La Bella Favola Musicale Continua! Doug Seegers – A Story I Got To Tell

doug seegers a story i got to tell

Doug Seegers – A Story I Got To Tell – BMG CD

Se siete abituali frequentatori di questo blog forse vi ricorderete della vera e propria favola che vede protagonista Doug Seegers, country singer-songwriter. Ve la riassumo comunque in breve: Seegers era un musicista dotato di talento ma di scarsa fortuna che si esibiva per le strade di Nashville, proprio come un busker, fino a quando fu notato nel 2014 (pare su sollecitazione di un venditore ambulante di hot-dog) da Jill Johnson, stella svedese della musica country e della TV popolarissima in madrepatria, intenta a girare un documentario di sei puntate sulla Music City del Tennessee. Jill e la sua troupe rimasero folgorati da Doug, al punto che gli fecero incidere un album con le sue canzoni, Going Down To The River, al quale parteciparono anche Emmylou Harris e Buddy Miller. Il resto è storia: il disco andò al numero uno in Svezia, e Seegers diventò in poco tempo una superstar nel paese scandinavo (merito anche di un secondo album, In Tandem, inciso con la Johnson), ed anche negli Stati Uniti cominciarono ad accorgersi di lui.

Altri due ottimi lavori ricevuti molto positivamente dalla critica, Walking On The Edge Of The World https://discoclub.myblog.it/2016/11/20/dalle-strade-nashville-agli-studi-capitol-il-passo-breve-doug-seegers-walking-on-the-edge-of-the-world/  e l’omaggio al suo idolo assoluto Sings Hank Williams https://discoclub.myblog.it/2017/10/31/due-ottimi-lavori-nel-segno-del-padre-della-musica-country-doug-seegers-sings-hank-williamswillie-nelson-willies-stash-vol-2-willie-the-boys/ , ed ecco che Doug alla tenera età di 67 anni è pronto a fare il grande salto anche in America. E l’album che potrebbe dargli la meritata popolarità interna è sicuramente il nuovo A Story I Got To Tell, un disco davvero splendido nel quale Seegers ci delizia con undici canzoni di perfetto country d’autore, con la produzione nientemeno che nelle mani di Joe Henry. Proprio la presenza di Henry, uno che si muove solo per prodotti di qualità, vi può far capire lo status raggiunto dal nostro: nonostante le sonorità country non siano proprio il suo pane quotidiano, il buon Joe ha accettato di buon grado di mettersi al servizio di Doug, mettendogli a disposizione un gruppo di strumentisti coi baffi (Martin Bjorklund alle chitarre, Tyler Chester alle tastiere, Russ Pahl alla steel, David Pilch al basso e Jay Bellerose alla batteria, più una sezione fiati in un paio di pezzi con la presenza del figlio Levon Henry al sax) e cucendogli addosso un suono perfetto.

Dal canto suo Seegers ha risposto con le sue migliori canzoni di sempre, ed è per questo che A Story I Got To Tell è per il sottoscritto uno dei più bei dischi del 2019, e non solo in ambito country. White Line (una delle due cover del CD, è di Willie P. Bennett) parte lenta e meditata, voce e chitarra, poi entra un mandolino ed a poco a poco il resto degli strumenti, con la ballata che assume toni di grande bellezza grazie anche ad un refrain toccante ed alla presenza alla seconda voce di, udite udite, Jackson Browne. Give It Away è semplicemente splendida, una ballata dai toni country cantata e suonata con feeling straordinario e dotata di una melodia bellissima, con il nostro che tira fuori una voce che va dritta al cuore (mi ricorda non poco quella del povero Jimmy LaFave): tra le canzoni dell’anno. Strepitosa anche Demon Seed, una fantastica western song con arrangiamento tra Morricone e gli Shadows, pelle d’oca assicurata; Six Feet Under è puro country anni settanta, una ballata dal suono classico sfiorata da piano e steel, mentre con Angel From A Broken Home abbiamo un’altra canzone splendida, dal ritmo cadenzato ed atmosfera nuovamente western, strumentazione piena e ritornello formidabile: mi rendo conto di stare usando aggettivi importanti, ma se ascoltate questi brani non potrete che convenire con me che uno come Seegers era più che sprecato a cantare per strada.

Out On The Street è puro country che più classico non si può, e ci mostra l’abilità di Henry a destreggiarsi anche con suoni che non sono proprio il suo pane, My Little Falling Star vede invece il nostro alle prese con una ballatona anni cinquanta, sempre con il medesimo grado di credibilità; Poor Side Of Town è un brano di Johnny Rivers (che è sempre stato principalmente un interprete ma qualche canzone l’ha scritta anche lui), ed è una raffinata e deliziosa pop song dal retrogusto soul, che Doug rende alla perfezione. Rockabilly Bug, come suggerisce il titolo, è un divertissement tutto ritmo e chitarre dal passo irresistibile, Can’t Keep Running (Back To You) ci riporta in pieno West, un brano elettrico e dall’incedere quasi drammatico, con un motivo di grande impatto, mentre Life Is A Mystery (potrebbe essere benissimo il titolo della futura autobiografia del nostro) chiude l’album con una country ballad nella quale malinconia e finezza vanno a braccetto. Con A Story I Got To Tell Doug Seegers dimostra di essere un songwriter come non ce ne sono molti: peccato averlo scoperto così tardi.

