazzon e Maurizio “Gnola” Glielmo con una versione molto folk-blues e dylaniana, com’è giusto che sia, di Got To Hide Your Love Away che ha perso l’ I’ve per strada. E ancora una versione molto tirata e stradaiola di Norwegian Wood dei Southlands. La ciliegina sulla torta, tra i musicisti conosciuti (da me) è una versione strepitosa molto roots alla Band con fisarmonica in grande evidenza di Working Class Hero che da sola vale il prezzo di ammissione. A proposito il prezzo dei CD era di 15 euro nelle tre serate sopra citate mentre nel sito dei Downtown Studios lo vendono (vendevano?) a 17 euro più spese di spedizione, ma questo era in sede di prenotazione adesso non so come funziona, informatevi!

Tra i musicisti che non conoscevo vorrei ricordare una piacevole All You Need Is Love di Francesco Montsesanti, una assai rallentata Help, come doveva essere all’origine del brano, cantata ottimamente da Elisabetta Citterio. Sempre sul fronte femminile non male anche la versione di Julia full band eseguita dagli Emily Plays (reminiscenze Barrettiane?) con la voce di Sara Poma in bella evidenza, piacevole anche Crippled Inside dei Green Like July e la versione quasi hard-rock da power-trio di Lucy In The Sky With Diamonds degli Iceberg.

Il resto mi sembra senza infamia e senza lode, piacevole ma l’argomento trattato, anche in tributi dove si sono alternati musicisti di grande spicco, è difficile da pareggiare o da superare, in fondo stiamo parlando dei Beatles e di John Lennon. La versione reggae di Come Together degli Jah Love me la potevano risparmiare! Scusate ma non la “reggo”. E con questa battuta che si è piazzata terza al Salone dell’umorismo di Bordighera direi che ci possiamo lasciare.

Bruno Conti

Dal Festival Di San Siro – Inteso Come La “Montagnetta” Di Milano

gnola_ragazzon.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Maurizo “Gnola” Glielmo & Jimmy Ragazzon – Blues, Ballads & Songs (Good Company 2010)

Il titolo dice più o meno tutto! Se volete gradire, ottima musica dalle terre lombarde. Giovani veterani!

Bruno Conti