Marco Verdi

Una (Bella) Via Di Mezzo Tra Country E Soul. Adam Hood – Somewhere In Between

adam hood somewhere in between

Adam Hood – Somewhere In Between – Southern Songs CD

Adam Hood è un musicista nativo dell’Alabama attivo dai primi anni del secolo, ed è uno che se l’è sempre presa comoda, uscendo con un nuovo disco solo quando si sentiva veramente pronto: solo quattro album (ed un paio di EP) dal 2002 al 2014. Da buon uomo del sud, Adam è uno che bada al sodo, non incide tanto per farlo, magari ci mette un po’ di più del normale ma non vuole lasciare nulla al caso: Welcome To The Big World aveva ottenuto critiche lusinghiere (ed anche al sottoscritto era piaciuto da subito), ma con Somewhere In Between, il suo nuovissimo lavoro, Hood sale ulteriormente di livello. La sua musica è classificata come country, ma il termine nel suo caso è quanto mai riduttivo, in quanto nel suo sound troviamo decise tracce di southern soul, sia per l’accompagnamento classico basato sul suono caldo di chitarre ed organo, sia per la sua voce ricca di sfumature. D’altronde venendo dall’Alabama ed amando la vera musica non si può fare a meno di venire influenzati dal suono di quella terra.

Prodotto da Oran Thornton, Somewhere In Between contiene undici scintillanti esempi di puro country-soul, musica americana in maniera totale, canzoni che evidenziano l’ottima capacità di scrittura del nostro, suonate con estrema finezza da un gruppo di sessionmen coi fiocchi, tra i quali spicca il noto chitarrista Pat McLaughlin, già titolare di una carriera in proprio come musicista e songwriter e collaboratore, tra i tanti, di Rosanne Cash, John Prine, Cowboy Jack Clement e Neil Diamond. Le canzoni sono arrangiate con semplicità, due o tre chitarre al massimo, la sezione ritmica sempre presente, e l’organo a tessere sullo sfondo: il resto lo fa Adam con la sua bravura interpretativa. L’album inizia splendidamente con Heart Of A Queen, una fulgida e rilassata ballata giusto a metà tra il country classico ed il suono bucolico di The Band (sicuramente il gruppo di Robbie Robertson è una delle influenze principali del nostro), con una melodia dal pathos notevole e la bella voce del leader in primo piano. She Don’t Love Me è più ritmata ed elettrica, ma il timbro vocale di Hood ha sempre un approccio molto soulful, e qui si alterna con il tono più nasale dell’ospite Brent Cobb, altra bella canzone che il contrasto tra le due ugole migliora ulteriormente; la limpida Alabama Moon è tutta giocata su un gustoso intreccio di chitarre elettriche ed acustiche, un organo caldo ed un deciso sapore country got soul anni settanta (qualcuno ha detto Johnny Rivers?).

Molto bella anche Downturn, altra ballata dal passo lento, un country crepuscolare da ascoltare al tramonto, mentre con The Weekend il disco si sposta su territori decisamente rock-soul, un pezzo cadenzato ed annerito che il nostro conduce in porto con grande sicurezza, ed il suono è sudista al 100%; Bayou Girl è country come si farebbe in Louisiana, chitarra e dobro sugli scudi ed atmosfera decisamente laidback, in contrapposizione con la solare ed ariosa Easy Way, puro country-rock, che sarebbe già godibile di suo ma la voce soulful di Hood porta su un livello superiore. Locomotive è una pimpante rock’n’roll song, orecchiabile e diretta, che mostra la disarmante facilità di Adam nel proporre canzoni semplici ma di impatto immediato; Keeping Me Here aumenta il mood elettrico, l’attacco è quasi alla Tom Petty, ed il brano è ottimo da sentire sulle highways americane: tra i più riusciti del lotto. Il CD volge al termine, ma c’è ancora tempo per la tenue ed evocativa Real Small Town, senza dubbio la più country di tutte, e per la folkeggiante Confederate Rose, chiusura intima con accompagnamento della band decisamente sul versante rock.

Probabilmente Adam Hood non assaporerà mai il successo di pubblico, ma questo non gli impedirà di certo di continuare a fare musica con il cuore e con l’anima.

Marco Verdi

La Notte In Cui Il Boss Sfidò La Sua Band! Bruce Springsteen & The E Street Band – Scottrade Center, St. Louis 8/23/08

springstreen scottrade center 2008

Bruce Springsteen & The E Street Band – Scottrade Center, St. Louis 8/23/08 – live.brucespringsteen.net/Nugs.net 3CD – Download

Nuovo episodio della benemerita serie di concerti live d’archivio di Bruce Springsteen, a cinque mesi circa dal precedente volume che prendeva in esame la serata di Buffalo nel 2009, l’ultima con in formazione Clarence Clemons prima della sua prematura scomparsa http://discoclub.myblog.it/2017/03/13/lultima-volta-dellindimenticabile-big-man-bruce-springsteen-the-e-street-band-hsbc-arena-buffalo-ny-112209/ : se qualcuno (me compreso, confesso) si aspettava un deciso salto indietro nel tempo, magari con la pubblicazione di un live di inizio carriera, verrà spiazzato dal fatto che questo nuovo triplo CD (o download) prenda in esame un concerto di appena un anno prima di quello di Buffalo, per l’esattezza lo show che il Boss e la sua E Street Band tennero a St. Louis, Missouri, nell’Agosto del 2008, una data del tour seguito alla pubblicazione dell’album Magic. Questo Scottrade Center, St. Louis 8/23/08 non è quindi il reportage di una serata leggendaria come poteva essere quella all’Agora Ballroom del 1978 (peraltro già documentata in questa serie), ma è comunque un concerto al quale i fans del nostro sono molto legati, in quanto vede Bruce sfidare letteralmente la sua band (ad un certo punto lo annuncia proprio), decidendo di suonare canzoni che non venivano proposte da una vita, ed attingendo ai soliti cartelli esposti dal pubblico (le famose richieste) in maniera più copiosa del solito, e sempre scegliendo brani rari. Inutile dire che la band vince la sfida alla grande, dimostrando che potrebbe affrontare un concerto intero di sole richieste strane (cosa che non mi dispiacerebbe vedere un giorno) e suonarle con la stessa disinvoltura con la quale propone i successi del Boss.

Il suono del triplo CD è come sempre professionale, Bruce ed il gruppo sono in grandissima forma (ma succede mai il contrario?) e quindi il concerto è la solita goduria dalla prima all’ultima canzone, anche se non siamo in presenza di una serata forse al livello di quelle storiche. Che lo spettacolo sarà di quelli particolari lo si capisce già dall’inizio: dopo un’introduzione a base di musica da carillon, i nostri si lanciano in una scintillante versione del classico delle Crystals Then He Kissed Me (con il titolo cambiato per l’occasione in Then She Kissed Me, dato che a cantare è un uomo), che Bruce e soci non suonavano addirittura dal 1975, un brano proposto in maniera perfetta e con tanto di arrangiamento “spectoriano”. Dopo un trittico a tutto rock’n’roll formato da Radio Nowhere, Out In The Street ed Adam Raised A Cain ed una sempre coinvolgente Spirit In The Night iniziano i brani a richiesta, con due rarità come la cristallina Rendezvous, la mitica For You, in una bellissima versione full band, una inattesa e travolgente Mountain Of Love (un successo di Harold Dorman ma più nota nella rilettura di Johnny Rivers), anch’essa assente dalle scalette del Boss dal 1975, e la sempre splendida Backstreets, che nonostante sia tratta dal leggendario Born To Run non viene eseguita spessissimo. Chiaramente grande spazio viene dato ai brani tratti da Magic: oltre alla già citata Radio Nowhere, abbiamo Gypsy Biker, che non è una grande canzone, la gradevole Livin’ In The Future, la solare e poppettara Girls In Their Summer Clothes (meglio dal vivo che in studio), e i due pezzi migliori dall’album del 2008, cioè Last To Die e Long Walk Home, due grandi pezzi di puro E Street sound.

Altri highlights sono la sempre eccellente Because The Night, con il solito monumentale assolo di Nils Lofgren, una notevole Cover Me, molto più rock di quella “perfettina” apparsa in origine su Born In The U.S.A., una chilometrica Mary’s Place ed una sempre straordinaria Drive All Night, all’epoca quasi impossibile da ascoltare in un concerto del Boss (ed infatti è un’altra richiesta). I bis sono come d’abitudine uno spettacolo nello spettacolo: oltre a brani che non possono mancare (Badlands, Born To Run, Dancing In The Dark), troviamo una splendida Jungleland, lirica, profonda e potente, il sempre irresistibile Detroit Medley, la saltellante Irish rock song American Land, una fantastica Thunder Road elettrica ed un gran finale a tutto rock’n’roll con una roboante Little Queenie (Chuck Berry, anche questa una rarità assoluta) e la solita, formidabile Twist And Shout, anche se in quella sera è molto più corta delle altre volte.

Altro live imperdibile quindi, anche se con Bruce Springsteen qualsiasi concerto si prenda in esame si casca sempre benissimo.

Marco Verdi